Da Basso a Simoni. Anche Gilberto lancia suo figlio nella mischia

01.02.2025
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Se Santiago Basso da una parte inizia il suo impegno in un team prestigioso come la squadra development della Bahrain Victorious, l’amico-rivale Enrico Simoni non è da meno e si appresta ad affrontare la sua prima stagione nelle file della MBH Bank Ballan CSB, con cui suo padre Gilberto collabora dallo scorso anno. Per il trentino, cresciuto nell’Unione Sportiva Montecorona, è un gran salto, entrando a far parte di un team continental che svolge una gran quantità di attività all’estero.

Enrico Simoni con papà Gilberto e mamma Arianna. La scelta del team è stata tutta sua
Enrico Simoni con papà Gilberto e mamma Arianna. La scelta del team è stata tutta sua

Un salto che riempie d’orgoglio papà Gilberto e fa un certo effetto rivedere i cognomi Basso e Simoni sfidarsi sulle strade a un po’ di lustri di distanza da quanto Ivan e lo stesso Gibi facevano, infiammando le folle per uno di quei dualismi sui quali il ciclismo italiano ha vissuto e dei quali si sente sinceramente la mancanza. Gilberto, orgoglioso dei passi che suoi figlio sta facendo, ammette che una certa responsabilità in questo ce l’ha…

«E’ stato coinvolto da noi – racconta il trentino – facendo parte di una famiglia nella quale la bici ha sempre avuto un peso non indifferente. A parte il mio lavoro, tutti siamo sempre andati in bici, abbiamo respirato questa passione ed era facile farsi coinvolgere. Io ho sempre voluto che i miei figli facessero sport, poi il discorso della carriera è un’altra cosa».

Per il diciottenne Enrico Simoni il passaggio alla MBH è un grande salto, per affrontare i professionisti
Per il diciottenne Enrico Simoni il passaggio alla MBH è un grande salto, per affrontare i professionisti
Ti rivedi un po’ in lui, nelle sue sensazioni affrontando questo mondo?

Difficile dirlo, perché il ciclismo nel frattempo è diventato tutt’altro. Io mi rivedo in tutti i ragazzi che affrontano quello che ho affrontato io, ma mi accorgo che le differenze sono enormi, oggi allievi e juniores non sono certo quelli dei miei tempi, devi impegnarti molto più di quanto facevo io. E vedendo quel che ha fatto e fa Enrico, la differenza è evidente.

Ma tecnicamente quanto ha preso da te?

Un po’ mi assomiglia, intanto non ha paura di far fatica, ama la salita, non è certo un velocista. Ma è ancora un corridore grezzo, che approda adesso nel ciclismo che conta e che va plasmato. Intanto vedo che non teme l’allenamento, che in salita è portato alla resistenza e quindi ben strutturato per quelle lunghe. Anche da junior ha vinto in salita, al Bottecchia ha fatto pian piano il vuoto.

Enrico è uno scalatore come il padre, ma con un fisico diverso, più slanciato
Enrico è uno scalatore come il padre, ma con un fisico diverso, più slanciato
Fisicamente?

E’ già 10 centimetri più alto di me, ma il suo fisico è asciutto, tipico da scalatore.

Il suo 2024 come lo hai visto?

Nella prima parte dell’anno non bene, non trovava mai la condizione per problemi fisici, poi finalmente è arrivata la pace e con essa i risultati, con ottimi piazzamenti oltre alla vittoria di Piancavallo. Anche quelli hanno influito, catalizzandogli addosso i fari dell’attenzione. Ed è stato un bene, passare senza risultati poteva dargli qualche contraccolpo psicologico.

Simoni al centro sul podio di Piancavallo, fra Cobalchini (2°) e Manfe (3°)
Simoni al centro sul podio di Piancavallo, fra Cobalchini (2°) e Manfe (3°)
Approvi la sua scelta come team?

Sì, è ideale per il suo percorso. Lo aiuterà a crescere mentalmente, a prendere più consapevolezza dei suoi mezzi. Sono anche contento che sia in un team italiano: spesso vengono un po’ bistrattate le nostre squadre, ma bisogna anche pensare che sono l’humus della nostra attività, a finire in un team straniero è sempre una minoranza.

Il suo cammino è diverso dal tuo?

Profondamente. Io alla sua età subivo meno condizionamenti, anche perché vedo che i ragazzi hanno addosso un peso che noi non avevamo, i social, il fatto di essere sempre sotto l’occhio della comunità. Servono le persone giuste intorno per farli crescere e non parlo solamente a livello ciclistico. Io mi sono costruito, ma non ero così pressato alla sua età, chi ha 18 anni oggi fa già la vita de corridore con un margine di errore davvero minimo.

La vittoria al Trofeo Bottecchia di Piancavallo è stata la sua perla del 2024
La vittoria al Trofeo Bottecchia di Piancavallo è stata la sua perla del 2024
Non t’incuriosisce il fatto che con Santiago Basso si ripropone quella rivalità di famiglia?

Effettivamente è strano, ma ci sono anche altri, so che tutti loro fanno gruppo, confrontano spesso le loro esperienze. I nostri figli portano addosso un nome pesante, che accresce l’attenzione su di loro, ma non c’è mai un destino uguale all’altro, non faranno mai quello che abbiamo fatto io e Ivan perché siamo in un’altra epoca. E non lo dico come qualità di risultati, potranno anche fare meglio. Noi come genitori possiamo solo aiutarli a trovare la loro identità.

Il cognome lo ha mai sentito come un fastidio?

Diciamo che un po’ ne risente, il sentire sempre “figlio di Gilberto” non gli fa piacere, proprio perché vuole trovare una sua strada indipendentemente da me. Ora che la sua carriera prende inizio, spero che possa aiutarlo ad affrancarsi da questa situazione.

Basso e Simoni nella celebre tappe del Mortirolo al Giro 2006, che fece esplodere la rivalità
Basso e Simoni nella celebre tappe del Mortirolo al Giro 2006, che fece esplodere la rivalità
I rapporti con lui come sono, vi confrontate su temi ciclistici?

Sì, lui ascolta, ammetto anche che in certi casi mi sono un po’ imposto, come sul fatto di non prendere quello che appare in Rete come oro colato. Mi sono sempre raccomandato di gestire le emozioni e affrontare le responsabilità dell’appartenenza a un team. Ma anche di continuare a vivere il ciclismo come un piacere, perché è ciò che lo rende speciale.

Papà Basso e Santiago alla Bahrain. Una scelta autonoma

30.01.2025
5 min
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Ora Santiago Basso inizia a farsi grande e arrivano le responsabilità. Il giovane rampollo dal cognome ciclisticamente nobile approda al devo team della Bahrain e questa è l’occasione migliore per scrollarsi di dosso tutte le perplessità che, giocoforza, circondano sempre chi è figlio di qualcuno che ha scritto pagine di storia di quello sport, come Ivan ha fatto.

