Dov’erano gli azzurri? Ritorno a Parigi con il cittì Bennati

14.08.2024
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Parigi è un boccone che piano piano è andato giù. Bennati lo ha masticato a fatica, ripassando le scelte, le parole, gli impegni e la gara. E poi, dovendo partire alla svelta per un sopralluogo sul percorso degli europei, ha voltato la pagina. E’ innegabile che la corsa su strada degli azzurri alle Olimpiadi sia stata un buco nell’acqua, in cui la figura migliore l’ha fatta colui che meno c’entrava. Con quella fuga, Viviani se non altro ha mostrato al mondo che a Parigi c’era anche l’Italia.

Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?
Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?

Prestazione opaca

Il fatto che corressimo in tre discende direttamente dai risultati e i nostri (pochi) risultati nelle classiche hanno indicato i nomi di Bettiol e Mozzato. Se anche avessimo corso in cinque, probabilmente il risultato non sarebbe stato migliore. Ma altrettanto probabilmente, se si fosse potuta dare la squadra dopo il Tour, ci sarebbe stato margine per altre valutazioni. La tagliola del 5 luglio ha impedito di fare diversamente.

«I ragazzi stavano bene – spiega Daniele – apparentemente le cose andavano per il verso giusto. Poi la gara è andata come è andata, è inutile girarci attorno e io mi devo prendere la responsabilità, anche se rifarei le stesse scelte. Non parlo del piazzamento, ma della prestazione al di sotto delle nostre possibilità. Ho sempre detto che, a parte Evenepoel che in questo momento sarebbe sbagliato guardare, non vedo fenomeni nell’ordine di arrivo dal secondo al decimo. Dovevamo fare assolutamente meglio a livello di prestazione. Nei due mondiali che ho fatto, sia in Australia sia a Glasgow, sono sempre tornato a casa col sorriso, perché abbiamo fatto molto bene dal punto di vista della prestazione. In qualche modo abbiamo fatto divertire gli appassionati, cosa che in queste Olimpiadi non è successa».

Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas
Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas

L’avvicinamento non è stato semplice. A causa del calendario varato dal CIO con il benestare dell’UCI, non si sono potuti coinvolgere Ganna né Milan nella prova su strada. Poi, per le nuove quote della pista, il solo modo perché potesse correre l’omnium e poi la madison era che Viviani venisse convocato per la gara su strada. La decisione è stata presa e non avrebbe avuto senso mettersi di traverso.

Partiamo proprio da Elia.

Come ho detto fin dall’inizio, essendo il responsabile del settore strada professionisti, sul momento non ci sono rimasto bene. Però poi, ragionando a mente fredda, ho capito che fosse una cosa necessaria. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che in questo momento su strada facciamo più fatica che in pista. Va dato atto che siamo una delle Nazioni di riferimento nella pista e nelle crono, per cui si è scelto di dare la possibilità a Elia di fare le sue specialità. A un corridore come lui, bisogna stendere tutti il tappeto rosso per quello che è riuscito a dare in termini di visibilità. La pista è riuscita ad arrivare a questi livelli soprattutto grazie a lui che ci ha sempre creduto e ovviamente anche a Marco Villa.

E alla fine la mossa è stata azzeccata, vista la medaglia d’argento.

Sulle sue potenzialità e la possibilità di fare risultato non ho mai avuto dubbi. Sapevo però che Elia non avrebbe fatto un calendario mirato per la prova su strada, perché con la squadra non stava facendo l’attività più consona. Ovviamente qualcuno che sognava quel posto può esserci rimasto male. Penso che qualsiasi atleta abbia l’obiettivo e il sogno di partecipare a un’Olimpiade, ma non tutti alla fine riescono ad andarci.

Si sapeva da tempo che avreste corso in tre.

Ho iniziato a parlare di Parigi da dicembre del 2023 e una decina di atleti ha effettuato le visite a Roma. Ho indicato i più adatti a quel percorso, senza conoscere le dinamiche che si sarebbero create. Poi, a inizio stagione, ho detto a tutti che nessuno avrebbe avuto in mano la certezza di essere convocato, ma speravo che mi mettessero in difficoltà con i loro risultati di inizio stagione, delle classiche e del Giro. Nel caso specifico, Bettiol fino al Tour ha fatto una stagione molto significativa, con una continuità importante. E’ andato forte alla Sanremo e anche al Fiandre, dove è stato riassorbito nel finale. E proprio al Fiandre è arrivato con Mozzato il solo podio italiano in una gara monumento del 2024. Per cui la scelta è caduta su loro due. Avevano raggiunto risultati importanti e credo che un’Olimpiade si possa conquistare anche e soprattutto attraverso i risultati.

Hai dovuto dare i nomi il 5 luglio.

Credo l’ultima Nazione sia stata la Francia, che li ha dati l’8 di luglio. Poi ovviamente ti devi affidare alla buona sorte e alla parola dei corridori, che si impegnano ad arrivare pronti all’appuntamento. Ci siamo sentiti. Abbiamo parlato con i loro preparatori. Hanno avuto la massima fiducia. La crono ci aveva mostrato un Bettiol in ripresa. Dopo aver vinto l’italiano è andato al Tour, ha fatto una settimana discreta e poi si è ritirato per preparare la cronometro. Semmai, se qualcuno avesse sentito di non essere al meglio, avrebbe potuto fare un passo indietro. Ma erano entrambi certi di stare bene.

Come è stato il tuo approccio con Viviani?

Ci siamo sentiti spesso. Il suo ruolo era determinante e devo dire che ha confermato la sua professionalità. Il fatto che sia entrato in quell’azione è stata una decisione presa al momento da lui stesso, perché non c’erano le radio. L’obiettivo era che arrivasse a Parigi per dare il supporto agli altri due, poi ha deciso di inserirsi in questa azione che alla fine è risultata positiva per lui e anche per noi.

La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
Come è stato veder scorrere via un’Olimpiade senza poterci mettere mano?

Purtroppo correre senza radio è molto limitante. E’ frustrante non avere la possibilità di fare nulla. Quando sei in macchina, non hai contatto diretto con gli atleti. Quindi stai lì, guardi la corsa nel tablet e ascolti radio corsa, ma a a livello tattico non puoi fare quasi nulla. Ovviamente diventa più semplice per il mio collega belga, che ha un corridore come Evenepoel che stacca tutti (sorride, ndr).

Non sei riuscito ad avere alcun tipo di contatto con Bettiol e Mozzato?

Li abbiamo visti un paio di volte. Sono venuti alla macchina per prendere acqua e Alberto all’ultimo giro non era fuori corsa. C’erano ancora Evenepoel e Madouas e dietro era ancora tutto in gioco. Però quando è venuto alla macchina, obiettivamente non era l’Alberto dei giorni migliori. Quindi ho capito che la faccenda si faceva abbastanza complicata. Ovviamente Luca a quel punto era già più dietro.

Si è detto che con 89 corridori e 272 chilometri sarebbe venuta una corsa pazza, invece è stata molto più lineare.

E’ vero, però analizzandola bene, al 180° chilometro prima di entrare a Parigi, c’era il terreno per attaccare. Un po’ di azioni ci sono state e pensavamo che si potesse fare più differenza. Il Belgio ha provato a muovere la corsa già da lì, anche Van der Poel scalpitava, però era anche ancora lungo arrivare a Parigi. Poi Van Aert ha corso solo ed esclusivamente su Van der Poel e, così facendo, ha aperto una grande possibilità per Remco.

