Il primo fu Geraint Thomas (foto di apertura), anche se probabilmente fu costretto a farlo per necessità. L’idea di questo approfondimento è venuta a Malori, per cercare di decifrare il modo di correre di Roglic e Pogacar. L’ex corridore emiliano infatti si è accorto che i due mettono in atto spesso lo stesso copione. Nelle frazioni nervose o alla fine di ogni tappa di montagna, sono in grado di imprimere terrificanti accelerazioni grazie alle quali vincono le corse e guadagnano secondi sui rivali.
«Se andate a riguardare le cronache del Tour de France del 2018 – ricorda Adriano – vi accorgerete che la tattica di Thomas era proprio la stessa. Guadagnava a cronometro, in salita resisteva al passo dei migliori. E poi negli ultimi 500 metri era in grado di cambiare ritmo e andava a prendersi i secondi di abbuono. I due sloveni in qualche modo hanno sviluppato le stesse doti. Unite però al fatto che in salita sono tra i più forti al mondo, è facile rendersi conto come mai siano pressoché imbattibili».
Nello scontro diretto, qui ai Paesi Baschi, se ne vedono delle belle. Chissà se il modo di correre di Thomas li ha ispiratiNello scontro diretto, qui ai Paesi Baschi, se ne vedono delle belle. Chissà se il modo di correre di Thomas li ha ispirati
Tanto lavoro
Il motivo di interesse sta dunque nel capire se si tratti di doti innate o se, al contrario, i due campioni abbiano lavorato per affinare simili attitudini.
«Credo che ci sia dietro un grande lavoro – prosegue Malori – perché riuscire ad esprimere così tanta potenza dopo una corsa di sei ore non viene da sé, anche se probabilmente madre natura ci ha messo lo zampino. Immagino che anche quando sono a casa, dopo allenamenti duri e lunghi, possano fare sedute di esplosività proprio per sviluppare questa dote».
Pogacar a ruota
Quello che appare sicuramente singolare è proprio il fatto che la stessa dote e lo stesso modo di correre accomuni due corridori che provengono dallo stesso Paese, sia pure correndo in squadre diverse e con una sostanziale differenza di età.
«Thomas fu il primo – rilancia Malori – poi a questo tipo di tattica è arrivato Roglic, che se non altro per età ha raggiunto certi standard prima di Pogacar. Io credo che Tadej, che per sua stessa ammissione ha sempre preso Roglic come modello, si sia ispirato a lui anche per questo tipo di atteggiamento tattico. Sta di fatto che nell’ultimo Tour de France ha attuato la stessa tattica con Vingegaard e Carapaz. Mentre alla Vuelta, Roglic se ne è servito contro Mas».
Al Tour de France, Pogacar si è servito dello stesso schema per arginare Vingegaard e CarapazAl Tour de France, Pogacar si è servito dello stesso schema per arginare Vingegaard e Carapaz
Fieno in cascina
La singolare attitudine permette ai due campioni di arrivare agli scontri più importanti avendo accumulato già un piccolo vantaggio sui rivali. Questa dote infatti si rivela molto redditizia anche nelle tappe che si concludono su muri o che selezionano gruppetti grazie a tracciati molto nervosi.
«Uno scalatore puro – Malori allarga le braccia – non ha queste doti. Quei due sono l’esempio perfetto di corridori per le corse a tappe, che di anno in anno migliorano e lavorano per perfezionarsi sui fronti che gli hanno creato qualche problema. Migliorano le loro lacune. Tanto che è difficile immaginare come finirebbe fra loro in uno scontro al top. Difficile dire chi si ha il più forte. Penso che se Roglic non avesse avuto un crollo psicologico nel 2020, quel Tour lo avrebbe vinto lui. Pogacar non gli avrebbe mai dato un distacco così grande nella cronometro alla Planche des Belles Filles, perché Primoz in quella specialità vale molto più di ciò che mostrò quel giorno. Tokyo dice questo».
Contro Mas a Valdepenas de Jaen, alla Vuelta, Roglic ha giocato come il gatto col topoContro Mas a Valdepenas de Jaen, alla Vuelta, Roglic ha giocato come il gatto col topo
Senza limiti
Il problema semmai e che i due non si accontentano, per modo di dire, dei grandi Giri. Ed hanno esteso il loro dominio anche alle classiche più dure.
«Non è per caso – prosegue Malori – che siano proprio loro due gli ultimi due vincitori della Liegi, una classica che strizza l’occhio anche a corridori forti in salita. Non sono molti nella storia i corridori capaci di vincere i Giri e anche le classiche. Immagino quanto sia stato felice Alaphilippe di vederli arrivare nel suo terreno di caccia.
«Anche lui… sconfinò nel 2019. In quel Tour vinse la crono e arrivò a un passo dal bersaglio grosso correndo come loro. Fu un caso evidente di stato di grazia che non sai se tornerà, loro due invece sono così sempre. Hanno creato un dualismo che andrà avanti per anni e sono certo che Roglic starà già studiando il modo per migliorare ancora e sorprenderlo alla prossima sfida. Un dubbio? Quanta autonomia possano avere a quel livello. Il terzo incomodo? Potrebbe essere Bernal, anche se lo aspetto al confronto diretto. Vinse un Tour a dir poco singolare in cui tutti guardavano Thomas e la tappa regina fu tagliata. Poi ha vinto il Giro in cui i nostri due amici non c’erano, lottando più contro il mal di schiena che contro i rivali. Magari il prossimo Tour ci dirà qualcosa di più. Sono molto curioso…».
Castrillo vince la seconda tappa in 3 giorni: questa volta al Cuitu Negru. Alle sue spalle, nella lotta per la maglia, Roglic stacca O'Connor che non molla
Geraint Thomas è l’eccezione che probabilmente conferma la regola. Dopo una vita di piazzamenti e cadute, senza mai un podio in un grande Giro, nel 2018 s’è svegliato e ha vinto il Tour, arrivando secondo l’anno dopo. E basta, come se fosse poco! Detto di uno che è nato pistard (due ori olimpici e tre mondiali), si tratta ovviamente di una grande impresa, ma accende la luce sull’argomento che ci si è proposto davanti agli occhi ieri con la crisi di Mikel Landa (nella foto di apertura)sull’Alto de Velefique alla Vuelta.