Oggi papà, impegnato com’è nella crescita della Polti-VisitMalta, lascia fare, ma segue sempre con interesse costante le gesta del figlio. Da lontano.

Per Santiago Basso è iniziato già il lavoro con il devo team della Bahrain
Per Santiago Basso è iniziato già il lavoro con il devo team della Bahrain

«Sia io che mia moglie Micaela abbiamo lasciato fare a lui – spiega – doveva fare le sue scelte perché ora è maggiorenne ed è entrato in quell’età che, ciclisticamente parlando, ti definisce. Ha un suo procuratore, ha valutato le possibilità e ha scelto, noi abbiamo fatto un passo indietro. Soprattutto io, in questo caso non più ex corridore e ora manager di un team di livello, ma solamente papà».

Non sei però un papà qualsiasi, ma hai una sensibilità specifica particolare. Come lo hai visto nell’approccio con il ciclismo di vertice?

E’ molto maturato, in un anno dai due volti, difficile nella prima parte dove noi abbiamo cercato di ascoltarlo e supportarlo. Molto meglio nella seconda, dove sono anche arrivati i risultati tanto che per costanza di prestazioni è stato forse il migliore della categoria. Sugli juniores il mio pensiero è noto…

Il piccolo Basso nel team di papà Ivan, era il 2023. Lo scorso anno ha corso con la Bustese Olonia
Il piccolo Basso nel team di papà Ivan, era il 2023. Lo scorso anno ha corso con la Bustese Olonia
Spiegaci meglio, ti va?

Non è certo più la categoria di quando correvo io, ora ci si gioca tanto già a quell’età, ma non bisogna guardare solo i risultati. Io – e qui parlo da manager – non valuto solo quelli, ma l’evoluzione intera dell’uomo prima ancora che del corridore perché dovrà essere parte di un insieme, quello della squadra. Spero che per Santiago ci siano le stesse valutazioni. Tutti guardano le vittorie da junior, ma ricordiamoci che vincere nella categoria è completamente diverso che vincere da pro’…

Lo trovi quindi cresciuto non solo ciclisticamente…

Infatti, per me ha fatto un salto di qualità. Sono contento di come ha affrontato questa delicata fase, contemplando anche la scuola, la difficoltà di doversi allenare dopo le ore di studio. Infatti è stato d’estate, con la mente più libera che si sono visti i miglioramenti. E’ salito il suo livello, soprattutto in salita e nelle corse a tappe e questo me lo dicono i numeri. In totale Santiago ha fatto 18 mila chilometri, seguendo una preparazione basata sull’età e la crescita, ha dato in corsa quel che poteva nel momento, ma si vede che ci sono margini.

La volata del GP dell’Arno, con il lombardo battuto da Elia Andreaus, oggi suo compagno (foto Rodella)
La volata del GP dell’Arno, con il lombardo battuto da Elia Andreaus, oggi suo compagno (foto Rodella)
Ti sei fatto anche un’idea più precisa di che corridore è e di che cosa in lui c’è dell’Ivan Basso che conosciamo?

Un po’ mi assomiglia, forte in salita e con una buona capacità di spunto veloce. Quel che mi impressiona di più è la sua condotta nelle prove a tappe, che ritengo anche il suo aspetto più promettente: mostra di avere grandi capacità di recupero. Alla Vuelta al Besaja, ad esempio, è andato migliorando giorno dopo giorno fino a chiudere quinto assoluto, in una prova dove c’era gente che correva nei devo team. Ha poi fatto molte corse di livello, sfiorando la vittoria come all’Arno e al Sestriere, finendo bene anche al Piccolo Lombardia.

Un elemento che nell’ambiente ciclistico circola è il paragone fra lui ed Enrico Simoni, d’altronde tu e Gilberto avete scritto pagine indelebili sulle strade italiane. Loro sono molto amici, pensi che risentano del passato riguardante voi?

Difficile dirlo. E’ vero che il peso dei nostri cognomi c’è, ma sta a me e Gibo non farglielo sentire troppo. Loro si stanno costruendo la loro identità, la loro personalità. So che sono in contatto e mi fa piacere. D’altronde c’è un bel legame tra tutta quella generazione, so che hanno anche fatto un gruppo su WhatsApp, si sentono spesso. E’ importante, perché poi capiterà che si ritroveranno in fuga, in gruppo, avere già un legame conta.

Santiago fra papà Ivan e Lello Ferrara. Oltre alla Bahrain altri team internazionali si erano fatti avanti (photors.it)
Santiago fra papà Ivan e Lello Ferrara. Oltre alla Bahrain altri team internazionali si erano fatti avanti (photors.it)
Hai approvato la scelta della Bahrain?

E’ uno dei team di maggior livello, con una struttura collaudata. Io sono contento, ma il mio parere conta relativamente. Quel che è importante è che è una decisione sua, autonoma. Ha interagito lui con i dirigenti del team, io vedo la sua crescita anche in questo. Relativamente al team, non dimentichiamo che è nato sulle basi del CTF, che è un serbatoio storico del ciclismo italiano, dal quale anche io ho preso corridori come Bais e Pierobon. Lo avevano cercato anche altri devo team, ma la loro proposta lo ha convinto.

Enrico Simoni, uno scalatore diverso da papà Gilberto

18.09.2024
6 min
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Negli ultimi tre weekend di gare ha sempre pedalato nei piani altissimi degli ordini d’arrivo e quando vede la strada salire si scatena come faceva il padre. Enrico Simoni non è solo il figlio di Gilberto, ma uno scalatore fisicamente diverso da lui, che sta finendo la stagione con una serie incredibile di piazzamenti.

La vittoria in solitaria a Piancavallo del 7 settembre si piazza nel bel mezzo dei secondi posti ottenuti prima alla Sandrigo-Monte Corno (replicando lo stesso risultato di papà “Gibo” 35 anni fa) e poi alla Orsago-Col Alt. L’ottimo stato di forma dello juniores dell’Us Montecorona è arrivato un po’ in ritardo sulla tabella di marcia per snervanti problemi fisici, però baby Simoni vuole recuperare il tempo perso. E ad occhio si direbbe che ci stia riuscendo, anche grazie ai consigli di Simoni senior.

Enrico Simoni, classe 2006, è uno scalatore alto 1,78 metri per 57 chilogrammi. Si trova a suo agio su salite superiori ai trenta minuti
Enrico Simoni, classe 2006, è uno scalatore alto 1,78 metri per 57 chilogrammi. Si trova a suo agio su salite superiori ai trenta minuti

Enrico visto da Gibo

La salita è un affare di famiglia in casa Simoni. Gilberto ci ha costruito una carriera e le due vittorie al Giro d’Italia, Enrico sta cercando di fare il suo percorso al meglio, superando anche la “montagna” del cognome importante.