Sei riuscito a parlare con i corridori dopo la corsa, almeno per quello che si può dire?

Dopo la corsa non ci siamo detti nulla, ma la sera dopo cena ho voluto parlare con loro. Gli ho detto che non potevamo tornare a casa soddisfatti, tutt’altro. Mi hanno detto di aver fatto il massimo e io ci credo. Non penso che si siano tirati indietro perché non avessero voglia di far fatica. È stata una giornata negativa dal punto di vista prestazionale e sicuramente si sono ritrovati con poche energie o con energie non sufficienti per fare una gara più dignitosa. Tanto altro da dire al momento non c’è. Voglio che andiamo agli europei e al mondiale con la voglia di riprenderci il nostro posto. E se ci saranno altre cose da dire, le tirerò fuori con loro a fine stagione. Per adesso va bene così.

Le madison e l’esempio di Viviani: un lavoro che non va sprecato

11.08.2024
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Le medaglie della pista sono tre e non è detto che la nostra avventura di Parigi 2024 sia finita qui. Aspettando Letizia Paternoster, il commissario tecnico Marco Villa si gode i successi nella madison, per certi versi inattesi, come magari ci si attendeva qualcosina di più dai quartetti, soprattutto quello maschile. Villa inizia con la madison.

«La vittoria di Consonni e Guazzini – dice Marco (in apertura con Viviani dopo la madison di ieri) – ha reso giustizia al settore femminile, che non ha preso la medaglia col quartetto per la sfortuna che ha avuto Elisa Balsamo».

L’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa Balsamo
L’oro nella madison femminile ha vendicato il quarto posto del quartetto e la sfortuna di Elisa Balsamo
Quindi Elia Viviani e Simone Consonni hanno reso giustizia al settore maschile?

Credo proprio di sì. Elia sta benissimo, nell’omnium non lo avevo mai visto andare così forte. Ha cambiato modo di allenarsi. Ha visto che per correre queste gare vanno usati rapporti più lunghi. Non li avevamo nelle gambe, ma ci abbiamo lavorato, ci ha messo tanto impegno.

Dopo l’omnium c’era un po’ di delusione? 

Siamo andati in albergo la sera con la netta percezione che ci mancasse qualcosa. Nel primo scratch è capitata una cosa che a noi non capita mai, cioè Thomas che prende il giro così facilmente. Oggi (ieri, ndr) ci abbiamo provato anche noi. Addirittura Elia era pronto a provare a prendere il giro già all’inizio, come ha fatto l’Austria. Era una follia, ma dovevamo inventarci qualcosa.

Oltre alla testa, ha avuto le gambe per farlo.

Lui sta bene, lo ripeto. Dopo l’omnium non mi tornavano i conti. Meritava un risultato, che lo ripaga degli sforzi che ha fatto. Ugualmente Simone, è sempre andato vicino al grande risultato. Abbiamo lavorato poco specificatamente, ma ci siamo arrivati bene. Non è una medaglia da outsider.

La caduta ha tolto un oro?

Il Portogallo è rinvenuto forte negli ultimi 30 giri. Non li riconoscevo nei primi 160, hanno fatto un attacco che è durato poco e poi sono tornati indietro. Il ritmo era alto per tutti. Peccato per la caduta. Elia stava cambiando, Simone è caduto e lui è tornato su, facendo altri sei giri, con neozelandesi e portoghesi che attaccavano. Quello sforzo nel finale ci ha penalizzato. Peccato.

Il settore pista è in salute, ormai si può dire.

Il valore assoluto è sempre quello. Si è aggiunto il settore femminile, che ha imparato dal settore maschile. I talenti ci sono. Siamo arrivati qua con una grande esperienza, da campioni olimpici con i maschi e campionesse del mondo due anni fa con le ragazze su questa pista. Il livello è alto, queste medaglie non sono arrivate gratis.

La tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisica
La tattica che ha portato all’argento dell’omnium di Viviani e Consonni è nata da improvvisazione e forza fisica
Gli inglesi si chiedono come sia possibile che a ogni edizione l’Italia si presenti con squadre forti.

Noi e gli inglesi abbiamo lo stesso modo di lavorare. Anzi, su alcune cose ci hanno copiato. Nel preparare Londra hanno costruito la Sky per vincere le Olimpiadi. Da lì sono usciti Wiggins, Cavendish, Thomas. Ora hanno Hayter. Il modello prestazionale è rimasto lo stesso. Il loro modo di lavorare è il nostro. Devi prendere quelli forti e quelli forti stanno su strada. Devi quindi trovare il modo di non far perdere loro l’attività su strada, che ti dà lo stipendio. Ma la pista ti dà le medaglie olimpiche.

E il futuro?

Mi piacerebbe avere una squadra di riferimento italiana che trattenga i giovani e gli faccia fare il percorso di Viviani, Ganna, Consonni e Milan. Speriamo che non rimanga nel cassetto. C’è stato un cambio di rotta da Londra. L’ho chiesto alla Federazione. Abbiamo perfezionato il sistema che vedete adesso e abbiamo trovato i campioni. Madre natura ci ha dato campioni. Mamma Consonni addirittura ce ne ha dati due. Da Londra abbiamo fatto sistema e questo è importante.

A Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omnium
A Londra 2012, Viviani ha 23 anni. Corre su strada, ma anche su pista ed è 6° nell’omnium
Elia Viviani chiude un cerchio. 

A Londra eravamo solo io e lui. E lì ha perso un oro. Lo ha perso nel primo scratch, per una caduta. Hansen non era nei 7 che stavano prendendo il giro. Quella caduta lo ha fatto riposare e risalire. Se non fosse caduto, non avrebbe preso quella occasione e poi preso tutti quei punti che gli hanno consentito di battersi fino alla fine.

Un aggettivo per Elia.

Immenso. Incredibile. Si è allenato come un diciottenne. E’ un esempio e per fortuna altri hanno preso esempio da lui. Peccato che non lo prendano ad esempio tanti direttori sportivi o tanti manager. Pensano ancora che mandare i ragazzi in pista sia un handicap.

La rabbia e il sorriso, l’argento e il lieto fine, Viviani e Consonni

10.08.2024
6 min
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SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Quando si accascia a terra, è quello di Londra. Solo. «E’ arrabbiato», rivela la moglie Elena Cecchini. Voleva vincere. Quando si rialza, è quello di Tokyo. Fiero come un portabandiera, commosso perché i grandi non devono nascondere la loro sensibilità. Si mostrano per quelli che sono. E lui è ancora quello di Rio, un campione assoluto. L’Elia Viviani di Parigi scrive l’ultima pagina di una carriera olimpica speciale.

Tre metalli, lo stesso Elia

C’è tutto Elia, in tutti e tre i metalli che da oggi ha a casa. Ragazzo d’oro, lo conferma chiunque lo frequenti. Capelli che prima o poi saranno d’argento, il maledetto tempo passa anche per lui. Faccia di bronzo in pista, quando serve. Quando, ad esempio, c’è da cogliere il momento per prendere un giro al gruppo nella madison. Ha sempre avuto un’intelligenza superiore alla media, l’ha dimostrato anche ieri, nel momento chiave. Quando ha capito che si poteva prendere quel vantaggio che ha consentito di raggiungere il podio a lui e a Consonni.