Non è per niente facile essere capitano, pertanto questo discorso che nasce come un’apparente critica farà il giro largo per dimostrare l’opposto. Non vuole essere una mancanza di rispetto per il basco al quale auguriamo di risollevarsi e vincere la Vuelta. Dopo la caduta del Giro ha avuto le sue ossa da aggiustare e ritrovare la condizione alla ripresa da un infortunio non è affatto semplice. Tuttavia la storia è emblematica.
Landa ha fatto le cose migliori quando era più giovane e correva senza grosse responsabilità con l’Astana. Scattava. Vinceva. Masticava amaro quando gli toccava frenare per aspettare Aru. Però così facendo ha portato a casa l’unico podio in un Giro, quello italiano del 2015, dietro Contador e appunto Aru.
Geraint Thomas in maglia gialla: uno dei pochi vincitori estemporanei in un grande Giro nel ciclismo d’oggiGeraint Thomas in maglia gialla: uno dei pochi vincitori estemporanei in un grande Giro nel ciclismo d’oggi
Landa e quel “treno” ormai passato…
A ben vedere, la stessa cosa è successa a Damiano Caruso, che al Giro c’è arrivato come gregario di Landa e, quando Mikel si è ritirato, ha potuto correre libero da pressioni, conquistando il secondo posto.
In questi casi, come è giusto che sia, il suo procuratore portò Landa al Team Sky e lì gli offrirono la chance di essere capitano al Giro. Lui arrivò a un soffio dall’impadronirsene, ma fu colto da malore e si ritirò mestamente sul più bello. Da quel momento, forse con eccesso di lungimiranza, la squadra britannica lo mise a tirare, avendo forse colto in lui altre stimmate. Desideroso di liberarsi dal giogo, dopo due anni Landa è passato alla Movistar di Quintana e Valverde: ambiente forse poco ospitale per uno che promette scintille e si ritrova con padroni di casa preoccupati che gli brucino il giardino.
Così anche nella squadra spagnola, non sono arrivati i risultati sperati. Il quarto posto al Giro, dovendo aiutare Carapaz, il sesto posto al Tour. Al Team Bahrain Victorious (allora Merida) lo volle Rod Ellingworth che con lui aveva lavorato a Sky e i risultati hanno parlato del quarto posto al Tour dello scorso anno e di una condizione stellare all’ultimo Giro d’Italia, vanificata tuttavia dalla caduta di Cattolica.
Claudio Chiappucci,, con il suo coraggio alla ricerca dell’utopia, ha fatto innamorare gli italiani e non soloClaudio Chiappucci,, con il suo coraggio alla ricerca dell’utopia, ha fatto innamorare gli italiani e non solo
Viva coloro che almeno ci provano…
Quanti sono i corridori (ancora) in grado di vincere un grande Giro? Fra quelli in attività, si contano sulla punta delle dita. Sono quattro: Pogacar, Bernal, Roglic, Carapaz. Ci sarebbe Quintana, che però da un pezzo sembra aver rivisto le sue azioni al ribasso. Ci sarebbero Froome e Thomas, che potrebbero aver fatto il loro tempo. Altri che diano quale segno di concretezza crescono, pensiamo a Sivakov e Vlasov.
E poi ci sono quelli che ci provano. Landa, appunto, e anche Simon Yates. Quelli che quando ne parli, sui social si scatena la lapidazione. Su Landa, un commento ricevuto su Facebook continua a ronzarci nella testa: «Il protagonista annunciato. E continuate ad annunciarlo…».
Potremmo smettere di parlarne, in effetti, lasciarlo alla sua dimensione di Willy Coyote su ruote. Potremmo concentrarci soltanto su quei quattro e rassegnarci anche noi all’appiattimento. Invece alla fine, sapete una cosa? Continueremo a raccontare il coraggio di provarci. Lo stesso che rese Chiappucci un beniamino dei tifosi italiani. Neanche Claudio vinse mai un grande Giro, ma continuò a provarci fino all’ultimo. Meglio Landa che si mette in gioco rinunciando ai soldi… facili, di quelli che si nascondono sotto l’ombrello di un ottimo contratto e alle loro chance rinunciano in partenza. E poi volete mettere che bello il giorno che davvero Willy acchiapperà quel velocissimo Beep Beep?
Thomas che cade nella terza tappa del Tour e riporta la lussazione della spalla, come gli era già successo in allenamento nel dicembre del 2020. Gli esce la spalla, in gergo si dice così. Ma si rialza, è dolorante eppure riparte e giorno dopo giorno recupera fino ad essere in grado di fare il forcing che tutti abbiamo visto verso Tignes. Ma in cosa consiste la lussazione della spalla? Abbiamo chiesto l’intervento del dottor Maurizio Radi, Fisioterapista Osteopata, titolare del Centro Fisioradi di Pesaro, che tra l’altro ha da poco inaugurato la nuova sede. Ecco che cosa ci ha detto.
Cinque articolazioni
La spalla è un complesso articolare composto da 5 articolazioni – Acromion-clavicolare, Scapola-toracica, Gleno-omerale, Sterno-clavicolare, Sottodeltoidea – la più importante delle quali è quella scapolo-omerale, che collega l’omero alla scapola.
Il movimento della spalla è reso possibile da ben 26 muscoli. Essi sono in grado di eseguire movimenti davvero complessi. Nonostante sia protetta da molte strutture anatomiche che comprendono i muscoli, i tendini ed i legamenti, quella scapolo-omerale è una delle più instabili del nostro corpo. Essa infatti è dotata di grande ampiezza di movimento.
Ecco l’immagine tipica della fuoriuscita della testa dell’omeroEcco l’immagine tipica della fuoriuscita della testa dell’omero
La lussazione della spalla
La lussazione è un evento traumatico che causa la perdita permanente dei rapporti fra le ossa di un’articolazione. Conseguenze possono essere la rottura della capsula e dei legamenti che stabilizzano l’articolazione. In tali lesioni si possono associare anche quella della cartilagine, dei vasi, delle ossa, dei nervi.
La lussazione della spalla è pertanto quell’infortunio caratterizzato dalla fuoriuscita permanente della testa dell’omero dalla cavità glenoidea della scapola. Si tratta della cavità dove solitamente alloggia per formare la cosiddetta articolazione scapolo-omerale. Viene chiamata anche lussazione gleno-omerale.
Due tipologie
Esistono due tipologie. La lussazione anteriore della spalla, in cui la testa dell’omero fuoriesce dalla cavità glenoidea della spalla spostandosi in avanti e verso il basso. E la lussazione posteriore della spalla, in cui la testa dell’omero fuoriesce dalla cavità glenoidea della spalla spostandosi dietro
La lussazione anteriore della spalla è la tipologia di lussazione della spalla più comune. Essa caratterizza il 95 per cento di tutti i casi di lussazione della spalla.