«Non possiamo fare paragoni tra lui e me – puntualizza Gibo – perché apparteniamo ad un ciclismo molto diverso. Così come è differente la nostra fisionomia (Enrico è alto 1,78 metri per 57 chilogrammi, Gilberto era 1,70 per 59 chili, ndr). La sua vera forza è che non ha paura di fare fatica e in questo mi somiglia molto. Non so quali siano i suoi margini di miglioramento perché a volte faccio fatica a vederli in quegli juniores che vanno forte veramente. Potrebbe dipendere da quanta voglia abbia di continuare a fare questo sport come si deve. L’importante è che capisca che il ciclismo non è la vita, ma una esperienza, come ripeto sempre.

«Adesso vedo Enrico sereno – prosegue – perché prima avvertiva la tensione dell’essere mio figlio. Sentiva il peso di dover fare risultato a tutti i costi. I parenti e gli amici, pur dicendolo con simpatia, lo caricavano di responsabilità e inconsciamente lui si creava delle aspettative. Sono riuscito a calmarlo e dirgli di non pensarci. Lui sa che io lo sostengo in ogni cosa e so che si sta impegnando tanto. Le difficoltà sono altre».

Il primo podio di Enrico arriva il 4 maggio, ma i problemi posturali continuano ad affliggerlo
Il primo podio di Enrico arriva il 4 maggio, ma i problemi posturali continuano ad affliggerlo

Juniores e problemi annosi

La schiettezza è sempre stata una dote preziosa di Gilberto Simoni e gli basta un assist sul futuro di suo figlio per analizzare i problemi della attuale categoria.

«E’ vero che faccio parte della MBH Bank Colpack Ballan – dice – e che qualcuno potrebbe pensare che potrei farlo passare lì, ma è presto. Deve ancora maturare e pensare a finire bene la stagione. Non mi pongo limiti, magari potrebbe arrivare anche un team straniero. Diciamo che vorrei che non ci fossero troppe persone di mezzo nel suo trasferimento, come quello degli altri in generale.

«Negli juniores – conclude Gilberto Simoni – è tutto una pazzia, come in tutte le altre discipline di quella età. Lo sport è socialmente degradato. Ormai non è fatto più per far crescere i ragazzi, quanto invece per finalizzare l’interesse di certi tecnici o dirigenti. Lo vedo nei kart, nello sci, nel calcio. E il Coni è il primo organo che lo concede. Avete notato che si è abbassata l’età media dei ragazzi che smettono di fare sport? E’ perché si arrendono prima alle pressioni spropositate della ricerca di risultati. Spero che cambi in fretta questa tendenza».

Simoni (tra Cobalchini e Manfè) ha vinto in salita a Piancavallo sfruttando allunghi e cambi di ritmo, le sue doti meno forti
Simoni (tra Cobalchini e Manfè) ha vinto in salita a Piancavallo sfruttando allunghi e cambi di ritmo, le sue doti meno forti
Da un Simoni ad un altro. Enrico che tipo di corridore sei?

Sono scalatore che sfrutta la sua leggerezza, anche se non la cerco apposta. Mi trovo bene su salite lunghe e non è un caso che i risultati migliori siano arrivati su quelle che duravano 30/40 minuti o addirittura un’ora. Sto migliorando sugli scatti e sui cambi di ritmo. La vittoria di Piancavallo infatti me la sono costruita in questa maniera, giocando al meglio su queste caratteristiche che mi appartengono meno. Ho vinto anche gestendo un po’ la troppa foga di vincere. Anche perché finora non era stata una stagione semplice.

Per quale motivo?

Ho trascorso un inverno travagliato con dolori alla schiena e problemi posturali. Fino a maggio è stato un calvario, era frustrante vedere tutti che andavano in bici e facevano risultato. Mi piace spingermi al limite, ma non ero più disposto a questo tipo di sofferenza. Poi ho risolto questa noia proprio grazie al vostro articolo su Kevin Colleoni.

Cioè?

Sono risalito allo stesso studio di osteopati, che mi ha rimesso letteralmente in sesto curandomi una rotazione del bacino ed un gonfiore addominale. Mi manca solo di sistemare il problema della masticazione che farò nel prossimo inverno.

E così ti sei sbloccato definitivamente.

Esattamente. Da luglio in avanti ho avuto la svolta. Mi sono ritrovato con più energia da spendere e non ho più dovuto pensare ad altro. Sono arrivati tanti bei risultati, ma soprattutto una continuità di prestazioni e rendimento. Ora voglio solo concludere il 2024 in questo modo. Sabato ad esempio c’è una cronoscalata organizzata proprio dalla nostra società e vorrei fare molto bene visto che corriamo a Palù sulle strade di casa. Punto però anche ad una gara ondulata che ci sarà a Firenze la settimana prossima ed è aperta a tanti tipi di corridori. All’anno prossimo prossimo ci penserò più avanti.

Risolte le noie fisiche alla schiena, Simoni ha ritrovato il giusto colpo di pedale da luglio in avanti
Risolte le noie fisiche alla schiena, Simoni ha ritrovato il giusto colpo di pedale da luglio in avanti
A parte tuo padre, c’è un atleta a cui fai riferimento?

E’ vero, mi sono sempre ispirato a lui, ma ho cercato di imparare a correre guardando i suoi vecchi video e discutendone con lui. Nel presente invece mi piacciono molto Enric Mas e Joao Almeida. Lo spagnolo per una questione prevalentemente fisica dato che sono molto simile a lui. Il portoghese invece per il modo di correre visto che anche lui affronta le salite con grande regolarità. Per il resto devo ancora capire chi sono e dove posso arrivare.

Simoni e Zoltan: punti d’unione tra Italia e Ungheria

04.03.2024
4 min
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BERGAMO – L’avventura della MBH Bank-Colpack-Ballan è iniziata con le prime gare della stagione. I ragazzi di Bevilacqua si sono fatti vedere e messi in mostra, il progetto che lancerà la professional dal 2025 è appena avviato. Tra le figure entrate in squadra ci saranno anche quelle di Gilberto Simoni e Bebtó Zoltan, i due sono stati il ponte che ha unito il nuovo sponsor ungherese con la continental bergamasca.

Simoni e Zoltan al centro della foto insieme ai ragazzi della MBH Bank-Colpack-Ballan
Simoni e Zoltan al centro della foto insieme ai ragazzi della MBH Bank-Colpack-Ballan

Unione di intenti

Tra Italia e Ungheria si è così creata quella che si può definire un’unione di intenti. La voglia di MBH Bank di sponsorizzare e far crescere il ciclismo era molta, ma serviva uscire dall’Ungheria e appoggiarsi ad una struttura solida e organizzata. La scelta è ricaduta, quasi automaticamente sulla Colpack Ballan.

«Io e Simoni – dice Zoltan – siamo amici da molto tempo. Ho questo rapporto molto stretto anche con i membri della MBH Bank. Loro già sponsorizzano un team di ciclismo in Ungheria, solo che lì non ci sono staff come quelli italiani e squadre con questa organizzazione. Parlavamo di come migliorare il ciclismo nel nostro Paese, ma è difficile, mancano tante cose. Non ci sono squadre, staff, corse, corridori… Ci è venuto in mente di uscire dal Paese, così abbiamo guardato alla Colpack. Ho parlato con Antonio (Bevilacqua, ndr) e ci siamo trovati fin da subito. Il modo di programmare, la decisione che hanno, la struttura. A quel punto serviva solo il tempo per decidere le cose e farle bene. Abbiamo cinque anni per fare un grande processo di crescita».