Chissà come sarebbe andata senza quel cambio sbagliato prima dell’ultimo sprint che ha portato alla caduta di Simone.

«Il Portogallo ha vinto di 7 punti – analizza lui – con la volata saltata potevamo prenderne 5, non s’è perso l’oro per quello».

«Ci ha scombussolato i piani nel finale, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte», ribatte Consonni. Che si prende la seconda medaglia, la terza in una ideale cameretta con la sorella Chiara in cui magari già da piccoli sognavano le Olimpiadi.

Tanti lavori di qualità

Quello di Londra è il Viviani che è arrivato qui. Quello che «si è allenato come un diciottenne», come racconta il Ct Marco Villa. E lui conferma. «Abbiamo fatto tantissimi lavori di qualità». Come se dovesse affrontare la prima Olimpiade. «Dovevamo alzare i watt, trovare rapporti più duri. Non ho lavorato più neanche col quartetto».

Poi però nell’omnium qualcosa non è andato nel verso giusto. Come a Londra, appunto. «Ci sono rimasto male, perché avevo lavorato tanto. Ho trovato avversari fortissimi, ma qualcosa non ha funzionato. La madison è una gara che non abbiamo preparato, ma che sappiamo correre. Ce lo hanno dimostrato anche le ragazze. Vederle da fuori ci ha aiutato. Serviva coraggio, l’abbiamo trovato, a costo di saltar per aria nel finale. Invece è andata bene, è stato bello, con un pizzico di follia». Come quando si è giovani, appunto.

Decisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsa
Decisive le due volate vinte da Viviani e il giro conquistato prima di metà corsa

L’ultima gara di un campione

Elia però è anche quello di Rio. Un esempio, come deve essere un portabandiera. «Ho corso con la testa, con il cuore e con le gambe di Elia», racconta Simone Consonni, che in testa aveva proprio il casco del suo compagno di squadra. «Perché ne avevo provati altri, ma era andata male». Il suo è un argento che «vale tanto, perché è la seconda medaglia». Per la sorella Chiara, che «mi ha detto che mi vuole bene e non ce lo diciamo spesso. E’ la cosa più bella».

Vale «per tutta la nostra squadra. Se anche i quartetti non sono andati come si sperava, siamo lo stesso una squadra forte». Con un leader vero. «Quando parti e sai che partecipi all’ultima gara di un campione che ha fatto la storia, sai che devi essere perfetto. E sono molto contento di essere stato sul podio con lui. E di aver messo in pista tutto quello che mi ha trasmesso lui in questi anni».

Viviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande lucidità
Viviani e Consonni si sono ritrovati a meraviglia, correndo con grande lucidità

Il valore dell’argento

Elia è quello di Tokyo. Quello che sa cogliere il valore di una medaglia anche se non è del metallo più prezioso.

«In Giappone esultai di più – dice – perché me l’ero guadagnato con le unghie e con i denti. Qui l’oro era vicinissimo e anche per questo ho pianto. Per la rabbia. Ma poi analizzo tutto e so bene che è un argento guadagnato e importantissimo. Volevo chiudere la mia esperienza olimpica con una medaglia e ce l’ho».

Viviani con Amadio, team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas. Dietro il fratello Attilio
Viviani con Amadio, ora team manager della nazionale, che fece passare Elia nella Liquigas

Con gli occhi di Elena

Quello di Parigi è l’Elia ormai sposato, che si fa guardare anche con gli occhi della moglie. «La medaglia era il suo obiettivo e l’ha raggiunto. E’ un campione. Siamo stati molto lontani in questi mesi, ora non vedo l’ora di passare del tempo con lui».

Il tempo dice che questa è l’ultima Olimpiade. Elia sarà alla cerimonia di chiusura, come è stato in quella di apertura. «Abbiamo chiuso un cerchio. Olimpico. Avrei firmato per una medaglia. Analizzando le cose, però, noi abbiamo preso un giro di astuzia, i portoghesi lo hanno fatto nel momento in cui è esplosa la corsa. E’ un segnale di gambe. Erano i più forti, probabilmente non potevamo farci niente. Mancava l’argento, lo mettiamo in collezione. E chiudiamo questa storia con il lieto fine».

Se ne va sorridendo. E lascia un dubbio. Forse Elia non è né quello di Londra, né quello di Rio, né quello di Tokyo, né quello di Parigi. E’ semplicemente quello di sempre. Una stella. E nella notte di San Lorenzo, a Parigi le stelle non cadono. Salgono sul podio.

Viviani pensa alla strada, ma il cuore è in pista

03.08.2024
5 min
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VERSAILLES (Francia) – Con le Olimpiadi ha decisamente un bel rapporto. Oro a Rio 2016 e bronzo a Tokyo 2020, con l’onore di essere il portabandiera, nell’omnium. Elia Viviani è pronto a giocarsi le sue carte anche a Parigi. Il suo primo impegno però è stamattina su strada, insieme ad Alberto Bettiol e a Luca Mozzato. Con l’emozione di chi sa bene cosa sono i Giochi.

«Sono quei 15 giorni in cui guardi tutti gli sport – ha raccontato ieri sera – ti senti parte di una squadra molto più grande. Ho voluto esserci nella cerimonia di apertura dopo essere stato portabandiera a Tokyo. E riguardando i miei ultimi anni, l’ultimo risultato importante è stato proprio alle Olimpiadi. E allora ecco che il mio obiettivo più grande è diventato Parigi».

Si comincia con la strada e con un percorso già provato.

Abbiamo fatto una ricognizione controllata. Sulla salita del circuito finale ci venivano 2 minuti e 10 secondi. Evenepoel l’ha fatta in 1 minuto e 58 secondi… Vedremo. E’ un percorso pieno di cotes, non ha curve o rilanci tipo Glasgow lo scorso anno. La differenza la faranno gli strappi, ma secondo me solo nel finale. Sarà difficile individuare un punto in cui attaccare per vincere. Potrebbe succedere in qualsiasi momento.

Evenepoel, Pedersen, van Aert, Van der Poel: non se ne esce?

Il ciclismo attuale è dominato da questi fuoriclasse. Sono quei campioni che non sai mai quando possono attaccare. Possono farlo in qualsiasi momento. Credo che ci sarà un faccia a faccia tra di loro nel finale. Il nostro ruolo è avere un uomo che possa stare con loro, che è Bettiol. Luca ed io siamo due atleti veloci, dovremo essere da supporto nella prima parte e poi farci trovare pronti. E se ci stacchiamo, non mollare. L’esperienza insegna che molti attacchi possono anche tornare indietro e quindi dobbiamo farci trovare pronti.

Come vedi le altre nazionali?

Danimarca e Olanda hanno uomini che possono far diventare questa corsa una corsa un po’ più normale. Pedersen è in gran forma. Ma penso anche a Morkov e Bjerg o a van Baarle. Poi bisognerà vedere cosa faranno altre che hanno risorse immense. Il Belgio ad esempio ha portato quattro atleti da medaglia, perché anche Tiesj Benoot e Jasper Stuyven lo sono. La Gran Bretagna ha Tarling che può sempre inserirsi in una fuga. Occhio alla Francia che gioca in casa. Conosco bene Alaphilippe, emotivamente sarà coinvolto al cento per cento e sicuramente ci proverà.

