Una medaglia di cuore. Luccica il bronzo del portabandiera Elia Viviani, terzo nell’omnium al velodromo di Izu, e per la seconda volta sul podio olimpico a distanza di un lustro dall’indimenticabile oro di Rio 2016. L’ha inseguito con tutte le forze, per qualche attimo a inizio anno pensava di non poter nemmeno giocarsi le sue chances, quando a gennaio si era sottoposto a un intervento di ablazione a causa di una miocardite.
Non bastasse quello, le cose non giravano su strada ormai da diverso tempo e non è un caso che il rapporto tra il fuoriclasse originario di Isola della Scala e la Cofidis si sia interrotto prima dei Giochi di Tokyo, lasciando un punto interrogativo sul suo futuro (ritorno a… casa alla Deceuninck-Quick Step?). I fantasmi del passato non l’hanno fatto correre tranquillo nelle prime due fatiche odierne: soltanto tredicesimo dopo lo scratch, undicesimo al termine della tempo race.
Bloccato
«Sono partito veramente male. Avevo un blocco nelle gambe – ammette senza nascondersi dopo essere sceso dal podio con la seconda medaglia olimpica in carriera – la testa non era a posto nella prima gara e si è visto. Le gambe non mi hanno permesso di seguire l’attacco giusto e la testa non mi ha permesso di sprintare perché mi sono accorto che mancavano tre giri, ma era troppo tardi ed ero ultimo. Nella tempo race ho reagito, ma non ancora abbastanza da lottare per una medaglia e l’eliminazione è stata lo scatto: sapevo che se la vincevo, potevo tornare in gara e nella corsa a punti stavo bene. Ho corso all’attacco, sono tornato subito in gara, tanto che dispiace aver perso l’argento all’ultimo giro, però guardando all’inizio bisogna vederlo come un bronzo vinto».
Anni difficili
La scaltrezza gli ha permesso di imporsi nell’eliminazione e tornare in ballo per le medaglie, la corsa a punti corsa con determinazione ha trasformato la medaglia in realtà: «Non era facile dopo l’oro del quartetto di ieri e forse ho pagato quello o essere qui da 15 giorni e non poter rompere il ghiaccio in gara. Sono contento però, perché ho avuto due anni difficili e, quando mi concentro su un obiettivo, lo centro. Ora sono col gruppo che mi piace, con Marco (Villa, ndr) che ci guida. Spero di ripartire da qui e di essere tornato».
Ancora una
Una delle difficoltà di Elia, oltre alla responsabilità di alfiere azzurro, era di scendere in pista dopo il trionfo di ieri nell’inseguimento a squadre, ispirato dallo stesso Viviani, a detta delle quattro frecce azzurre.
«Probabilmente il ruolo da capitano è pesato anche a me negli ultimi giorni. Ieri è stata una giornata che non dimenticherò mai – aggiunge, svelando poi le sue velleità da profeta (sarà il nome) – se vi ricordate, nella zona mista di Rio vi avevo detto che il mio sogno era di vedere l’oro nel team pursuit e l’abbiamo visto. Mi è spiaciuto non essere in quartetto negli scorsi giorni, ma era giusto non cambiare nulla perché i ragazzi andavano forte. Però mi sono preparato e le gambe mi sono uscite nelle ultime due prove, forse le migliori di sempre. Loro mi hanno caricato, nonostante abbia dovuto cambiare camera ieri sera per dormire un po’. Abbiamo ancora una gara in cui possiamo divertirci con Simone e chiudere due anni insieme nel migliore dei modi e credo che Marco sia orgoglioso di noi come tutti gli italiani».
Correre e divertirsi
Lo è eccome il tecnico azzurro: «E’ una medaglia col cuore – dice Villa – dopo una prima gara in cui non l’ho proprio riconosciuto. Sono sceso mentre faceva i rulli – spiega – per scaricare e gli ho chiesto cosa stesse succedendo. Non riusciva a capirci, non aveva buone sensazioni, così ho capito che non erano le gambe, ma la testa. Mi sono sentito di dirgli che una medaglia d’oro ce l’aveva già a casa e qui doveva soltanto correre e divertirsi. Nello scratch era troppo teso, era irriconoscibile e lui mi ha detto che non aveva nemmeno guardato il contagiri. Qualcosa non andava, non so se siano state le mie parole o abbia fatto da solo, ma nell’eliminazione abbiamo visto come si è divertito e nella corsa a punti si è rivisto il Viviani di sempre».
Svolta whatsapp
Poi Villa racconta la super rimonta nell’ultima prova. «Eravamo d’accordo che i tre punti di una volata non ci cambiavano la vita. Poi, a un certo punto ho visto che il francese e l’olandese si guardavano, il britannico era andato con la medaglia d’oro, così ho scritto un messaggio ad Amadio che era sulle tribune, dicendogli: “Deve provare”. Ho sentito che gli ha detto: “Elia, adesso”. E dopo aver preso il giro, quei venti punti gli han dato la grinta, ma poi aveva anche tante gambe. Ho visto qualche gamba un po’ meno forte e questo mi dà morale per sabato». E Villa, dall’alto del suo bronzo a Sydney 2000 in coppia con Martinello, di americana se ne intende. I lampi azzurri non sono finiti al velodromo di Izu.