Simoni alla partenza della Coppa San Geo 2024, la prima gara alla guida della formazione ungherese
Simoni alla Coppa San Geo 2024, la prima gara alla guida della formazione ungherese

La passione comune

La parola che più si è sentita, nelle volte in cui abbiamo avuto modo di parlare con i diretti interessati al progetto, è stata “passione”. Questo è il sentimento che deve guidare la nuova partnership, perché serve avere il coraggio di investire, ma prima di tutto lo sport è davvero tanta passione

«Sono rimasto coinvolto – dice Simoni – perché lo sponsor ungherese (MBH Bank, ndr) cercava un team italiano. L’amicizia che mi unisce con “Zoli” (Zoltan, ndr) già legata al ciclismo e alla passione a 360 gradi per la bici è stata il canale di comunicazione migliore. Mi hanno incanalato in questa unione tra Ungheria e Italia, perché la MBH Bank viene nel nostro Paese per esportare la nostra tradizione. Il ciclismo in Ungheria è piccolo ma bello, appassionato, puro e ora vuole crescere.

«Il motivo per cui si è coinvolta la Colpack – continua – è la storia, perché 30 anni di sponsorizzazione insieme a Colleoni vogliono dire passione. Credo che l’unico modo per continuare ad avere sponsor solidi è riuscire a trasmettere il bello di questo sport. I risultati non devono arrivare solamente dai ragazzi, ma passano anche dal vedere le proprie aziende avere dei risultati economici e di immagine. E’ sempre passione, ma con interesse, che è quello che muove il professionismo e il mondo dell’economia».

La MBH Bank diventerà un team professional dal 2025 (foto NB Srl)
La MBH Bank diventerà un team professional dal 2025 (foto NB Srl)

I giovani

La voglia di crescere si è vista fin da subito, i ragazzi sono stati coinvolti e resi partecipi. Non sono mancati già i primi innesti dall’Ungheria, come il campione nazionale under 23 in carica. Ma, il progetto parte anche da più lontano, la durata di cinque anni impone una profondità di pensiero maggiore. 

«Io voglio occuparmi dei giovani – spiega Simoni – in Italia li abbiamo, mentre in Ungheria sono da scoprire. Loro vogliono far crescere il ciclismo giovanile e sarebbe bello trovare qualche ragazzo valido. L’Ungheria vuole imparare il modello italiano e perché no, anche migliorarlo. Cosa che fa bene anche a noi, di riflesso

«Ci saranno dei ragazzi ungheresi – conclude il discorso – juniores e allievi, che verranno a fare delle corse in Italia. Già si sta allargando il progetto, la voglia è quella di fare un salto in su, tra le professional, senza abbandonare i ragazzi. Farli crescere in casa, sì, ma penso che ci sia bisogno della competizione, quindi cercheremo anche dei ragazzi da fuori. La spinta per migliorare deve riguardare tutti quanti».

Simoni, anno 2000: l’unico italiano ad aver domato l’Angliru

17.08.2023
6 min
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Ci sono lingue di asfalto in alcuni angoli del mondo in grado di emozionare migliaia appassionati ogni volta che vengono scalate. Una di queste è l’Angliru. Gilberto Simoni vinse in maglia Lampre nel 2000, quando aveva 29 anni e in bacheca ancora nessun Giro d’Italia. Su quella salita ha lottato con la gravità, rischiando di mettere il piede a terra su pendenze che mettono paura a qualsiasi generazione di ciclisti. 12,4 chilometri con una pendenza media del 9,8% con punte al 24%

Il 13 settembre 2023 è uno di quei giorni da segnare sul calendario. Perché la Vuelta in occasione della 17ª tappa arriverà sull’Alto de Angliru. Una punta di sadismo accompagnerà ogni appassionato alla visione di quella frazione che porterà allo stremo ogni atleta partito quel giorno. Facciamo un balzo indietro di 23 anni per salire in sella con Simoni su quelle pendenze e capire come si affronta e cosa si prova su una delle salite più temute al mondo. 

L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
L’Angliru vanta una pendenza media del 13,6% sul tratto più duro
Cosa ricordi di quella giornata, emozioni e sensazioni?

Non avevo mai vinto tappe alla Vuelta. Quella dell’Angliru si può dire che mi abbia aiutato a cambiare marcia perché l’anno dopo sono riuscito a vincere il Giro d’Italia. Insomma, ho iniziato a credere ancora di più in me stesso. Quel giorno lì sono riuscito ad anticipare un po’ la corsa perché sapevo che era impossibile battere quelli della Kelme-Costa Blanca, con tutto quello che c’era di dubbioso in quegli anni. Infilatomi nella fuga, gestii bene la gara. Non avevo altre chance, così andai via solo dalla fuga.

Che tipo di salita è? 

E’ una salita che ti porta allo stremo e deve essere interpretata in modo corretto. In salite così, non si deve guardare l’avversario. Devi pensare a te stesso e trovare il tuo ritmo su quelle pendenze assurde. Se sbagli una cambiata, rischi di mettere il piede a terra. E’ un’ascesa che non perdona, quando la imbocchi hai subito il cuore in gola. 

Che rapporti montavi?

Non c’erano le compatte. Non avevo la tripla. Avevo un Campagnolo dieci velocità con il 39 davanti e dietro mi ero fatto mettere il 28 e il 29 togliendo i rapporti più duri. Questo perché sapevo che si vinceva con la scelta di quei rapporti. Mi ricordo che quelli della Kelme montavano invece una tripla. 

Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Nel 1999 l’Angliru fu affrontato per la prima volta, vinse Jimenez in maglia Banesto
Cosa ricordi di quella salita?

C’è un rettilineo di un chilometro dove non ci sono tornati e ricordo che veramente mi scoppiavano le gambe. Stavo andando su a cinque all’ora e pensai: “Se arrivo ai quattro mi fermo”. Bastava una cambiata sbagliata e finivi per mettere il piede a terra. Con il rischio di non riuscire neanche più a ripartire. 

Per tentare di venirti a prendere Roberto Heras, che vinse quella Vuelta, fece il record della salita. Ad oggi nessuno è riuscito ancora a scendere sotto quei 41’55”.

Quelli della Kelme erano in una condizione impossibile da affrontare. Se si guardano i filmati sembrava una crono a squadre. Se si prendesse come riferimento il pezzo più duro, forse da metà in su magari si potrebbe battere. Gli scalatori di oggi sono veramente forti. Ma il tratto completo per me ha un tempo inarrivabile. 

Nonostante ciò imboccasti la salita con poco meno di sei minuti e riuscisti a conservarne due all’arrivo…

Ero in fuga da tutto il giorno. Arrivai alla salita non così riposato perché tirai parecchio anche prima. 

Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Vuelta 2017, Contador sull’Angliru vince la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Da scalatore hai anche vissuto un’evoluzione tecnologica in quegli anni. Lì c’era anche una cadenza di pedalata molto più bassa.

Sì, i rapporti ti ci costringevano. Per me e i meccanici montare una tripla sarebbe stata una blasfemia, un colpo all’orgoglio. A distanza di qualche anno mi ricordo che feci lo Zoncolan sia con il 39 che con il 36. Sono due cose diverse, la pedalata, la reazione dei muscoli. Ma al limite ci si arriva in ogni caso. 

E la tua Fondriest di quell’anno che bici era? Con una bici attuale sarebbe cambiato qualcosa?

Era leggerissima, con il meccanico Pengo facemmo un lavoro incredibile. Un telaio tutto mio per le gare in salita. Bici corta e una posizione più avanzata. La grande differenza con oggi è il materiale, la mia era in alluminio. Inguidabile in discesa ,ma in salita non credo che avrei trovato così tante differenze con quelle attuali. Geometrie differenti non avrebbero inciso come invece i rapporti che hanno ora. Io pesavo 60 chili quindi l’alluminio con me riusciva a funzionare molto bene. Il peso della mia Fondriest non lo ricordo di preciso ma era al limite del regolamento. 

Come si respira su una salita così?

Sei sempre a tutta. Anche se a parte quel tratto di un chilometro, ci sono i tornanti che permettono di rilanciare e “riposarti”. Ma è un’apnea continua…

Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni l’anno successivo vinse il Giro d’Italia sempre in maglia Lampre
La tappa dell’Angliru come si colloca all’interno di una Vuelta?

Fa paura. Fa male. E’ una salita su cui non si fanno distacchi enormi. Questo perché tutti vanno su sfidando la pendenza senza far scorrere più di tanto la bici. E’ difficile fare attacchi e non fare fuori giri. E’ vero che se si becca la giornata storta ci si può fare male, ma con i rapporti che utilizzano oggi uno in qualche modo si salva. Se uno in crisi si trovasse ad affrontarla con i rapporti che utilizzavamo noi nel 2000 allora sì che sprofonderebbe in classifica.

Chi vedresti come favorito su una salita così? 

Direi che bene o male, tutti gli scalatori, sono favoriti. Corridori come Vingegaard o Roglic possono puntarci, ma anche Evenepoel non lo vedo così sfavorito, abbiamo visto la sua potenza. Sarà una bella sfida, difficile fare un pronostico.

Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Hugh Carthy è l’ultimo vincitore dell’Angliru, affrontato nel 2020
Se dovessi dare un consiglio a un corridore che vuole vincere sull’Angliru, cosa gli diresti?

Se vogliono vincere devono fare come ho fatto io nel 2000. Evitare lo scontro diretto con i corridori di classifica e anticipare da lontano, arrivando con un distacco prezioso ai piedi della salita. C’è poco da consigliare, devi spingere quello che hai, quello che ti senti.

Se dovessi fare una classifica della salite più dure, l’Angliru dove la metteresti?

Una delle top. Anche se devo dire che quella che mi ha impressionato di più forse è Punta Veleno. E’ terribile. Però non riesco a fare una classifica. Diciamo che i numeri delle pendenze la fanno da sè. Poi si va sull’esperienza personale. Perché ci sono salite dure come Mortirolo e Zoncolan che puoi affrontare in situazioni differenti e dire che sono più o meno dure. E’ una cosa molto personale il giudizio. Lo stesso Angliru mi ricordo che nel 2003 l’ho rifatto con Casagrande ed ero in lotta per la classifica e mi fece molto più male rispetto al 2000. 

Giro 2003, rileggiamo il romanzo con Garzelli

30.04.2023
6 min
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Rivivere a distanza di vent’anni quel che successe al Giro d’Italia del 2003 ha un che di romantico. E’ come un bel romanzo che si dipana capitolo dopo capitolo fino a svelare solamente alla fine il suo epilogo, incerto fino alla conclusione. Fu una bella edizione, quella, con protagonisti di primissimo piano e il fatto che fossero pressoché tutti italiani dà al tutto un pizzico di malinconia.

Uno di quei protagonisti al Giro c’è ancora, ma in altra veste. Stefano Garzelli, colonna della Rai, viene da giorni intensi, dopo aver fatto la spola fra il Belgio per seguire le classiche e le ricognizioni per le varie tappe della corsa rosa. Ripensare a quell’esperienza così lontana nel tempo, pietra miliare della sua giovinezza prima ancora che della sua carriera, riaccende antiche emozioni e lo allontana dalle frenesie quotidiane.

«E’ vero, ripensandoci è come un romanzo – afferma il varesino – ed è normale che viva i ricordi con un po’ di nostalgia perché fu un’edizione piena di significati, molti anche acquisiti dopo, ripensandoci perché fu l’ultima edizione con al via Marco Pantani».

Pantani e Garzelli sulle dure rampe dello Zoncolan. La gente è in visibilio…
Pantani e Garzelli sulle dure rampe dello Zoncolan. La gente è in visibilio…
Di primo acchito qual è l’immagine che ti viene subito in mente?

Se chiudo gli occhi è come se mi vedessi da fuori, mentre salgo sulle rampe dello Zoncolan insieme a Marco. Era la prima volta che si affrontava la dura salita friulana, erano rampe molto dure. Io e Marco affiancati, quelle due “teste smerigliate” sotto il cielo, uno di fianco all’altro, con la gente che ci incitava. Poi quella tappa la vinse Simoni, ma il primo ricordo che mi viene è proprio legato a quest’immagine. La più bella, la più indelebile nella memoria.

Che Giro fu?

Davvero molto bello e lo dico senza averlo vinto. Sulle prime ci rimani male, è logico che sia così, ma a distanza di tanto tempo credo sia stata una bella pagina di sport, tre settimane molto intense che disegnarono un’edizione rimasta nella storia, godibile dalla prima all’ultima tappa proprio come un romanzo, la definizione è esatta.

Prima tappa a Lecce, Petacchi batte Cipollini. Alla fine vincerà 6 tappe, 2 invece per l’iridato
Prima tappa a Lecce, Petacchi batte Cipollini. Alla fine vincerà 6 tappe, 2 invece per l’iridato
Anche tu hai subito citato Marco. Quella fu la sua ultima edizione prima della tragedia di Cesenatico. Che Pantani era quello contro cui ti confrontavi?

E’ stato probabilmente l’ultimo momento di spicco della sua carriera. Partì che non era ancora al massimo, ma trovò la condizione strada facendo e a tratti sembrava tornato quello di un tempo. Diede vita a prestazioni di alto livello, ma non aveva ancora la costanza di prima. In certi momenti però, quando scattava sui pedali era un’emozione vederlo anche per chi come me era in lotta con lui.

