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Lanfranchi racconta Briancon, il Pirata e i giovani

18.12.2022
5 min
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«Quella tappa del Giro d’Italia (la Saluzzo-Briancon del 2000, ndr) rimane la ciliegina sulla torta della mia carriera, non capita tutti i giorni di lasciarsi alle spalle Pantani e Simoni». A raccontare l’aneddoto è Paolo Lanfranchi, che parlando di quel giorno fa una lieve risata e continua: «Anche la Gazzetta dello Sport titolò “Il coraggioso sbagliato nel giorno sbagliato”. La tappa successiva, la Torino-Milano, fu lo stesso Pantani che venne a congratularsi con me».

Lanfranchi (a sinistra) ha passato tanti anni accanto ai giovani, parlando ed insegnando ciclismo
Lanfranchi (a sinistra) ha passato tanti anni accanto ai giovani, parlando ed insegnando ciclismo

La ciliegina sulla torta

Il cielo sopra Milano, nella tarda mattinata di venerdì, è plumbeo e pesante, carico di pioggia che non si decide a venir giù. Paolo Lanfranchi si trova fermo in coda sulla tangenziale, tra meteo e traffico è facile far scivolare la mente verso ricordi più caldi

«Marco ed io – riprende Lanfranchi – nonostante non avessimo mai corso insieme ci volevamo bene, eravamo amici. Negli anni della Mercatone Uno ha provato a portarmi da lui, parlai anche con Magrini ma non se ne fece nulla. Pantani aveva un unico difetto, era troppo sensibile. Quel giorno, 2 giugno 2000, c’erano in programma Colle dell’Agnello e Izoard. Ebbi la fortuna di entrare in una fuga di trenta corridori che arrivò a guadagnare un bel po’ di minuti. Ci ripresero nella scalata dell’Izoard, lì Tonkov si staccò e io lo aspettai (i due erano compagni di squadra alla Mapei, ndr). Sapevo che nella discesa verso Briancon sarebbe stato fondamentale rientrare il prima possibile e così fu.

«ho rivisto quella gara proprio qualche giorno fa – confessa – e ho rivisto un dettaglio che negli anni avevo quasi dimenticato. Appena rientrati sul gruppetto di Pantani e Simoni, Tonkov mi fece un cenno ed io andai avanti per tirare. Gli altri, invece di seguirmi, mi lasciarono un paio di metri così continuai, la mia fortuna fu che dietro si guardarono e io riuscì a vincere».

La passione per la bici

Una volta smesso di andare in bici, Lanfranchi, ha iniziato a seguire qualche squadra juniores delle sue zone. Lui è di Gazzaniga, in provincia di Bergamo, una terra che dal ciclismo ha preso e dato tanto.

«Ho cominciato grazie ad un amico, all’inizio non ero sicuro di voler prendere un impegno simile, sapevo sarebbe diventato importante. Da qualche anno, a causa del lavoro, non lo faccio più, ma ora che sono vicino all’età pensionabile sto pensando di ritornare. Non ho mai smesso di amare la bici, è la mia vita. Sono entrato anche nel comitato tappe per Bergamo, e quest’anno il Giro arriverà proprio qui da noi. Insomma il mondo della bici mi ha dato tanto e mi piace l’idea di restituire qualcosa».

L’esasperazione per la categoria juniores non permette una maturazione completa (photors.it)
L’esasperazione per la categoria juniores non permette una maturazione completa (photors.it)

I ragazzini

La categoria juniores è da tempo al centro di tante discussioni: l’età media dei corridori professionisti si abbassa e molte squadre vengono qui a cercare i campioni del futuro. 

«Ormai si sta esasperando la categoria – dice con un tono serio Paolo – viene presa alla pari del dilettantismo. A mio modo di vedere il passaggio tra i professionisti di ragazzi così giovani non è corretto, ma questo è il meccanismo, e se non fai così rischi di rimanere escluso. E’ un’età in cui si deve imparare ancora molto, io ho sempre consigliato di fare doppia attività: ciclocross o pista. Però se ti trovi i ragazzi, o meglio i diesse, che sono impuntati sulla strada fai fatica ad emergere perché estremizzano già tutto. Gli anni da junior devono essere quelli dell’apprendimento, i ragazzi devono sbagliare e poter imparare da quell’errore. Io mi sono arrabbiato di più per gare vinte correndo male che per sconfitte arrivate dopo buone prestazioni».

Uno dei punti di forza di Consonni è stata l’umiltà, una caratteristica trasmessa dalla famiglia
Uno dei punti di forza di Consonni è stata l’umiltà, una caratteristica trasmessa dalla famiglia

I Genitori

«Il problema tra gli juniores – racconta – sono anche i genitori, non tutti ovviamente, ma molti non riescono a capire il proprio ruolo. I ragazzi non sono ancora maggiorenni, quindi non hanno la patente e devono essere accompagnati. Avere i genitori così presenti non è sempre un bene, i ragazzini a quell’età hanno bisogno anche di un po’ di indipendenza. Guardate che ci sono anche i genitori dietro i passaggi prematuri tra i professionisti, non sempre, ovvio, ma spesso sì. Molti ragazzi accantonano la scuola per andare in bici, ed i genitori glielo permettono, anzi a volte sono proprio loro a dirglielo. Ci sono anche delle realtà molto belle, nelle quali ho lavorato, dove si è creato un bel gruppo coeso di persone».

Secondo Lanfranchi, Consonni non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità su strada
Secondo Lanfranchi, Consonni non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità su strada

Si parla di Consonni

Nel parlare con Lanfranchi emergono due nomi importanti: quello di Rota e Consonni. I due corridori, entrambi bergamaschi, sono passati sotto il suo occhio vigile proprio quando erano juniores. 

«Il percorso migliore per arrivare professionista lo ha fatto Consonni – ci spiega Lanfranchi – lui aveva quel qualcosa in più, lo vedevi. La sua fortuna è stata di essere davvero un ragazzo umile e con la testa sulle spalle. E’ una caratteristica di famiglia, suo padre non lo ha mai esaltato o montato. Simone quando correva da junior era un leader silenzioso, mai una parola fuori posto. In più nonostante fosse forte non disdegnava di mettersi a disposizione dei compagni, gli volevano bene tutti. E lui era il primo ad essere felice per una vittoria di un compagno. Quando lavori per gli altri loro lo fanno per te, si tratta di dare e avere. A mio modo di vedere, su strada, non ha ancora espresso a pieno il suo potenziale».