La nazionale di ciclismo, uomini e donne, alloggia in un hotel di Versailles
La nazionale ci ciclismo, uomini e donne, alloggia in un hotel di Versailles
E l’Italia?

Bettiol ha dimostrato che può giocarsela. Non vedo tratti dove possano staccarlo. Lui è una nostra carta da medaglia importante. Noi siamo atleti veloci che non dobbiamo perdere il controllo della corsa e poi vedremo. Il percorso è su e giù, non è duro, ma lo diventerà con i chilometri che passano. Come una Sanremo, come una Gand-Wevelgem. Però allo stesso tempo sarà diversa, perché il gruppo sarà ridotto. Me la godrò, sarà lo sforzo più grande che farò in questi Giochi, perché quelli in pista saranno corti ma intensi.

La strategia qual è?

Dobbiamo farci trovare pronti fin da subito. Inizialmente sarà compito mio e di Mozzato non far scappare corridori buoni. Non potremmo poi tirare per inseguire. Siamo meno rispetto agli altri, non dobbiamo farci sorprendere e quando la corsa ha preso una piega poi vedremo. Alcuni attacchi si possono anche pagare. La gara finisce solo a Parigi. Peraltro con un arrivo spettacolare, come ho visto ieri nella marcia.

E, anche se è presto, la pista?

Ho lavorato tanto sulla pista, per l’omnium. Un po’ anche con il quartetto, sperando che i ragazzi non ne abbiano bisogno, ma intanto ho dato una mano. Nell’ultimo periodo ho fatto tre giorni di lavoro su pista, riposo, poi strada nei fine settimana. Quello che c’è da fare è stato fatto. Strada e pista ora diranno se ho fatto bene.

Viviani_Oro_omnium_rio2016
Elia Viviani, classe 1989, è oro olimpico dell’Omnium a Rio 2016, mentre a Tokyo ha centrato il bronzo
Viviani_Oro_omnium_rio2016
Elia Viviani, classe 1989, è oro olimpico dell’Omnium a Rio 2016, mentre a Tokyo ha centrato il bronzo
E’ una pista che ti porta fortuna. Qui nel 2022 hai vinto l’oro mondiale nella prova a eliminazione.

Sarà una pista veloce, come è sempre alle Olimpiadi. Gli atleti arrivano al top, gli organizzatori cercano di renderla il più veloce possibile. Il clima inciderà, come sempre. Questo di sicuro vale per l’inseguimento, il legno è stato levigato e vedremo quanto sarà scorrevole. Chiaramente nell’omnium tutto ciò è relativo. Qui ho vinto un mondiale, qui i ragazzi hanno perso un mondiale con la Gran Bretagna, che con Italia, Danimarca e Australia si giocherà la medaglia.

E il tuo omnium?

Conterà soprattutto la tattica. Devi star bene fisicamente, ma non sbagliare una mossa. Ci sono corridori di riferimento come Benjamin Thomas, ma anche possibili sorprese come Van Schip. Bisogna stare attenti a tutti. Se un outsider azzecca le scelte, rischi di non prenderlo più.

Bettini, un salto a Parigi. Ipotesi inquietanti e pronostico impossibile

31.07.2024
6 min
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Paolo Bettini da oggi è a Parigi come testimonial del made in Italy, in quanto ambassador di Manifattura Valcismon. Una toccata e fuga, poiché già domani sera sarà a casa. Pur essendo campione olimpico ed essendo stato tecnico della nazionale, non gli è toccato in sorte un accredito e così seguirà la gara di sabato in televisione. Ma che gara sarà quella olimpica, lunga 272 chilometri e con 89 corridori al via? Si può stravolgere il ciclismo per contenere il numero dei posti nel Villaggio Olimpico? C’è tutta una serie di domande che ci assillano durante questi Giochi dalle quote rimaneggiate, ma perché non sembrino le paranoie di chi scrive, abbiamo provato a sentire l’opinione di chi ne ha corse tre e una l’ha vinta. Paolo Bettini, appunto, cinquant’anni compiuti ad aprile: nono a Sydney, primo ad Atene, diciottesimo a Pechino.

Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Che effetto fa una gara di 272 chilometri con 90 corridori? Non è un po’ falsato il concetto di gara di ciclismo?

In effetti, mi sembra più una randonnée. Io ci sto per il chilometraggio lungo. Ad Atene 2004, il 14 di agosto con 42 gradi, mi ero quasi lamentato che fosse solo di 224 chilometri, abituato da buon cacciatore di classiche a vincere a su distanze di 250-260. Dissi che almeno avrebbero potuto farla di 240. Poi però scoprii una cosa che in realtà avevo già capito da giovane a Sydney, cioè che tenerla è un casino. Si correva in 5 per Nazione. Adesso cosa hanno fatto? La brillante idea è di ridurla addirittura a 4 come numero massimo di atleti per le Nazioni più rappresentative, per poi scendere a 3 come con l’Italia, poi 2 e poi gli isolati che correranno da soli. Se l’idea era di ridurre il numero per aprire a più Nazioni, perlomeno 130 corridori da portare alla partenza li avrei trovati. Partire in 90 per fare quel tipo di chilometraggio? Si salvi chi può…

Continua.

E’ un casino fare la riunione tecnica di come andrà la gara. E’ veramente una gara alla si salvi chi può. Se dopo 50 chilometri rimani con 30 corridori davanti e 60 dietro, che corsa viene fuori? Considerate che di 90, un bel mucchio di corridori va in crisi dopo 140 chilometri. Se la fai un po’ “garellosa”, dopo 140 chilometri rimani con 60 corridori. Ma se per disgrazia esce un po’ di sole, di quello parigino estivo vero, e corrono a 32 gradi, sarà una gara che possono finire 18 corridori. Poi è vero che a loro basta il podio per fare le medaglie, però come avete detto prima, si snatura il concetto di grande classica. Non è più un palcoscenico internazionale con la sfida tra grandi atleti. Va bene che qualcuno non è venuto, tipo Pogacar, ma quanti professionisti europei, americani, australiani non sono stati convocati perché le nazionali sono ridotte alla metà di quelle dei mondiali?

Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Ce ne sono fuori almeno altri 90 se non di più.

Okay, allora anziché ridurre a 4, perché non fare un numero massimo di 6 per squadra? E qui si capisce perché sono scesi a 4 senza aumentare il numero delle Nazioni. Perché così facendo, risparmiano posti nel Villaggio Olimpico. Lo scopo è questo. Meno gente da accreditare, meno gente da far girare, meno di tutto. Apertura però ad altre discipline. Pertanto se nel complesso al Villaggio Olimpico deve gravitare in due settimane un certo numero di persone, quello deve essere. E se uno sport ne porta troppe, io lo riduco.

Uno dei motivi per cui tolsero la 100 chilometri a squadre, inserendo la crono individuale…

Quello che mi dispiace è che non vorrei che in un futuro non troppo lontano, pensassero proprio di eliminare la prova su strada. Se continuano a ridurla così, mi sembra che non gli interessi nemmeno troppo. Il ciclismo viene bistrattato, basta guardare come hanno fatto il calendario olimpico. Se mi proponi una gara da 272 chilometri con 90 corridori, non è più una grande classica. E’ una gara olimpica, tutto il rispetto per chi vince ed entra a pieno titolo nell’Olimpo, però il discorso non mi torna.

Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Diciamo che tolta la maratona, il ciclismo è il solo sport che costringe a chiudere le strade. In fondo nel velodromo i corridori non danno fastidio a nessuno.

Esatto, esatto. Ma speriamo di no…

Tu che correvi un po’ alla Van der Poel, come avresti gestito una corsa del genere?

Con 225 chilometri prima di arrivare nel circuito, io spacco tutto prima di entrare a Parigi. Quando arrivo in città, voglio che siamo il meno possibile e poi con gli altri me la gioco nel circuito. E io sto fermo 225 chilometri, secondo voi? Questi sono ragazzi che non hanno paura di prendere vento. Evenepoel è abituato a partire lontano all’arrivo e farsela per conto suo. Van der Poel è uno abituato al ciclocross, dove si fa un’ora fuori soglia come pochi, figuratevi se ha paura a stare fuori 100 chilometri, cercando poi di vincere in volata. Sono fatti così. Quando entri in circuito, rischi veramente. Per questo io approfitterei della campagna francese che proprio pianura non è. Se poi, niente niente, tira un filo di vento… aiuto! Dopo 100 chilometri c’è uno sparpaglìo galattico. Altrimenti devi fare una gara come quella femminile, dove le più forti sanno che gli bastano gli ultimi 30 chilometri. Così vanno via col gruppetto delle migliori sempre appallato e poi negli ultimi 60 chilometri aprono il gas e fanno la corsa. Ma i professionisti non fanno così.

E poi c’è anche chi non ha interesse a fare la corsa di certi fenomeni.

Anche perché l’Italia, che sulla carta non ha grandi chance, magari sgancia prima Bettiol. E se non faccio muovere prima lui, allora faccio attaccare Viviani. Sennò che cosa è venuto a fare Elia? Gli faccio accendere la corsa, perché non credo che abbia la la gamba per chiudere un buco di 30 secondi su Evenepoel, se la corsa la accendono loro. Viviani è meglio trovarlo davanti, in un gruppetto di 7-8. Perché se arrivano Evenepoel e Van der Poel, magari anche con Bettiol, forse Elia là davanti mi serve a qualcosa. Sennò cosa fa?

Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Stare coperti forse non serve a molto…

Stai nascosto, ma non credo che si corra per arrivare tutti insieme. Le Nazioni cui interessa arrivare in fondo sono l’Olanda, il Belgio… La Spagna come corre? E la Francia? Alaphilippe se la gioca, ma deve anticipare. Lui e Bettiol dovrebbero fare coppia fissa, perché in questo momento storico sono simili per quello che vogliono e possono fare. La Spagna invece si butta e magari porta via Olanda e Belgio. Per questo dico che dopo 80 chilometri restano in 30 corridori.

Ti sarebbe piaciuto correre una gara così?

Eh, quella sarebbe la mia corsa (sorride, ndr). Quando c’era disordine, lo sapete, quando c’era disordine c’era Bettini! Anzi, quasi sempre la creavo. Mi ricordo nel 2008, pur di far gara dura, si fece partire Nibali su un ponte dell’autostrada tra Pechino e la Grande Muraglia (in apertura la partenza di quella gara, ndr). Però eravamo in cinque. Dietro c’eravamo io, il povero “Rebella”, Pellizotti e Bruseghin. Non andò male, perciò vediamo cosa faranno sabato che corrono in tre. Me la guardo per bene in televisione, così posso anche allenarmi. Il mio viaggio in Grecia per festeggiare i 50 anni e i 20 dall’oro olimpico, zitto zitto, arriva.

Viviani su Cavendish: «Ero certo che avrebbe vinto, ma ora?»

05.07.2024
7 min
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Viviani praticamente vive nel velodromo di Montichiari, gli altri vanno e vengono. Ganna ad esempio è al Tour of Austria e si unirà la prossima settimana. E proprio durante questo ritiro quasi monastico, che ricorda tanto quello con cui Cavendish ha preparato il Tour in Grecia, Elia ha seguito in televisione la vittoria numero 35 di Mark al Tour de France. A lui va dato atto di averlo sempre pensato, di averci creduto sin da quando il britannico annunciò che ci avrebbe riprovato. E ora che il record è caduto, parlarne con il veronese è un viaggio illuminante nel ciclismo dei velocisti e forse del ciclismo assoluto.

Cosa hai pensato vedendo quella volata?

Si vedeva che “Cav” era indemoniato, come si muoveva. Non mollava un centimetro, sin dallo scontro con Gaviria. Poi sono le classiche cose, possono andare bene o male, però aveva capito che ieri potesse essere il giorno. Se l’è costruita da solo, non si può neanche dire che l’abbiano portato là. Ovviamente l’hanno sostenuto prima, ma nell’ultimo chilometro ha fatto tutto da solo, dal passare a destra, poi a trovarsi il buco a sinistra e a uscire fuori.

Da cosa un velocista capisce che è il giorno?

Le gambe devono sostenerti, però quando rivedi la volata, magari dall’alto, capisci come si muove e vedi che gli è andato tutto bene. Se guardate, quando è partito Ackermann, lui era ancora coperto, uno a destra e uno a sinistra. Era in una bolla, quasi neanche pedalava. Invece appena gli si è aperta la porta, ha preso la testa e ho detto subito: «Vince Cav!». Philipsen è partito troppo tardi, ma forse non sarebbe nemmeno bastato. Mark aveva grandi gambe.

Dei velocisti arrivati a Valloire dopo il Galibier era quello meno brutto in faccia…

Se uno avesse dovuto giudicare come ha cominciato il Tour, probabilmente avrebbe pensato che si sarebbe fermato prima, ma gestire quei momenti è un fatto di esperienza. I punti di vantaggio di un vecchio. Il giovane probabilmente, se passa una giornata così, va in paranoia. Comincia a pensare che non ha le gambe o che non avrebbe il tempo per recuperare. Invece, uno come “Cav” di fatiche così in carriera ne ha fatte tantissime e non si è fatto prendere dalla paura. Il primo giorno vomitava in bici, quindi sicuramente è arrivato vuoto al traguardo. Però aveva una cosa in testa. La prima volata non è andata bene, ma la seconda l’ha vinta. Aveva un grande obiettivo ed è andato oltre quel giorno di difficoltà. Ho sempre detto che ce l’avrebbe fatta e va dato merito all’Astana di averci creduto al 100 per cento. Non è facile trovare una squadra che creda così tanto nel suo velocista.

La volata di Cavendish a Saint Vulbas è stata un concentrato di potenza e destrezza
La volata di Cavendish a Saint Vulbas è stata un concentrato di potenza e destrezza
E la squadra fa la differenza…

Il velocista deve avere le caratteristiche per vincere, ma il 70 per cento lo fa la squadra che crede in te e nel progetto, l’ho provato sulla mia pelle. Il primo giorno si sono presi la responsabilità di far staccare cinque corridori, da pensare che fossero pazzi. Hanno sacrificato Gazzoli, che si è fermato perché stava poco bene, ma forse è andato fuori giri per provare ad aiutarlo. E alla fine hanno avuto ragione loro, anche per il tipo di investimento che hanno fatto. Gli hanno preso Morkov, hanno preso Bol che in carriera è andato vicino a vincere tappe al Tour e l’hanno portato per tirargli le volate. Quindi secondo me il Progetto 35 è partito e l’Astana ci ha creduto fino in fondo e di questo bisogna dargli merito.

