Astoria e RCS Sport: si brinda alla partnership 2022

15.11.2021
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Una conferma che era nell’aria già da qualche settimana. Il wine brand Astoria sinonimo di ottimo vino ma anche di ciclismo, ha confermato la sua partnership con RCS Sport anche per la stagione 2022. Il rinnovo di questa partnership conferma la positività del percorso che Astoria Wines ha da tempo intrapreso lungo le strade del grande ciclismo. Una collaborazione quella con RCS Sport che riguarderà la presenza del brand trevigiano sul podio, ma non solo, di tutte le grandi classiche targate RCS. Dalle Strade Bianche alla Sanremo, dalla Tirreno al Giro d’Italia, dal Giro di Sicilia al Lombardia, passando per Milano Torino e Gran Piemonte. E proprio in occasione del prossimo Giro d’Italia, Astoria, produttore anche di Prosecco, sarà anche nei villaggi di tappa ed in tutti i festeggiamenti ufficiali.

Astoria ha lanciato tante novità sul podio del Giro d’Italia, come il Prosecco Doc Rosé
Astoria ha lanciato tante novità sul podio del Giro d’Italia

Ungheria, un’occasione…

«Siamo davvero entusiasti – ha dichiarato Filippo Polegato Amministratore Delegato di Astoria Wines – di poter annunciare il rinnovo di questa importantissima collaborazione. Una attività, quella con RCS Sport, che per il 2022 sarà ancora più importante. Il Giro d’Italia parte difatti dall’Ungheria, e questi grandi start dall’estero ci consentono di organizzare tutta una serie di nuove iniziative che hanno come obiettivo quello di poterci espandere in quella regione. Il Giro poi è anche un importante opportunità commerciale per noi. Un appuntamento che ha accompagnato anche l’evoluzione dei nostri vini, tenendo a battesimo importanti novità come ad esempio il Prosecco DOC Rosé.

Senza dimenticare che la Corsa Rosa rappresenta anche un momento importante per condividere quei valori positivi che ci fanno amare lo sport, ed il ciclismo in particolare. Da parte nostra cercheremo sempre di impiegare questa collaborazione anche per uno scopo solidale. Un pratico esempio? Le bottiglie autografate dai protagonisti e poi messe all’asta ogni anno…».

Oltre 300.000 bottiglie Giro

Da Vincenzo Nibali a Nairo Quintana, da Alberto Contador a Chris Froome… fino ad arrivare all’ultimo vincitore, Egan Bernal: sono davvero moltissimi i campioni del pedale che hanno avuto modo di festeggiare sul podio del Giro con Astoria. Come sono stati tantissimi fino ad oggi gli appassionati che hanno acquistato un ricordo con cui brindare ai loro campioni. Basti pensare alle oltre 300.000 bottiglie ufficiali del Giro d’Italia vendute da Astoria nel nostro paese e nel resto del mondo nel corso degli ultimi 10 anni. E sappiamo che Astoria sta già lavorando alle grafiche per la nuova bottiglia speciale per il Giro d’Italia edizione 2022, che come sempre promette grandi sorprese…

Astoria

Giro senza i “tre tenori”. Occasione super per tanti corridori

31.10.2021
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Egan Bernal, Tadej Pogacar e Primoz Roglic quasi certamente non saranno al Giro d’Italia. Per loro c’è il Tour de France. Questi “tre tenori” sono certamente i più forti interpreti attuali dei grandi Giri. La loro presenza in Francia potrebbe subito far pensare ad un Giro in tono minore. In realtà c’è un’amplissima pletora di corridori davvero forti per i quali il Giro può diventare una super occasione. E regalarci una grande corsa.

Parliamo di Almeida, Carapaz, Mas. Ma anche Vlasov, Geoghegan Hart, Landa, Bilbao, Yates, Foss, Schachmann, Vingegaard, Quintana, Haig..

Occasione rosa

Anche per Stefano Garzelli il Giro è una grande occasione per tutti loro. Primo perché puntare tutto su una corsa è molto rischioso (ammesso che tutto vada bene due di quei tre non vinceranno il Tour) e poi perché il Giro resta sempre una grande corsa.

«Questi tre grandi non puntano però solo sul Tour – spiega Garzelli – Ad inizio stagione vanno forte anche in corse come Parigi-Nizza, Tirreno-Adriatico e le classiche delle Ardenne, soprattutto per i due sloveni. Poi staccano un po’ e pensano al Tour.

«Avete detto bene: c’è un’ampia fascia di atleti che sono molto forti, ma che magari vanno meno bene a crono o sono meno performanti in certe situazioni, per i quali è un’occasione unica venire al Giro senza quei tre. La forza di Bernal, Pogacar e Roglic sta nella loro costanza di rendimento nell’arco delle tre settimane. Io lo dico sempre: un grande Giro non lo vinci nella tappa in cui vai forte, ma in quella in cui hai la crisi. E loro la superano meglio di chiunque altro. Si salvano. Ed è lì che fanno la differenza».

Un Giro senza i tre tenori, potrebbe e dovrebbe far gola a molti. Si ha l’occasione di vincere una grandissima corsa e di mettersi in mostra.

«Io non so se sono i corridori o le squadre a non comprendere bene l’importanza della corsa rosa. Tante volte si sente dire: vado al Tour e poi se va male punto alla Vuelta. Non è così. Se non eri competitivo al Tour poi non andavi neanche alla Vuelta. Se io fossi un corridore ci punterei. 

«Anche le squadre sanno bene che è molto difficile andarsi a scontrare con quei corridori e con i loro team. Senza contare che alla fine vincono quasi sempre gli stessi».

Carapaz ha già vinto il Giro. E’ stato sul podio del Tour e della Vuelta. Col percorso del Tour potrebbe far fatica quest’anno
Carapaz ha già vinto il Giro. E’ stato sul podio del Tour e della Vuelta. Col percorso del Tour potrebbe far fatica quest’anno

Carapaz per il bis?

E allora passiamo in rassegna questi forti corridori a cominciare da Richard Carapaz. Il campione olimpico forse si pone in una posizione intermedia fra i tre tenori e questi altri ottimi atleti.

«Carapaz è già salito sul podio dei tre grandi Giri – dice Garzelli – E’ molto grintoso e attaccando ottiene anche più di quel che può a volte. Per me la Ineos dovrebbe farlo capitano unico, senza contare che sa come comportarsi con la pressione. Dico capitano unico perché deve sentire la fiducia.