Non eravate più in squadra insieme…

No, eravamo avversari, ma questo non influiva sul nostro rapporto. Parlavamo tutti i giorni, in corsa e fuori, ci si incrociava al mattino prima del via. Si vedeva che finalmente era tranquillo e voleva essere competitivo. Aveva ancora la voglia di faticare per tornare il campione che era.

Pantani affranto dopo la caduta di Sampeyre. Eppure quello fu un Giro positivo per il Pirata, alla fine 14°
Pantani affranto dopo la caduta di Sampeyre. Eppure quello fu un Giro positivo per il Pirata, alla fine 14°
La prima settimana fu dedicata prevalentemente alle volate…

Sì, ma ci fu spazio anche per i capitani che puntavano alla classifica. Io mi aggiudicai la terza frazione, quella di Terme Luigiane dove si arrivò con un gruppo ampio, ma non era uno sprint per velocisti. Anticipai la volata e vinsi su Casagrande e Petacchi che conservò la maglia rosa. Io salii al secondo posto a 17” e cominciai a fare un pensierino al simbolo del primato.

Quattro giorni dopo un’altra vittoria, al Terminillo.

Di ben altra pasta, quella fu una giornata durissima, con distacchi enormi. A 5 chilometri dal traguardo eravamo rimasti in 4: io, Simoni, Noè e Tonkov. Si vedeva però che io e Simoni eravamo superiori, lui dava strattonate forti ma io tenevo. Mi affiancavo a lui e lo guardavo, per fargli capire che non mi faceva male. Poi in volata la spuntai e mi presi la maglia, gli altri presero belle botte (Casagrande oltre 2 minuti e mezzo, Pantani un altro in aggiunta, ndr).

L’acuto del Terminillo, il secondo al Giro 2003 valse a Garzelli la conquista della maglia rosa
L’acuto del Terminillo, il secondo al Giro 2003 valse a Garzelli la conquista della maglia rosa
Che cosa successe dopo?

A Faenza, Simoni si prese la maglia per soli 2” nella tappa vinta dal norvegese Arvesen. Sullo Zoncolan il campione trentino era rimasto staccato dopo la mia azione con Pantani, ma si riprese e conquistò altri 34”, ampliando poi il vantaggio nella frazione dell’Alpe di Pampeago, vinta ancora da lui, e nella cronometro di Bolzano. Era però ancora tutto da giocare, fino alla tappa di Chianale.

Quella della grande caduta…

Già, uno dei momenti più duri della mia carriera. Discesa, Simoni è davanti. La giornata è terribile: pioggia, grandine, asfalto che dire scivoloso è poco. Fa talmente freddo che la sensibilità alle mani è quasi nulla. Ma devo recuperare, quindi affronto la discesa del Sampeyre a tutta. Solo che prendo una curva a sinistra troppo forte, le ruote non tengono e volo via. Attaccato a me c’è Pantani e anche lui fa un bel ruzzolone. Siamo messi male, ci rialziamo dopo tempo e finiamo a 7 minuti. Il Giro in pratica finisce lì.

La terribile discesa del Sampeyre, con ghiaccio sulla strada. In 34 finirono fuori tempo massimo
La terribile discesa del Sampeyre, con ghiaccio sulla strada. In 34 finirono fuori tempo massimo
Rimpianti?

A dir la verità no, dovevo provarci. Le cadute fanno parte del ciclismo, anche quelle ne diventano la storia. Mi arrabbiai, tanto. Ma ora riguardo a quei momenti con uno stato d’animo diverso, per certi versi anche romantico.

Ci sono punti in comune tra quel Giro e quello che sta per partire?

Fare paragoni fra gare distanziate di vent’anni è troppo difficile. Il ciclismo è cambiato molto più di quanto dica il tempo, sono due epoche completamente diverse. Potrei dire che anche quel Giro nasceva sotto il marchio della sfida a due fra Simoni e me come effettivamente fu e come dovrebbe essere il prossimo incentrato sul confronto Evenepoel-Roglic. Ma le differenze sono enormi.

Simoni con Garzelli, i due favoriti della vigilia onorarono il pronostico finendo ai primi due posti
Simoni con Garzelli, i due favoriti della vigilia onorarono il pronostico finendo ai primi due posti
Tu hai lavorato alle ricognizioni delle tappe. Da quel punto di vista, come disegno generale, trovi affinità?

Il Giro è diverso ogni anno. Ci sono edizioni più dure ed edizioni meno, anni con salite storiche e anni con nuove ascese. Quest’anno ad esempio tornano le Tre Cime di Lavaredo e il Bondone che non è stato affrontato molto spesso. Quell’anno ci fu il Terminillo e stavolta si sale a Campo Imperatore. Ogni anno si cambia, ogni anno lo spettacolo si rinnova.

E l’atmosfera vissuta è diversa da quella di allora?

Quando la vivi da corridore ha un sapore diverso, sei parte di un grande show. Ora con il lavoro che faccio non riesco a godermi tanto quel che succede intorno, ho troppi pensieri a cui far fronte, ma non nascondo che quando sono all’arrivo, vedo la gente, la carovana che arriva qualcosa alla gola mi prende. E quando guardo la luce negli occhi di chi vince e di chi indossa la maglia rosa, mi accorgo che quella luce è la stessa di allora e di sempre.

Lanfranchi racconta Briancon, il Pirata e i giovani

18.12.2022
5 min
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«Quella tappa del Giro d’Italia (la Saluzzo-Briancon del 2000, ndr) rimane la ciliegina sulla torta della mia carriera, non capita tutti i giorni di lasciarsi alle spalle Pantani e Simoni». A raccontare l’aneddoto è Paolo Lanfranchi, che parlando di quel giorno fa una lieve risata e continua: «Anche la Gazzetta dello Sport titolò “Il coraggioso sbagliato nel giorno sbagliato”. La tappa successiva, la Torino-Milano, fu lo stesso Pantani che venne a congratularsi con me».

Lanfranchi (a sinistra) ha passato tanti anni accanto ai giovani, parlando ed insegnando ciclismo
Lanfranchi (a sinistra) ha passato tanti anni accanto ai giovani, parlando ed insegnando ciclismo

La ciliegina sulla torta

Il cielo sopra Milano, nella tarda mattinata di venerdì, è plumbeo e pesante, carico di pioggia che non si decide a venir giù. Paolo Lanfranchi si trova fermo in coda sulla tangenziale, tra meteo e traffico è facile far scivolare la mente verso ricordi più caldi

«Marco ed io – riprende Lanfranchi – nonostante non avessimo mai corso insieme ci volevamo bene, eravamo amici. Negli anni della Mercatone Uno ha provato a portarmi da lui, parlai anche con Magrini ma non se ne fece nulla. Pantani aveva un unico difetto, era troppo sensibile. Quel giorno, 2 giugno 2000, c’erano in programma Colle dell’Agnello e Izoard. Ebbi la fortuna di entrare in una fuga di trenta corridori che arrivò a guadagnare un bel po’ di minuti. Ci ripresero nella scalata dell’Izoard, lì Tonkov si staccò e io lo aspettai (i due erano compagni di squadra alla Mapei, ndr). Sapevo che nella discesa verso Briancon sarebbe stato fondamentale rientrare il prima possibile e così fu.

