«Sono davvero contento. Ci voleva. Era da tanto che ci giravo intorno», racconta Simone Consonni. Alla Paris-Chauny (in apertura foto @westcoo) Simone porta a casa il primo successo dopo diversi anni. La sua prima ed unica vittoria tra i pro’ sin qui era stata quella ottenuta nel 2018 in una tappa del Giro di Slovenia.
Ed è incredibile come un atleta delle sue qualità, della sua classe, che vince le Olimpiadi, non vanti una bacheca piena di successi. Ma questo è dovuto anche al fatto che spesso, ma tanto spesso, Consonni ha dovuto lavorare per altri velocisti. E altrettanto spesso c’è stato lo zampino della sfortuna.
Simone, finalmente è arrivata questa benedetta vittoria…
Era ora, quest’anno ci sono state varie sfortune… E’ la prima vittoria con la Cofidis. Avevo fatto podio al Giro, al Tour e in tante altre occasioni… è una bella spinta morale. Visto che anche quest’anno avevo avuto mio malgrado degli alti e dei bassi.
Vogliamo ricordarli?
Ho dovuto abbandonare la Tirreno per un problema al ginocchio. Poi mia nonna che non stava bene, Dopo il campionato italiano sono dovuto stare fermo per altre tre settimane, avevo una grande stanchezza. Quando ho ripreso, dopo l’argento europeo in pista ho avuto di nuovo il Covid e sono stato un’altra settimana senza bici. Però nelle ultime gare stavo sentendo che la condizione era in crescita.
Sono momenti difficili in effetti…
Sì. E infatti un pensiero è per la mia squadra, per la mia famiglia e per la mia ragazza (l’ex pro’ Alice Algisi, ndr). Lei ha sofferto più di me. Sa bene quel che significa questa vita, incastrare tutto ogni volta per vederci…
Però adesso hai vinto. Andiamo alla corsa…
Non è un corsone, ne sono consapevole. Però visto i velocisti che ho battuto – Groenewegen, Philipsen, De Lie, Demare – e per come l’ho vinta, va bene!
Come l’hai vinta?
Credo sia stata la seconda gara dall’inizio dell’anno in cui nella riunione si è detto che non dovevamo correre per i punti. Alla fine sono importanti. Il team ha investito ed è giusto lottare per non retrocedere. Quindi abbiamo corso per vincere. Potevamo fare il nostro treno. In realtà il capitano era Bryan Coquard. La corsa all’inizio non era dura, ma nervosa. Tanti su e giù. Abbiamo cercato noi di farla più dura. Io stavo tirando la volata a Bryan, quando dopo una spallata che ho preso ho sentito che aveva perso la mia ruota. Allora per radio mi ha detto di andare e sono partito lungo. In pratica ho fatto una volata di 300 metri. Per questo è stato un piacere vincere così. Poi quelle sono le mie corse. Percorsi dove arrivano tutti, ma senza gambe.
Senza gambe, ma 300 metri di volata sono tanti! E comunque Coquard è stato lucido nell’avvertirti via radio in quei pochi concitati istanti…
Noi siamo usciti col treno ai 700 metri e ai 350 c’è stata questa curva nella quale Bryan ha perso la mia ruota. E mi ha detto subito: «Go, go Conso». Mi ha fatto capire di andare. Con lui ho corso poco, ma è un corridore onesto, che tiene alla squadra. Magari un altro dopo aver perso la ruota ti avrebbe fermato o non ci avrebbe pensato.
Alla vigilia come è andata? C’è stato qualche segnale, quelle cose… mistiche, che emergono a posteriori?
Una vigilia tranquilla. Venivo da un weekend di corse e da un po’ di altura a Macugnaga con Pippo (Ganna, ndr), ma di certo non era la vigilia di un mondiale. Però devo dire che uno dei miei migliori amici, Marco Capelli, alle 12 mi ha inviato una foto con lo striscione che trovai al ritorno da Tokyo. «Simone sei storia, ora baldoria», aggiungendo sotto: «Ora aspetto la prossima». Io ho visto il messaggio proprio mentre stavo per uscire dal bus. Erano le 12,08 e gli risposto: «Ce ne vorrà». E quindi sono andato perché la corsa partiva di lì a poco. Alle 17 quando ho ripreso il telefono ho ritrovato un suo messaggio: «Te lo avevo detto».
E il team?
Siamo stati tutti contenti, anche perché abbiamo corso davvero bene. Anche sull’ultimo strappo abbiamo tirato, ci siamo mossi da protagonisti. E poi fa piacere, non sono e non siamo una squadra da 60 vittorie l’anno.
A Simone Consonni cosa ha lasciato questa vittoria?
Sono riuscito a sbloccarmi. Sai, quando vinci una volata così ti dà fiducia. Dopo quelle tre corse in Belgio nel fine settimana precedente, ho chiamato il mio preparatore, Luca Quinti, e gli ho detto che avremmo dovuto preparare meglio gli sprint. Non mi sentivo tranquillo.
E lui era del tuo stesso parere?
Mi diceva di stare calmo, che venivo da un ennesimo rientro, che ero stato in altura. Nonostante questo abbiamo passato una giornata in pista in cui abbiamo fatto tutti lavori specifici: partenze lanciate, partenze da fermo, sprint e persino una “botta” di palestra. Magari anche questo mi ha dato qualcosa a livello mentale. Mi ha dato inconsciamente la sicurezza di farmi partire lungo. Che poi è di certo un fatto mentale, perché una singola seduta non cambia le cose. Lo devo ringraziare.
Ora cosa prevedono i tuoi programmi?
Tra poco (ieri pomeriggio, ndr) scendo in pista! Faremo delle prove del quartetto. Per quanto riguarda le gare su strada farò la Bernocchi, il Gran Piemonte, la Parigi-Tours e poi il 12 la Veneto Classic. Da lì volerò direttamente ai mondiali in pista, ma correndo il 12 ottobre su strada salterò il quartetto (che c’è proprio il 12, ndr). Vedremo Villa cosa mi farà fare.