La manovra per rimettere la spalla nella sua sede va eseguita da personale qualificatoLa manovra per rimettere la spalla nella sua sede va eseguita da personale qualificato
Sintomi e diagnosi
La diagnosi di lussazione è semplice ed immediata. Il danno infatti è visibile ad occhio nudo. I sintomi, tipici di ogni caduta sono dolore violento, impossibilità di movimento dell’arto, il braccio rimane penzolante vicino al corpo, oppure palpando la spalla non si avverte più la sua caratteristica rotondità. L’intervento più frequente in questi casi è il riposizionamento. Esso deve sempre essere effettuato da personale esperto con una manovra particolare. E’ buona norma sottoporre prima il paziente ad una radiografia (inutile dire che in caso di caduta durante una corsa, la spalla viene rimessa nella sua sede senza tale esame, ndr).
Approccio conservativo o chirurgico
In caso di prima lussazione, l’approccio è quasi sempre con terapia conservativa. Perciò, dopo il corretto riposizionamento dell’omero nella sua sede naturale, il braccio verrà immobilizzato tramite un tutore. Suo compito sarà tenere il braccio aderente al corpo per circa due settimane.
Dopo questo primo periodo, è bene procedere ad una corretta riabilitazione dell’articolazione. L’obiettivo sono il recupero totale dei movimenti ed un adeguato rinforzo muscolare per stabilizzare l’articolazione ed evitare incidenti simili in futuro.
La lussazione della spalla può tuttavia causare il distacco del cosiddetto “labbro glenoideo”. Si tratta di una piccola guarnizione che garantisce lo scivolamento dell’omero nella cavità glenoidea.
Questa struttura cartilaginea può cicatrizzare e riposizionarsi nella sede corretta. Tuttavia può anche succedere che guarendo assuma una scorretta posizione o che non cicatrizzi. Questo può portare ulteriori problemi e lussazioni. Quindi nei soggetti giovani e nei soggetti sportivi soprattutto professionisti, va fatta una corretta valutazione. In molti casi si tende ad intervenire chirurgicamente per stabilizzare l’articolazione, scongiurando eventuali recidive.
Un tutore terrà il braccio aderente al corpo per circa due settimaneUn tutore terrà il braccio aderente al corpo per circa due settimane
L’intervento
Di solito l’intervento viene effettuato in artroscopia. La spalla deve restare immobilizzata per circa 3/4 settimane, dopo di che il soggetto verrà sottoposto a sedute di fisioterapia e riabilitazione. Si recuperano così il movimento articolare, il tono muscolare ed il gesto motorio necessari per la ripresa della attività lavorativa e/o sportiva. Questa fase può durare indicativamente 3/4 mesi. Un tempo indispensabile per stabilizzare adeguatamente la spalla.
Le performance di Vingegaard superiori a Roglic possono spaccare la Jumbo Visma. Con Garzelli ripassiamo situazioni simili, per capire come potrebbe finire
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La prima volta che Geraint Thomas andò al Tour de France aveva 21 anni, era campione del mondo nell’inseguimento a squadre e indossava la maglia della Barloworld in cui l’anno dopo sarebbe approdato Chris Froome. Sono passati 14 anni e il gallese che si accinge a correre per l’undicesima volta la corsa francese nel frattempo ha fatto strada e conquiste, anche se per qualche inspiegabile motivo qui da noi si tende a sottovalutarlo.
Nel 2008 e nel 2012, Geraint ha conquistato l’oro olimpico nell’inseguimento a squadree al pari di Wiggins è poi riuscito a vincere il Tour. Solo al Giro gli è sempre andata male, non si capisce se per sfortuna o l’attitudine non spiccata alla guida sulle più nervose strade italiane. E ora che il Team Ineos Grenadiers lo schiera alla Grande Boucle come leader accanto a Carapaz (sembrando però preferirgli l’ecuadoriano) siamo andati a rileggerne la storia attraverso le sue parole.
Thomas debutta al Tour nel 2007: ha 21 anni, corre alla BarloworldThomas debutta al Tour nel 2007: ha 21 anni, corre alla Barloworld
La bici per caso
Thomas è nato a Cardiff il 25 maggio del 1986 ed è arrivato al ciclismo dopo aver giocato a calcio, rugby e aver fatto nuoto.
«Stavo nuotando nel Maindy Leisure Centre – racconta a People’s Collection Wales – e ho visto un annuncio pubblicitario per l’avvio di un club per bambini, il Maindy Flyers. Mi sono iscritto e intanto giocavo ancora a rugby e un po’ a calcio. Crescendo, i colpi nel rugby iniziavano a farmi male, così smisi. Ho iniziato a diventare abbastanza forte nel nuoto e mi proposero di andare la mattina prima della scuola, alle 5,30. Pensai che fosse folle e puntai tutto sul ciclismo. Me la cavavo, ma su scala locale. Quando poi sono diventato uno junior e ho vinto i mondiali nello scratch a Los Angeles, ho davvero pensato: “Posso guadagnarmici da vivere”. Fino a quel momento, c’erano solo delle persone che mi dicevano: “Hai talento”. Ma una cosa è crederci, un’altra è farlo davvero».
Nel 2008 a Pechino vince il primo oro nel quartetto con Clancy, Manning e Wiggins. Si ripeterà a Londra 2012Nel 2008 a Pechino vince il primo oro nel quartetto. Si ripeterà a Londra 2012
La scoperta del mondo
La bicicletta è la chiave per conquistare il mondo, scoprendolo a piccoli passi. Prima i dintorni di casa, poi attraverso sfide sempre più lontane.
«Il Galles è decisamente buono per fare ciclismo – dice – ho corso e pedalato in tutto il mondo, ma è fantastico tornare a casa e allenarsi. I percorsi sono duri, va bene, ma bastano pochi chilometri e sei fuori Cardiff e puoi andare ovunque. Il bello di questo sport è nel fatto che sei libero di andare dove vuoi, soprattutto quando sei giovane. Puoi esplorare. E’ bello uscire e trovare strade nuove che non conosci. Che nevichi o piova, dobbiamo uscire e allenarci. Mi piace mantenere una buona routine. Esco sempre verso le 9-9,30 qualunque sia il tipo di lavoro che devo fare. Amo andare in bicicletta, anche se ovviamente alcuni allenamenti specifici, come le ripetute, non sono troppo divertenti. Sono difficili, ma ci sono lavori molto più pesanti, quindi sono abbastanza fortunato».