«Sarà che io vengo dalla scuola di Pantani e Martinelli in cui si correva per un uomo solo. Quando io restavo dietro, restavano dietro tutti i miei compagni, no tre dietro, tre davanti, uno in mezzo. Un leader non può pensare che un suo compagno, possibile capitano, possa tirargli all’80%. Si creano delle tensioni. Magari da fuori non si vede, ma vi assicuro che è così. Se il leader sa che c’è un compagno pronto a sfruttare una sua defaillance non è tranquillo».

 

«E poi che senso avrebbe portare un Carapaz al Tour con tutta quella pianura, il pavé e il vento nelle fasi iniziali? Bernal si ritroverebbe con un uomo in meno o peggio ancora con un co-capitano. E si sa quanto siano importanti certi uomini specifici per quelle tappe. Al Tour più che mai quest’anno serve un capitano unico, tanto più che si corre in otto e non in nove come in passato».

Lopez è tornato all’Astana. Il Giro potrebbe essere l’occasione della sua carriera
Lopez è tornato all’Astana. Il Giro potrebbe essere l’occasione della sua carriera

“Martino” porta Superman

Dalla scuola Martinelli si parla così di Miguel Angel Lopez, tornato in Astana

«Non mi è piaciuto come si è ritirato dalla Vuelta l’anno scorso. Doveva finirla, se non altro per rispetto dei compagni che avevano tirato, preso caldo, pioggia e rischi per lui. Il giorno prima aveva vinto davanti all’amministratore delegato di Movistar e poi si è fermato. Mah… Lopez ha un bel caratterino».

«L’Astana – riprende Stefano – ha messo su una bella squadra e conoscendo “Martino”, Lopez lo porterà al Giro. Non si lascerà sfuggire questa occasione. In più c’è Nibali che potrebbe essere l’ago della bilancia per Miguel».

Joao Almeida, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2020 Joao Almeida si rivelò al grande pubblico. Fu in rosa per ben 15 giorni
Joao Almeida, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Al Giro del 2020 Joao Almeida si rivelò al grande pubblico. Fu in rosa per ben 15 giorni

Almeida e Mas

Forse con Carapaz, Joao Almeida (in apertura con Simon Yates) e Enric Mas sono i più forti. Sono giovani ed entrambi molto forti e ambiziosi.

«Almeida mi piace moltissimo – dice Garzelli – E’ veloce, va forte a crono, tiene in salita. Piuttosto bisognerà vedere che piani ha la UAE per lui. Sarà solo una spalla per Pogacar?

«Sembra sia stato preso per il Giro? Farebbe bene a puntarci. Su di lui però c’è l’incognita Deceuninck. Tanti corridori che hanno lasciato quella squadra poi non sempre sono andati tanto forte».

«Mas invece in salita è fortissimo. Gli manca qualcosa però in generale e non solo a crono. Ma sulla sua presenza credo meno: chi poterebbe poi la Movistar al Tour?».

Pello Bilbao e Mikel Landa: i due baschi sono anche amici, bravissimi ma “poco” finalizzatori
Pello Bilbao e Mikel Landa: i due baschi sono anche amici, bravissimi ma “poco” finalizzatori

Landa, Bilbao e…

«Loro sono bravissimi, ma gli manca sempre qualcosa. Pello Bilbao ha superato i 30 anni e se non ha vinto un motivo deve esserci, non ce lo vedo che inizia a vincere adesso. E Mikel Landa ha fatto prestazioni super in salita, ma poi spesso cade e anche quando non cade e sembra possa andargli bene gli capita una giornata no. Però in Bahrain con due corridori così potrebbero avere due capitani. Sono due corridori che non danno garanzie, come Carapaz. Potrebbero giocare di sponda. Senza contare che vorrei conoscere le intenzioni di Caruso».

«E poi c’è Vingegaard: ecco lui potrebbe anche vincerlo il Giro». 

«Se fossi un diesse e avessi un corridore che sta bene io lo porterei al Giro come capitano e gli farei la squadra intorno, almeno se devo ragionare in termini di risultato sportivo e tecnico. Ma nel ciclismo moderno invece ci sta anche che ai team interessi il piazzamento. Non so cosa chiedono gli sponsor».

Ronchetti, il mestiere dello speaker prima del computer

15.09.2021
6 min
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«In quel momento lo speaker è come dei venditori e se vuoi che la gente acquisti devi essere chiaro nel parlare, nello spiegare».

Il ruolo dello speaker per Bruno Ronchetti si può sintetizzare con questa frase. Ma non è l’unica cosa che ci ha detto, figuratevi se si è limitato a questo, lui che ama ancora raccontare. E quanti aneddoti legati agli inizi della sua carriera.

Il suo ritmo è ancora bello incalzante proprio come quando era la voce del Giro d’Italia e delle maggiori corse di professionisti e dilettanti negli anni ’90/2000. Ronchetti, modenese di Nonantola classe ’41, è stato fonte di ispirazione per tanti speaker moderni, come ci aveva detto Stefano Bertolotti recentemente. E prendendo spunto da quella intervista lo abbiamo voluto sentire per capire le differenze tra le due epoche.

Al Giro delle Valli Aretine del 1985, vinto da Claudio Santi
Al Giro delle Valli Aretine del 1985, vinto da Claudio Santi
Innanzitutto oggi cosa fa Bruno Ronchetti? 

Sono appena tornato da una bella crociera tra Grecia e Croazia insieme a coppie di amici. Vado ancora a qualche evento, ma principalmente mi godo la pensione e guardo le corse da fuori.

Invece come è nato Ronchetti speaker?

Ce l’ho sempre avuto nel sangue. Partiamo da molto lontano. Mio nonno aveva usato la radio ad inizio ‘900, un po’ per necessità e un po’ per diletto. I suoi racconti mi erano rimasti impressi e a scuola, fin dai primi temi che ci davano le maestre, scrivevo che da grande avrei voluto lavorare col microfono. Molti miei compagni mi chiedevano cosa fosse e gli rispondevo: «Mi vedrete con quell’aggeggio in mano molto presto». Ma ci fu un’altra folgorazione, che tuttavia mi fece passare un brutto quarto d’ora a casa.

Quale? 

Nella via centrale del mio paese, Nonantola, c’erano due bar dove ascoltavano il Giro d’Italia alla radio. Uno era “coppiano” e l’altro “bartaliano”. In quei giorni andavo in bici in centro per sentire la cronaca un po’ in un bar e un po’ nell’altro. Vedevo la gente appassionata al racconto della corsa. Mi sarebbe piaciuto essere colui che raggruppava tutte quelle persone per ascoltarmi. E così pensai di fare una cosa che fece arrabbiare mia mamma.