«ho rivisto quella gara proprio qualche giorno fa – confessa – e ho rivisto un dettaglio che negli anni avevo quasi dimenticato. Appena rientrati sul gruppetto di Pantani e Simoni, Tonkov mi fece un cenno ed io andai avanti per tirare. Gli altri, invece di seguirmi, mi lasciarono un paio di metri così continuai, la mia fortuna fu che dietro si guardarono e io riuscì a vincere».

La passione per la bici

Una volta smesso di andare in bici, Lanfranchi, ha iniziato a seguire qualche squadra juniores delle sue zone. Lui è di Gazzaniga, in provincia di Bergamo, una terra che dal ciclismo ha preso e dato tanto.

«Ho cominciato grazie ad un amico, all’inizio non ero sicuro di voler prendere un impegno simile, sapevo sarebbe diventato importante. Da qualche anno, a causa del lavoro, non lo faccio più, ma ora che sono vicino all’età pensionabile sto pensando di ritornare. Non ho mai smesso di amare la bici, è la mia vita. Sono entrato anche nel comitato tappe per Bergamo, e quest’anno il Giro arriverà proprio qui da noi. Insomma il mondo della bici mi ha dato tanto e mi piace l’idea di restituire qualcosa».

L’esasperazione per la categoria juniores non permette una maturazione completa (photors.it)
L’esasperazione per la categoria juniores non permette una maturazione completa (photors.it)

I ragazzini

La categoria juniores è da tempo al centro di tante discussioni: l’età media dei corridori professionisti si abbassa e molte squadre vengono qui a cercare i campioni del futuro. 

«Ormai si sta esasperando la categoria – dice con un tono serio Paolo – viene presa alla pari del dilettantismo. A mio modo di vedere il passaggio tra i professionisti di ragazzi così giovani non è corretto, ma questo è il meccanismo, e se non fai così rischi di rimanere escluso. E’ un’età in cui si deve imparare ancora molto, io ho sempre consigliato di fare doppia attività: ciclocross o pista. Però se ti trovi i ragazzi, o meglio i diesse, che sono impuntati sulla strada fai fatica ad emergere perché estremizzano già tutto. Gli anni da junior devono essere quelli dell’apprendimento, i ragazzi devono sbagliare e poter imparare da quell’errore. Io mi sono arrabbiato di più per gare vinte correndo male che per sconfitte arrivate dopo buone prestazioni».

Uno dei punti di forza di Consonni è stata l’umiltà, una caratteristica trasmessa dalla famiglia
Uno dei punti di forza di Consonni è stata l’umiltà, una caratteristica trasmessa dalla famiglia

I Genitori

«Il problema tra gli juniores – racconta – sono anche i genitori, non tutti ovviamente, ma molti non riescono a capire il proprio ruolo. I ragazzi non sono ancora maggiorenni, quindi non hanno la patente e devono essere accompagnati. Avere i genitori così presenti non è sempre un bene, i ragazzini a quell’età hanno bisogno anche di un po’ di indipendenza. Guardate che ci sono anche i genitori dietro i passaggi prematuri tra i professionisti, non sempre, ovvio, ma spesso sì. Molti ragazzi accantonano la scuola per andare in bici, ed i genitori glielo permettono, anzi a volte sono proprio loro a dirglielo. Ci sono anche delle realtà molto belle, nelle quali ho lavorato, dove si è creato un bel gruppo coeso di persone».

Secondo Lanfranchi, Consonni non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità su strada
Secondo Lanfranchi, Consonni non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità su strada

Si parla di Consonni

Nel parlare con Lanfranchi emergono due nomi importanti: quello di Rota e Consonni. I due corridori, entrambi bergamaschi, sono passati sotto il suo occhio vigile proprio quando erano juniores. 

«Il percorso migliore per arrivare professionista lo ha fatto Consonni – ci spiega Lanfranchi – lui aveva quel qualcosa in più, lo vedevi. La sua fortuna è stata di essere davvero un ragazzo umile e con la testa sulle spalle. E’ una caratteristica di famiglia, suo padre non lo ha mai esaltato o montato. Simone quando correva da junior era un leader silenzioso, mai una parola fuori posto. In più nonostante fosse forte non disdegnava di mettersi a disposizione dei compagni, gli volevano bene tutti. E lui era il primo ad essere felice per una vittoria di un compagno. Quando lavori per gli altri loro lo fanno per te, si tratta di dare e avere. A mio modo di vedere, su strada, non ha ancora espresso a pieno il suo potenziale».

Per Rota un passaggio prematuro tra i pro’ stava per frenarne la carriera
Per Rota un passaggio prematuro tra i pro’ stava per frenarne la carriera

Invece Rota…

«Lorenzo – riprende a raccontare – ha rischiato quasi di smettere. E’ passato professionista nel 2016, dopo due stagioni da under: una alla Mg.K Vis ed l’altra alla Trevigiani. Dopo quattro anni difficili era lì lì per smettere e se Scinto non gli avesse dato l’occasione per riscattarsi, avremmo perso un bel corridore. Ora è cresciuto molto ciclisticamente, ma sta ancora imparando. Avrebbe potuto e dovuto farlo prima».

Simoni deciso: «Gli juniores vanno rallentati, non velocizzati»

06.09.2022
4 min
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Gilberto Simoni se ne andava curiosando per il Giro della Lunigiana, con lo sguardo di chi c’è già stato e cerca ricordi negli angoli nascosti. Voleva tornarci, lo diceva da un po’, dopo averlo vinto nel 1989. Un’altra epoca, un altro ciclismo, eppure si lasciò alle spalle Davide Rebellin e Andrea Peron: due che di lì a qualche anno avrebbero fatto la loro grande carriera. Proprio come il trentino, arrivato in queste terre fra la Toscana e la Liguria come accompagnatore della squadra di casa.

Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)
Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)

Italiani e russi

Un altro ciclismo quello di allora. Meno mondializzato, per molti aspetti più facile. A farla da padroni erano i nostri e in alternativa c’erano i russi, tanto che se l’anno prima la vittoria era andata a Beppe Guerini, l’anno dopo il Lunigiana se lo pappò Pavel Tcherkasov e dopo di lui Mizourov, quindi Bruseghin e a seguire Kokorine.

E così, in attesa delle premiazioni nel giorno di Fivizzano, decisivo per la vittoria di Antonio Morgado, abbiamo intercettato il suo sguardo e cercato di capire come sia stato tornare negli stessi luoghi 33 anni dopo.

La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
Vedi differenze?

Sapete, nel 1989 ero in gara, non è che vedessi la corsa da fuori. Credo che anche allora fosse intensa. Qua ci sono i più forti. Non voglio dire che sia un mondiale tutti i giorni, ma un Tour de France sicuramente, un Giro d’Italia. Il modo di correre dei ragazzi oggi è molto impetuoso, ma io vedo differenze soprattutto nella tecnologia. Hanno bici molto prestanti, mentre l’uomo credo che sia ancora quello…

Qual è il tuo ruolo?