Alla Roubiax del 2014 il miglior risultato: è 7°, vittoria a Terpstra
Nel 2015 è ancora nella fase delle classiche e vince ad Harlbeke
Alla Roubiax del 2014 il miglior risultato: è 7°, vittoria a Terpstra
Nel 2015 è ancora nella fase delle classiche e vince ad Harlbeke
Chili in più, chili in meno
Lavoro duro e alimentazione corretta: correre nel team che ha riscritto la letteratura dell’allenamento significa avere un punto di vista privilegiato sul tema.
«La dieta è estremamente importante su strada – spiega – mentre se porti un chilo o due in più su pista, non importa perché è tutta una questione di potenza e di girare veloce nel velodromo, quindi il peso non è troppo importante. Ma, una volta che devi correre un Tour de France, il ruolo dell’alimentazione è enorme. Se porti uno o due chili in più per tutta la gara, allora spendi tanta energia in più. Nel team abbiamo da anni un nutrizionista con cui lavoriamo a stretto contatto. E sembra funzionare…».
Nel 2017 sta già cambiando pelle. Ha già vinto la Parigi-Nizza 2016, ora tocca alla TirrenoNel 2017 il gallese sta già cambiando pelle, vince la Tirreno
Dalla pista alla strada
Dalla pista alla strada, il passo non è niente affatto semplice. Hai voglia di tirare Ganna per la manica, se bastasse convincersi di poterlo fare, il gioco sarebbe fin troppo banale.
«La pista è dove sono cresciuto – dice Thomas – e ho vinto le mie medaglie d’oro olimpiche. E’ molto più veloce, il tempo è strettissimo. Quando passi alla strada e magari val al Tour, si tratta di passare tutto il giorno in bicicletta. Eppure si completano. La pista è veloce e nervosa, hai bisogno di una buona capacità di guida. Questa però aiuta molto quando si tratta di stare in gruppo al Tour. Al contrario, la strada ti dà la forza e la resistenza per la pista. L’allenamento in pista è scientifico e preciso. Su strada, è tutto più libero e tutto può succedere».
Nel 2017 vince il Tour of the Alps, punta al Giro, ma cade sul Block HausNel 2017 vince il Tour of the Alps, punta al Giro, ma cade sul Block Haus
Il miracolo del Tour
Il primo Tour è stato pazzesco. Dice di non aver mai sofferto tanto e ben si comprende se l’abitudine è quella delle gare in pista appena descritte.
«Ogni giorno – racconta – tagliavo il traguardo e pensavo: “Non c’è modo che io possa partire domani. Non riesco assolutamente a salire sulla bici”. Poi andavo a letto, mi svegliavo la mattina dopo e dicevo: “Devo iniziare. Ci provo ancora”. Salivo in bici e non volevo più arrendermi. E alla fine ce l’ho fatta e mi ha dato tanto, mentalmente e fisicamente».
Al Tour 2018 parte in appoggio a Froome, ma va più forte lui: qui all’Alpe d’Huez
Alla fine Froome, che ha vinto il Giro, si congratula con lui
Al Tour 2018 parte in appoggio a Froome, ma va più forte lui: qui all’Alpe d’Huez
Alla fine Froome, che ha vinto il Giro, si congratula con lui
Quante cadute…
Thomas cade spesso. E’ caduto al Delfinato aspettando Porte e anche al Giro dello scorso anno nella tappa dell’Etna, perché si fece trovare a centro gruppo in un tratto di pavé dove le borracce iniziarono a saltare. Il limite di essere cresciuto senza un campione esperto accanto è proprio questo. Wiggins è stato un modello, ma cosa vuoi imparare se anche lui aveva gli stessi problemi?
«Ho avuto cadute – dice – più volte. Nel 2005, eravamo a Sydney, andando in pista. Sulla strada c’erano dei detriti metallici, uno è schizzato dalla bici del corridore davanti a me, è finito nella mia ruota anteriore e sono stato sbalzato. Cadendo ho colpito il manubrio, che mi ha rotto la milza. Hanno provato a salvarla, ma nella notte la asportarono. Ho una grande cicatrice lungo tutto il petto. All’epoca fu piuttosto spaventoso, soprattutto perché ero lontano dalla mia famiglia e dai miei amici. Per fortuna la federazione fece venire i miei genitori e mio fratello, che rimasero con me per la settimana in cui uscii dall’ospedale. Penso che mio fratello sperasse che rimanessi in ospedale un po’ più a lungo perché amava starsene in spiaggia».
Altro incidente al Giro del 2009, nella crono delle Cinque Terra vinta da Menchov. Thomas cadde in discesa e si ruppe il bacino e lo scafoide della mano destra. Altro Giro, altra caduta, ma questa non per colpa sua: era il 2017, finì contro una moto sulla salita del Block Haus, tenne duro per qualche giorno poi si ritirò. Quello stesso anno, ma al Tour, cadde con Porte e si ritirò nella discesa de Mont du Chat verso Chambery.
Nel 2019 scorta Bernal a Parigi, dopo essere stato a lungo leader IneosNel 2019 scorta Bernal a Parigi, dopo essere stato a lungo leader Ineos
La bandiera del Galles
L’appartenenza gallese batte forte nel suo petto e racconta che il suo più grande rammarico fu non aver potuto avere la sua bandiera alle Olimpiadi di Pechino. La portò però sul podio di Parigi quando nel 2018 vinse il Tour (foto di apertura)
«Ricordo di essere gallese – dice – soprattutto quando oltrepasso il confine con l’Inghilterra. Se entri in un pub e sei gallese, li senti fare battute sul rugby o sulle pecore. Penso che il solo partire dal Galles rafforzi la passione per il Galles. Te lo senti dentro che rappresenti il tuo Paese, come quando vai alle Olimpiadi. A Pechino, la prima volta, ero lì per la Gran Bretagna, ma anche per il Galles, perché non ci sono molti atleti gallesi che hanno avuto questo onore. Quando scoprii che non avrei potuto sventolare la mia bandiera, sono rimasto deluso, perché sarebbe stato bello fare un giro d’onore con la bandiera gallese, per mostrare alla gente da dove vengo».