Ronchetti è stato a lungo speaker della Sei Giorni delle Rose di Fiorenzuola
Ronchetti è stato a lungo speaker della Sei Giorni delle Rose di Fiorenzuola
Il famoso brutto quarto d’ora. Raccontaci.

Era il 1953, avevo dodici anni. A Modena il Giro ci rimase per tre giorni (dal 21 al 23 maggio, ndr). Io scappai in bici da Nonantola senza dire nulla a nessuno, perché altrimenti me lo avrebbero vietato. Volevo andare a vedere la prima di quelle tre tappe. Dopo l’arrivo riuscii a mettere la mia mano destra sulla spalla di Coppi facendogli i complimenti. Lui fece un cenno di ringraziamento. Ero il bambino più felice della terra e l’idea sarebbe stata quella di tornare il giorno dopo ad assistere alla cronosquadre dentro al vecchio autodromo di Modena. Invece quando arrivai a casa, trovai mia madre preoccupata e arrabbiata per la mia assenza, anche se mio padre gli aveva detto che quasi certamente ero andato là.

Come andò a finire?

Feci appena in tempo a dirle che avevo toccato Coppi, prima di prendere uno di quei rimbrotti che non scordi facilmente. Ma ero felice, anche perché poi, un paio di anni più tardi, iniziai a correre debuttando da esordiente nella Carpi-Serramazzoni con una squadra di Soliera.

A che punto ritroviamo Ronchetti col microfono in mano. Come ti preparavi?

Sì, arriviamo un po’ più ai giorni nostri. Avevo un grosso quadernone, quasi un libro, dove mi appuntavo tutto. Il nome di tutti i professionisti, con i loro dati, la loro carriera e il loro palmares. E poi gli albi d’oro delle corse. Un lavorone! Ogni anno poi lo aggiornavo aggiungendo i neoprofessionisti. Era un mio almanacco personale.

Assieme a Stefano Bertolotti e Paolo Mei, attuali voci del Giro
Assieme a Stefano Bertolotti e Paolo Mei, attuali voci del Giro
Bertolotti ci ha confermato che adesso per certi versi è più semplice rispetto al passato perché la tecnologia può aiutare. Cosa ne pensi?

Ha ragione Stefano, smartphone e computer ti possono davvero salvare. Attenzione però, perché sono un arma a doppio taglio. Adesso anche l’uomo della strada può sapere tutto di tutti e se non sei preciso o sbagli, sono subito pronti a criticarti e a rimarcare il tuo errore. Forse bisogna essere più bravi adesso di prima.

Quindi com’era la figura dello speaker ai tuoi tempi, come gestivi gli eventuali errori?

Lavoravamo in un periodo in cui non c’erano tante immagini, anche solo vent’anni fa rispetto ad oggi. Vi ricordate che inizialmente “Tutto il calcio minuto per minuto” faceva partire le radiocronache solo dal secondo tempo? E la gente stava a quello che sentiva. Ecco noi davamo gli aggiornamenti di radio corsa cercando di essere il più dettagliati possibile, ma senza disperarci troppo se talvolta dicevamo una imprecisione. Sia chiaro, non raccontavamo frottole e ovviamente col passare del tempo siamo diventati sempre più professionali, evoluti. 

Come si gestiscono le brutte notizie in corsa? Eri tu lo speaker nel ’99 quando venne escluso Pantani dal Giro.

Nel primo caso a Madonna di Campiglio praticamente ho omesso di raccontare quello che stava accadendo. All’epoca non c’era un vero e proprio podio firma come adesso, c’era un palco più piccolo dove salivano i corridori per firmare. Era molto più in mezzo alla folla, meno isolato e distanziato rispetto ad ora. Quel giorno di fronte a me c’era un camper dell’organizzazione dove facevano diversi controlli. Mi comunicarono che lì dentro c’era Marco e che non sarebbe partito. Poi venne da me Carmine Castellano, il direttore del Giro.

Cosa voleva?

Mi disse di non dire nulla e andare via una volta finita la fase delle firme. Altrimenti ci sarebbe stato il caos più totale. Lui era di quelli che non voleva grane. Quindi omisi tutto e alla gente che mi chiedeva qualcosa rispondevo: «Non so nulla, io vengo da Nonantola».

A un raduno di ex corridori della Giacobazzi. Si riconoscono Fontanelli, Amadori, Giuliani, Pantani e anche Cassani
A un raduno di ex corridori della Giacobazzi. Si riconscono Cassani e Pantani
Per finire, Bruno Ronchetti che consigli dà agli speaker di oggi.

Intanto mi sento di dire che è difficile trovare nuovi speaker. Poi di usare bene la voce. Non bisogna essere monocorde, ma nemmeno urlare sempre. La gente non ama chi strilla, anche perché si rischia di non capire nulla. Ad esempio Bertolotti e qualche suo collega lo hanno capito e sono bravi davvero. Altri invece non sono troppo piacevoli da ascoltare. Ad uno che conosco, recentemente ho detto che quando alza il tono la sua voce diventa stridula. Bisogna lavorare anche su quello. Fare lo speaker per me è un’arte, lo dico da sempre. Mentre stiamo commentando una gara in quel momento siamo come dei venditori e se vuoi che la gente acquisti devi essere chiaro nel parlare, nello spiegare.

Wackermann, come va? «Ora le sensazioni sono giuste»

22.08.2021
4 min
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Parliamo con Luca Wackermann. Vi ricorderete di lui per lo sfortunato episodio che ha caratterizzato il suo 2020, l’incauta manovra di un elicottero durante la quarta tappa del Giro d’Italia gli fece volare addosso una transenna. Quel giorno lo ha segnato, nel corpo e nello spirito. Ma ora Luca è tornato, venerdì ha concluso il Tour du Limousin, una corsa di quattro tappe che la scorsa stagione si era aggiudicato con grande caparbietà, e da martedì sarà al Tour du Poitou Charentes.

Ci facciamo raccontare proprio da lui il suo percorso di guarigione e di riavvicinamento alla bici e alle corse, con la Eolo-Kometa che ha creduto in lui e nel suo recupero. E così Luca è intenzionato a tornare ai suoi livelli.

Luca Wackermann, caduta Villafranca Tirrena, Giro d'Italia 2020
Immagini della caduta a Villafranca Tirrena, al Giro d’Italia 2020. E’ tornato in gruppo nel 2021
Luca Wackermann, caduta Villafranca Tirrena, Giro d'Italia 2020
Immagini della caduta a Villafranca Tirrena, al Giro d’Italia 2020. E’ tornato in gruppo nel 2021
Cosa ti ricordi di quel malcapitato evento?

