Simoni e Zoltan: punti d’unione tra Italia e Ungheria

04.03.2024
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BERGAMO – L’avventura della MBH Bank-Colpack-Ballan è iniziata con le prime gare della stagione. I ragazzi di Bevilacqua si sono fatti vedere e messi in mostra, il progetto che lancerà la professional dal 2025 è appena avviato. Tra le figure entrate in squadra ci saranno anche quelle di Gilberto Simoni e Bebtó Zoltan, i due sono stati il ponte che ha unito il nuovo sponsor ungherese con la continental bergamasca.

Simoni e Zoltan al centro della foto insieme ai ragazzi della MBH Bank-Colpack-Ballan
Simoni e Zoltan al centro della foto insieme ai ragazzi della MBH Bank-Colpack-Ballan

Unione di intenti

Tra Italia e Ungheria si è così creata quella che si può definire un’unione di intenti. La voglia di MBH Bank di sponsorizzare e far crescere il ciclismo era molta, ma serviva uscire dall’Ungheria e appoggiarsi ad una struttura solida e organizzata. La scelta è ricaduta, quasi automaticamente sulla Colpack Ballan.

«Io e Simoni – dice Zoltan – siamo amici da molto tempo. Ho questo rapporto molto stretto anche con i membri della MBH Bank. Loro già sponsorizzano un team di ciclismo in Ungheria, solo che lì non ci sono staff come quelli italiani e squadre con questa organizzazione. Parlavamo di come migliorare il ciclismo nel nostro Paese, ma è difficile, mancano tante cose. Non ci sono squadre, staff, corse, corridori… Ci è venuto in mente di uscire dal Paese, così abbiamo guardato alla Colpack. Ho parlato con Antonio (Bevilacqua, ndr) e ci siamo trovati fin da subito. Il modo di programmare, la decisione che hanno, la struttura. A quel punto serviva solo il tempo per decidere le cose e farle bene. Abbiamo cinque anni per fare un grande processo di crescita».

Simoni alla partenza della Coppa San Geo 2024, la prima gara alla guida della formazione ungherese
Simoni alla Coppa San Geo 2024, la prima gara alla guida della formazione ungherese

La passione comune

La parola che più si è sentita, nelle volte in cui abbiamo avuto modo di parlare con i diretti interessati al progetto, è stata “passione”. Questo è il sentimento che deve guidare la nuova partnership, perché serve avere il coraggio di investire, ma prima di tutto lo sport è davvero tanta passione

«Sono rimasto coinvolto – dice Simoni – perché lo sponsor ungherese (MBH Bank, ndr) cercava un team italiano. L’amicizia che mi unisce con “Zoli” (Zoltan, ndr) già legata al ciclismo e alla passione a 360 gradi per la bici è stata il canale di comunicazione migliore. Mi hanno incanalato in questa unione tra Ungheria e Italia, perché la MBH Bank viene nel nostro Paese per esportare la nostra tradizione. Il ciclismo in Ungheria è piccolo ma bello, appassionato, puro e ora vuole crescere.

«Il motivo per cui si è coinvolta la Colpack – continua – è la storia, perché 30 anni di sponsorizzazione insieme a Colleoni vogliono dire passione. Credo che l’unico modo per continuare ad avere sponsor solidi è riuscire a trasmettere il bello di questo sport. I risultati non devono arrivare solamente dai ragazzi, ma passano anche dal vedere le proprie aziende avere dei risultati economici e di immagine. E’ sempre passione, ma con interesse, che è quello che muove il professionismo e il mondo dell’economia».

La MBH Bank diventerà un team professional dal 2025 (foto NB Srl)
La MBH Bank diventerà un team professional dal 2025 (foto NB Srl)

I giovani

La voglia di crescere si è vista fin da subito, i ragazzi sono stati coinvolti e resi partecipi. Non sono mancati già i primi innesti dall’Ungheria, come il campione nazionale under 23 in carica. Ma, il progetto parte anche da più lontano, la durata di cinque anni impone una profondità di pensiero maggiore. 

«Io voglio occuparmi dei giovani – spiega Simoni – in Italia li abbiamo, mentre in Ungheria sono da scoprire. Loro vogliono far crescere il ciclismo giovanile e sarebbe bello trovare qualche ragazzo valido. L’Ungheria vuole imparare il modello italiano e perché no, anche migliorarlo. Cosa che fa bene anche a noi, di riflesso

«Ci saranno dei ragazzi ungheresi – conclude il discorso – juniores e allievi, che verranno a fare delle corse in Italia. Già si sta allargando il progetto, la voglia è quella di fare un salto in su, tra le professional, senza abbandonare i ragazzi. Farli crescere in casa, sì, ma penso che ci sia bisogno della competizione, quindi cercheremo anche dei ragazzi da fuori. La spinta per migliorare deve riguardare tutti quanti».

Simoni, anno 2000: l’unico italiano ad aver domato l’Angliru

17.08.2023
6 min
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Ci sono lingue di asfalto in alcuni angoli del mondo in grado di emozionare migliaia appassionati ogni volta che vengono scalate. Una di queste è l’Angliru. Gilberto Simoni vinse in maglia Lampre nel 2000, quando aveva 29 anni e in bacheca ancora nessun Giro d’Italia. Su quella salita ha lottato con la gravità, rischiando di mettere il piede a terra su pendenze che mettono paura a qualsiasi generazione di ciclisti. 12,4 chilometri con una pendenza media del 9,8% con punte al 24%

Il 13 settembre 2023 è uno di quei giorni da segnare sul calendario. Perché la Vuelta in occasione della 17ª tappa arriverà sull’Alto de Angliru. Una punta di sadismo accompagnerà ogni appassionato alla visione di quella frazione che porterà allo stremo ogni atleta partito quel giorno. Facciamo un balzo indietro di 23 anni per salire in sella con Simoni su quelle pendenze e capire come si affronta e cosa si prova su una delle salite più temute al mondo. 

L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
Cosa ricordi di quella giornata, emozioni e sensazioni?

Non avevo mai vinto tappe alla Vuelta. Quella dell’Angliru si può dire che mi abbia aiutato a cambiare marcia perché l’anno dopo sono riuscito a vincere il Giro d’Italia. Insomma, ho iniziato a credere ancora di più in me stesso. Quel giorno lì sono riuscito ad anticipare un po’ la corsa perché sapevo che era impossibile battere quelli della Kelme-Costa Blanca, con tutto quello che c’era di dubbioso in quegli anni. Infilatomi nella fuga, gestii bene la gara. Non avevo altre chance, così andai via solo dalla fuga.

Che tipo di salita è? 

E’ una salita che ti porta allo stremo e deve essere interpretata in modo corretto. In salite così, non si deve guardare l’avversario. Devi pensare a te stesso e trovare il tuo ritmo su quelle pendenze assurde. Se sbagli una cambiata, rischi di mettere il piede a terra. E’ un’ascesa che non perdona, quando la imbocchi hai subito il cuore in gola. 

Che rapporti montavi?