Si è sempre detto che il velocista che lascia la Quick Step non vince più, Cavendish c’è riuscito.

Secondo me alla fine è questione di crederci fino in fondo. Alla Quick Step i velocisti vincono perché la squadra che li prende ci crede fino in fondo. Il fatto di costruire e avere pazienza di lavorare su ogni minimo dettaglio. Cav è riuscito a far arrivare quello che secondo lui era importante. Morkov, Bol e Ballerini. Persino il preparatore che ha portato via da là. Di Vasilis Anatopoulos parlano tutti come di un numero uno, Cavendish lo ha capito ed è riuscito a fargli avere un ruolo importante in Astana. Hanno lavorato sui dettagli, sulla bici, sulle borracce e anche sul body.

Dopo la prima tappa, Cavendish era svuotato, ma ha saputo tenere duro
Dopo la prima tappa, Cavendish era svuotato, ma ha saputo tenere duro
Che body aveva?

Un body simile a uno da crono, ci hanno messo lo stesso tipo di precisione che vedo con Pippo (Ganna, ndr) nelle crono. E questo significa investire e credere tutti nel progetto. Probabilmente come avversario Cavendish è uno dei più grandi… figli di buona donna, però quando è tuo compagno di squadra sa farsi voler bene. Lo vedete da tutti gli abbracci e i messaggi che gli sono arrivati dopo la vittoria.

Quale qualità viene meno al velocista col passare degli anni?

Non credo l’esplosività, nonostante se ne parli. Vedo su di me che i valori di picco sono gli stessi di quando ero più giovane. Certo, bisogna allenarsi in modo diverso. La questione semmai è che da giovane ti buttavi di più, adesso invece ci pensi. Però a vedere Cav a Saint Vulbas, viene da dire che fosse sempre lo stesso. Magari da giovane ti butti in ogni gara, adesso un po’ meno. L’anno sorso è stato un anno così e così, ma ha vinto la tappa di Roma. Quest’anno non ha vinto allo Svizzera, ha vinto in gare minori. Poi però è arrivato al Tour e ha vinto la tappa, perché il gioco vale la candela. Bisogna vedere cosa succede adesso.

Tra Cavendish e Viviani duelli al colpo di reni, a favore dell’uno e dell’altro. Su strada e su pista
Tra Cavendish e Viviani duelli al colpo di reni, a favore dell’uno e dell’altro. Su strada e su pista
Che cosa potrebbe succedere?

Vedremo nelle prossime volate se vuole portare l’asticella più alto oppure se gli cala la pressione dopo aver fatto 35. Tolto questo discorso del record, potrebbe scendere la tensione, potrebbe ragionare di più e allora perderebbe l’attimo. Però in termini di potenza, l’età non crea grossi problemi. Sto vedendo su me stesso che i valori su cui lavoro sono quelli di sempre, non sono 100 watt di meno.

Forse dopo una certa età, la vera differenza la fai con la voglia di fare la vita da corridore?

Si capisce che la sua attenzione fosse tutta sul Tour. L’ho osservato. Al Turchia non ha fatto una sola volata, perché era una tappa di passaggio: si vede che con il suo preparatore e con la squadra avevano deciso di andare là e non fare le volate. Buttavano in mischia Siritsa, invece Mark è andato là per fare una settimana di lavoro. Poi è arrivato all’Ungheria e si vedeva che provavano i meccanismi del treno. Una volta non è andato bene, la seconda è stato perfetto. Morkov lo ha lasciato nel punto giusto e Mark ha vinto la tappa. E’ partito in testa con Groenewegen a ruota, ma non è stato rimontato. Vedevi come, mattone dopo mattone, costruivano questo record.

Ballerini fa parte del treno di Cavendish: l’Astana ha creduto nel progetto al 100%
Ballerini fa parte del treno di Cavendish: l’Astana ha creduto nel progetto al 100%
Nel tuo rincorrere un’altra medaglia olimpica nell’omnium, rivedi un po’ il lavoro di Cavendish per quota 35?

Sicuramente sì. Andando avanti in questo ciclismo moderno, devi avere dei grandi obiettivi in testa e lavorare al 200 per cento per quelli. Questo ti aiuta in tutto e per tutto a fare sacrifici, per cui un po’ riesco a immedesimarmi nel lavoro fatto da Mark per arrivare a vincere al Tour. Sono mesi che sto lavorando in direzione del mio omnium e non è facile, perché devi andare alle corse pensando che ti serva qualcos’altro. Quindi non raccogliendo risultati, cosa non facile. Però se hai bene e chiaro in testa quello che va fatto, allora riesci a fare quello che serve.

Cavendish ha 4 anni più di te, dopo le Olimpiadi ti vedi fare due anni a rimboccarti le maniche su strada per ottenere ancora qualche grande risultato?

Sì, perché Mark ha dimostrato che si può fare, come l’ha fatto Valverde, come l’ha fatto Nibali negli ultimi anni. E’ ovvio che per farlo serve un progetto, perché andare e buttarsi nella mischia non funziona. Per fare due anni su strada e tornare a raccogliere, servono degli obiettivi. Alla fine mi piacerebbe tornare al Giro per vincere una tappa e avere un obiettivo da raggiungere. Ma a tutto questo inizieremo a pensare la sera dopo l’ultima gara di Parigi, per adesso ho anche io il mio progetto e si farà su pista.

Terzo uomo, il dilemma di Bennati: la decisione in settimana

25.06.2024
4 min
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Una mezz’ora prima che il campionato italiano partisse, il cittì Bennati è salito sul camper della famiglia Viviani, su cui si stavano preparando Elia, Ganna, Puccio e Moscon, in qualità di ospite. Non si sa cosa abbia detto, ha chiesto a Cioni il permesso di salire, poi si è chiuso la porta alle spalle. Il momento delle convocazioni olimpiche sta arrivando, probabilmente aveva qualche altro puntino da collegare.

Pogacar e i suoi 9.663 punti sono irraggiungibili, ma scorrendo il dito verso il basso nella classifica UCI, il primo italiano è Jonathan Milan a quota 1.941 e subito dopo arriva Ganna, con 1.749. Loro due Bennati non può convocarli per le Olimpiadi, perché faranno soltanto la pista, cui Ganna aggiungerà la crono. Il terzo italiano della classifica mondiale è Luca Mozzato, 1.722 punti, poi c’è Bettiol a 1.551,7. Se le convocazioni si facessero con il ranking dell’UCI e considerato che Viviani correrà su strada per scelta FCI e per gareggiare nell’omnium, Bennati potrebbe trovarsi con gli altri due nomi già serviti in tavola. Se fosse tutto così semplice, non ci sarebbe bisogno neppure di un commissario tecnico. Ed è per questo che domenica, dopo aver seguito la corsa tricolore dalla moto, il cittì aretino era cogitabondo. La vittoria di Bettiol è stata una grandissima conferma, ma il nome del fiorentino era già scolpito nella pietra.