Per Rota un passaggio prematuro tra i pro’ stava per frenarne la carriera
Per Rota un passaggio prematuro tra i pro’ stava per frenarne la carriera

Invece Rota…

«Lorenzo – riprende a raccontare – ha rischiato quasi di smettere. E’ passato professionista nel 2016, dopo due stagioni da under: una alla Mg.K Vis ed l’altra alla Trevigiani. Dopo quattro anni difficili era lì lì per smettere e se Scinto non gli avesse dato l’occasione per riscattarsi, avremmo perso un bel corridore. Ora è cresciuto molto ciclisticamente, ma sta ancora imparando. Avrebbe potuto e dovuto farlo prima».

Simoni deciso: «Gli juniores vanno rallentati, non velocizzati»

06.09.2022
4 min
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Gilberto Simoni se ne andava curiosando per il Giro della Lunigiana, con lo sguardo di chi c’è già stato e cerca ricordi negli angoli nascosti. Voleva tornarci, lo diceva da un po’, dopo averlo vinto nel 1989. Un’altra epoca, un altro ciclismo, eppure si lasciò alle spalle Davide Rebellin e Andrea Peron: due che di lì a qualche anno avrebbero fatto la loro grande carriera. Proprio come il trentino, arrivato in queste terre fra la Toscana e la Liguria come accompagnatore della squadra di casa.

Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)
Simoni vinse la corsa nel 1989, precedendo Rebellin e Peron (foto Giro della Lunigiana)

Italiani e russi

Un altro ciclismo quello di allora. Meno mondializzato, per molti aspetti più facile. A farla da padroni erano i nostri e in alternativa c’erano i russi, tanto che se l’anno prima la vittoria era andata a Beppe Guerini, l’anno dopo il Lunigiana se lo pappò Pavel Tcherkasov e dopo di lui Mizourov, quindi Bruseghin e a seguire Kokorine.

E così, in attesa delle premiazioni nel giorno di Fivizzano, decisivo per la vittoria di Antonio Morgado, abbiamo intercettato il suo sguardo e cercato di capire come sia stato tornare negli stessi luoghi 33 anni dopo.

La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
La differenza più grande individuata da Simoni sta nella qualità delle bici, pari a quelle dei pro’
Vedi differenze?

Sapete, nel 1989 ero in gara, non è che vedessi la corsa da fuori. Credo che anche allora fosse intensa. Qua ci sono i più forti. Non voglio dire che sia un mondiale tutti i giorni, ma un Tour de France sicuramente, un Giro d’Italia. Il modo di correre dei ragazzi oggi è molto impetuoso, ma io vedo differenze soprattutto nella tecnologia. Hanno bici molto prestanti, mentre l’uomo credo che sia ancora quello…

Qual è il tuo ruolo?

Non sono il loro direttore sportivo, per quello c’è Stefano Sartori. Io mi sono solo offerto di accompagnarli e dare una mano. Era un po’ che volevo venire al Lunigiana e non avevo mai trovato l’occasione. E a un certo punto mi sono detto: «O ci vengo da turista o da accompagnatore». Ho trovato l’occasione di fare l’uno e l’altro…

Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Secondo giorno, la prima semitappa vinta da Bozzola si è corsa a 48,708 di media con il 52×14 (photors.it)
Dici che l’uomo è sempre quello, ma loro dal prossimo anno potrebbero già passare. Tu lo facesti cinque anni dopo aver vinto il Lunigiana…

E’ tutto sbagliato, da qualche tempo vedo solo cose sbagliate, quindi… E’ un discorso che non finisce più. Già il fatto che l’anno prossimo liberalizzeranno i rapporti

Non sei favorevole?

Voglio vedere come faranno gli organizzatori a gestire questi ragazzi.  Aumenteranno sicuramente le medie, non tanto per le prestazioni, ma sicuramente ci sarà differenza maggiore tra chi va piano e chi va forte. Aumenterà la distanza tra la testa e la fine della corsa…

Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
Simoni ha seguito il Lunigiana come accompagnatore del team del Trentino
E’ il nuovo che avanza…

Quella degli juniores è una categoria che andrebbe rallentata, non velocizzata. L’altro giorno si è fatta la semitappa del mattino a quasi 49 di media. Sfido i professionisti a stare qui in mezzo. Quel che vedo è che c’è in giro una banda di incompetenti. Il ciclismo italiano ha sempre fatto scuola nel mondo e non è che se gli altri in giro corrono con i rapporti liberi, dobbiamo farlo anche noi. Tanti corridori sono arrivati al successo passando per l’Italia, eppure noi italiani non insegniamo più niente a nessuno. Anche se ci hanno sempre copiato. 

Cosa faresti?

Tutelerei di più questa categoria, perché è da qui che si tirano fuori i buoni corridori. Ripartiamo dagli juniores, facciamoli crescere bene e poi ne riparliamo.

Le storie del Mortirolo, Basso racconta

24.05.2022
5 min
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Il 28 maggio del 2010 era un venerdì e Basso aveva ancora 2’28” dalla maglia rosa di Arroyo (in apertura, Ivan con Scarponi sul Mortirolo). Quel Giro era cominciato in modo balordo, con la fuga di L’Aquila che aveva spinto avanti coloro che ci avevano creduto e affossato le ambizioni degli altri. Ma la Liquigas non si era arresa e alla vigilia della tappa di Aprica, Basso aveva già recuperato 9’21”. Ancora poco, rispetto agli 11’49” di quella sera maledetta in Abruzzo, all’ombra delle case ancora devastate dal sisma dell’anno prima.

«Si facevano Aprica e Trivigno – ricorda Ivan – poi il Mortirolo da Mazzo, discesa su Edolo e ancora Aprica. Dovevo giocarmi tutto sul Mortirolo, il giorno dopo sul Tonale si poteva fare poco. Dovevo mandarlo in crisi. Su quella salita, se la attacchi subito forte, fai i distacchi veri. Fu un Giro tutto particolare, dovendo sempre recuperare. Fu un vero sfinimento…».

Il Mortirolo e la rosa

Il Mortirolo torna oggi per una di quelle tappe che, soprattutto all’indomani del riposo, ha sempre fatto tremare i polsi.

«Sicuramente sarà decisivo – prosegue Basso – considerando il blocco del weekend appena passato, con Torino e Cogne e quello che verrà poi, con Lavarone e Marmolada. Chi esce in maglia rosa dal Mortirolo, difficilmente sarà spodestato. Se ne hai per fare la differenza nel penultimo weekend, di solito vai a crescere…».