Non c’erano le compatte. Non avevo la tripla. Avevo un Campagnolo dieci velocità con il 39 davanti e dietro mi ero fatto mettere il 28 e il 29 togliendo i rapporti più duri. Questo perché sapevo che si vinceva con la scelta di quei rapporti. Mi ricordo che quelli della Kelme montavano invece una tripla. 

Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Cosa ricordi di quella salita?

C’è un rettilineo di un chilometro dove non ci sono tornati e ricordo che veramente mi scoppiavano le gambe. Stavo andando su a cinque all’ora e pensai: “Se arrivo ai quattro mi fermo”. Bastava una cambiata sbagliata e finivi per mettere il piede a terra. Con il rischio di non riuscire neanche più a ripartire. 

Per tentare di venirti a prendere Roberto Heras, che vinse quella Vuelta, fece il record della salita. Ad oggi nessuno è riuscito ancora a scendere sotto quei 41’55”.

Quelli della Kelme erano in una condizione impossibile da affrontare. Se si guardano i filmati sembrava una crono a squadre. Se si prendesse come riferimento il pezzo più duro, forse da metà in su magari si potrebbe battere. Gli scalatori di oggi sono veramente forti. Ma il tratto completo per me ha un tempo inarrivabile. 

Nonostante ciò imboccasti la salita con poco meno di sei minuti e riuscisti a conservarne due all’arrivo…

Ero in fuga da tutto il giorno. Arrivai alla salita non così riposato perché tirai parecchio anche prima. 

Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Da scalatore hai anche vissuto un’evoluzione tecnologica in quegli anni. Lì c’era anche una cadenza di pedalata molto più bassa.

Sì, i rapporti ti ci costringevano. Per me e i meccanici montare una tripla sarebbe stata una blasfemia, un colpo all’orgoglio. A distanza di qualche anno mi ricordo che feci lo Zoncolan sia con il 39 che con il 36. Sono due cose diverse, la pedalata, la reazione dei muscoli. Ma al limite ci si arriva in ogni caso. 

E la tua Fondriest di quell’anno che bici era? Con una bici attuale sarebbe cambiato qualcosa?

Era leggerissima, con il meccanico Pengo facemmo un lavoro incredibile. Un telaio tutto mio per le gare in salita. Bici corta e una posizione più avanzata. La grande differenza con oggi è il materiale, la mia era in alluminio. Inguidabile in discesa ,ma in salita non credo che avrei trovato così tante differenze con quelle attuali. Geometrie differenti non avrebbero inciso come invece i rapporti che hanno ora. Io pesavo 60 chili quindi l’alluminio con me riusciva a funzionare molto bene. Il peso della mia Fondriest non lo ricordo di preciso ma era al limite del regolamento. 

Come si respira su una salita così?

Sei sempre a tutta. Anche se a parte quel tratto di un chilometro, ci sono i tornanti che permettono di rilanciare e “riposarti”. Ma è un’apnea continua…

Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
La tappa dell’Angliru come si colloca all’interno di una Vuelta?

Fa paura. Fa male. E’ una salita su cui non si fanno distacchi enormi. Questo perché tutti vanno su sfidando la pendenza senza far scorrere più di tanto la bici. E’ difficile fare attacchi e non fare fuori giri. E’ vero che se si becca la giornata storta ci si può fare male, ma con i rapporti che utilizzano oggi uno in qualche modo si salva. Se uno in crisi si trovasse ad affrontarla con i rapporti che utilizzavamo noi nel 2000 allora sì che sprofonderebbe in classifica.

Chi vedresti come favorito su una salita così? 

Direi che bene o male, tutti gli scalatori, sono favoriti. Corridori come Vingegaard o Roglic possono puntarci, ma anche Evenepoel non lo vedo così sfavorito, abbiamo visto la sua potenza. Sarà una bella sfida, difficile fare un pronostico.

Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Se dovessi dare un consiglio a un corridore che vuole vincere sull’Angliru, cosa gli diresti?

Se vogliono vincere devono fare come ho fatto io nel 2000. Evitare lo scontro diretto con i corridori di classifica e anticipare da lontano, arrivando con un distacco prezioso ai piedi della salita. C’è poco da consigliare, devi spingere quello che hai, quello che ti senti.

Se dovessi fare una classifica della salite più dure, l’Angliru dove la metteresti?

Una delle top. Anche se devo dire che quella che mi ha impressionato di più forse è Punta Veleno. E’ terribile. Però non riesco a fare una classifica. Diciamo che i numeri delle pendenze la fanno da sè. Poi si va sull’esperienza personale. Perché ci sono salite dure come Mortirolo e Zoncolan che puoi affrontare in situazioni differenti e dire che sono più o meno dure. E’ una cosa molto personale il giudizio. Lo stesso Angliru mi ricordo che nel 2003 l’ho rifatto con Casagrande ed ero in lotta per la classifica e mi fece molto più male rispetto al 2000. 

Giro 2003, rileggiamo il romanzo con Garzelli

30.04.2023
6 min
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Rivivere a distanza di vent’anni quel che successe al Giro d’Italia del 2003 ha un che di romantico. E’ come un bel romanzo che si dipana capitolo dopo capitolo fino a svelare solamente alla fine il suo epilogo, incerto fino alla conclusione. Fu una bella edizione, quella, con protagonisti di primissimo piano e il fatto che fossero pressoché tutti italiani dà al tutto un pizzico di malinconia.

Uno di quei protagonisti al Giro c’è ancora, ma in altra veste. Stefano Garzelli, colonna della Rai, viene da giorni intensi, dopo aver fatto la spola fra il Belgio per seguire le classiche e le ricognizioni per le varie tappe della corsa rosa. Ripensare a quell’esperienza così lontana nel tempo, pietra miliare della sua giovinezza prima ancora che della sua carriera, riaccende antiche emozioni e lo allontana dalle frenesie quotidiane.

«E’ vero, ripensandoci è come un romanzo – afferma il varesino – ed è normale che viva i ricordi con un po’ di nostalgia perché fu un’edizione piena di significati, molti anche acquisiti dopo, ripensandoci perché fu l’ultima edizione con al via Marco Pantani».

Pantani e Garzelli sulle dure rampe dello Zoncolan. La gente è in visibilio…
Pantani e Garzelli sulle dure rampe dello Zoncolan. La gente è in visibilio…
Di primo acchito qual è l’immagine che ti viene subito in mente?

Se chiudo gli occhi è come se mi vedessi da fuori, mentre salgo sulle rampe dello Zoncolan insieme a Marco. Era la prima volta che si affrontava la dura salita friulana, erano rampe molto dure. Io e Marco affiancati, quelle due “teste smerigliate” sotto il cielo, uno di fianco all’altro, con la gente che ci incitava. Poi quella tappa la vinse Simoni, ma il primo ricordo che mi viene è proprio legato a quest’immagine. La più bella, la più indelebile nella memoria.

Che Giro fu?