«Ovviamente il risultato fa sempre piacere – diceva Bennati – a lui in primis. Ma per come ha gestito questo inizio di stagione, il risultato del campionato italiano non era determinante. Poi c’è tutto un Tour davanti, quindi Parigi sembra che sia lì, però la strada è ancora abbastanza lunga».

Bennati ha seguito il tricolore sulla moto anche nei primi chilometri, sotto la pioggia
Bennati ha seguito il tricolore sulla moto anche nei primi chilometri, sotto la pioggia

La corsa sulla moto

I campionati italiani non sarebbero stati utili per definire la posizione di Bettiol, ma forse qualcun altro avrebbe potuto convincere Bennati a tenere aperta la porta. Il giorno delle convocazioni sarà il 5 luglio, quando a Roma ciascun cittì snocciolerà i nomi degli azzurri che porterà ai Giochi. Eppure, parlando da osservatori esterni e poco competenti, la gara di Sesto Fiorentino non ha rivelato identità aggiuntive.

«Se dovessi guardare le indicazioni in vista delle Olimpiadi – spiegava – il percorso del tricolore non assomigliava nemmeno un po’ a quello di Parigi. Alberto (Bettiol, ndr) è un corridore più polivalente rispetto a Mozzato, che comunque su un percorso come questo di Sesto Fiorentino, farebbe tanta fatica anche con la condizione del Fiandre. Una conferma poteva venire da Trentin, che comunque è andato forte, Bagioli invece non l’ho mai visto. Vendrame è andato bene, è stato sempre in corsa. I Bardiani sono sempre stati molto presenti, Zoccarato ha fatto una grande corsa e Fiorelli nel finale era lì. Sono i soliti uomini da campionato italiano. E poi c’è Rota…».

Il terzo secondo posto consecutivo rischia di essere fastidioso…

Arriva sempre secondo, però è un corridore che ci crede sempre. Purtroppo non possiamo considerarlo vincente, però è presente. Non ha paura di attaccare da lontano, è un corridore così. Con me ha fatto entrambi i mondiali, quindi è un corridore che può essere determinante all’interno di una squadra. Lorenzo ha la capacità di aprire la corsa da lontano, è un corridore moderno.

Per scegliere il fantomatico terzo uomo aspetti un lampo dal Tour, oppure hai già il nome in testa?

Ce l’ho già, però adesso voglio prendermi 3-4 giorni per fare mente locale su tutto. Penso che non potrò nemmeno aspettare la prima settimana del Tour, perché il 5 luglio dobbiamo dare i nomi. Potrei guardare le prime tappe, ma vorrebbe dire poco. L’idea a questo punto è di scegliere il terzo in questa settimana.

L’appuntamento è per il 5 luglio alle 11 nella Sala Giunta del CONI. Alla presenza di Malagò, Pancalli e Dagnoni, presidenti rispettivamente del Comitato Olimpico, di quello Paralimpico e della Federciclismo, saranno annunciati i nomi degli azzurri che partiranno per Parigi. La maglia tricolore è stata presentata a Napoli durante il Giro d’Italia, non resta che conoscere i nomi degli atleti che la vestiranno.

Viviani ha visto Cavendish: «E’ già in forma per il Tour»

18.05.2024
5 min
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In partenza per la Norvegia, Elia Viviani torna con la mente al recente Giro d’Ungheria e in particolare alla seconda tappa nella quale ha chiuso al sesto posto ma soprattutto è stato testimone diretto del ritorno al successo di Marc Cavendish. L’olimpionico di Rio 2016, da sempre grande amico del gallese, non ha mai fatto mistero di essere fermamente convinto che Cav possa centrare il suo grande obiettivo: ottenere il record di tappe in carriera al Tour de France.

«Cav è sulla giusta strada – sostiene Viviani – ha fatto la scelta di partecipare al Giro di Turchia senza prendere parte ad alcuno sprint, ha messo fieno in cascina. In Ungheria aveva tutta la squadra per sé: l’Astana era stata costruita proprio per le sue tappe, diciamo che hanno fatto le prove generali per il Tour e il risultato è stato positivo. Bol e Morkov hanno tirato la volata nella maniera giusta e lui aveva le gambe per tenere, anche quando Groenewegen ha provato a rimontarlo».

La volata di Kazincbarcika, con il britannico che contiene Groenewegen. Dietro Viviani, 6°
La volata di Kazincbarcika, con il britannico che contiene Groenewegen. Dietro Viviani, 6°
Si cominciano a vedere i meccanismi del treno che dovrà portarlo verso il record?

Sì, si vede che ci stanno lavorando sodo. Per farlo hanno fatto investimenti importanti, non solo a livello di uomini ma anche di tempo. Non era facile scegliere di andare in Turchia senza puntare agli sprint, ma è stato un investimento fruttuoso. Ora hanno un treno rodato per i grandi eventi. All’inizio Syritsa è difficile da superare e dà al treno il giusto lancio. Fondamentale è l’apporto di Bol che da penultimo uomo lo porta molto più lontano di quanto fanno altri specialisti. Morkov poi lo lancia con tranquillità verso l’ultimo sforzo. In questo treno potrebbe inserirsi bene anche Ballerini che vedo sta facendo cose egregie al Giro.

E Cavendish?

Poi c’è anche lui, certo. La cosa che mi ha più impressionato e mi ha reso sempre più convinto delle sue possibilità è il fatto che Groenewegen, che pure è un signor velocista, nella rosa dei 4-5 più forti al mondo, non lo ha rimontato. Significa davvero che Cav è indirizzato bene verso l’obiettivo.

Il bielorusso Syritsa si è rivelato fondamentale nel lanciare il treno di Cavendish
Il bielorusso Syritsa si è rivelato fondamentale nel lanciare il treno di Cavendish
Tu eri impegnato in quella volata, ce la racconti?

Puccio aveva svolto un lavoro egregio per portarmi nelle prime posizioni, ma davanti c’erano Groenewegen e Welsford che facevano a spallate per avere la miglior prospettiva di lancio e quest’ultimo ha avuto la peggio finendo dalla parte delle transenne. Io ero 4 posizioni dietro e sapevo che a quel punto potevo fare la volata per ottenere un piazzamento, ma non oltre. Avevo una posizione privilegiata per vedere tutta la strategia dell’Astana, la sfida tra Cav e l’olandese.

Una forma raggiunta troppo presto?

Non direi, anche perché al Tour non ci saranno né Milan Merlier. In questo momento ritengo Milan il più forte di tutti, quando non commette errori. Il principale rivale del gallese sarà Philipsen che ritengo si confermerà il più forte e darà la caccia al bis per la maglia verde, ma almeno in un paio di occasioni Cavendish potrà mettere la sua ruota davanti, anche perché non è detto che Philipsen poi le faccia tutte.

L’ex iridato alle spalle di Cees Bol, capace di azioni prolungate nella fase finale dello sprint
L’ex iridato alle spalle di Cees Bol, capace di azioni prolungate nella fase finale dello sprint
Veniamo a Viviani e al suo cammino di avvicinamento a Parigi…

Sono in partenza per il Giro di Norvegia, dove ci sarà una tappa che quasi certamente finirà in volata e un’altra con buone probabilità. Io ho iniziato da fine aprile la seconda fase di preparazione per Parigi, con molta palestra e lavori corti ma intensi. Su strada le mie sensazioni sono altalenanti, credo di essere molto potente per sforzi intorno al minuto ma di non avere un equilibrio totale.