Non sono il loro direttore sportivo, per quello c’è Stefano Sartori. Io mi sono solo offerto di accompagnarli e dare una mano. Era un po’ che volevo venire al Lunigiana e non avevo mai trovato l’occasione. E a un certo punto mi sono detto: «O ci vengo da turista o da accompagnatore». Ho trovato l’occasione di fare l’uno e l’altro…

Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Dici che l’uomo è sempre quello, ma loro dal prossimo anno potrebbero già passare. Tu lo facesti cinque anni dopo aver vinto il Lunigiana…

E’ tutto sbagliato, da qualche tempo vedo solo cose sbagliate, quindi… E’ un discorso che non finisce più. Già il fatto che l’anno prossimo liberalizzeranno i rapporti

Non sei favorevole?

Voglio vedere come faranno gli organizzatori a gestire questi ragazzi.  Aumenteranno sicuramente le medie, non tanto per le prestazioni, ma sicuramente ci sarà differenza maggiore tra chi va piano e chi va forte. Aumenterà la distanza tra la testa e la fine della corsa…

Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
E’ il nuovo che avanza…

Quella degli juniores è una categoria che andrebbe rallentata, non velocizzata. L’altro giorno si è fatta la semitappa del mattino a quasi 49 di media. Sfido i professionisti a stare qui in mezzo. Quel che vedo è che c’è in giro una banda di incompetenti. Il ciclismo italiano ha sempre fatto scuola nel mondo e non è che se gli altri in giro corrono con i rapporti liberi, dobbiamo farlo anche noi. Tanti corridori sono arrivati al successo passando per l’Italia, eppure noi italiani non insegniamo più niente a nessuno. Anche se ci hanno sempre copiato. 

Cosa faresti?

Tutelerei di più questa categoria, perché è da qui che si tirano fuori i buoni corridori. Ripartiamo dagli juniores, facciamoli crescere bene e poi ne riparliamo.

Le storie del Mortirolo, Basso racconta

24.05.2022
5 min
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Il 28 maggio del 2010 era un venerdì e Basso aveva ancora 2’28” dalla maglia rosa di Arroyo (in apertura, Ivan con Scarponi sul Mortirolo). Quel Giro era cominciato in modo balordo, con la fuga di L’Aquila che aveva spinto avanti coloro che ci avevano creduto e affossato le ambizioni degli altri. Ma la Liquigas non si era arresa e alla vigilia della tappa di Aprica, Basso aveva già recuperato 9’21”. Ancora poco, rispetto agli 11’49” di quella sera maledetta in Abruzzo, all’ombra delle case ancora devastate dal sisma dell’anno prima.

«Si facevano Aprica e Trivigno – ricorda Ivan – poi il Mortirolo da Mazzo, discesa su Edolo e ancora Aprica. Dovevo giocarmi tutto sul Mortirolo, il giorno dopo sul Tonale si poteva fare poco. Dovevo mandarlo in crisi. Su quella salita, se la attacchi subito forte, fai i distacchi veri. Fu un Giro tutto particolare, dovendo sempre recuperare. Fu un vero sfinimento…».

Il Mortirolo e la rosa

Il Mortirolo torna oggi per una di quelle tappe che, soprattutto all’indomani del riposo, ha sempre fatto tremare i polsi.

«Sicuramente sarà decisivo – prosegue Basso – considerando il blocco del weekend appena passato, con Torino e Cogne e quello che verrà poi, con Lavarone e Marmolada. Chi esce in maglia rosa dal Mortirolo, difficilmente sarà spodestato. Se ne hai per fare la differenza nel penultimo weekend, di solito vai a crescere…».

Ricordi di bambino

Per il varesino che oggi porta avanti la sua Eolo-Kometa, quella salita significa anche altro e affonda le radici nel ricordo dell’infanzia e della casa materna a Bianzone.

«Mia mamma era di là – conferma, ricordando la signora Nives scomparsa troppo presto – e la tappa passa a poche centinaia di metri dalla casa in cui sono cresciuto. Ho tenuto la baita più alta, a 1.600 metri e mi capita spesso di andarci. Sul Mortirolo ci salii per la prima volta a 11 anni, con una mountain bike in acciaio che pesava 11 chili. La prima salita su bici da corsa fu lo Stelvio, ma non avevo i rapporti per il Mortirolo. Serviva la tripla e in un paio di tornanti misi anche piede a terra. Quando da bambino facevo queste salite, sognavo che da grande le avrei fatte al Giro d’Italia. Per me il ciclismo era la sigla della Rai, con Jesper Skibby che si buttava in quella discesa e la musica della Turandot in sottofondo, con il Vincerò di Pavarotti. Quelli sono i miei ricordi. La corsa si guardava in tivù, ora vedo Santiago che si collega col cellulare ovunque si trovi…».

Pantani vinse ad Aprica, scalando Mortirolo e Santa Cristina. Era il 1994.
Pantani vinse ad Aprica, scalando Mortirolo e Santa Cristina. Era il 1994.

Attesa della Ineos

Il Mortirolo di questa volta sale da Monno e affronta la direttissima, un tratto che in allenamento era una sorta di banco di prova per Contador, legato alla Valtellina da antica amicizia.

«Il Mortirolo – conferma Basso – è lo spartiacque che condiziona la corsa. Il versante più cattivo e vero è quello di Mazzo, perché è quello che ha fatto la storia. Ma alla fine ognuno ha le sue caratteristiche. E’ la salita che in gruppo temono di più in assoluto, poi bisogna anche vedere a che punto della corsa viene affrontata, perché ovviamente l’interpretazione di corsa sarà diversa. In una tappa come quella di oggi, mi aspetto che la Ineos faccia la differenza. Non lasciamoci condizionare da quello che abbiamo visto sul Blockhaus e a Torino, quelle non erano tappe per loro…».

Giro del 2006, sul Mortirolo il duello fra Basso e Simoni, con tanto di polemica
Giro del 2006, sul Mortirolo il duello fra Basso e Simoni, con tanto di polemica

Quella volta con Simoni

La tappa parte da Salò. Affronta subito il Crocedomini, poi va a Monno per addentare il Mortirolo. E alla fine propone la salita di Teglio da Bianzone e quella del Santa Cristina, che nel 1994 lanciò Pantani verso lo stesso traguardo di Aprica. Fra i ricordi di Basso c’è anche quello: aveva ancora 15 anni. E poi il Mortirolo del 2006, quello con Simoni e della grande litigata sul traguardo di Aprica.

«Il Mortirolo di Pantani nel 1994 – ricorda Basso – lo vidi in televisione. Sono di quelle immagini che non dimentichi. Nel 2006 invece avevo già un vantaggio importante, volli vincere la tappa. Quell’episodio ormai è passato. Ci siamo chiariti. E adesso andiamo alle corse per seguire i nostri figli».