Ricordi di bambino

Per il varesino che oggi porta avanti la sua Eolo-Kometa, quella salita significa anche altro e affonda le radici nel ricordo dell’infanzia e della casa materna a Bianzone.

«Mia mamma era di là – conferma, ricordando la signora Nives scomparsa troppo presto – e la tappa passa a poche centinaia di metri dalla casa in cui sono cresciuto. Ho tenuto la baita più alta, a 1.600 metri e mi capita spesso di andarci. Sul Mortirolo ci salii per la prima volta a 11 anni, con una mountain bike in acciaio che pesava 11 chili. La prima salita su bici da corsa fu lo Stelvio, ma non avevo i rapporti per il Mortirolo. Serviva la tripla e in un paio di tornanti misi anche piede a terra. Quando da bambino facevo queste salite, sognavo che da grande le avrei fatte al Giro d’Italia. Per me il ciclismo era la sigla della Rai, con Jesper Skibby che si buttava in quella discesa e la musica della Turandot in sottofondo, con il Vincerò di Pavarotti. Quelli sono i miei ricordi. La corsa si guardava in tivù, ora vedo Santiago che si collega col cellulare ovunque si trovi…».

Pantani vinse ad Aprica, scalando Mortirolo e Santa Cristina. Era il 1994.
Pantani vinse ad Aprica, scalando Mortirolo e Santa Cristina. Era il 1994.

Attesa della Ineos

Il Mortirolo di questa volta sale da Monno e affronta la direttissima, un tratto che in allenamento era una sorta di banco di prova per Contador, legato alla Valtellina da antica amicizia.

«Il Mortirolo – conferma Basso – è lo spartiacque che condiziona la corsa. Il versante più cattivo e vero è quello di Mazzo, perché è quello che ha fatto la storia. Ma alla fine ognuno ha le sue caratteristiche. E’ la salita che in gruppo temono di più in assoluto, poi bisogna anche vedere a che punto della corsa viene affrontata, perché ovviamente l’interpretazione di corsa sarà diversa. In una tappa come quella di oggi, mi aspetto che la Ineos faccia la differenza. Non lasciamoci condizionare da quello che abbiamo visto sul Blockhaus e a Torino, quelle non erano tappe per loro…».

Giro del 2006, sul Mortirolo il duello fra Basso e Simoni, con tanto di polemica
Giro del 2006, sul Mortirolo il duello fra Basso e Simoni, con tanto di polemica

Quella volta con Simoni

La tappa parte da Salò. Affronta subito il Crocedomini, poi va a Monno per addentare il Mortirolo. E alla fine propone la salita di Teglio da Bianzone e quella del Santa Cristina, che nel 1994 lanciò Pantani verso lo stesso traguardo di Aprica. Fra i ricordi di Basso c’è anche quello: aveva ancora 15 anni. E poi il Mortirolo del 2006, quello con Simoni e della grande litigata sul traguardo di Aprica.

«Il Mortirolo di Pantani nel 1994 – ricorda Basso – lo vidi in televisione. Sono di quelle immagini che non dimentichi. Nel 2006 invece avevo già un vantaggio importante, volli vincere la tappa. Quell’episodio ormai è passato. Ci siamo chiariti. E adesso andiamo alle corse per seguire i nostri figli».

Blockhaus, Santa Cristina e Fedaia: quale farà più male?

21.11.2021
5 min
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Il prossimo Giro d’Italia si annuncia a dir poco tosto. Propone tante salite, ma tre sembrano essere più dure delle altre. Non solo, ma si annunciano anche decisive visto che sono all’arrivo. Di quali scalate parliamo? Blockhaus, Santa Cristina e Fedaia (in apertura il tratto spettacolare nei Serrai di Sottoguda).

Per analizzare meglio questi tre “giganti” ci siamo rivolti a Gilberto Simoni che queste salite le conosce bene. Nella sua carriera le ha affrontate in corsa sin da dilettante, come il Blockhaus. Gibo di scalate se ne intende visto che ci ha costruito i suoi successi più prestigiosi.

Simoni al termine della Chieti-Blockhaus al Giro 2009
Simoni al termine della Chieti-Blockhaus al Giro 2009

Numeri simili, durezze differenti

Si tratta di tre salite lunghe e, almeno numericamente, somiglianti. Il Blockhaus misura: 13,6 chilometri, 1.141 metri di dislivello e ha una pendenza media dell’8,4 %. Il Santa Cristina: 13,5 chilometri, 1.078 metri di dislivello e una pendenza media dell’8%. Infine il Passo Fedaia conta: 14 chilometri, 1.062 metri di dislivello e una pendenza media del 7,6%.

Ma in salita i numeri contano fino a un certo punto. Porzioni, segmenti, tipologia dei tornanti (se spianano o tirano), meteo… Ogni scalata ha la sua storia e il suo DNA.

Il Blockhaus si scalerà nel corso della 9ª tappa (187 chilometri) con partenza da Chieti
Il Blockhaus si scalerà nel corso della 9ª tappa (187 chilometri) con partenza da Chieti

La lunghezza del Blockhaus

«Il Blockhaus  – ricorda Simoni – lo feci la prima volta da dilettante. Arrivai secondo. Mi sembra salissimo dal versante di Passo Lanciano. Ero con il mio compagno Amilcare Tronca che morì poi per un incidente stradale. Io ero in maglia di campione italiano e la squadra voleva che vincessi. Quasi litigammo affinché si prendesse quella tappa. Lui voleva essere fedele agli ordini di squadra. Ma io avevo già vinto 16 corse e gli dissi di stare tranquillo. Tante volte mi aveva aiutato ed era giusto che vincesse lui».

«Per il resto – aggiunge Gilberto – si tratta di una salita molto lunga. E’ la prima vera scalata del Giro. Anche l’Etna non è cosa da poco, ma lì si può stare bene anche a ruota. Chi attacca sul vulcano rischia di fare la fine del topo con quella pendenza e la strada larga. Sul Blockhaus invece non è così.

«Queste salite appenniniche di inizio Giro recano sempre un po’ d’incertezza. Fanno paura, non si sa mai come sono i valori in campo. In ogni caso questa salita sarà un bello spartiacque e metterà subito in evidenza i veri protagonisti del Giro. Il dislivello è importante».