Praticamente nulla, sono sempre stato cosciente, ma ho vissuto una settimana sotto shock. Il primo ricordo nitido risale a quando ero in ospedale durante le visite mediche. Poi la mia mente fa un salto alla prima settimana a casa, quando ero ancora sotto osservazione e facevo continuamente check-up.

Come sono stati i mesi successivi?

Il primo mese, mese e mezzo, mi alzavo con un terribile mal di testa, dovuto al trauma cranico, che anche prendendo antidolorifici non passava. A questo devi aggiungerci un gran mal di schiena, ho fatto un periodo di riabilitazione e rafforzamento muscolare, ma nonostante tutto ai primi di dicembre mi sono rimesso in bici.

Nel 2009 è stato campione europeo juniores su strada
Nel 2009 è stato campione europeo juniores su strada
Ecco, ora ci arriviamo, com’è andato il tuo ravvicinamento alla bicicletta?

Ho fatto un periodo di preparazione e ben due ritiri con la squadra, ma nel momento di tornare alle corse, a febbraio, mi è venuto un gran dolore al ginocchio. Mi ha fatto restare fermo per un mese e mezzo facendomi perdere la prima parte di stagione.

Da aprile hai rincominciato a correre con costanza.

Sì, il mio esordio è stato al Gran Premio Indurain, è servito a testare la gamba e la condizione. Infatti, in accordo con la squadra, non ho partecipato al Giro d’Italia, anche se ci tenevo molto. Diciamo che volevo mettermi quel capitolo alle spalle. Non direi con costanza, ho solamente 30 giorni di corsa sulle gambe, sto correndo con continuità da luglio.

Che sensazioni hai provato nel ritornare in gruppo a pedalare?

All’inizio ho avuto timore, come normale che sia. Man mano che i pedali giravano è tornata la fiducia. A livello agonistico le sensazioni sono ritornate positive solamente in questo Tour du Limousin.

A distanza di tempo cosa pensi quando la mente torna a quel giorno?

Tante cose, penso che si sarebbe potuto evitare con un po’ di attenzione in più. Fossi passato 5 secondi prima o dopo non sarebbe capitato o comunque non avrei vissuto questo trauma. E’ capitato, l’errore umano è da considerare sempre. E’ un episodio che attribuisco al fato (la voce di Luca è pesante, porta ancora il segno di questi mesi difficili, ndr). Sono abituato a combattere, in 9 anni di professionismo mi sono capitate tante cose, questa è la più difficile, ma posso superare tutto.

Bertolotti, ci racconti il mestiere dello speaker?

06.08.2021
6 min
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Non tutti gli speaker nascono con il microfono in mano, ma a volte lo incontrano e non lo lasciano più. Alcuni degli “oratori” del ciclismo hanno iniziato per caso, per gioco o per occorrenza, quasi per un’emergenza. Qualche giorno fa chiacchierando con Claudio Santi sulla sua Seigiorni delle Rose di Fiorenzuola ci aveva detto che fu lui a scoprire Stefano Bertolotti come speaker più di venti anni fa.

E noi abbiamo voluto sentire il lodigiano che è una delle voci del Giro d’Italia dal 2011 – al pari di Paolo Mei – e che negli anni è diventato l’attuale addetto stampa dell’UEC, l’Unione Europea Ciclistica. Nelle prossime settimane viaggerà su diverse manifestazioni tra Slovenia, Serbia, Olanda, Portogallo e Trentino per conto della federazione continentale con diversi ruoli.

Prima edizione degli europei pro’, Plumelec 2016: vince Sagan, Bertolotti lo intervista
Prima edizione degli europei pro’, Plumelec 2016: vince Sagan, Bertolotti lo intervista
Stefano raccontaci i tuoi inizi.

La primissima esperienza al microfono è stata quando non ero ancora diciottenne. Mia madre era presidente del Comitato Provinciale di Lodi, si organizzavano alcune gare di dilettanti dove tutti facevano tutto e io, che avevo smesso di correre tra gli allievi da poco, chiesi di fare radio-corsa. Mi divertii, ricevetti dei complimenti da tutti. Per me era finita lì, invece mia madre mi aveva trovato un paio di gare di giovanissimi da commentare. Non ci volevo andare perché non mi sentivo pronto a parlare in pubblico, ma mia madre mi fece capire che non potevo tirarmi indietro e che al limite non ne avrei più fatte. Alla fine invece mi trovai a mio agio e ho continuato con le gare dei bambini.

Santi però rivendica di essere stato il tuo talent scout.

In un certo senso è vero. Lo conobbi nel 1996 mentre facevo la presentazione del Pedale Castellano (formazione piacentina giovanile di Castel San Giovanni, ndr) poi due anni più tardi, quando avevo 23 anni, mi affidò il ruolo di speaker della prima edizione della Seigiorni e da allora non ne ho saltata una. Nel mezzo, nel 1997, avevo fatto da spalla al mitico Bruno Ronchetti proprio in una prova di Coppa del mondo di pista disputata a Fiorenzuola. 

Il debutto di bertolotti alla Seigiorni di Fiorenzuola, prendendo il posto di Bruno Ronchetti
Il debutto di bertolotti alla Seigiorni di Fiorenzuola, prendendo il posto di Bruno Ronchetti
Ci ha detto che fu criticato per quella scelta. Pensa un po’ alle volte…

Sì sì, mi ricordo che glielo disse più di una persona che era un azzardo, soprattutto perché avrei sostituito Ronchetti, giustamente ritenuto una istituzione che già faceva Giro d’Italia, Tirreno-Adriatico e Milano-Sanremo e che per me era un modello da seguire. Non so, magari qualcuno negli anni si è ricreduto. Di sicuro devo dire che sono molto grato a Claudio Santi, che mi ha dato fiducia che ero un ragazzo.

Sembra però che ora non ci sia nessun giovane che voglia fare lo speaker. Benché tu ed altri tuoi colleghi non siate vecchi, si può dire che non ci sia un ricambio generazionale?

Sì, mancano le nuove leve, quantomeno in alcune zone. Tante volte ricevevo proposte di andare a fare lo speaker fino in fondo alle Marche ed io pensavo subito “Ok, vado molto volentieri ma possibile che tra Lodi e Macerata, ad esempio, non ci sia uno speaker per il ciclismo?”. In altre parti d’Italia invece c’è un ricambio migliore. 

Bisogna dire però che ci sono speaker e speaker, quindi è comprensibile che ti chiamino da lontano.