Al Delfinato 2021, il gallese batte Sagan in volata a Saint Vallier, poi aiuta PorteAl Delfinato 2021, il gallese batte Sagan in volata a Saint Vallier, poi aiuta Porte
La valigia già pronta
Da sabato questo ragazzo divertente di 35 anni sarà al via del Tour. Negli anni, oltre ad averlo vinto, ha scortato al successo Froome e Bernal. Vedremo quest’anno come finirà con Carapaz, scheggia di cultura latina nel blocco di sudditi della Regina, che oltre a Thomas vede anche Yates e Porte.
«Tre parole per descrivermi? Rilassato – sorride – felice per la maggior parte del tempo. Mi piace il cibo. Non so se c’è una parola per questo! Amante del cibo! Sì, un po’ più di tre parole, ma ci siamo. Questo sono io».
Una tazzina di caffè e la porta aperta ai ricordi: sono passati ormai 15 anni da quel giorno, quando Gianpaolo Cheula conquistò la Corsa della Pace altrimenti detta Varsavia-Berlino-Praga, la stessa (almeno nel nome) vinta domenica da Filippo Zana. Un evento che passò sotto traccia, invece si trattava di qualcosa di storico per il ciclismo italiano perché prima di allora solamente il compianto Michele Scarponiera riuscito nell’impresa e poi perché la gara stava cambiando.
Cheula, nel 2006, si è aggiudicato quella che può essere considerata l’ultima edizione della corsa nel suo format storico: «Ma già allora un po’ di cose erano cambiate – racconta l’attuale direttore sportivo dell’Androni Giocattoli – era una gara Hors Categorie, articolata su 10 giorni. Si andava da Varsavia a Berlino passando per Praga. So che lì c’è un museo con una grande stele dove sono scolpiti tutti i nomi dei vincitori, l’ultimo è il mio…».
Cinque stagioni per Cheula alla Barloworld, dal 2005 al 2009 con due vittorieCinque stagioni per Cheula alla Barloworld, dal 2005 al 2009 con due vittorie
Quell’edizione fu particolare anche perché gli italiani dominarono la scena, al punto da monopolizzare il podio…
Vinsi con appena 2 secondi su Tonti e terzo fu Gasperoni (nella foto d’apertura il podio finale). Il bello fu che mi aggiudicai la corsa senza vincere neanche una tappa, ma fui premiato dalla mia costanza di rendimento. Correvo alla Barloworld, una squadra sudafricana di stanza in Gran Bretagna, il capitano era il colombiano Cardenas, ma uscì presto di classifica e puntarono tutto su di me.
Che tipo di corsa era al tempo?
Impegnativa, ma non tanto per il percorso. Non ci sono certo le salite di Giro o Tour, trovavi asperità di 5-6 chilometri, ma i percorsi erano molto vallonati, soprattutto nei Carpazi. A fare la differenza però era il tempo: pioveva sempre e quell’acqua unita al freddo inconsueto per la primavera nostrana ti entrava nelle ossa. La mia fortuna, in quella corsa, fu che non erano previste cronometro, altrimenti dubito che avrei vinto…
Grande freddo per Cheula nell’Est europeo… magari però non come sulle vette del Giro: qui provando il Colle delle Finestre per il Giro 2011Grande freddo per Cheula nell’Est europeo… magari però non come provando il Finestre nel 2011
Che cosa ti è rimasto impresso di quella gara?
La gente. Storicamente la Corsa della Pace era la gara regina per i Paesi dell’Est Europeo. Quando era per dilettanti gareggiavano le nazionali e in quelle Nazioni ne era rimasto il ricordo. Al tempo ad esempio c’era la CCC che raccoglieva i migliori corridori polacchi, per loro la gara valeva un Tour. L’organizzazione era di altissimo livello, alberghi ottimi, percorsi adatti a una gara per professionisti. Secondo me dovrebbero riproporla in quei termini, una gara di 10 giorni ha un valore importante.
Venisti da quel successo e si parlava di Cheula come di un corridore adatto alle corse a tappe, ma la tua carriera prese un’altra direzione…
Non nascondo che un pensiero ce lo feci, ma non ero fatto per quei ruoli. Ero più adatto a lavorare al fianco di un capitano, per aiutare chi aveva davvero talento e doveva crescere. In quegli anni corsi con gente come Froomee Thomas, ai loro esordi.
Oggi Gianpaolo Cheula è direttore sportivo all’Androni Sidermec Giocattoli, dove segue i giovaniOggi Gianpaolo Cheula è direttore sportivo all’Androni Sidermec Giocattoli, dove segue i giovani
Raccontaci com’erano…
Partiamo da Geraint, arrivò alla Barloworld che era il campione del mondo dell’inseguimento, nel team ci credevano molto proprio perché britannico. Il primo anno al Tour ricordo che in una tappa di montagna, si arrivava a Tignes, si staccò quasi subito, riuscì a salvarsi dal tempo massimo per il rotto della cuffia, ma capì che quel Tour lo doveva finire. Aveva compreso subito che la fatica e il sacrificio lo avrebbero ricompensato.
E Froome?
Gran motore il suo… Quando arrivò era ancora di passaporto kenyano, aveva testa da campione, concentrato su tutto, pronto e voglioso di imparare. Anche lui concluse il suo primo Tour soffrendo, ma si capiva che non era un corridore come gli altri.
Quanto di quelle esperienze c’è nel Cheula dirigente attuale?
Tantissimo, è saggezza accumulata che riproponi quando hai a che fare con i più giovani. Da noi arrivano corridori da sgrezzare, spesso da altri Paesi, che devono imparare tutto e che proprio per questo ascoltano. Ogni corsa con loro è un’esperienza nuova e quando vincono, è come se vincessi io, proprio come allora…
Dopo la vittoria della crono al Giro di Svizzera, Evenepoel fa autocritica sulla gestione della corsa. Geraint Thomas il suo modello. Ora punta sulla Vuelta
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«Più che altro – dice Thomas – sono stato attento a non sbagliare le curve e a non prendere rischi inutili. Mi è bastata la caduta di ieri. Stamattina sapevo di essere ancora in lotta per qualcosa, per questo alla fine l’ho presa con spirito».
Geraint Thomas ha appena vinto il Giro di Romandia, con il terzo posto nella crono che gli ha permesso di superare Michael Woods, a sua volta graziato ieri dalla goffa caduta del gallese. Cercare di decifrare il movimento per cui a un certo punto Thomas ha perso la presa del manubrio è ancora difficoltoso. Il corridore della Ineos Grenadiers era in testa, ha cercato di cambiare rapporto e quando ha fatto per tirare sulla leva per lanciare la volata, gli è mancata la presa. La mano si è staccata da manubrio, il corpo si è sbilanciato e mentre Woods scattava verso il traguardo, lui è caduto pesantemente sull’asfalto.