Il Santa Cristina non è sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica
Il Santa Cristina non è sede di arrivo ma è vicinissima al traguardo dell’Aprica

Gli strappi del Santa Cristina

Gibo ha sottolineato il dislivello e la lunghezza del monte abruzzese e infatti parliamo di scalate che durano oltre 40 minuti che, come detto, sono molto simili. Ipotizzando una VAM (velocità ascensionale media) di 1.500 metri all’ora, queste tre salite durano rispettivamente: 45′, 43′ e 42′. Chiaramente questo “su carta”, poi s’innescano discorsi tattici, la fatica che si accumula in una corsa a tappe, il meteo. L’anno scorso per esempio Yates toccò una VAM di 1.700 quando vinse a Sega di Ala.

«Il Santa Cristina – riprende Simoni – di solito lo si faceva dopo aver scalato il Mortirolo e scendendo dall’Aprica, stavolta invece si attacca dal basso. Quindi per la prima parte la strada è quella che porta all’Aprica, appunto, ma dal versante valtellinese. Poi dal bivio, a circa metà salita, cambia tutto. La strada diventa stretta, ci sono dei tornanti. Ricordo che ci sono delle rampe con strappi duri.

«Una scalata del genere non la puoi subire. Devi attaccare, devi stare davanti, altrimenti se ti difendi con tutti quei cambi di ritmo rischi di fare molta fatica ad inseguire».

Il Passo Fedaia è l’ultima grande scalata del Giro. I 5 chilometri finali sono durissimi
Il Passo Fedaia è l’ultima grande scalata del Giro. I 5 chilometri finali sono durissimi

La durezza del Fedaia

Gibo esalta subito la durezza della Marmolada. Per lui questa è la più dura delle tre, anche se, numeri alla mano, sembra la più “gentile”, ma è per questo che ascoltiamo il parere dei corridori!

E poi conta il profilo. E allora nel caso del Fedaia se si considera che nei tratti iniziali spesso la strada spiana, quel 7,6 per cento di pendenza media è ingannevole. Esattamente come diceva ieri Fabbro del Kolovrat: «E’ 9 per cento, ma nel mezzo spiana e c’è discesa». 

«Queste salite troppo dure – conclude Simoni – a volte bloccano la corsa. Un po’ come si è visto su Mortirolo o Zoncolan. Se attacchi, rischi di pagare. E allora per me non devi guardare nessuno. Devi prendere e salire al meglio che puoi: né attaccare, né difenderti. Se attacchi magari guadagni 10”. Però è anche vero che siamo nel finale del Giro e bisognerà vedere quali saranno i giochi in ballo.

«Per me non cambierà troppo le sorti del Giro. Tante volte la tattica conta poco in questi casi. Sai che arrivi lì e ti giochi tutto, semmai conta maggiormente in tappe più facili».

Fedaia: i 5 chilometri finali sono durissimi. In fondo l’uscita dai “drittoni” in corrispondenza di Capanna Bill
Fedaia: i 5 chilometri finali sono durissimi. In fondo l’uscita dai “drittoni” in corrispondenza di Capanna Bill

Quei 24′ sul Fedaia

E probabilmente alla fine Gibo ha ragione quando dice che la mitica Marmolada, il Passo Fedaia, è il più duro. E anche i numeri sono dalla sua parte. No, non ci stiamo contraddicendo!

Consideriamo anche la quota. E’ l’unica di queste tre salite che supera i 2.000 metri, è l’ultima del Giro e poi il troncone duro è il più impegnativo. Perché alla fine, proprio per ovviare al dato della pendenza media, bisogna sezionare il tratto più tosto.

Il Blockhaus è il più regolare: tolto l’inizio è tutto impegnativo. Per 10 chilometri si sale attorno al 10 per cento e con una punta del 14 per cento.

Al contrario il Santa Cristina è il meno costante. Il suo troncone duro misura 6,6 chilometri nei quali la pendenza media è del 10,1 per cento con una punta del 16 (anche se l’altimetria ufficiale recita 13).

Infine il tratto duro del Fedaia è il più breve: “appena” 5,35 chilometri, da Malga Ciapela (uscita dei Serrai di Sottoguda) al valico, ma con una pendenza media dell’11,2 per cento e una punta del 18. 

Se dovessimo tornare a quei famosi dati VAM ipotizzati, i tre segmenti durerebbero rispettivamente: 36′, 27′ e 24′. E fare 5 chilometri in 24′ la dice lunga…

Quelli che… sanno esaltarsi sulle strade di casa

19.10.2021
4 min
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Abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’ultimo Giro di Lombardia, con la gente impazzita ai bordi della strada per fare il tifo per Fausto Masnada. Non un italiano qualsiasi, perché il corridore della Deceuninck-QuickStep correva sulle strade di casa, quelle nelle quali è vissuto e su cui ha sentito crescere dentro la passione viscerale per il ciclismo. Vivere un grande evento come il Giro di Lombardia sulle strade abituali, con il vicino di casa o l’amico del bar lì sul ciglio che si sgola per incitarti, ha un sapore speciale.

L’enfant du pays”: un’espressione resa famosa, nel mondo delle due ruote, da Adriano De Zan, che spesso la citava non solo nel citare i vincitori, ma anche semplici gregari che sfruttavano l’occasione del passaggio del Giro d’Italia o di qualsiasi altra manifestazione nel paese natio, chiedendo il permesso al gruppo per avvantaggiarsi, di quel tanto da permettergli un rapido saluto. Vestigia di un ciclismo che non c’è più, ora si è professionali sin dal via e certe deroghe non sono permesse quasi più…

Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni ha costruito sul Pordoi la vittoria al Giro 2001, lasciando poi la tappa allo spagnolo Perez Cuapio
Simoni Pordoi 2001
Gilberto Simoni ha costruito sul Pordoi la vittoria al Giro 2001, lasciando poi la tappa allo spagnolo Perez Cuapio

Mondiali, “nemo propheta in patria”…

E’ pur vero però che vincere in casa propria ha un sapore speciale. Ai mondiali, ad esempio, questo evento è successo solamente 12 volte e parliamo non di atleti che vincono nella propria città, ma nella nazione di appartenenza, un abbinamento riuscito per 4 volte al Belgio (ma la quinta alla quale tanto ambivano quest’anno non si è avverata…) e per 3 all’Italia, nel 1932 con Learco Guerra, nel 1968 con Vittorio Adorni e nel 2008 con Alessandro Ballan, ultimo in assoluto a riuscirci.