Sì vero, ci possono essere delle differenze tra di noi, però è anche meglio che ci siano. Ognuno ha il proprio stile, non rischiamo di uniformarci ed essere tutti uguali.

Con Paolo Mei, una coppia affiatata da 10 anni
Con Paolo Mei, una coppia affiatata da 10 anni
Cosa ti piace di uno speaker?

Vado nello specifico e personalmente sono fortunato a lavorare con Paolo Mei, grande professionista, con cui faccio coppia di microfoni da 10 anni esatti e sembra che lavoriamo insieme da una vita. Non abbiamo mai avuto un mezzo problema, ci intendiamo al volo, sia nelle difficoltà sia negli spunti, sappiamo essere complementari. Quindi apprezzo lo speaker che sa cavarsela nelle situazioni più scomode, come quando alle gare giovanili non va radio corsa oppure hai la gente che sale sul palco per chiederti informazioni strane o viene a disturbarti. Bisogna avere una buona capacità di problem-solving, poi dipende dal nostro carattere. 

E cosa non ti piace?

Non mi piace invece quando uno speaker non ha alcuni accorgimenti, come quando tendono ad accentuare una caduta, magari in volata, descrivendola come un evento catastrofico. Dobbiamo ricordarci, specialmente alle gare giovanili o dei dilettanti, che sono presenti genitori e parenti dei corridori che possono allarmarsi più del dovuto. Dobbiamo avere certe delicatezze in certe circostanze pur senza perdere la cronaca e il racconto della corsa.

E gli eventuali errori come si gestiscono?

Può capitare, non siamo infallibili, la svista è dietro l’angolo. Certo, ci vuole molta attenzione perché il pubblico ci ascolta e letteralmente pende dalle nostre labbra, però come dico da sempre anche ai miei colleghi del Giro d’Italia, non siamo chirurghi che devono salvare vite umane e pertanto il paziente lo portiamo sempre a casa vivo.

La bicicletta (gravel) è la sua grande passione (foto Instagram)
La bicicletta (gravel) è la sua grande passione (foto Instagram)
Piccolo break, tu sei anche addetto stampa. Cosa ti piace e cosa no dei comunicati stampa.

Mi piacciono i comunicati essenziali, con tutte le informazioni e le fasi salienti della gara descritte in modo sintetico. Il comunicato non deve essere un articolo di giornale, errore che tendono a fare in tanti. Infatti non mi piacciono quei comunicati prolissi e soprattutto che non hanno una firma o un riferimento telefonico di chi lo ha redatto.

Torniamo al microfono. Quanto è cambiato il ruolo di speaker da quando hai iniziato ad ora.

C’è una bella differenza. Sono cambiate tante cose ed io sono riuscito ad adattarmi bene. Prima lo speaker era una figura didascalica, che elencava tutto quello che aveva fatto un corridore, quasi a monopolizzare la cronaca della gara in questo modo e non c’era quasi nessuna parte di show, se mi concedete il termine. La mia estrazione giornalistica mi portava a questo agli inizi. Ora invece c’è un vero e proprio intrattenimento, soprattutto nelle gare pro’ o di alto livello, grazie anche alla musica o ad un dj che spezza giustamente il racconto dello speaker. Ci vuole una buona sintonia e bisogna saper conoscere o rispettare i tempi.

Bisogna essere un po’ intrattenitori?

Bisogna saper giocare con la voce per coinvolgere il pubblico anche mentre fai la cronaca degli ultimi chilometri. Personalmente preferisco lo stile moderno dove lo speaker dà le informazioni essenziali a chi ascolta, in modo che anche la signora non appassionata di ciclismo che però è a bordo strada a seguire i corridori possa capire subito chi è in fuga o chi sta per vincere o come si sta svolgendo la corsa.

La collaborazione fra Santi e Bertolotti è ormai storica: fu davvero Santi a lanciare il lodigiano
La collaborazione fra Santi e Bertolotti è ormai storica: fu davvero Santi a lanciare il lodigiano
Come si prepara uno speaker per un evento?

Deve farlo come se fosse la prima gara che commenta. Rispetto a tanti anni fa ora è facilissimo reperire tante informazioni sui corridori e sulle corse. Talvolta lo smartphone ci è stato di aiuto per prendere notizie di un corridore sul quale magari sei meno preparato. Avere una buona memoria può aiutare, ma non è fondamentale perché bisogna studiare sempre tutto. Anzi io sono per scriversi sempre tutti gli appunti o una scaletta anche se sono semplici. Non bisogna dare nulla per scontato, io mi scrivo ancora che ruolo ha un dirigente o cosa ha vinto un corridore che conosco benissimo.

Chiudendo, hai qualche nuova sfida che ti piacerebbe affrontare?

Non so, visto che siamo in periodo, forse le Olimpiadi (ride, ndr) ma chissà quando le faranno in Italia. Battute a parte, non ci crederete ma già arrivare al Giro d’Italia era un sogno che mai avevo preso in considerazione. Tutto quello che viene per me va bene, l’importante è che io abbia ancora questo entusiasmo per fare questo lavoro. Quando non ce lo avrò più dovrò farmi delle domande e trovare delle risposte in fretta.

Da Burgos all’europeo, la via di Simon Yates per tornare grande

04.08.2021
5 min
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Il 2018 sembrava essere l’anno della consacrazione per Simon Yates. Il britannico nelle prime due settimane del Giro d’Italia impressionò tutti con la sua condizione che sembrava lanciarlo verso la conquista della maglia rosa. Poi la famosa tappa del Colle delle Finestre fece cadere nel baratro il corridore dell’allora Mitchelton-Scott. I primi scricchiolii arrivarono già il giorno precedente con arrivo a Prato Nevoso dove perse 30 secondi da Froome, vincitore di quel Giro.

Quell’anno però conquistò la Vuelta e sembrava essersi ripreso definitivamente, tuttavia negli anni successivi non è più riuscito a riconfermarsi. Anche in questo 2021, dopo il Tour of the Alps i segnali erano incoraggianti, ma poi al Giro non è andata come ci aspettavamo. Ci facciamo raccontare gli ultimi anni di Simon da quello che è stato il suo diesse, Vittorio Algeri, le fragilità di quello che è un talento mai completamente esploso.

Buongiorno Vittorio, vorremmo capire cosa può lasciare nella testa di un corridore quel che è successo nel 2018 al Giro.

Partiamo dal presupposto che la condizione era strepitosa, Simon aveva una gamba impressionante. Stava vivendo una situazione stimolante e si è fatto prendere dall’emozione, arrivando a spremersi troppo nelle prime due settimane. Il contraccolpo psicologico è stato forte, per lui il Giro è diventata poi un’ossessione ed ha voluto riprovarci negli anni successivi.