«Non avevo proprio sensibilità alle mani – ha spiegato – ho provato a cambiare rapporto, invece ho perso il manubrio. E’ stato davvero frustrante, era meglio non cambiare e arrivare secondo…».
La caduta di Thomas, sul traguardo di Thyon 2000La caduta di Thomas, sul traguardo di Thyon 2000
Vista la giornata in zona neve, con pioggia e gelo su montagne ancora non sfiorate dalla primavera, la spiegazione è stata subito plausibile. Ma mentre l’anno scorso al Giro la caduta gli è costata il ritiro, questa volta le conseguenze sono state meno severe, forse anche per la velocità più bassa. Thomas cade spesso, per fortuna non sempre si fa male.
Ganna e la rosa
La corsa svizzera è stata la chiusura di un ciclo per quelli che ora penseranno al Tour e la rifinitura per coloro che invece passeranno direttamente al Giro d’Italia. E proprio guardando alla corsa rosa, le prove nell’ultima crono di Caruso e di Masnada (terzo finale) fanno pensare cheLanda da una parte e Almeida dall’altra avranno accanto due corridori in grandissima forma. Mentre desta qualche perplessità la prova di Ganna. Il piemontese, atteso a un debutto rutilante sulle strade torinesi del Giro, già nel prologo di Oron aveva ceduto più di 3 secondi a chilometro a Rohan Dennis. Questa volta, nuovamente su un percorso impegnativo, ha perso poco più di 2 secondi a chilometro dal vincitore Cavagna, piazzandosi al 10° posto con un distacco di 37 secondi. Il miglior Ganna digerisce bene anche certe salite, ma evidentemente il piemontese, che non correva dalla Sanremo ed è rientrato al Romandia dopo 37 giorni, ha ancora nelle gambe i carichi di lavoro svolti sul Teide e forse non ha tratto dal freddo degli ultimi giorni i benefici sperati.
Per contro, ugualmente nella crono, buona la prova di Antonio Tiberi, 19 anni. Dodicesimo di tappa, il romano ha pagato 49 secondi dimostrando un buon recupero al termine di una corsa così impegnativa.
Il britannico aveva fatto la differenza in salita con Michael WoodsIl britannico aveva fatto la differenza in salita con Michael Woods
Quasi 3 anni
Non vinceva dal 29 luglio del 2018, quando a Parigi si prese il Tour. Thomas sarà nuovamente uno dei due o forse tre leader del team Ineos Grenadiers in Francia e fino ad ora la sua stagione non era stata esaltante. Dopo le legnate nelle prime corse a tappe, tuttavia, il podio del Catalunya aveva lasciato intravedere qualche sprazzo di condizione che il successivo lavoro in altura ha consolidato.
«Nelle ultime tappe – racconta – le sensazioni sono andate sempre meglio, quello che dovrò fare adesso è rimanere concentrato sull’obiettivo e continuare a migliorare per poter puntare al Tour che, come sappiamo, è super duro da vincere.
«E’ la prima vittoria da quando sono diventato padre – dice Thomas – davvero bello. Ed è la prima volta che vinco dopo il Tour del 2018. Nel frattempo sono arrivato ancora una volta secondo al Tour e sono salito sul podio di corse WorldTour, ma stare sul gradino più alto è meglio. Negli ultimi chilometri ho dato tutto, senza rischiare nelle discese. Sentire gli incoraggiamenti alla radio, quando mi dicevano di andare regolare e di non fare cose stupide, mi ha ricordato quando vinsi il Tour. Ora avrò qualche giorno di stacco con la famiglia e andrò a Tenerife. Poi Delfinato e Tour».
Nel prologo di Oron, tappa e maglia per Dennis
1ª tappa, a Martigny vince Peter Sagan
2ª tappa, Saint Imier, vince Colbrelli
3ª tappa, a Estavayer vince Soler, col dente avvelenato
4ª tappa, a Thyon 2000 vince Michale Woods
5ª tappa, a Friburgo vittoria nella crono a Cavagna
Nel prologo di Oron, tappa e maglia per Dennis
1ª tappa, a Martigny vince Peter Sagan
2ª tappa, Saint Imier, vince Colbrelli
3ª tappa, a Estavayer vince Soler, col dente avvelenato
4ª tappa, a Thyon 2000 vince Michale Woods
5ª tappa, a Friburgo vittoria nella crono a Cavagna
Masnada c’è
Alle spalle di Thomas sono finiti Porte e Fausto Masnada, che ha dato l’assalto al podio proprio nella quarta tappa, quella della caduta di Thomas, ma soprattutto dell’arrivo in salita a Thyon 2000.
«E’ stata una settimana molto dura – dice il bergamasco – soprattutto a causa del tempo, ma sono arrivato qui con una buona condizione dopo il ritiro in altura e sapevo di poter fare qualcosa di buono in classifica generale. Volevo realizzare una crono solida, per questo stamattina sono andato in ricognizione e poi ho seguito Ian Garrison dall’ammiraglia per dare un’altra occhiata al percorso. Quando è arrivato il momento, sono andato a tutta. E’ la mia prova più bella in una cronometro e questo fa ben sperare prima del Giro. Non vedo l’ora che cominci».
Ottima crono per Fausto Masnada, che scala così il terzo gradino del podioOttima crono per Fausto Masnada, che scala così il terzo gradino del podio
Buon Giro a tutti
Un suo compagno che al Giro non ci sarà per i motivi che ci ha già detto è Mattia Cattaneo. Settimo nella crono finale, il bergamasco ha conquistato il 12° posto finale a capo di una corsa regolare di altissimo livello.
Con le vittorie di Dennis, Sagan, Colbrelli, Soler, Woods e Thomas, il Romandia va in archivio e lancia la primavera del Giro d’Italia. Le squadre inizieranno a convergere su Torino da mercoledì e giovedì si presenteranno al pubblico. Sta per iniziare un viaggio bellissimo.
Per il primo Giro da ex, Nibali ha scelto l'ammiraglia di RCS Sport. Il suo punto di vista sulla sfida fra Roglic e Thomas. E il bello di una corsa vista dall'esterno
Pochi acquisti ma di spicco per il Team Ineos Grenadiers, fortemente determinata a reimpossessarsi di quel ruolo di riferimento assoluto per le corse a tappe dopo lo straordinario Giro d’Italia 2020, culminato con il trionfo di Tao Geoghegan Hart. La partenza di Chris Froome, invece che lasciare più spazio ai capitani già presenti, ha allargato il numero di frecce disponibili, con l’arrivo di Adam Yates, britannico anche lui alla ricerca del rilancio dopo qualche occasione fallita.