Citavamo Guerra, la storica “locomotiva umana” che la soddisfazione di vincere davanti ai suoi concittadini l’ha assaporata nel 1931: la prima tappa del Giro d’Italia arrivava quell’anno a Mantova e Guerra ci teneva tantissimo a conquistare la vittoria davanti alla sua gente, poter ripartire il giorno dopo con il simbolo del primato. Dopo 206 chilometri si mise alle spalle allo sprint Alfredo Binda e Michele Mara e non contento di ciò vinse anche il giorno successivo a Ravenna. Quel Giro per lui finì con 4 successi di tappa ma con il rammarico della brutta caduta a La Spezia che lo costrinse al ritiro.

Ulissi Etruschi 2017
Vittoria in solitudine per Diego Ulissi a Donoratico nel 2017: quelle erano le strade della sua quotidianità…
Ulissi Etruschi 2017
Vittoria in solitudine per Diego Ulissi a Donoratico nel 2017: quelle erano le strade della sua quotidianità…

Giro d’Italia, altra storia…

Giro d’Italia. Spesso corridori hanno cercato e anche trovato la vittoria sulle strade di casa, ma se dovessimo cercare un simbolo di queste immagini?

La mente non può che tornare a qualche anno fa, a Gilberto Simoni che sul Pordoi costruì le sue vittorie rosa, in uno stretto corridoio lasciato libero dai tifosi, spingendo sui pedali per infliggere un ritardo sempre maggiore agli avversari. Non è un caso se la carriera del trentino sia legata a doppio filo alla corsa rosa, che aveva un sapore assolutamente speciale proprio quando si transitava sulle salite di casa, quelle dove da bambino aveva lasciato vagare la fantasia vedendo i campioni dell’epoca compreso lo zio di sua moglie, un certo Francesco Moser

Che dire poi di Stefano Garzelli, che nel 2005 vinse la Tre Valli Varesine? Attendeva da 15 mesi di riassaporare il gusto dolce della vittoria, il finale della classica di casa lo aveva studiato nei minimi particolari percorrendolo e ripercorrendolo in allenamento, soprattutto gli ultimi 500 metri dove si mise alla ruota di Mazzoleni gregario di Cunego e anticipando la prevedibile mossa del veronese scattò per precedere Bernucci. La gara arrivava a Campione d’Italia, città nativa della madre e di residenza delle sorelle. Come poteva non vincere?

Nibali Sicilia 2021
Una vittoria per Nibali nel 2021, ma di grosso peso, nella sua Sicilia, alla sua maniera: tappa e maglia…
Nibali Sicilia 2021
Una vittoria per Nibali nel 2021, ma di grosso peso, nella sua Sicilia, alla sua maniera: tappa e maglia…

Di casa e di cuore

Un po’ lo stesso discorso che vale per Fabio Ulissi. Nel 2017 il nativo di Cecina, appena approdato al Uae Team Emirates, voleva subito impressionare i suoi nuovi “datori di lavoro” e sulle strade di casa, teatro della sua preparazione invernale, sfruttò proprio la conoscenza del percorso e in particolar modo della discesa verso Donoratico.

«La conosco a menadito – affermò dopo la premiazione – sono nato qua e potrei farla a occhi chiusi, sapendo dove rilanciare».

Due volte era finito sul podio senza cogliere il risultato al quale teneva di più: per la gente del luogo, quell’edizione è rimasta nel cuore. E poi, parlando di discesa, non è lo stesso principio che ha applicato Masnada?

Se si parla di “enfant du pays”, c’è un’immagine recente che si fa strada nella memoria. Per Vincenzo Nibali quelle lacrime versate all’arrivo della conclusione dell’ultimo Giro di Sicilia contengono infiniti significati. Immaginate che cosa significa tornare a vincere, dopo tutto quel che ha passato in questi ultimi due anni, quello che ha letto e sentito su di lui, quei dubbi esasperanti nel proprio animo, davanti alla propria gente, quella stessa gente lasciata tanti anni fa, lui come tanti siciliani, per trovare fortuna nel Continente? Non c’era posto migliore per tornare ad azzannare il successo per lo Squalo. Certe volte anche i grandi uomini piangono…

Da giovedì il Lunigiana, palestra per grandi campioni

28.08.2021
5 min
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Guardando l’albo d’oro del Giro della Lunigiana si capisce subito che per iscrivervi il tuo nome, devi andare davvero forte. Un elenco che è un concentrato di campioni, di corridori che già da “piccoli” hanno fatto vedere che avevano davvero una grande propensione per gli sforzi ripetuti, per le gare a tappe. Uno di loro però resterà unico: Corrado Donadio, vincitore della prima edizione.

La storia racconta che la gara toscana nacque nel 1975 come Giro della Bassa Lunigiana, una due giorni riservata ai dilettanti che vide Donadio, azzurro dell’epoca, conquistare il successo. La gara ebbe molto risalto tanto che la Federazione decise già dall’anno successivo d’inserirla nel calendario nazionale, cambiandole però categoria e facendone quello che poi sarebbe diventato il principale appuntamento a tappe per gli junior. Per questo Donadio resterà un “unicum”…

Simoni Lunigiana 1989
Un giovanissimo Gilberto Simoni vincitore del Lunigiana nel 1989, davanti a Davide Rebellin e Andrea Peron
Simoni Lunigiana 1989
Un giovanissimo Gilberto Simoni vincitore del Lunigiana nel 1989, davanti a Davide Rebellin e Andrea Peron

Una parata di campioni

Nel corso degli anni la gara organizzata dai dirigenti dell’Unione Sportiva Casano ha raccolto qualcosa come 6 futuri vincitori del Giro d’Italia: Franco Chioccioli, Gilberto Simoni, Danilo Di Luca, Damiano Cunego, Vincenzo Nibali e Tao Geoghegan Hart. Negli ultimi anni la caratteristica maglia verde è “caduta” su spalle nobili come quelle di Tadej Pogacar (2016) e Remco Evenepoel (2018), mentre l’ultimo entrato in quel famoso elenco è Andrea Piccolo, vincitore nel 2019, perché lo scorso anno il Covid ha chiuso ogni porta per la disputa dell’evento.

La parentesi si chiuderà da giovedì prossimo, poi fino a domenica saranno le ruote a parlare. L’edizione 2021 del Giro della Lunigiana si preannuncia apertissima e potete star certi che sarà una palestra frequentata dai campioni del domani. In gara 15 rappresentative regionali italiani e 15 nazionali estere, per un totale di 180 corridori: ogni team potrà schierare infatti solo 6 corridori, il che rende praticamente impossibile gestire la corsa.