Lo stesso anno si ripresentò alla Vuelta, vincendola in maniera netta. Nel 2019 non diede seguito ai risultati ottenuti, come mai?

La Vuelta del 2018 fu la sua rivincita, fece capire di non essere un fuoco di paglia. Il problema fu che arrivò stanco a fine stagione ed ebbe poco tempo per recuperare. A gennaio iniziò subito la preparazione per il Giro e arrivò prima della Corsa Rosa già scarico. Lì sbagliò la squadra, dovevamo ragionare di più, prendere tempo e preparare il Giro in maniera diversa.

Sul podio del Giro 2021: puntava a vincere, ha avuto grandi giorni come ad Alpe di Mera e crolli inattesi
Sul podio del Giro 2021: puntava a vincere, ha avuto grandi giorni come ad Alpe di Mera e crolli inattesi
Invece nel 2020?

L’anno scorso prese il Covid, probabilmente sull’aereo che lo ha portato a Palermo. Alla seconda tappa già avevamo segnali di malessere ed infatti all’ottava risultò positivo al tampone. Il Covid interruppe la sua stagione, che di conseguenza finì lì. 

Quest’anno al Tour of the Alps ha dato segnali incoraggianti, anche se poi non è riuscito ad esprimersi a quei livelli al Giro

In questo Giro d’Italia ha sofferto tanto il freddo, eravamo partiti con l’idea di nasconderci nelle prime settimane ed uscire nei momenti cruciali. Una delle tappe evidenziate sul calendario era quella di Cortina, dove però il meteo ha penalizzato tanto Simon, che soffre troppo il freddo. Anche a Sega di Ala e Alpe Motta speravamo in prestazioni più convincenti, credevamo di riuscire a recuperare più margine.

Simon Yates ed Egan Bernal sullo Zoncolan: il britannico per un giorno fa tremare la maglia rosa
Simon Yates ed Egan Bernal sullo Zoncolan: il britannico per un giorno fa tremare la maglia rosa
Con un clima migliore, Simon avrebbe preso più condizione, migliorando giorno dopo giorno?

Sì, non è matematico ma l’obiettivo era quello, arrivare al top nella settimana decisiva.

Ma visto che soffre così tanto il freddo non sarebbe meglio puntare su corse calde come Tour o Vuelta? Non è che questa ossessione del Giro lo abbia penalizzato troppo?

E’ una considerazione giusta, non gli ha fatto bene quell’esperienza (Giro 2018, ndr) e avrebbe voluto mettersela alle spalle con un trionfo. Forse invece di insistere così, sarebbe stato meglio cambiare corsa, così da prendere più sicurezza dei propri mezzi

Al Giro del 2018 iniziò a calare nella terza settimana, sul Finestre il blackout
Al Giro del 2018 iniziò a calare nella terza settimana, sul Finestre il blackout
Da quel che ci racconta sembra che il momento cruciale per Simon sia stato il Giro 2019, quando c’era uno spazio per inserirsi tra i campioni degli anni precedenti e quelli di ora.

Sì, senza dubbio, non era minimamente pensabile che il livello si alzasse in così poco tempo. Tuttavia, quell’anno per Simon sarebbe dovuto essere quello dell’incoronazione, ma così non è stato.

La divisione da Adam gli ha fatto bene oppure no?

Simon e Adam sono molto diversi, ma si stimolavano molto in allenamento ed in gara, avevano uno spirito competitivo che li portava a migliorarsi a vicenda. Senza il fratello Simon si è sicuramente trovato più peso sulle spalle, dovuto anche al fatto che alcuni corridori, come Hamilton e Chaves, non hanno reso come ci si aspettava. 

Adam e Simon alla Vuelta del 2018 corsa insieme. Da quest’anno Adam è alla Ineos Grenadiers
Adam e Simon alla Vuelta del 2018 corsa insieme. Da quest’anno Adam è alla Ineos Grenadiers
Per concludere, quali saranno i prossimi appuntamenti per Simon, ha delle corse nel mirino?

Ora è a Burgos (nella prima tappa, corsa ieri, Yates è arrivato 19° con un ritardo di 13” dal vincitore di giornata Planckaert), si sta preparando per il mondiale e per il campionato europeo. Al momento è difficile dire quali saranno gli altri obiettivi, la Vuelta è fuori discussione, dato che ha fatto Giro e Tour.

Vision Metron TFE, così Caruso ha imparato a infilarsi nel vento

16.06.2021
4 min
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Era emerso durante l’intervista fatta subito dopo il Giro con Ronny Baron, meccanico del Team Bahrain
Victorious. Ci aveva raccontato infatti che Caruso, secondo al Giro d’Italia, si era dedicato molto anche al
lavoro sulla bici da crono. Al punto che Vision aveva realizzato per lui un manubrio su misura dopo un
lavoro di scansione in 3D. Per saperne di più, siamo andati dunque proprio alla fonte, per conoscere la
storia del manubrio Vision realizzato completamente su misura. Vision Metron TFE, ossia le estensioni da crono utilizzate dal team, sono state studiate nei minimi dettagli per ottimizzare il più possibile in questo caso le prestazioni di Caruso.

«Il lavoro inizia in galleria del vento – ci racconta Francesco Ragazzini, l’ingegnere che ha seguito lo sviluppo del manubrio di Caruso – il corridore sottoposto al test viene analizzato nei minimi dettagli. Prendiamo in considerazione aspetti tecnici come il flusso d’aria e cerchiamo di capire come si può massimizzare l’aerodinamica per rendere il prodotto più efficiente».

Visione frontale del manubrio Vision Metron TFA su cui sono montate le estensioni TFE
Visione frontale del manubrio Vision Metron TFA su cui sono montate le estensioni TFE

Manubrio ergonomico

Realizzato in carbonio, il nuovo Metron TFE è un appoggio ergonomico, ovvero riprende la forma del braccio, per apportare dei benefici durante lo sforzo.

«Il nostro obiettivo è risparmiare watt – riprende Ragazzini – e questo non avviene solo con la riduzione di peso, bensì ci sono alcuni aspetti da considerare che fanno la differenza. Se pensiamo a migliorare la rigidità di un manubrio e anche la sua aerodinamica anziché ridurre soltanto il peso, otterremo dei vantaggi maggiori in termini di prestazione. Questo significa che eliminiamo completamente la possibilità che si creino vortici d’aria potenzialmente dannosi ai fini aerodinamici».

