Il successo è una tavola imbandita al termine di una grande fatica. Non tutti sono in grado di gestirsi e di gestirlo. E quando se ne fa indigestione, cambia tutto. Il modo di rapportarsi alla vita. Il piacere e la capacità di affrontare i sacrifici. La stessa capacità di riconoscersi in quello che si fa. Le parole di Bernal dopo la vittoria del Giro, su come il successo abbia cambiato la sua vita dopo il Tour, ci hanno dato parecchio da pensare e ci hanno spinto a chiedere lumi a Manuella Crini, psicologa che ci ha accompagnato già lungo altre strade. Con lei infatti abbiamo affrontato il discorso dei disordini alimentari e nel chiamarla ci siamo chiesti se fra i due aspetti ci siano punti di contatto.
«Ho letto le parole di Bernal – dice – e mi ha dato la sensazione che ora sappia esattamente dove si trova e non voglia abbuffarsi, perché questa cosa l’ha già vissuta e gli è costata qualche dolore. Mi viene da pensare che ora ci sia una parte razionale che lo spinga a godersi il successo piano piano, perché da qualche parte in passato c’è stato il momento in cui hai visto sfumare tutto».
Parla anche di difficoltà nel trovare gli stimoli.
E’ la stanchezza che ti investe quando hai raggiunto l’obiettivo e l’adrenalina scende. Però c’è una cosa strana…
Quale?
E’ comprensibile che si arrivi stanchi alla fine di una conquista. Non è giustificabile o non comprensibile appieno il suo quasi voler mollare. Non dice: ho vinto e voglio festeggiare. Dice che la felicità, la fonte di entusiasmo sta nel ritirarsi fra le mucche, i cani e la famiglia.
In realtà fa pensare che il successo raggiunto da giovane abbia un peso psicologico devastante.
Esatto, come i cantanti che arrivano presto al successo e magari portano con sé qualche problematica di base. E quando non si sentono più all’altezza, finiscono nelle dipendenze e, in certi casi, nel suicidio. Per questo sembra che voglia starne alla larga.
Può dipendere anche dalle tante rinunce fatte per arrivare?
Altro aspetto importante. Probabilmente c’entrano le rinunce, ma anche il fatto di seguire una strada in cui hai visto altri cadere. Quanti sono i ciclisti che iniziano e che arrivano al vertice?
Sua madre racconta che quando era piccolo e la famiglia non nuotava nell’oro, Egan la rassicurava che ce l’avrebbero fatta…
Prometti a tua madre con la paura di non poter mantenere, oppure perché hai l’entusiasmo del ragazzo e hai individuato nello sport l’unica strada per spazzare via ogni problema. Può darsi che quando arriva l’agiatezza, cali la spinta. «Sarò più in grado di essere quel Bernal?».
Non sempre il fatto di sfondare perché si viene dalla povertà è un luogo comune…
Il caso di Bernal non si può affiancare al vissuto di un ragazzo europeo. L’adolescenza è un fattore molto psicologico, in Italia ormai se ne esce fra i 25 e i 30 anni. Lui è giovane sulla carta di identità, ma si può definire tranquillamente un adulto.
La Colombia come l’Italia del dopoguerra…
Egan viene da un mondo diverso. I nostri ragazzi alla sua età li vedi ancora bambini, fanno quasi tenerezza. Lui viene da un contesto sociale simile a quello dei nostri nonni, che a 20 anni avevano già dei figli. Mio nonno a 20 anni era in Veneto a combattere contro i fascisti. Da noi oggi invece non si riesce a fare vere rinunce, perché non si ha proprio il senso della necessità di guadagnare.
C’è un’assonanza con l’aspetto alimentare?
In qualche modo sono le stesse dinamiche. Se mangi tutto in grande quantità e ti fa male, la volta successiva hai paura anche solo di sederti a tavola, perché ricordi la brutta sensazione.