Davvero molto bello e lo dico senza averlo vinto. Sulle prime ci rimani male, è logico che sia così, ma a distanza di tanto tempo credo sia stata una bella pagina di sport, tre settimane molto intense che disegnarono un’edizione rimasta nella storia, godibile dalla prima all’ultima tappa proprio come un romanzo, la definizione è esatta.

Prima tappa a Lecce, Petacchi batte Cipollini. Alla fine vincerà 6 tappe, 2 invece per l’iridato
Prima tappa a Lecce, Petacchi batte Cipollini. Alla fine vincerà 6 tappe, 2 invece per l’iridato
Anche tu hai subito citato Marco. Quella fu la sua ultima edizione prima della tragedia di Cesenatico. Che Pantani era quello contro cui ti confrontavi?

E’ stato probabilmente l’ultimo momento di spicco della sua carriera. Partì che non era ancora al massimo, ma trovò la condizione strada facendo e a tratti sembrava tornato quello di un tempo. Diede vita a prestazioni di alto livello, ma non aveva ancora la costanza di prima. In certi momenti però, quando scattava sui pedali era un’emozione vederlo anche per chi come me era in lotta con lui.

Non eravate più in squadra insieme…

No, eravamo avversari, ma questo non influiva sul nostro rapporto. Parlavamo tutti i giorni, in corsa e fuori, ci si incrociava al mattino prima del via. Si vedeva che finalmente era tranquillo e voleva essere competitivo. Aveva ancora la voglia di faticare per tornare il campione che era.

Pantani affranto dopo la caduta di Sampeyre. Eppure quello fu un Giro positivo per il Pirata, alla fine 14°
Pantani affranto dopo la caduta di Sampeyre. Eppure quello fu un Giro positivo per il Pirata, alla fine 14°
La prima settimana fu dedicata prevalentemente alle volate…

Sì, ma ci fu spazio anche per i capitani che puntavano alla classifica. Io mi aggiudicai la terza frazione, quella di Terme Luigiane dove si arrivò con un gruppo ampio, ma non era uno sprint per velocisti. Anticipai la volata e vinsi su Casagrande e Petacchi che conservò la maglia rosa. Io salii al secondo posto a 17” e cominciai a fare un pensierino al simbolo del primato.

Quattro giorni dopo un’altra vittoria, al Terminillo.

Di ben altra pasta, quella fu una giornata durissima, con distacchi enormi. A 5 chilometri dal traguardo eravamo rimasti in 4: io, Simoni, Noè e Tonkov. Si vedeva però che io e Simoni eravamo superiori, lui dava strattonate forti ma io tenevo. Mi affiancavo a lui e lo guardavo, per fargli capire che non mi faceva male. Poi in volata la spuntai e mi presi la maglia, gli altri presero belle botte (Casagrande oltre 2 minuti e mezzo, Pantani un altro in aggiunta, ndr).

L’acuto del Terminillo, il secondo al Giro 2003 valse a Garzelli la conquista della maglia rosa
L’acuto del Terminillo, il secondo al Giro 2003 valse a Garzelli la conquista della maglia rosa
Che cosa successe dopo?

A Faenza, Simoni si prese la maglia per soli 2” nella tappa vinta dal norvegese Arvesen. Sullo Zoncolan il campione trentino era rimasto staccato dopo la mia azione con Pantani, ma si riprese e conquistò altri 34”, ampliando poi il vantaggio nella frazione dell’Alpe di Pampeago, vinta ancora da lui, e nella cronometro di Bolzano. Era però ancora tutto da giocare, fino alla tappa di Chianale.

Quella della grande caduta…

Già, uno dei momenti più duri della mia carriera. Discesa, Simoni è davanti. La giornata è terribile: pioggia, grandine, asfalto che dire scivoloso è poco. Fa talmente freddo che la sensibilità alle mani è quasi nulla. Ma devo recuperare, quindi affronto la discesa del Sampeyre a tutta. Solo che prendo una curva a sinistra troppo forte, le ruote non tengono e volo via. Attaccato a me c’è Pantani e anche lui fa un bel ruzzolone. Siamo messi male, ci rialziamo dopo tempo e finiamo a 7 minuti. Il Giro in pratica finisce lì.

La terribile discesa del Sampeyre, con ghiaccio sulla strada. In 34 finirono fuori tempo massimo
La terribile discesa del Sampeyre, con ghiaccio sulla strada. In 34 finirono fuori tempo massimo
Rimpianti?

A dir la verità no, dovevo provarci. Le cadute fanno parte del ciclismo, anche quelle ne diventano la storia. Mi arrabbiai, tanto. Ma ora riguardo a quei momenti con uno stato d’animo diverso, per certi versi anche romantico.

Ci sono punti in comune tra quel Giro e quello che sta per partire?

Fare paragoni fra gare distanziate di vent’anni è troppo difficile. Il ciclismo è cambiato molto più di quanto dica il tempo, sono due epoche completamente diverse. Potrei dire che anche quel Giro nasceva sotto il marchio della sfida a due fra Simoni e me come effettivamente fu e come dovrebbe essere il prossimo incentrato sul confronto Evenepoel-Roglic. Ma le differenze sono enormi.

Simoni con Garzelli, i due favoriti della vigilia onorarono il pronostico finendo ai primi due posti
Simoni con Garzelli, i due favoriti della vigilia onorarono il pronostico finendo ai primi due posti
Tu hai lavorato alle ricognizioni delle tappe. Da quel punto di vista, come disegno generale, trovi affinità?

Il Giro è diverso ogni anno. Ci sono edizioni più dure ed edizioni meno, anni con salite storiche e anni con nuove ascese. Quest’anno ad esempio tornano le Tre Cime di Lavaredo e il Bondone che non è stato affrontato molto spesso. Quell’anno ci fu il Terminillo e stavolta si sale a Campo Imperatore. Ogni anno si cambia, ogni anno lo spettacolo si rinnova.

E l’atmosfera vissuta è diversa da quella di allora?

Quando la vivi da corridore ha un sapore diverso, sei parte di un grande show. Ora con il lavoro che faccio non riesco a godermi tanto quel che succede intorno, ho troppi pensieri a cui far fronte, ma non nascondo che quando sono all’arrivo, vedo la gente, la carovana che arriva qualcosa alla gola mi prende. E quando guardo la luce negli occhi di chi vince e di chi indossa la maglia rosa, mi accorgo che quella luce è la stessa di allora e di sempre.

Lanfranchi racconta Briancon, il Pirata e i giovani

18.12.2022
5 min
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«Quella tappa del Giro d’Italia (la Saluzzo-Briancon del 2000, ndr) rimane la ciliegina sulla torta della mia carriera, non capita tutti i giorni di lasciarsi alle spalle Pantani e Simoni». A raccontare l’aneddoto è Paolo Lanfranchi, che parlando di quel giorno fa una lieve risata e continua: «Anche la Gazzetta dello Sport titolò “Il coraggioso sbagliato nel giorno sbagliato”. La tappa successiva, la Torino-Milano, fu lo stesso Pantani che venne a congratularsi con me».