Tirreno Adriatico 2021, Egan Bernal alle prime prove del 2021Tirreno Adriatico 2021, Egan Bernal alle prime prove del 2021
Bernal al Giro
Toccherà a lui, insieme a Thomas, all’ex maglia rosa Carapaz e al già citato Geoghegan Hart costituire alternative a Bernal, il trionfatore del Tour 2019 che dopo le difficoltà della scorsa stagione è ripartito dal Giro d’Italia nella sua caccia ai grandi successi nelle corse a tappe. Come si vede, un tale affollamento di punte permetterà di schierare sempre alternative, addirittura triple sperando che non ci si pesti i piedi, ma il motto della squadra è sempre stato “la corsa decide il capitano, non il contrario”.
Ganna è in prospettiva il talento più eclettico per IneosGanna è in prospettiva il talento più eclettico per Ineos
Prospettiva Ganna
La Ineos però è anche altro, anzi si è portati a pensare che il grande acquisto della squadra sia… Filippo Ganna. Il campione del mondo a cronometro è atteso da un anno incentrato sull’esperienza olimpica, poi si penserà ad allargare i suoi orizzonti non più solo come passista per le gare contro il tempo, ma anche come cacciatore di un certo tipo di classiche.
Il nuovo Moscon
Certamente con gente come lui, Dennis, il neoarrivato Porte (terzo all’ultimo Tour ma pronto ora al ruolo di luogotenente) ogni cronosquadre avrà nell’Ineos la netta favorita, ma in questo panorama ci sono altri corridori che reclamano spazio, da Sivakov, considerato ottimo specialista per le corse a tappe medio-brevi, a Moscon, che vuole ritrovare l’antico smalto, facendo intanto crescere con calma quel Pidcock pronto a diventare un’altra delle tante punte del team.
L’ORGANICO
Nome Cognome
Nato a
Naz.
Nato il
Pro’
Andrey Amador
San José
Col
29.08.1986
2009
Leonardo Basso
Castelfranco V.
Ita
25.12.1993
2018
Egan A.Bernal Gomez
Bogotà
Col
13.01.1997
2016
Richard Carapaz
El Carmelo
Ecu
29.05.1993
2017
Jonathan Castroviejo
Getxo
Esp
27.04.1987
2008
Laurens De Plus
Aalst
Bel
04.09.1995
2016
Rohan Dennis
Adelaide
Aus
28.05.1990
2013
Owain Doull
Cardiff
Gbr
02.05.1993
2017
Edward Dunbar
Banteer
Irl
01.09.1996
2018
Filippo Ganna
Verbania
Ita
25.07.1996
2017
Tao Geoghegan Hart
Londra
Gbr
30.03.1995
2017
Michal Golas
Torun
Pol
29.04.1984
2008
Ethan Hayter
Londra
Gbr
18.09.1998
2020
Sebastian Henao Gomez
Rionegro
Col
05.08.1993
2014
Michal Kwiatkowski
Chelmza
Pol
02.06.1990
2010
D.F.Martinez Poveda
Bogotà
Col
25.04.1996
2015
Gianni Moscon
Trento
Ita
20.04.1994
2016
J.M.Narvaez Prado
Playon S.Francisco
Ecu
04.03.1997
2017
Thomas Pidcock
Leeds
Gbr
30.07.1999
2021
Richie Porte
Launceston
Aus
30.01.1995
2010
Salvatore Puccio
Menfi
Ita
31.08.1989
2012
Brandon S.Rivera Vargas
Zipaquira
Col
21.03.1996
2019
Carlos Rodriguez Cano
Almunecar
Esp
02.02.2001
2020
Luke Rowe
Cardiff
Gbr
10.03.1990
2012
Pavel Alekseevic Sivakov
S.Donà Piave (ITA)
Rus
11.07.1997
2018
Ivan R.Sosa Cuervo
Pasca
Col
31.10.1997
2017
Ben Swift
Rotherham
Gbr
05.11.1987
2009
Geraint Thomas
Cardiff
Gbr
25.05.1986
2007
Dylan Van Baarle
Voorburg
Ned
21.05.1992
2014
Cameron Wurf
Hobart
Aus
03.08.1983
2007
Adam Yates
Bury
Bury
07.08.1992
2014
DIRIGENTI
Dave Brailsford
Gbr
General Manager
Oliver Cockson
Gbr
Direttore Sportivo
Xavier Artetxe Gesuraga
Esp
Direttore Sportivo
Kurt Bogaerts
Bel
Direttore Sportivo
Dario David Cioni
Ita
Direttore Sportivo
Stephen Cummings
Gbr
Direttore Sportivo
Carsten Jeppesen
Den
Direttore Sportivo
Servais Knaven
Ned
Direttore Sportivo
Christian Knees
Ger
Direttore Sportivo
Brett Lancaster
Aus
Direttore Sportivo
Ole Gabriel Rasch
Nor
Direttore Sportivo
Matteo Tosatto
Ita
Direttore Sportivo
Xavier Zandio Echaide
Esp
Direttore Sportivo
DOTAZIONI TECNICHE
La collaborazione fra il Team Ineos e Pinarello ha scritto alcune delle più belle pagine di ciclismo, a partire dal 2012, quando Bradley Wiggins vinse il primo Tour in maglia Sky, seguito poi dalle 4 vittorie di Froome, quella di Thomas e quella di Bernal, cui si sono aggiunte le due Vuelta di froome e il suo Giro. La Pinarello F12 del team, unica bici del WorldTour per scelta senza freni a disco, viaggia appaiata alla Bolide per le crono.
Dario Cioni, allenatore di Ganna, apre la porta sul progetto record dell'Ora. Il perché della data. La pista. L'attività di Pippo. I materiali. E Bigham
Ganna chiude con il 2020 delle grandi vittorie e riparte da Gran Canaria, base classica del primo ritiro di Ineos. Si lavora per il doppio obiettivo a Tokyo
C’è una firma italiana anche nella vittoria di Tao Geoghegan Hart a Piancavallo: quella di Matteo Tosatto. C’era il tecnico veneto, che ha ormai perso la voce, sull’ammiraglia alle spalle del gallese e sono stati i suoi consigli a spianare la strada del ragazzo dal volto simpatico e pieno di lentiggini.