Che cosa ti manca?

E’ come se avessi le gambe incatramate. Il carico di lavori di potenza non mi dà la resistenza sufficiente per quando la strada si rizza sotto le ruote. Sui percorsi misti pago dazio, ma in questo momento e per gli obiettivi che ho ci sta.

Viviani lavora in funzione di Parigi. Prossima tappa il Giro di Norvegia dal 23 al 26 maggio
Viviani lavora in funzione di Parigi. Prossima tappa il Giro di Norvegia dal 23 al 26 maggio
Ti ha sorpreso la vittoria di Benjamin Thomas al Giro d’Italia? Se ora vince anche su strada…

E’ una di quelle azioni di cui Ben è un maestro. Anche lo scorso anno al Tour lo hanno ripreso a pochissimo dal traguardo, gli stava riuscendo anche lì. Ha vinto a Lucca proprio grazie alle sue doti da pistard, sapendo attendere il momento giusto per passare negli ultimi metri. E’ chiaro che a Parigi avrà tanta pressione addosso, ma lui e Hayter sono i grandi favoriti per l’omnium, poi c’è un fazzoletto di atleti per un terzo posto sul podio tra cui spero di essere anch’io.

Da qui a Parigi avrete occasione di fare qualche gara per la madison?

No e questo ci preoccupa molto. Non ci sono più tappe di Nations Cup, io e Consonni dovremo lavorare molto sulla tecnica riservandoci tempo, lui dalla preparazione del quartetto e io da quella dell’omnium. Dovremo provare i cambi per non perdere metri, fare lavori altamente tecnici ma non avere occasioni di confronto ci penalizza. Anche gareggiare in prove di classe 1.1 non ci dà quelle sensazioni di alta competitività di cui abbiamo bisogno. Fra le specialità di Parigi è quella dove partiamo più indietro, da outsider.

Bettini sicuro: «Viviani ai Giochi? Non si può fare altrimenti…»

04.05.2024
4 min
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«Parlare di Olimpiadi? Per me è sempre bellissimo, è la vittoria che ricordo con più piacere tanto che ad agosto tornerò in Grecia per celebrare con un’avventura cicloturistica i miei vent’anni dall’oro di Atene». L’argomento a cinque cerchi solletica sempre Paolo Bettini, che ha vissuto l’esperienza a cinque cerchi sia da corridore che da commissario tecnico e non si tira indietro nel tracciare un profilo di quel che ci attende.

14 agosto 2004, Bettini vince di forza la medaglia d’oro, staccando tutti, ultimo il portoghese Paulinho
14 agosto 2004, Bettini vince di forza la medaglia d’oro, staccando tutti, ultimo il portoghese Paulinho

Quando Bettini ha gareggiato nella prova olimpica, nel 2000-2004 e 2008, la squadra italiana era composta da 5 elementi: «Ma non è che in 5 riesci a controllare la gara – dice – non potevi allora e ancor meno adesso che le nazionali al massimo possono averne 4 e noi non siamo tra queste. Allora poi il percorso era leggermente ridotto, 225-230 chilometri contro i 270 di oggi. E’ normale che, alle Olimpiadi ancor più che nelle altre gare titolate, vadano così a innescarsi quei legami non scritti, dipendenti dal club di appartenenza ma anche da comuni interessi perché, non va mai dimenticato, ai Giochi vincono in 3, non uno solo».

Che cosa si deve fare allora in una gara così sui generis?

Se non puoi controllarla, devi cercare soluzioni per risparmiare energie. Ricordo che quando corremmo a Londra eravamo io e Rebellin le punte e io avevo il compito di marcare Valverde. Si scelgono gli uomini sui quali fare la corsa oppure si cerca di mandare qualcuno dei tuoi in fuga in modo da non dover tirare. Ma ragioniamo di gare che avevano 5 uomini e nelle quali si cercava una collaborazione. Ora, con 4, è praticamente impossibile.

Viviani su strada? Per Bettini è una scelta giusta pensando alle possibilità nell’omnium
Viviani su strada? Per Bettini è una scelta giusta pensando alle possibilità nell’omnium
Noi addirittura ne avremo 3…

Il lavoro di Bennati è difficilissimo, io lo so bene, eppure paradossalmente in questo caso è più facile. Mi spiego: non si applicano i criteri che valgono per mondiali o europei. Esistono logiche completamente differenti. Intanto perché la rosa dalla quale pescare devi sceglierla molto tempo prima, a inizio anno per far fare le visite mediche ai ragazzi e per presentare la relazione alla Federazione che dovrà girarla al Coni. E’ questo che dirige.

Come giudichi allora le voci che vogliono Viviani nel trio per garantirgli un posto nella delegazione su pista?

E’ una scelta che rientra proprio in quelle regole diverse dal solito. Faccio un esempio per assurdo: Bennati può convocare Bettini e Paolini, ma questi due non vanno d’accordo (in realtà siamo amicissimi, ma è per far capire). Il cittì decide di puntare su uno dei due: questo potrebbe farlo se si trattasse di un mondiale, ma ai Giochi devono andare gli uomini più medagliabili a prescindere. Per questo dico che il lavoro di Bennati per certi versi è più semplice, perché certe scelte sono vincolate.

Van Der Poel è uno di quelli che può far esplodere la corsa anche da lontanissimo
Van Der Poel è uno di quelli che può far esplodere la corsa anche da lontanissimo
Non pensi sia una situazione un po’ triste?

Paghiamo il difficile momento che il ciclismo italiano sta vivendo, è giusto per certi versi pensare ad altre specialità dove ci sono concrete possibilità. Viviani ha belle carte da giocare su pista, un secondo uomo Bennati deve selezionarlo pensando alla cronometro da affiancare a Ganna, di fatto gli resta un solo corridore. Sono ragionamenti che tanti tifosi, i “cittì da tastiera” non conoscono, ma quando si parla, si critica il cittì, bisognerebbe ricordarsene…

La gara olimpica di quest’anno si preannuncia però un po’ diversa dalle edizioni precedenti, nel senso che al via si presenteranno corridori che non hanno paura di fare una gara “uomo contro uomo”…

E’ vero, al via ci saranno corridori che sono talmente forti al punto da poter fare la corsa per conto proprio, da cercare la soluzione di forza anche a 80 chilometri dal traguardo. Noi partiamo apparentemente senza grandi ambizioni, quasi per far numero.

Bettiol secondo l’ex cittì può anche fare il colpo a Parigi, ma serve la giornata perfetta
Bettiol secondo l’ex cittì può anche fare il colpo a Parigi, ma serve la giornata perfetta
Perché dici “apparentemente”?

Perché io un’idea me la sono fatta ed è legata al nome di Alberto Bettiol. E’ sicuramente il corridore italiano più strutturato per affrontare una corsa simile e se indovina la giornata giusta, fisicamente e mentalmente, potrebbe anche essere uno di quelli che a 80 chilometri dal traguardo, se e quando la gara esplode, è lì a giocarsi le sue carte. La differenza con i Van Der Poel e Pogacar (senza dimenticare quelli che sono ancora in infermeria per cadute, il resto dei “magnifici sei”) è che quelli sono sempre nella condizione per fare la corsa in quella maniera, per il toscano serve che una serie di circostanze combaci, ci sia quasi una congiunzione astrale favorevole…