Lanfranchi (a sinistra) ha passato tanti anni accanto ai giovani, parlando ed insegnando ciclismo
Lanfranchi (a sinistra) ha passato tanti anni accanto ai giovani, parlando ed insegnando ciclismo

La ciliegina sulla torta

Il cielo sopra Milano, nella tarda mattinata di venerdì, è plumbeo e pesante, carico di pioggia che non si decide a venir giù. Paolo Lanfranchi si trova fermo in coda sulla tangenziale, tra meteo e traffico è facile far scivolare la mente verso ricordi più caldi

«Marco ed io – riprende Lanfranchi – nonostante non avessimo mai corso insieme ci volevamo bene, eravamo amici. Negli anni della Mercatone Uno ha provato a portarmi da lui, parlai anche con Magrini ma non se ne fece nulla. Pantani aveva un unico difetto, era troppo sensibile. Quel giorno, 2 giugno 2000, c’erano in programma Colle dell’Agnello e Izoard. Ebbi la fortuna di entrare in una fuga di trenta corridori che arrivò a guadagnare un bel po’ di minuti. Ci ripresero nella scalata dell’Izoard, lì Tonkov si staccò e io lo aspettai (i due erano compagni di squadra alla Mapei, ndr). Sapevo che nella discesa verso Briancon sarebbe stato fondamentale rientrare il prima possibile e così fu.

«ho rivisto quella gara proprio qualche giorno fa – confessa – e ho rivisto un dettaglio che negli anni avevo quasi dimenticato. Appena rientrati sul gruppetto di Pantani e Simoni, Tonkov mi fece un cenno ed io andai avanti per tirare. Gli altri, invece di seguirmi, mi lasciarono un paio di metri così continuai, la mia fortuna fu che dietro si guardarono e io riuscì a vincere».

La passione per la bici

Una volta smesso di andare in bici, Lanfranchi, ha iniziato a seguire qualche squadra juniores delle sue zone. Lui è di Gazzaniga, in provincia di Bergamo, una terra che dal ciclismo ha preso e dato tanto.

«Ho cominciato grazie ad un amico, all’inizio non ero sicuro di voler prendere un impegno simile, sapevo sarebbe diventato importante. Da qualche anno, a causa del lavoro, non lo faccio più, ma ora che sono vicino all’età pensionabile sto pensando di ritornare. Non ho mai smesso di amare la bici, è la mia vita. Sono entrato anche nel comitato tappe per Bergamo, e quest’anno il Giro arriverà proprio qui da noi. Insomma il mondo della bici mi ha dato tanto e mi piace l’idea di restituire qualcosa».

L’esasperazione per la categoria juniores non permette una maturazione completa (photors.it)
L’esasperazione per la categoria juniores non permette una maturazione completa (photors.it)

I ragazzini

La categoria juniores è da tempo al centro di tante discussioni: l’età media dei corridori professionisti si abbassa e molte squadre vengono qui a cercare i campioni del futuro. 

«Ormai si sta esasperando la categoria – dice con un tono serio Paolo – viene presa alla pari del dilettantismo. A mio modo di vedere il passaggio tra i professionisti di ragazzi così giovani non è corretto, ma questo è il meccanismo, e se non fai così rischi di rimanere escluso. E’ un’età in cui si deve imparare ancora molto, io ho sempre consigliato di fare doppia attività: ciclocross o pista. Però se ti trovi i ragazzi, o meglio i diesse, che sono impuntati sulla strada fai fatica ad emergere perché estremizzano già tutto. Gli anni da junior devono essere quelli dell’apprendimento, i ragazzi devono sbagliare e poter imparare da quell’errore. Io mi sono arrabbiato di più per gare vinte correndo male che per sconfitte arrivate dopo buone prestazioni».

Uno dei punti di forza di Consonni è stata l’umiltà, una caratteristica trasmessa dalla famiglia
Uno dei punti di forza di Consonni è stata l’umiltà, una caratteristica trasmessa dalla famiglia

I Genitori

«Il problema tra gli juniores – racconta – sono anche i genitori, non tutti ovviamente, ma molti non riescono a capire il proprio ruolo. I ragazzi non sono ancora maggiorenni, quindi non hanno la patente e devono essere accompagnati. Avere i genitori così presenti non è sempre un bene, i ragazzini a quell’età hanno bisogno anche di un po’ di indipendenza. Guardate che ci sono anche i genitori dietro i passaggi prematuri tra i professionisti, non sempre, ovvio, ma spesso sì. Molti ragazzi accantonano la scuola per andare in bici, ed i genitori glielo permettono, anzi a volte sono proprio loro a dirglielo. Ci sono anche delle realtà molto belle, nelle quali ho lavorato, dove si è creato un bel gruppo coeso di persone».

Secondo Lanfranchi, Consonni non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità su strada
Secondo Lanfranchi, Consonni non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità su strada

Si parla di Consonni

Nel parlare con Lanfranchi emergono due nomi importanti: quello di Rota e Consonni. I due corridori, entrambi bergamaschi, sono passati sotto il suo occhio vigile proprio quando erano juniores. 

«Il percorso migliore per arrivare professionista lo ha fatto Consonni – ci spiega Lanfranchi – lui aveva quel qualcosa in più, lo vedevi. La sua fortuna è stata di essere davvero un ragazzo umile e con la testa sulle spalle. E’ una caratteristica di famiglia, suo padre non lo ha mai esaltato o montato. Simone quando correva da junior era un leader silenzioso, mai una parola fuori posto. In più nonostante fosse forte non disdegnava di mettersi a disposizione dei compagni, gli volevano bene tutti. E lui era il primo ad essere felice per una vittoria di un compagno. Quando lavori per gli altri loro lo fanno per te, si tratta di dare e avere. A mio modo di vedere, su strada, non ha ancora espresso a pieno il suo potenziale».

Per Rota un passaggio prematuro tra i pro’ stava per frenarne la carriera
Per Rota un passaggio prematuro tra i pro’ stava per frenarne la carriera

Invece Rota…

«Lorenzo – riprende a raccontare – ha rischiato quasi di smettere. E’ passato professionista nel 2016, dopo due stagioni da under: una alla Mg.K Vis ed l’altra alla Trevigiani. Dopo quattro anni difficili era lì lì per smettere e se Scinto non gli avesse dato l’occasione per riscattarsi, avremmo perso un bel corridore. Ora è cresciuto molto ciclisticamente, ma sta ancora imparando. Avrebbe potuto e dovuto farlo prima».

Simoni deciso: «Gli juniores vanno rallentati, non velocizzati»

06.09.2022
4 min
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Gilberto Simoni se ne andava curiosando per il Giro della Lunigiana, con lo sguardo di chi c’è già stato e cerca ricordi negli angoli nascosti. Voleva tornarci, lo diceva da un po’, dopo averlo vinto nel 1989. Un’altra epoca, un altro ciclismo, eppure si lasciò alle spalle Davide Rebellin e Andrea Peron: due che di lì a qualche anno avrebbero fatto la loro grande carriera. Proprio come il trentino, arrivato in queste terre fra la Toscana e la Liguria come accompagnatore della squadra di casa.

Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)
Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)

Italiani e russi

Un altro ciclismo quello di allora. Meno mondializzato, per molti aspetti più facile. A farla da padroni erano i nostri e in alternativa c’erano i russi, tanto che se l’anno prima la vittoria era andata a Beppe Guerini, l’anno dopo il Lunigiana se lo pappò Pavel Tcherkasov e dopo di lui Mizourov, quindi Bruseghin e a seguire Kokorine.

E così, in attesa delle premiazioni nel giorno di Fivizzano, decisivo per la vittoria di Antonio Morgado, abbiamo intercettato il suo sguardo e cercato di capire come sia stato tornare negli stessi luoghi 33 anni dopo.

La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
Vedi differenze?

Sapete, nel 1989 ero in gara, non è che vedessi la corsa da fuori. Credo che anche allora fosse intensa. Qua ci sono i più forti. Non voglio dire che sia un mondiale tutti i giorni, ma un Tour de France sicuramente, un Giro d’Italia. Il modo di correre dei ragazzi oggi è molto impetuoso, ma io vedo differenze soprattutto nella tecnologia. Hanno bici molto prestanti, mentre l’uomo credo che sia ancora quello…

Qual è il tuo ruolo?

Non sono il loro direttore sportivo, per quello c’è Stefano Sartori. Io mi sono solo offerto di accompagnarli e dare una mano. Era un po’ che volevo venire al Lunigiana e non avevo mai trovato l’occasione. E a un certo punto mi sono detto: «O ci vengo da turista o da accompagnatore». Ho trovato l’occasione di fare l’uno e l’altro…

Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Dici che l’uomo è sempre quello, ma loro dal prossimo anno potrebbero già passare. Tu lo facesti cinque anni dopo aver vinto il Lunigiana…

E’ tutto sbagliato, da qualche tempo vedo solo cose sbagliate, quindi… E’ un discorso che non finisce più. Già il fatto che l’anno prossimo liberalizzeranno i rapporti

Non sei favorevole?

Voglio vedere come faranno gli organizzatori a gestire questi ragazzi.  Aumenteranno sicuramente le medie, non tanto per le prestazioni, ma sicuramente ci sarà differenza maggiore tra chi va piano e chi va forte. Aumenterà la distanza tra la testa e la fine della corsa…

Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
E’ il nuovo che avanza…

Quella degli juniores è una categoria che andrebbe rallentata, non velocizzata. L’altro giorno si è fatta la semitappa del mattino a quasi 49 di media. Sfido i professionisti a stare qui in mezzo. Quel che vedo è che c’è in giro una banda di incompetenti. Il ciclismo italiano ha sempre fatto scuola nel mondo e non è che se gli altri in giro corrono con i rapporti liberi, dobbiamo farlo anche noi. Tanti corridori sono arrivati al successo passando per l’Italia, eppure noi italiani non insegniamo più niente a nessuno. Anche se ci hanno sempre copiato. 

Cosa faresti?

Tutelerei di più questa categoria, perché è da qui che si tirano fuori i buoni corridori. Ripartiamo dagli juniores, facciamoli crescere bene e poi ne riparliamo.

Le storie del Mortirolo, Basso racconta

24.05.2022
5 min
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Il 28 maggio del 2010 era un venerdì e Basso aveva ancora 2’28” dalla maglia rosa di Arroyo (in apertura, Ivan con Scarponi sul Mortirolo). Quel Giro era cominciato in modo balordo, con la fuga di L’Aquila che aveva spinto avanti coloro che ci avevano creduto e affossato le ambizioni degli altri. Ma la Liquigas non si era arresa e alla vigilia della tappa di Aprica, Basso aveva già recuperato 9’21”. Ancora poco, rispetto agli 11’49” di quella sera maledetta in Abruzzo, all’ombra delle case ancora devastate dal sisma dell’anno prima.

«Si facevano Aprica e Trivigno – ricorda Ivan – poi il Mortirolo da Mazzo, discesa su Edolo e ancora Aprica. Dovevo giocarmi tutto sul Mortirolo, il giorno dopo sul Tonale si poteva fare poco. Dovevo mandarlo in crisi. Su quella salita, se la attacchi subito forte, fai i distacchi veri. Fu un Giro tutto particolare, dovendo sempre recuperare. Fu un vero sfinimento…».

Il Mortirolo e la rosa

Il Mortirolo torna oggi per una di quelle tappe che, soprattutto all’indomani del riposo, ha sempre fatto tremare i polsi.

«Sicuramente sarà decisivo – prosegue Basso – considerando il blocco del weekend appena passato, con Torino e Cogne e quello che verrà poi, con Lavarone e Marmolada. Chi esce in maglia rosa dal Mortirolo, difficilmente sarà spodestato. Se ne hai per fare la differenza nel penultimo weekend, di solito vai a crescere…».

Ricordi di bambino

Per il varesino che oggi porta avanti la sua Eolo-Kometa, quella salita significa anche altro e affonda le radici nel ricordo dell’infanzia e della casa materna a Bianzone.

«Mia mamma era di là – conferma, ricordando la signora Nives scomparsa troppo presto – e la tappa passa a poche centinaia di metri dalla casa in cui sono cresciuto. Ho tenuto la baita più alta, a 1.600 metri e mi capita spesso di andarci. Sul Mortirolo ci salii per la prima volta a 11 anni, con una mountain bike in acciaio che pesava 11 chili. La prima salita su bici da corsa fu lo Stelvio, ma non avevo i rapporti per il Mortirolo. Serviva la tripla e in un paio di tornanti misi anche piede a terra. Quando da bambino facevo queste salite, sognavo che da grande le avrei fatte al Giro d’Italia. Per me il ciclismo era la sigla della Rai, con Jesper Skibby che si buttava in quella discesa e la musica della Turandot in sottofondo, con il Vincerò di Pavarotti. Quelli sono i miei ricordi. La corsa si guardava in tivù, ora vedo Santiago che si collega col cellulare ovunque si trovi…».

Pantani vinse ad Aprica, scalando Mortirolo e Santa Cristina. Era il 1994.
Pantani vinse ad Aprica, scalando Mortirolo e Santa Cristina. Era il 1994.

Attesa della Ineos

Il Mortirolo di questa volta sale da Monno e affronta la direttissima, un tratto che in allenamento era una sorta di banco di prova per Contador, legato alla Valtellina da antica amicizia.

«Il Mortirolo – conferma Basso – è lo spartiacque che condiziona la corsa. Il versante più cattivo e vero è quello di Mazzo, perché è quello che ha fatto la storia. Ma alla fine ognuno ha le sue caratteristiche. E’ la salita che in gruppo temono di più in assoluto, poi bisogna anche vedere a che punto della corsa viene affrontata, perché ovviamente l’interpretazione di corsa sarà diversa. In una tappa come quella di oggi, mi aspetto che la Ineos faccia la differenza. Non lasciamoci condizionare da quello che abbiamo visto sul Blockhaus e a Torino, quelle non erano tappe per loro…».