Caruso impegnato nella crono finale del Giro d’Italia, chiusa in 17ª posizione a 1’23” da Ganna
Caruso impegnato nella crono finale del Giro d’Italia, chiusa in 17ª posizione a 1’23” da Ganna

In galleria del vento

Osservando le foto di Damiano Caruso ci rendiamo conto che il manubrio è monoscocca, inoltre ci sono dei centimetri importanti che separano in altezza le appendici dal manubrio.

«Innanzitutto – riprende l’ingegner Ragazzini – bisogna calcolare il coefficiente di penetrazione aerodinamica per poter apportare delle modifiche soddisfacenti. Questo è un dato misurabile solo in galleria del vento. Seconda cosa, il corridore deve trovare la posizione per cui l’aria gli scivoli addosso senza opporre un’eccessiva resistenza, nella maggior parte dei casi dovuta soprattutto a una biomeccanica errata. Con una posizione corretta delle braccia riesci a guadagnare circa 7 secondi su 40 km di gara – continua – ecco spiegati i centimetri che separano il manubrio dalle protesi. Ovviamente da questa geometria trarrà beneficio anche la respirazione. Inoltre è stato inserito materiale grippante nel punto esatto in cui poggiano i gomiti, per aiutare il corridore a rimanere ben posizionato».

Posizione aerodinamica

La posizione di Caruso è aerodinamica e performante. Frutto di un lavoro intenso calcolato in millimetri per ottenere il massimo vantaggio possibile. Abbiamo notato che i gomiti tendono a essere leggermente più bassi rispetto al polso, riprendendo totalmente la forma delle protesi che è leggermente inclinata.

Le estensioni ergonomiche Metron TFE, che per Caruso sono state personalizzate con una scansione 3D
Le estensioni ergonomiche Metron TFE, che per Caruso sono state personalizzate con una scansione 3D

«Non è un caso – conclude Ragazzini – così facendo miglioriamo non solo la spinta, ma abbassiamo anche le spalle. Questo fa sì che il corridore sia più raccolto e comodo sulla bici. Studiamo ogni singolo movimento nel minimo particolare, non lasciamo veramente nulla al caso. Questa è la nostra forza».

Catalogo Vision

Ricordiamo che le estensioni Metron TFE fanno parte del catalogo Vision e si possono accoppiare al manubrio TFA o al Trimax Carbon SI 013 ugualmente di Vision. E’ inoltra abbinabile alla Specialized Shiv MY19+ ricorrendo però a un adattatore (disponibile separatamente). La versione in commercio è realizzata ugualmente in carbonio: la sua lunghezza è di 265 millimetri nella misura Small, sale a 285 nella Medium e arriva a 305 per la Large (nel cui caso il peso è di 360 grammi), con un design elegante e innovativo.

Il Giro di Vlasov tra alti e bassi: il punto con Martinelli

15.06.2021
5 min
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Siamo nel pieno della stagione, ma il Giro d’Italia propone ancora qualcosa, o qualcuno, su cui riflettere. Anche in chiave futura. E un discorso lasciato in sospeso risponde al nome di Aleksandr Vlasov, il russo dell’Astana-Premiertech che ha conquistato la “medaglia di legno” a Milano.

Ne parliamo con il suo mentore, diesse e forse papà ciclistico: Giuseppe Martinelli che lo dirige ormai da tre stagioni.

Giuseppe Martinelli (classe 1955) è il diesse dell’Astana-PremierTech
Giuseppe Martinelli (classe 1955) è il diesse dell’Astana-PremierTech
“Martino” buondì: Vlasov. Che ragazzo troviamo al termine di questo Giro rispetto a quello che avevamo lasciato anzitempo l’anno scorso ad Agrigento?

L’anno scorso fu particolare per tutti. Il Giro in autunno è stata una difficoltà. Alex aveva una buona condizione: era uscito molto bene dal Lombardia e aveva vinto il Giro dell’Emilia. Era stato portato al Giro per essere la spalla di Fuglsang e imparare qualcosa per se stesso pensando a quest’anno. Poi le cose sono andate male già prima del via.

Prima del via…

Sì, la verità è che lui stava male già prima del prologo. Problemi intestinali, mal di testa… Sapete tutti che io mi sono anche arrabbiato con lui del suo ritiro, ma come ho già detto in passato, bisognava anche contestualizzare il periodo. Eravamo in pieno Covid. C’era paura che potesse creare danni al resto della squadra. Quest’anno invece aveva iniziato bene con il secondo posto alla Parigi-Nizza ed era arrivato al Giro con una condizione più “importante” grazie al terzo posto al Tour of the Alps. Ero ed era convinto di poter fare bene. Era una scommessa e quel che ha fatto è stato tanto.

Vlasov, lo ricordiamo ha chiuso il Giro al quarto posto…

Non nego che ho accarezzato più di qualche volta la speranza di salire sul podio, però sono anche conscio di aver fatto tutto il possibile.

Aleksandr Vlasov con Bernal nella tappa di Montalcino
Aleksandr Vlasov con Bernal nella tappa di Montalcino
Quando hai avuto questa speranza del podio?

Dopo Montalcino. Vlasov è uscito bene dagli sterrati e iniziavano le tappe più adatte a lui. Se guardo chi ha vinto, Bernal, era il più forte. Caruso e Yates anche sono stati forti. Per certi aspetti il quarto posto mi stretto, ma questa è stata anche la realtà dei fatti. Se proprio è mancato qualcosa è stata la vittoria di tappa.

Più di qualche volta voi avete tirato per ottenerla…

Soprattutto nel giorno dello Zoncolan. L’anno scorso alla Vuelta, Aleksandr è arrivato secondo sull’Angliru e pensavamo che su salite con quelle pendenze fosse competitivo. Non ci siamo riusciti, ma non abbiamo nulla da recriminare. Abbiamo provato a fare la corsa e lui meritava di provarci.

Se tornassi indietro quindi non cambieresti nulla?

No, nulla. Non dico che non abbiamo sbagliato niente, ma alla fine c’è chi è andato più forte. Noi siamo arrivati quarti e per di più con una squadra di primo pelo. Battistella, Tejada e Pronskiy erano al primo grande Giro. Sobrero ne ha fatto uno ma è comunque giovanissimo. Poi gli esperti, Felline, Boaro, Gorka Izaguirre e Sanchez sono stati bravissimi. Ma tutti, e dico tutti, hanno svolto un lavoro eccezionale.

Il Giro di Vlasov ha vissuto di alti e bassi
Il Giro di Vlasov ha vissuto di alti e bassi
A proposito di giovani, che fine ha fatto Andrea Piccolo?