Piccolo Lunigiana 2019
Piccolo, a destra, preceduto dal tedesco Brenner nella prima tappa 2019. Il Giro lo vincerà però l’azzurro
Piccolo Lunigiana 2019
Piccolo, a destra, preceduto dal tedesco Brenner nella prima tappa 2019. Il Giro lo vincerà però l’azzurro

Quattro giorni intensissimi

Si comincia quindi giovedì con la prima tappa, da Fiumaretta a La Spezia per complessivi 89 km e subito saranno fuochi d’artificio, con ben 4 Gran Premi della Montagna di cui la metà di prima categoria, a Pignone e a Biassa, da dove mancheranno solo una decina di chilometri per il traguardo, facile pensare che la classifica sarà già delineata.

Lunigiana tappa 1 2021
Giro della Lunigiana 2021, 1a tappa, Fiumaretta-La Spezia
Giro della Lunigiana 2021, 1a tappa, Fiumaretta-La Spezia

Il giorno dopo doppio appuntamento, come ormai nel ciclismo professionistico non avviene quasi più. La prima semitappa, di 55 km, va da Lerici a Sarzana, è un lungo viaggio completamente pianeggiante, qui è presumibile un arrivo in volata anche perché, considerando che le fatiche non saranno finite, molti team vorranno concentrare gli sforzi sulla preparazione dello sprint.

Lunigiana tappa 2 2021
Giro della Lunigiana 2021, 2ª tappa (1ªsemitappa: Lerici-Marinella di Sarzana)
Giro della Lunigiana 2021, 2ª tappa (1ªsemitappa: Lerici-Marinella di Sarzana)

Lunghezza quasi identica ma caratteristiche completamente diverse per la seconda semitappa: si va da Sarzana a Fosdinovo per 53,6 km, ma l’ultima decina è in salita fino all’arrivo coincidente con il Gpm di prima categoria. Qui ci si giocherà moltissimo in termini di classifica, chissà che qualcuno non voglia però anticipare gli scalatori…

Lunigiana tappa 2 seconda semi 2021
Giro della Lunigiana 2021, 2a tappa, 2a semitappa, Sarzana-Fosdinovo
Lunigiana tappa 2 seconda semi 2021
Giro della Lunigiana 2021, 2a tappa, 2a semitappa, Sarzana-Fosdinovo

A Fivizzano ci si gioca tutto

Al sabato frazione lunga, 104 km con partenza e arrivo a Fivizzano: una frazione per niente tranquilla… Ben 5 Gran Premi della Montagna e arrivo in salita, lo strappo finale che i concorrenti affronteranno tre volte entrando nel circuito conclusivo.

Lunigiana tappa 3 2021
Giro della Lunigiana 2021, 3a tappa, Fivizzano-Fivizzano
Lunigiana tappa 3 2021
Giro della Lunigiana 2021, 3a tappa, Fivizzano-Fivizzano

Chiusura domenicale con la tappa conclusiva di 106 km da Massa a Casano di Luni, anche questa con un circuito finale da affrontare due volte. Probabile che allora la classifica sarà definita, così non fosse c’è spazio per dare battaglia, magari da parte di quelle squadre in credito di risultati.

Lunigiana tappa 4 2021
Giro della Lunigiana 2021, 4a tappa, Massa-Casano di Luni
Lunigiana tappa 4 2021
Giro della Lunigiana 2021, 4a tappa, Massa-Casano di Luni

Che cosa attendersi dal Giro della Lunigiana? In chiave italiana sarà interessante capire il rendimento delle generazioni più giovani in una corsa a tappe già impegnativa. Ci lamentiamo spesso della difficoltà del ciclismo nazionale nel trovare nuovi interpreti per i grandi Giri, magari la prossima settimana ne sapremo di più sul futuro a lungo termine in questo dato settore. Anche per questo bici.pro sarà al seguito della carovana, alla ricerca di sorrisi azzurri per guardare al futuro con un po’ di ottimismo in più.

Europei di Trento: arriva Simoni e ne ha per tutti

19.07.2021
6 min
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Qualche giorno fa a Milano è stato sollevato il velo sull’estate a due ruote del Trentino. E così, oltre a svelare l’approdo della Coppa del mondo di ciclocross a Vermiglio, si è parlato molto dei campionati europei, che (fra cronometro e strada) si svolgeranno a Trento dall’8 al 12 settembre.

In attesa di descriverveli nei dettagli quando saremo più vicini all’appuntamento, appena il discorso è arrivato alla prova degli uomini, ha destato qualche stupore il fatto che essa si correrà sulla distanza di 179,2 chilometri, tipica a partire dal 2019 ma decisamente insolita vista l’importanza del titolo che assegna. Perciò se nessuna reazione l’annuncio del chilometraggio ha suscitato in chi era al corrente dell’abitudine ormai invalsa, agli ex atleti presenti è sorta qualche perplessità.

Ecco l’altimetria della prova in linea dei professionisti
Ecco l’altimetria della prova in linea dei professionisti

Italiani ed europei

Se Francesco Moser si è limitato a dire che quando correva lui, le corse erano tutte mediamente più lunghe, Simoni ha fatto un’interessante distinzione. Il trentino in particolare ha puntato l’attenzione su quella che a suo dire è un’incomprensibile differenza fra gli europei e i campionati italiani e con questo argomento si è rivolto al presidente Dagnoni.

«Ho sempre detto – spiega Simoni – che 250 chilometri a fine giugno per il campionato italiano non sono per i corridori e tantomeno per il pubblico. Non a caso, negli ultimi anni non l’ho mai fatto. Per bene che lo finisci, poi stai male per tre giorni, perché si corre ormai nelle giornate più calde dell’anno. C’è poca gente e secondo me chi si occupa dei calendari, non ci sta capendo molto. E se la data è bloccata, allora caliamo la distanza, perché 180-200 chilometri sono ancora respirabili. Oltre no».

Gilberto Simoni, seduto accanto a Francesco Moser ha parlato della lunghezza della gara (foto Giacomo Podetti)
Gilberto Simoni, seduto accanto a Francesco Moser ha parlato della lunghezza della gara (foto Giacomo Podetti)

Uec ed Eurovisione

Il tema della distanza in effetti è singolare. La prima edizione degli europei, vinti da Sagan a Plumelec, si corse sulla distanza di 232,9 chilometri e così fino al 2018 con i 230,4 chilometri di Glasgow. La riduzione avvenne l’anno dopo, nel 2019 ad Alkmaar, con la vittoria di Viviani sulla distanza di 172,6 chilometri. Il perché lo abbiamo chiesto al presidetnte della Uec, l’italiano Enrico Della Casa.