Giro del 2006, sul Mortirolo il duello fra Basso e Simoni, con tanto di polemica
Giro del 2006, sul Mortirolo il duello fra Basso e Simoni, con tanto di polemica

Quella volta con Simoni

La tappa parte da Salò. Affronta subito il Crocedomini, poi va a Monno per addentare il Mortirolo. E alla fine propone la salita di Teglio da Bianzone e quella del Santa Cristina, che nel 1994 lanciò Pantani verso lo stesso traguardo di Aprica. Fra i ricordi di Basso c’è anche quello: aveva ancora 15 anni. E poi il Mortirolo del 2006, quello con Simoni e della grande litigata sul traguardo di Aprica.

«Il Mortirolo di Pantani nel 1994 – ricorda Basso – lo vidi in televisione. Sono di quelle immagini che non dimentichi. Nel 2006 invece avevo già un vantaggio importante, volli vincere la tappa. Quell’episodio ormai è passato. Ci siamo chiariti. E adesso andiamo alle corse per seguire i nostri figli».

Blockhaus, Santa Cristina e Fedaia: quale farà più male?

21.11.2021
5 min
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Il prossimo Giro d’Italia si annuncia a dir poco tosto. Propone tante salite, ma tre sembrano essere più dure delle altre. Non solo, ma si annunciano anche decisive visto che sono all’arrivo. Di quali scalate parliamo? Blockhaus, Santa Cristina e Fedaia (in apertura il tratto spettacolare nei Serrai di Sottoguda).

Per analizzare meglio questi tre “giganti” ci siamo rivolti a Gilberto Simoni che queste salite le conosce bene. Nella sua carriera le ha affrontate in corsa sin da dilettante, come il Blockhaus. Gibo di scalate se ne intende visto che ci ha costruito i suoi successi più prestigiosi.

Simoni al termine della Chieti-Blockhaus al Giro 2009
Simoni al termine della Chieti-Blockhaus al Giro 2009

Numeri simili, durezze differenti

Si tratta di tre salite lunghe e, almeno numericamente, somiglianti. Il Blockhaus misura: 13,6 chilometri, 1.141 metri di dislivello e ha una pendenza media dell’8,4 %. Il Santa Cristina: 13,5 chilometri, 1.078 metri di dislivello e una pendenza media dell’8%. Infine il Passo Fedaia conta: 14 chilometri, 1.062 metri di dislivello e una pendenza media del 7,6%.

Ma in salita i numeri contano fino a un certo punto. Porzioni, segmenti, tipologia dei tornanti (se spianano o tirano), meteo… Ogni scalata ha la sua storia e il suo DNA.

Il Blockhaus si scalerà nel corso della 9ª tappa (187 chilometri) con partenza da Chieti
Il Blockhaus si scalerà nel corso della 9ª tappa (187 chilometri) con partenza da Chieti

La lunghezza del Blockhaus

«Il Blockhaus  – ricorda Simoni – lo feci la prima volta da dilettante. Arrivai secondo. Mi sembra salissimo dal versante di Passo Lanciano. Ero con il mio compagno Amilcare Tronca che morì poi per un incidente stradale. Io ero in maglia di campione italiano e la squadra voleva che vincessi. Quasi litigammo affinché si prendesse quella tappa. Lui voleva essere fedele agli ordini di squadra. Ma io avevo già vinto 16 corse e gli dissi di stare tranquillo. Tante volte mi aveva aiutato ed era giusto che vincesse lui».

«Per il resto – aggiunge Gilberto – si tratta di una salita molto lunga. E’ la prima vera scalata del Giro. Anche l’Etna non è cosa da poco, ma lì si può stare bene anche a ruota. Chi attacca sul vulcano rischia di fare la fine del topo con quella pendenza e la strada larga. Sul Blockhaus invece non è così.

«Queste salite appenniniche di inizio Giro recano sempre un po’ d’incertezza. Fanno paura, non si sa mai come sono i valori in campo. In ogni caso questa salita sarà un bello spartiacque e metterà subito in evidenza i veri protagonisti del Giro. Il dislivello è importante».

Il Santa Cristina non è sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica
Il Santa Cristina non è sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica

Gli strappi del Santa Cristina

Gibo ha sottolineato il dislivello e la lunghezza del monte abruzzese e infatti parliamo di scalate che durano oltre 40 minuti che, come detto, sono molto simili. Ipotizzando una VAM (velocità ascensionale media) di 1.500 metri all’ora, queste tre salite durano rispettivamente: 45′, 43′ e 42′. Chiaramente questo “su carta”, poi s’innescano discorsi tattici, la fatica che si accumula in una corsa a tappe, il meteo. L’anno scorso per esempio Yates toccò una VAM di 1.700 quando vinse a Sega di Ala.

«Il Santa Cristina – riprende Simoni – di solito lo si faceva dopo aver scalato il Mortirolo e scendendo dall’Aprica, stavolta invece si attacca dal basso. Quindi per la prima parte la strada è quella che porta all’Aprica, appunto, ma dal versante valtellinese. Poi dal bivio, a circa metà salita, cambia tutto. La strada diventa stretta, ci sono dei tornanti. Ricordo che ci sono delle rampe con strappi duri.

«Una scalata del genere non la puoi subire. Devi attaccare, devi stare davanti, altrimenti se ti difendi con tutti quei cambi di ritmo rischi di fare molta fatica ad inseguire».

Il Passo Fedaia è l’ultima grande scalata del Giro. I 5 chilometri finali sono durissimi
Il Passo Fedaia è l’ultima grande scalata del Giro. I 5 chilometri finali sono durissimi

La durezza del Fedaia

Gibo esalta subito la durezza della Marmolada. Per lui questa è la più dura delle tre, anche se, numeri alla mano, sembra la più “gentile”, ma è per questo che ascoltiamo il parere dei corridori!

E poi conta il profilo. E allora nel caso del Fedaia se si considera che nei tratti iniziali spesso la strada spiana, quel 7,6 per cento di pendenza media è ingannevole. Esattamente come diceva ieri Fabbro del Kolovrat: «E’ 9 per cento, ma nel mezzo spiana e c’è discesa». 

«Queste salite troppo dure – conclude Simoni – a volte bloccano la corsa. Un po’ come si è visto su Mortirolo o Zoncolan. Se attacchi, rischi di pagare. E allora per me non devi guardare nessuno. Devi prendere e salire al meglio che puoi: né attaccare, né difenderti. Se attacchi magari guadagni 10”. Però è anche vero che siamo nel finale del Giro e bisognerà vedere quali saranno i giochi in ballo.

«Per me non cambierà troppo le sorti del Giro. Tante volte la tattica conta poco in questi casi. Sai che arrivi lì e ti giochi tutto, semmai conta maggiormente in tappe più facili».