«Tutta la Sunweb, i compagni di Kelderman hanno fatto un buon lavoro – ha detto il vincitore – dovevano guadagnare più tempo possibile sulla maglia rosa e hanno fatto un grande forcing. Io ho cercato di restare calmo e restare focalizzato sulla vittoria, anche se a volte la tentazione di muovermi prima l’ho avuta. Per fortuna da dietro Tosatto, che ha grande esperienza mi diceva di stare calmo».
Rohan Dennis a lungo in fuga verso PiancavalloRohan Dennis a lungo in fuga
La tattica di Tosatto
Dopo Cioni accanto a Ganna, un altro asso italiano dell’ammiraglia. Toso ascolta e sorride e forse nel cambio di mentalità del Team Ineos-Greenadiers dopo la caduta e il ritiro di Thomas c’è anche quel suo spirito pratico e scanzonato da vecchio combattente del gruppo.
«La squadra aveva dimostrato alla Tirreno – dice – che eravamo pronti a fare un bel Giro. Non ci siamo mai nascosti, puntavamo a vincere con Thomas e la squadra era pronta. Dopo l’incidente, a parte la condizione fisica che c’era, i ragazzi hanno cambiato mentalità con attacchi e vittorie. Oggi abbiamo voluto la fuga. Con Dennis, ma avremmo sganciato volentieri anche Puccio e Narvaez. Volevamo metterne due in fuga per tenere Tao tranquillo. E alla fine ha funzionato perché Tao ha vinto. Nel finale ha fatto una cosa stupenda ed è salito al quarto posto».
Reset mentale
In questa sorta di scambio fra il direttore e il suo pupillo, le parole di Tao completano il quadro.
«Niente di strano in questo nostro modo di correre – ha detto – eravamo venuti al Giro convinti di avere un super leader come Thomas in ottima condizione. Eravamo pronti per sostenerlo. E’ stato duro quel giorno in Sicilia, soprattutto per la natura della caduta. Abbiamo dovuto fare un reset, lui è andato a casa e noi abbiamo onorato la corsa. Abbiamo grande supporto dai nostri sponsor e vogliamo fare il massimo per loro. Abbiamo ancora sette giorni in cui fare il massimo.
«Dobbiamo prendere quello che viene. Ci saranno altri distacchi. Ci saranno le tappe di montagna successive. Sapevamo con il nuovo calendario che le cose potevano cambiare per il meteo. Ci saranno gap maggiori, alcuni attaccheranno da lontano come Froome nel 2018 e io non vedo l’ora. Sarà una terza settimana molto spettacolare».
Così Geoghegan Hart sul traguardo di PiancavalloCosì Geoghegan Hart sul traguardo di Piancavallo
Podio possibile?
Si pedala fra cautela ed entusiasmo. Ma se un ammiraglio esperto come Martinelli pensa che Geoghegan Hart possa essere l’uomo della maglia rosa finale, allora forse con Bramati bisogna approfondire il discorso.
«Tao già l’anno scorso al Tour of the Alps – dice Bramati – è andato forte, ha fatto vittorie, ha fatto il podio e ha aiutato Sivakov. Ha fatto la Vuelta, ha fatto fughe. E’ un giovane interessante, deve migliorare su certi punti di vista nella gestione della corsa. Oggi ha fatto una grande vittoria. Non parlo della sua classifica che è una sorpresa anche per noi, anche se non del tutto dopo la caduta di Thomas. Tao è quarto in classifica e ad un secondo dal podio. Da qui a dire che salirà sul podio o vincerà il Giro, il passo è lungo».
Passato dalla Ineos alla UAE Emirates, Pavel Sivakov ha scoperto che lavorare per Pogacar è gratificante e semplice: lui tira e l'altro quasi sempre vince
Durante il Giro d’Italia è emerso con forza il problema delle borracce che vengono perse dai corridori e rotolano fra le ruote del gruppo. L’episodio che ha accesso i riflettori su questo problema è la brutta caduta che ha costretto Geraint Thomas al ritiro. Noi di bici.PRO abbiamo sentito in merito Nazzareno Berto, attuale meccanico del Team Bardiani CSF Faizané ed ex professionista dei primi anni 80.
Cambio di materiali
Il punto che ci interessa approfondire con Berto è capire se è cambiato qualcosa nella forma o nei materiali utilizzati. «Una volta i portaborraccia erano in alluminio e si potevano stringere e allargare in base alle necessità, ora con i materiali nuovi questo non si può più fare. Quelli in plastica quando sono nuovi sono molto duri, quasi si fatica ad infilare la borraccia, però dopo un po’ si smollano». Il primo punto che emerge anche dall’esperienza di Berto è che i materiali sono cambiati. Ma non sono solo i materiali ad essere cambiati «In più c’è da dire – aggiunge Berto – che la forma dei nuovi portaborraccia è sicuramente molto bella esteticamente, ma forse quelli vecchi erano più funzionali. Quelli di oggi danno meno copertura alla borraccia rispetto a quelli di una volta».
Portaborracce e borracce, tema dibattuto al GiroPortaborracce e borracce, tema dibattuto al Giro
Attenzione ai dossi
Nazareno Berto fa una riflessione molto interessante anche sulle strade. «Quando correvo io e fino a pochi anni fa, sulle strade non c’erano tanti dossi. Adesso i corridori per superarli spesso saltano con la bicicletta e al momento della ricaduta capita che la borraccia voli via».
Un altro fattore che influenza la tenuta delle borracce è proprio la natura della sede stradale. Infatti come sottolineato da Berto, i dossi sempre più numerosi possono costituire una variabile importante. Proprio in tema di imperfezioni del terreno, il meccanico della Bardiani ci ha svelato un accorgimento che apportava durante la campagna del nord, dove il pavé è la regola. «Quando dovevamo fare le gare sul pavé, prendevamo della carta vetrata e con del biadesivo l’attaccavamo al portaborraccia. In questo modo cercavamo di evitare di perdere le borracce nei tratti di pavé. Solo che anche questa soluzione con i materiali e le forme moderni non si può più fare».
Chi si ricorda i portaborraccia in alluminio o i primi realizzati in plastica, saprà che spesso c’erano delle piccole parti in gomma. Proprio su queste veniva posto il biadesivo. Oggi la gomma non è più fra i materiali presenti sui portaborraccia. Chissà se qualche azienda non stia già pensando a un ritorno alle vecchie soluzioni.