«Si prese la decisione a fine 2018 – conferma – insieme all’Eurovisione. Decidemmo di limitare il chilometraggio della prova su strada degli uomini elite, mettendo il tetto dei 180 chilometri. Si voleva vedere se ne sarebbero derivate gare più vivaci e senza quelle fughe un po’ noiose in partenza, tipiche ad esempio dei mondiali. Il risultato finora ci sta dando ragione, perché le corse sono state interessanti e le hanno vinte tutti grossi nomi.

«Nello stesso contesto, si è deciso di uniformare per tutti la lunghezza delle crono: uguali per tutti e in un range tra i 20 e i 30 chilometri. Molti dicono che per i pro’ siano brevi, ma è divertente vedere i confronti sui tempi che fanno i più giovani dopo aver corso sullo stesso percorso dei grandi. Per ora è così, se poi il Direttivo vorrà ripensarci, dopo Trento faremo il punto della situazione».

Borracce e rifiuti

Simoni precisa che l’europeo di Trento sarà duro e che la sua attenzione resta focalizzata sulle gare tricolori. Il ciclismo, dice, non ha una visione compatta. Si cambia per compartimenti isolati ed è dura convincere qualcuno della bontà dell’innovazione di un altro.

«E’ tutto uguale a quando ero esordiente – il trentino rincara la dose – quando non ci si rendeva conto di far parte di questo mondo. Prendiamo il discorso delle borracce. Vi pare normale che ancora le buttino? Ed è normale tirare una borraccia addosso a qualcuno? Possono mettere tutte le green zone che vogliono, ma diventano discariche. Credo che i corridori potrebbero prestare più attenzione a queste cose e portarsi i rifiuti all’arrivo. Non tanto per loro, ma per l’esempio che danno.

«Il fatto che si vieti di tenere le braccia come nelle crono per un professionista magari è un’ingiustizia, ma quando vedo che lo fanno anche i giovanissimi, allora dico che non va. Tempo fa ero in Friuli a una gara di giovani. Eravamo in mezzo alle montagne e c’era uno che non saliva neanche a spinta. E cosa ha fatto quando è arrivato in cima? Ha buttato le borracce. L’esempio deve partire dall’alto…».

Enrico Della Casa, presidente Uec, ha spiegato il perché del limite a 180 chilometri (foto Giacomo Podetti)
Enrico Della Casa, presidente Uec, ha spiegato il perché del limite a 180 chilometri (foto Giacomo Podetti)

I diritti degli atleti

Però non si può puntare sempre il dito sui corridori e Gilberto lo sa bene, avendo ben chiaro il ricordo di quando era ancora in gruppo.

«Vi faccio l’esempio delle volate – dice – che a me piacciono molto. Mi piace vedere queste sfide spalla a spalla, in cui a volte ci può scappare la caduta. Bisognerebbe vietare il contatto, soprattutto se c’è chi esagera. Ma mentre sono a pensare a queste cose, mi viene da pensare che il Tour al contrario esalta le cadute. Quando presentano l’edizione dell’anno dopo, le prime immagini del video che proiettano sono sempre dedicate alle cadute più spettacolari. Se però succede che i corridori si lamentano per la sicurezza, magari ragazzi che neanche guadagnano fortune, le loro ragioni non vengono mai ascoltate. Perché? Non fanno parte dello stesso gioco? Se il Tour esalta le cadute va bene, mentre se un corridore si lamenta per la sicurezza no? E’ questo che non mi va giù. Il mondo del professionismo dovrebbe essere il meglio dello sport, ma certe volte…».

Casagrande, ultimo italiano sul trono di Svizzera

10.06.2021
4 min
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In questi giorni si sta correndo il Giro di Svizzera, una breve corsa a tappe che anticipa il Tour de France, l’ultimo trionfo italiano nella corsa elvetica risale al 1999, fu Francesco Casagrande a vincere quell’edizione del Giro di Svizzera, sul podio con lui salirono Jalabert e Simoni.

Ci facciamo raccontare proprio da lui le sensazioni e come sia riuscito a vincere una corsa così dura e complicata.

«Quando l’ho vinto io – dice Casagrande – il Giro di Svizzera veniva affrontato maggiormente dai corridori che uscivano con una buona condizione dal Giro d’Italia. La gara, infatti, iniziava esattamente una settimana dopo la fine della Corsa Rosa. Chi voleva preparare il Tour de France faceva il Delfinato che partiva uno o due giorni dopo la fine del Giro».

Sul podio precedette Laurent Jalabert e Gilberto Simoni
Sul podio precedette Laurent Jalabert e Gilberto Simoni
E’ stata un’edizione combattuta quella del 1999, con Simoni e Jalabert che ti hanno dato del filo da torcere per tutte le 10 tappe.

Sì, come detto Simoni e Jalabert uscivano in ottima condizione dal Giro e puntavano a fare bene per dare un continuo alla loro stato di forma. Io invece arrivavo da un periodo di 6 mesi di inattività e avevo messo nel mirino quell’edizione visto che decretava il mio ritorno alle corse.

Un Giro di Svizzera di gestione dove tu e Simoni siete stati insidiati da Jalabert, il quale ha recuperato con la cronometro riuscendo a conquistare la maglia gialla alla quinta tappa.

La mia è stata una corsa sì di gestione, ma soprattutto di costanza. Sono stato sempre davanti e questo mi ha permesso di arrivare alla penultima tappa in ottima posizione. Jalabert era superiore a cronometro, io sono riuscito a difendermi bene, poi sull’arrivo ad Arosa, uno dei pochi in salita di quell’edizione, ho dato tutto e sono riuscito a distanziare i miei due rivali concretizzando il lavoro della squadra, la Vini Caldirola, che aveva tirato per tutto il giorno.

Una corsa che ti è sempre piaciuta particolarmente

Molto, io non ho mai fatto il Tour, quindi era proprio una gara sulla quale mettevo il cerchio sul calendario. Sono andato vicino a vincerlo nuovamente nel 2003 quando ero nella Lampre, ma quell’anno vinse Vinokourov.

Nel 1999 il toscano rientrò da una sospensione di 6 mesi e nel 2000 sfiorò il Giro: qui sull’Abetone
Nel 1999 il toscano rientrò da una sospensione di 6 mesi e nel 2000 sfiorò il Giro: qui sull’Abetone
E’ una corsa meno impegnativa dal punto di vista altimetrico rispetto al Delfinato e sicuramente più lunga viste le sue 10 tappe, ed anche per questo non è mai stata fatta per preparare il Tour?

