Se arrivi a metà aprile e nelle gambe non hai neanche un chilometro di gara, qualche preoccupazione sotto sotto la provi se non sei più che avvezzo al ciclismo che conta. Vincenzo Albanese si è presentato al via del Giro di Sicilia con una marea di dubbi, eppure, parlandoci nelle ore di immediata vigilia della partenza, si percepiva nel suo tono di voce non la paura, ma la voglia di spaccare tutto. Alla fine la tappa iniziale, da Marsala ad Agrigento ha prodotto un secondo posto che è figlio proprio di quella grande carica. Un podio che riannoda il filo con la passata stagione.
Vincenzo aveva una straordinaria voglia di salire in sella e vedere la bandierina dello start abbassarsi, proprio per mettere fine a un’astinenza troppo lunga.
«Cinque mesi senza gare – afferma il toscano dalle origini salernitane – sono davvero tanti. Tutto è nato il 20 gennaio, quando sono caduto in allenamento, da lì è scaturita una serie di problemi. Innanzitutto un’infiammazione ai testicoli, poi a un ginocchio, senza dimenticare che mi ero tagliato il viso e hanno dovuto mettere dei punti. Sono stato fermo 2 settimane, quando poi ho ripreso la bici, è tornata l’infiammazione al ginocchio… Stavo perdendo la pazienza».
Tutto colpa della caduta? L’infiammazione ai testicoli ti ha costretto a un cambio di posizione in sella?
Per fortuna no, non ho dovuto cambiare misure, anche perché la causa non era la posizione. Ho dovuto ricominciare con calma, vedendo intanto che i compagni passavano da una gara all’altra, ma tutto questo non ha fatto altro che darmi una carica ulteriore.
In che condizioni sei?
Potrà sembrare strano, ma mi sento davvero bene, come raramente è capitato. La preparazione poi è andata senza intoppi, ho fatto due proficue settimane di altura. Sono arrivato in Sicilia con sensazioni ottime che la strada ha subito confermato. Certamente non correre per tanto tempo pesa, non posso negarlo, serve l’abitudine, ma gli obiettivi principali della stagione sono ancora lontani.
Facciamo un passo indietro, che ne dici del tuo 2022?
E’ stato un anno molto buono, non solo per la vittoria in Francia al Tour du Limousin (foto di apertura), ma perché ho mantenuto una buona condizione per oltre 7 mesi e non è da tutti. In 72 giorni di gara sono finito nella top 10 in 33 occasioni, significa andare davvero forte considerando il livello medio. Purtroppo alcuni imprevisti hanno un po’ ostacolato l’andamento dell’annata, ho saltato alcune gare importanti altrimenti si poteva essere anche più felici. Oltretutto non ho fatto a tempo a finire il Giro di Croazia a inizio ottobre che mi sono preso il Covid, finendo anche prima del previsto.
Spesso nel ciclismo si guardano solo le vittorie, ma essere così tante volte nei quartieri alti della classifica ha un significato…
Eccome, intanto perché al team Eolo-Kometa serve, considerando che sono punti per il ranking. Poi perché, come dicevo, essere in prima fila per tanto tempo è difficile, questo ciclismo non ti regala niente. Noi ci dobbiamo accontentare, non siamo fenomeni, di quelli ce ne sono abbastanza…
A questo proposito, in base alle tue esperienze in corsa e a quello che hai visto in questo avvio di stagione, è vero che nel gruppo si respira ormai un complesso d’inferiorità nei confronti dei vari Pogacar, Van Der Poel, Van Aert e compagnia?
Sì, è la realtà perché quando sei in corsa ti accorgi che la differenza è netta. Non dipende solo dall’enorme talento di quei 5-6 corridori che dominano la scena, sono anche le squadre che grazie a loro prendono un po’ il sopravvento, così vedi che nel gruppo ci sono 2-3 team che dominano. So però che non sarà così per sempre, dopo qualche anno i rapporti di forza cambiano di nuovo ed emergono altre squadre. Ma il fatto che negli ordini di arrivo davanti ci sono sempre gli stessi alla fine fa capire che sono di un’altra categoria.
Al prossimo Giro d’Italia vedi anche tu Roglic e Evenepoel unici candidati alla maglia rosa?
Non si può mai dire con certezza, in tre settimane incidono tanti fattori, ma sicuramente partono in pole position, non solo loro ma i loro team di supporto. Sono di un altro pianeta, poi avranno anche bisogno di fortuna.
Tu al Giro che cosa vuoi fare?
L’imperativo è fare bene, come lo scorso anno, ma magari raccogliendo qualcosa in più in termini di tappe. Per me centrarne almeno una è primario. Dopo il Sicilia andrò alla Vuelta a Asturias e poi dritto verso la corsa rosa, senza altra altura, solo preparazione per aumentare la “fame” di corse e di successi.
Dopo il secondo posto di Agrigento sei pronto a riprovarci?
Certamente, l’arrivo di Termini Imerese è ideale per le mie caratteristiche ma anche nella tappa finale di Giarre, anche se l’altimetria è severa, penso di provarci. Non lo nascondo, farei volentieri a cambio di tanti piazzamenti con almeno una vittoria in più dello scorso anno, soprattutto se di buono spessore.