Fedaia: i 5 chilometri finali sono durissimi. In fondo l’uscita dai “drittoni” in corrispondenza di Capanna Bill
Fedaia: i 5 chilometri finali sono durissimi. In fondo l’uscita dai “drittoni” in corrispondenza di Capanna Bill

Quei 24′ sul Fedaia

E probabilmente alla fine Gibo ha ragione quando dice che la mitica Marmolada, il Passo Fedaia, è il più duro. E anche i numeri sono dalla sua parte. No, non ci stiamo contraddicendo!

Consideriamo anche la quota. E’ l’unica di queste tre salite che supera i 2.000 metri, è l’ultima del Giro e poi il troncone duro è il più impegnativo. Perché alla fine, proprio per ovviare al dato della pendenza media, bisogna sezionare il tratto più tosto.

Il Blockhaus è il più regolare: tolto l’inizio è tutto impegnativo. Per 10 chilometri si sale attorno al 10 per cento e con una punta del 14 per cento.

Al contrario il Santa Cristina è il meno costante. Il suo troncone duro misura 6,6 chilometri nei quali la pendenza media è del 10,1 per cento con una punta del 16 (anche se l’altimetria ufficiale recita 13).

Infine il tratto duro del Fedaia è il più breve: “appena” 5,35 chilometri, da Malga Ciapela (uscita dei Serrai di Sottoguda) al valico, ma con una pendenza media dell’11,2 per cento e una punta del 18. 

Se dovessimo tornare a quei famosi dati VAM ipotizzati, i tre segmenti durerebbero rispettivamente: 36′, 27′ e 24′. E fare 5 chilometri in 24′ la dice lunga…

Quelli che… sanno esaltarsi sulle strade di casa

19.10.2021
4 min
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Abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’ultimo Giro di Lombardia, con la gente impazzita ai bordi della strada per fare il tifo per Fausto Masnada. Non un italiano qualsiasi, perché il corridore della Deceuninck-QuickStep correva sulle strade di casa, quelle nelle quali è vissuto e su cui ha sentito crescere dentro la passione viscerale per il ciclismo. Vivere un grande evento come il Giro di Lombardia sulle strade abituali, con il vicino di casa o l’amico del bar lì sul ciglio che si sgola per incitarti, ha un sapore speciale.

L’enfant du pays”: un’espressione resa famosa, nel mondo delle due ruote, da Adriano De Zan, che spesso la citava non solo nel citare i vincitori, ma anche semplici gregari che sfruttavano l’occasione del passaggio del Giro d’Italia o di qualsiasi altra manifestazione nel paese natio, chiedendo il permesso al gruppo per avvantaggiarsi, di quel tanto da permettergli un rapido saluto. Vestigia di un ciclismo che non c’è più, ora si è professionali sin dal via e certe deroghe non sono permesse quasi più…

Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni ha costruito sul Pordoi la vittoria al Giro 2001, lasciando poi la tappa allo spagnolo Perez Cuapio
Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni ha costruito sul Pordoi la vittoria al Giro 2001, lasciando poi la tappa allo spagnolo Perez Cuapio

Mondiali, “nemo propheta in patria”…

E’ pur vero però che vincere in casa propria ha un sapore speciale. Ai mondiali, ad esempio, questo evento è successo solamente 12 volte e parliamo non di atleti che vincono nella propria città, ma nella nazione di appartenenza, un abbinamento riuscito per 4 volte al Belgio (ma la quinta alla quale tanto ambivano quest’anno non si è avverata…) e per 3 all’Italia, nel 1932 con Learco Guerra, nel 1968 con Vittorio Adorni e nel 2008 con Alessandro Ballan, ultimo in assoluto a riuscirci.

Citavamo Guerra, la storica “locomotiva umana” che la soddisfazione di vincere davanti ai suoi concittadini l’ha assaporata nel 1931: la prima tappa del Giro d’Italia arrivava quell’anno a Mantova e Guerra ci teneva tantissimo a conquistare la vittoria davanti alla sua gente, poter ripartire il giorno dopo con il simbolo del primato. Dopo 206 chilometri si mise alle spalle allo sprint Alfredo Binda e Michele Mara e non contento di ciò vinse anche il giorno successivo a Ravenna. Quel Giro per lui finì con 4 successi di tappa ma con il rammarico della brutta caduta a La Spezia che lo costrinse al ritiro.

Ulissi Etruschi 2017
Vittoria in solitudine per Diego Ulissi a Donoratico nel 2017: quelle erano le strade della sua quotidianità…
Ulissi Etruschi 2017
Vittoria in solitudine per Diego Ulissi a Donoratico nel 2017: quelle erano le strade della sua quotidianità…

Giro d’Italia, altra storia…

Giro d’Italia. Spesso corridori hanno cercato e anche trovato la vittoria sulle strade di casa, ma se dovessimo cercare un simbolo di queste immagini?

La mente non può che tornare a qualche anno fa, a Gilberto Simoni che sul Pordoi costruì le sue vittorie rosa, in uno stretto corridoio lasciato libero dai tifosi, spingendo sui pedali per infliggere un ritardo sempre maggiore agli avversari. Non è un caso se la carriera del trentino sia legata a doppio filo alla corsa rosa, che aveva un sapore assolutamente speciale proprio quando si transitava sulle salite di casa, quelle dove da bambino aveva lasciato vagare la fantasia vedendo i campioni dell’epoca compreso lo zio di sua moglie, un certo Francesco Moser

Che dire poi di Stefano Garzelli, che nel 2005 vinse la Tre Valli Varesine? Attendeva da 15 mesi di riassaporare il gusto dolce della vittoria, il finale della classica di casa lo aveva studiato nei minimi particolari percorrendolo e ripercorrendolo in allenamento, soprattutto gli ultimi 500 metri dove si mise alla ruota di Mazzoleni gregario di Cunego e anticipando la prevedibile mossa del veronese scattò per precedere Bernucci. La gara arrivava a Campione d’Italia, città nativa della madre e di residenza delle sorelle. Come poteva non vincere?

Nibali Sicilia 2021
Una vittoria per Nibali nel 2021, ma di grosso peso, nella sua Sicilia, alla sua maniera: tappa e maglia…
Nibali Sicilia 2021
Una vittoria per Nibali nel 2021, ma di grosso peso, nella sua Sicilia, alla sua maniera: tappa e maglia…

Di casa e di cuore

Un po’ lo stesso discorso che vale per Fabio Ulissi. Nel 2017 il nativo di Cecina, appena approdato al Uae Team Emirates, voleva subito impressionare i suoi nuovi “datori di lavoro” e sulle strade di casa, teatro della sua preparazione invernale, sfruttò proprio la conoscenza del percorso e in particolar modo della discesa verso Donoratico.

«La conosco a menadito – affermò dopo la premiazione – sono nato qua e potrei farla a occhi chiusi, sapendo dove rilanciare».

Due volte era finito sul podio senza cogliere il risultato al quale teneva di più: per la gente del luogo, quell’edizione è rimasta nel cuore. E poi, parlando di discesa, non è lo stesso principio che ha applicato Masnada?