Esattamente, per numero di tappe è paragonabile ad un altro mezzo Giro, chi prepara il Tour preferisce una corsa di meno giorni ma con più dislivello, così da poter affinare meglio la preparazione ed allo stesso tempo avere più giorni per recuperare.

Una caratteristica in controtendenza nell’ultimo decennio, dovuto anche all’anticipazione del Giro di Svizzera di qualche giorno

Ai miei tempi Ullrich era uno dei pochi a fare il Giro di Svizzera come preparazione per il Tour de France. Nell’ultimo decennio invece ci sono molti più corridori che affrontano questa corsa come rifinitura alla Grande Boucle. I motivi sono due. Il primo è semplicemente legato al cambio del calendario, il Giro di Svizzera è stato anticipato di alcuni giorni sul calendario ed è stato accorciato, non si corrono più 10 tappe bensì 8.

Il secondo?

E’ decisamente un motivo più importante. I corridori tendono a disputare meno gare nel corso della stagione, quando correvo io le gare erano parte della preparazione, ora si corre solamente se si è sicuri di competere per la vittoria.

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Francesco Casagrande ha 51 anni e vive a Ginestra Fiorentina. Qui con il trofeo di numero 1 al mondo del 2000
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Casagrande ha 51 anni e vive a Ginestra Fiorentina. Qui con il trofeo di numero 1 al mondo 2000
Ti ricordi qualche aneddoto particolare su quell’edizione del Giro di Svizzera?

Ricordi fatico a metterli a fuoco, sono passati 22 anni (ride, ndr), però ricordo molto bene l’ascesa finale ad Arosa, per l’arrivo dell’ottava tappa. Ricordo la fatica accompagnata dalla voglia di non mollare neanche un centimetro, volevo coronare il mio ritorno alle corse.

Quel Giro di Svizzera ti ha lanciato, il 1999 è stata una stagione importante

E’ stato un bel trampolino di lancio, i risultati nella seconda parte della stagione furono di rilievo, vinsi la Clasica San Sebastian, il Trofeo Matteotti, arrivai quinto al Giro dell’Emilia. Ovviamente io arrivavo con una motivazione diversa, essendo la mia prima gara fu preparata in modo impeccabile, ci tenevo ad iniziare bene.

Guazzini: va bene tutto, ma la gamba serve a Tokyo

04.06.2021
4 min
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Inutile dire che sugli europei in pista puntassero tutte molto. Le ragazze italiane in odore di quartetto olimpico avrebbero avuto l’occasione per provare la gamba e i meccanismi di gara, riprendere confidenza con il clima della competizione e guardare in faccia le rivali da troppo tempo fuori dai radar. Tolti gli europei di Plovdiv 2020, corsi senza troppe Nazioni partecipanti, l’ultimo vero confronto internazionale restano i mondiali di Berlino della scorsa primavera. Se la Bielorussia non avesse dimenticato la democrazia, mettendosi a dirottare aerei per sequestrare un giornalista scomodo al regime di Lukashenko, gli europei si sarebbero svolti regolarmente a Minsk.

«Noi per un po’ si è sperato che li collocassero nelle stesse date ma da un’altra parte – dice la toscana Vittoria Guazzini, in apertura mentre coglie il quarto posto alla Dwars door Vlaanderen – invece martedì mentre eravamo nell’ultimo giorno di ritiro a Livigno, Salvoldi ci ha comunicato che li faremo a ottobre. E’ stato veramente brutto. Non sarebbero stati un obiettivo, ma un passaggio per capire. Allenarsi non è come correre, ma Dino ci conosce e valutando le nostre prestazioni in pista, saprà scegliere lo stesso».

Vittoria Guazzini, Martina Alzini, Chiara Consonni: tre pedine importanti per il quartetto, ma la rosa è ben più ampia
Vittoria Guazzini, Martina Alzini, Chiara Consonni: tre pedine importanti per il quartetto, ma la rosa è ben più ampia

Priorità alla pista

Si andrà dritti all’esame di laurea senza averne sostenuti altri in avvicinamento. Le Olimpiadi senza gare. Si disse in tempi non sospetti: per tante discipline, il ciclismo fra queste, sarà l’edizione più folle di sempre.

«Si va alla cieca – ride con il solito tono scanzonato – e del resto nemmeno sapevamo se agli europei sarebbero venuti tutti. Il primo quartetto sarà quello delle Olimpiadi, per cui a giugno passeremo tanti giorni in pista, correndo nei weekend per velocizzare. Io sto bene, lavori in corso. In altura abbiamo fatto tanti lunghi e palestra. Nella prima parte di stagione ho corso tanto in Belgio, ma adesso la priorità è la pista. Per cui ad esempio non farò il Giro d’Italia».

Nel tempo libero suona la chitarra: l’acustica e l’elettrica (foto Instagram)
Nel tempo libero suona la chitarra: l’acustica e l’elettrica (foto Instagram)

Sana competizione

La gara avrebbe se non altro permesso a ciascuna di trovare la sua collocazione, farsi una ragione davanti alle prestazioni delle altre: la selezione in allenamento ha il sapore del trial e non sempre si riesce a vivere in modo sereno.

«In questo ritiro siamo state bene – dice Vittoria che è burlona ma anche tosta – ognuna sa che può essere selezionata e si è creato un clima di sana competizione. Ciascuna di noi ha pianificato con il proprio allenatore un cammino verso Tokyo e di certo il picco di forma andrà raggiunto là. Essere con la gamba al top a giugno in Italia non lo vedo troppo saggio».

Agli ultimi europei di Plovdiv, ha vinto la madison in coppia con Elisa Balsamo
Agli ultimi europei di Plovdiv, ha vinto la madison in coppia con Elisa Balsamo

Tricolori in Puglia

Intanto le ragazze della Valcar, la squadra di Vittoria Guazzini, si sono vaccinate e stanno viaggiando verso il Belgio a correre domani la Dwars door het Hageland e il giorno dopo la Dwars door de Westhoek.

«Del gruppo pista – dice – ci saremo Balsamo, Consonni e io. Ma troveremo anche Ilaria Sanguineti e Silvia Persico che pochi giorni fa ha vinto la Euganissima Flanders e dovrebbe avere una gran gamba. Noi tre andremo per fare i nostri lavori, ma la squadra si farà vedere di sicuro. E poi a fine giugno sarò ai campionati italiani in Puglia. Insomma, c’è parecchio da fare…».