Ha avuto dei problemi di salute che lo hanno tenuto lontano dalle gare. Adesso sta finendo di risolverli e presto lo vedremo in corsa.

Torniamo a Vlasov: da lui invece ti aspettavi qualcosa di più?

Faccio fatica a dirlo. Ha avuto degli alti e bassi, ma non è crollato. Anche nel giorno per lui più duro, quello del Giau, ha avuto una scusante incredibile: gli è finita la mantellina nella ruota posteriore. Si è dovuto fermare. Analizzando i dati Gpx alla sera abbiamo visto che ha perso 40”. E perdere quel tempo ai piedi del Giau in pratica lo ha fatto inseguire per tutta la salita. Uno sforzo esagerato nel pieno della bagarre.

Il russo come ne esce?

Sa di essere forte e che davanti a sé ha un bel futuro. Credo che adesso sappia di poter competere con i migliori. Semmai bisognerà vedere se resterà con noi, visto che è in scadenza di contratto. Alcune voci lo danno in uscita. Anche se lui volesse rimanere e noi vorremmo tenerlo, ci sono squadre che hanno potenzialità economiche maggiori delle nostre.

Il russo ha finito la corsa rosa in crescendo con un’ottima crono (settimo)
Il russo ha finito la corsa rosa in crescendo con un’ottima crono (settimo)
E tu Martino sei soddisfatto del suo Giro?

Abbastanza. Anche nella crono finale è andato molto forte. Ma ripeto, con tutto quello che è successo, per come è andata la corsa, quello è il suo posto. I valori in campo erano quelli. Mi sono rivisto le classifiche a fine Giro. Se Alex fosse crollato sarebbe arrivato ottavo, così come coloro che erano dal quinto al settimo posto potevano arrivare quarti. Nessuno poteva togliere dal podio quei tre. Bernal, anche se ha avuto dei momenti difficili, aveva un super squadra. Caruso è stato regolare. Yates ha vinto una tappa e comunque ha sempre combattuto. E anzi, Martinez se non avesse fatto il gregario puro di Bernal sarebbe potuto finire sul podio.

Hai ricordato dello Zoncolan e del lavoro fatto dalla tua Astana: la sera Vlasov era abbacchiato? Si è “scusato” con i compagni per il tanto lavoro fatto e il bottino scarso raccolto?

Più che abbattuto era certo di aver dato il massimo. Ma io sono abituato a lavorare molto, a prendere in mano la corsa, e a non raccogliere altrettanto. Se poi il risultato viene siamo tutti più contenti, è chiaro. La sera mi ha detto: cavoli, andava tutto bene fino a 5 chilometri dall’arrivo, poi quando hanno accelerato ero vuoto. Cosa volete che vi dica, magari ha pagato il fatto di stare tutto il giorno davanti, di avere la pressione addosso… ma non è né il primo, né l’ultimo a cui è successo tutto ciò.

Beh, si cresce anche con questi passaggi, no?

E’ quello che gli ho detto io. Non devi pensare sarebbe stato meglio fare “così o cosà”. Fai la tua corsa e poi puoi raccogliere, 50, 80 o 100.

Sidi Sixty, gli scarpini preferiti di Bernal (e i loro segreti)

11.06.2021
3 min
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Egan Bernal ha vinto il Giro d’Italia indossando i Sidi Sixty del brand veneto Sidi. Questi scarpini hanno contribuito a sostenere la maglia rosa in termini di comfort e performance, affrontando qualsiasi situazione meteorologica e donando il proprio sostegno nei momenti più impegnativi.

«Tra Bernal e gli scarpini Sixty – spiega Giulia Collavo, Marketing & Communication manager di Sidi – è stato amore a prima vista, tanto è vero che non ha più voluto staccarsene. Non ama cambiare scarpe. Durante il Giro ha avuto sempre ottime sensazioni, e un sostegno ideale per quanto riguarda il comfort. La sua scelta è maturata anche in base all’esperienza con Sidi. Un rapporto di fiducia reciproca che apporta beneficio a entrambi».

Sidi Sixty con tomaia micro forata nella zona laterale
Sidi Sixty con tomaia micro forata nella zona laterale

Un solo rotore

Per aver conquistato a tal punto il giovane campione colombiano, i Sidi Sixty devono avere sicuramente delle doti speciali. Osservandoli bene si nota immediatamente la prima particolarità, ovvero quella di avere un solo rotore posto nella parte frontale, sopra la linguetta e uno strappo spostato invece verso la punta.

«La scelta di utilizzare un solo rotore – riprende Collavo – il Tecno 4 Push System in questo caso, è dovuta a una prerogativa dei Sixty, la leggerezza. Grazie a questo sistema di chiusura si ottiene la massima resa e una notevole riduzione di peso. Inoltre devo dire che anche la pressione che esercita sul piede è veramente equilibrata. Ecco perché i nostri scarpini sono vincenti. Abbinano molte qualità importanti al servizio della performance. Sono un prodotto di eccellente qualità, per il quale possiamo davvero ritenerci soddisfatti».

Meteo incerto

Come avrete sicuramente visto, il Giro d’Italia di quest’anno è stato spesso colto da improvvise piogge, in partenza o durante la corsa. Questo è uno degli aspetti più importanti che uno scarpino deve riuscire a sostenere.

«I nostri scarpini – continua Giulia Collavo – reagiscono bene agli sbalzi improvvisi di temperatura. Sono realizzati con materiali di altissima qualità. La tomaia è in microfibra e rete, mentre la suola Vent è in carbonio e offre una trasmissione di potenza veramente efficace. Inoltre è dotata anche di prese alcune prese d’aria che contribuiscono a mantenere fresco il piede».

Ecco le Sidi Sixty in versione Giro d’Italia
Ecco le Sidi Sixty in versione Giro d’Italia

Versione Rosa

Il design degli scarpini Sixty è decisamente elegante. Nella parte laterale troviamo dei microfori che hanno lo scopo di ossigenare il piede, soprattutto nelle stagioni calde. Per rendere lo scarpino ancora più comodo invece, Sidi ha optato per il tallone integrato, che dona ai Sixty una maggiore stabilità e un effetto antiscivolo per la parte posteriore del piede. Mentre per mantenere la suola in carbonio intatta troviamo il tacco antiscivolo sostituibile.

«Ovviamente – conclude Collavo – abbiamo rifornito Bernal di una versione speciale dei Sidi Sixty, colorati di rosa, come ricordo di questa speciale vittoria».

sidi.com