Se si parla di “enfant du pays”, c’è un’immagine recente che si fa strada nella memoria. Per Vincenzo Nibali quelle lacrime versate all’arrivo della conclusione dell’ultimo Giro di Sicilia contengono infiniti significati. Immaginate che cosa significa tornare a vincere, dopo tutto quel che ha passato in questi ultimi due anni, quello che ha letto e sentito su di lui, quei dubbi esasperanti nel proprio animo, davanti alla propria gente, quella stessa gente lasciata tanti anni fa, lui come tanti siciliani, per trovare fortuna nel Continente? Non c’era posto migliore per tornare ad azzannare il successo per lo Squalo. Certe volte anche i grandi uomini piangono…

Da giovedì il Lunigiana, palestra per grandi campioni

28.08.2021
5 min
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Guardando l’albo d’oro del Giro della Lunigiana si capisce subito che per iscrivervi il tuo nome, devi andare davvero forte. Un elenco che è un concentrato di campioni, di corridori che già da “piccoli” hanno fatto vedere che avevano davvero una grande propensione per gli sforzi ripetuti, per le gare a tappe. Uno di loro però resterà unico: Corrado Donadio, vincitore della prima edizione.

La storia racconta che la gara toscana nacque nel 1975 come Giro della Bassa Lunigiana, una due giorni riservata ai dilettanti che vide Donadio, azzurro dell’epoca, conquistare il successo. La gara ebbe molto risalto tanto che la Federazione decise già dall’anno successivo d’inserirla nel calendario nazionale, cambiandole però categoria e facendone quello che poi sarebbe diventato il principale appuntamento a tappe per gli junior. Per questo Donadio resterà un “unicum”…

Simoni Lunigiana 1989
Un giovanissimo Gilberto Simoni vincitore del Lunigiana nel 1989, davanti a Davide Rebellin e Andrea Peron
Simoni Lunigiana 1989
Un giovanissimo Gilberto Simoni vincitore del Lunigiana nel 1989, davanti a Davide Rebellin e Andrea Peron

Una parata di campioni

Nel corso degli anni la gara organizzata dai dirigenti dell’Unione Sportiva Casano ha raccolto qualcosa come 6 futuri vincitori del Giro d’Italia: Franco Chioccioli, Gilberto Simoni, Danilo Di Luca, Damiano Cunego, Vincenzo Nibali e Tao Geoghegan Hart. Negli ultimi anni la caratteristica maglia verde è “caduta” su spalle nobili come quelle di Tadej Pogacar (2016) e Remco Evenepoel (2018), mentre l’ultimo entrato in quel famoso elenco è Andrea Piccolo, vincitore nel 2019, perché lo scorso anno il Covid ha chiuso ogni porta per la disputa dell’evento.

La parentesi si chiuderà da giovedì prossimo, poi fino a domenica saranno le ruote a parlare. L’edizione 2021 del Giro della Lunigiana si preannuncia apertissima e potete star certi che sarà una palestra frequentata dai campioni del domani. In gara 15 rappresentative regionali italiani e 15 nazionali estere, per un totale di 180 corridori: ogni team potrà schierare infatti solo 6 corridori, il che rende praticamente impossibile gestire la corsa.

Piccolo Lunigiana 2019
Piccolo, a destra, preceduto dal tedesco Brenner nella prima tappa 2019. Il Giro lo vincerà però l’azzurro
Piccolo Lunigiana 2019
Piccolo, a destra, preceduto dal tedesco Brenner nella prima tappa 2019. Il Giro lo vincerà però l’azzurro

Quattro giorni intensissimi

Si comincia quindi giovedì con la prima tappa, da Fiumaretta a La Spezia per complessivi 89 km e subito saranno fuochi d’artificio, con ben 4 Gran Premi della Montagna di cui la metà di prima categoria, a Pignone e a Biassa, da dove mancheranno solo una decina di chilometri per il traguardo, facile pensare che la classifica sarà già delineata.

Lunigiana tappa 1 2021
Giro della Lunigiana 2021, 1a tappa, Fiumaretta-La Spezia
Giro della Lunigiana 2021, 1a tappa, Fiumaretta-La Spezia

Il giorno dopo doppio appuntamento, come ormai nel ciclismo professionistico non avviene quasi più. La prima semitappa, di 55 km, va da Lerici a Sarzana, è un lungo viaggio completamente pianeggiante, qui è presumibile un arrivo in volata anche perché, considerando che le fatiche non saranno finite, molti team vorranno concentrare gli sforzi sulla preparazione dello sprint.

Lunigiana tappa 2 2021
Giro della Lunigiana 2021, 2ª tappa (1ªsemitappa: Lerici-Marinella di Sarzana)
Giro della Lunigiana 2021, 2ª tappa (1ªsemitappa: Lerici-Marinella di Sarzana)

Lunghezza quasi identica ma caratteristiche completamente diverse per la seconda semitappa: si va da Sarzana a Fosdinovo per 53,6 km, ma l’ultima decina è in salita fino all’arrivo coincidente con il Gpm di prima categoria. Qui ci si giocherà moltissimo in termini di classifica, chissà che qualcuno non voglia però anticipare gli scalatori…

Lunigiana tappa 2 seconda semi 2021
Giro della Lunigiana 2021, 2a tappa, 2a semitappa, Sarzana-Fosdinovo
Lunigiana tappa 2 seconda semi 2021
Giro della Lunigiana 2021, 2a tappa, 2a semitappa, Sarzana-Fosdinovo

A Fivizzano ci si gioca tutto

Al sabato frazione lunga, 104 km con partenza e arrivo a Fivizzano: una frazione per niente tranquilla… Ben 5 Gran Premi della Montagna e arrivo in salita, lo strappo finale che i concorrenti affronteranno tre volte entrando nel circuito conclusivo.

Lunigiana tappa 3 2021
Giro della Lunigiana 2021, 3a tappa, Fivizzano-Fivizzano
Lunigiana tappa 3 2021
Giro della Lunigiana 2021, 3a tappa, Fivizzano-Fivizzano

Chiusura domenicale con la tappa conclusiva di 106 km da Massa a Casano di Luni, anche questa con un circuito finale da affrontare due volte. Probabile che allora la classifica sarà definita, così non fosse c’è spazio per dare battaglia, magari da parte di quelle squadre in credito di risultati.

Lunigiana tappa 4 2021
Giro della Lunigiana 2021, 4a tappa, Massa-Casano di Luni
Lunigiana tappa 4 2021
Giro della Lunigiana 2021, 4a tappa, Massa-Casano di Luni

Che cosa attendersi dal Giro della Lunigiana? In chiave italiana sarà interessante capire il rendimento delle generazioni più giovani in una corsa a tappe già impegnativa. Ci lamentiamo spesso della difficoltà del ciclismo nazionale nel trovare nuovi interpreti per i grandi Giri, magari la prossima settimana ne sapremo di più sul futuro a lungo termine in questo dato settore. Anche per questo bici.pro sarà al seguito della carovana, alla ricerca di sorrisi azzurri per guardare al futuro con un po’ di ottimismo in più.