SAINT QUENTIN EN YVELINES (Francia) – Quando si accascia a terra, è quello di Londra. Solo. «E’ arrabbiato», rivela la moglie Elena Cecchini. Voleva vincere. Quando si rialza, è quello di Tokyo. Fiero come un portabandiera, commosso perché i grandi non devono nascondere la loro sensibilità. Si mostrano per quelli che sono. E lui è ancora quello di Rio, un campione assoluto. L’Elia Viviani di Parigi scrive l’ultima pagina di una carriera olimpica speciale.
Tre metalli, lo stesso Elia
C’è tutto Elia, in tutti e tre i metalli che da oggi ha a casa. Ragazzo d’oro, lo conferma chiunque lo frequenti. Capelli che prima o poi saranno d’argento, il maledetto tempo passa anche per lui. Faccia di bronzo in pista, quando serve. Quando, ad esempio, c’è da cogliere il momento per prendere un giro al gruppo nella madison. Ha sempre avuto un’intelligenza superiore alla media, l’ha dimostrato anche ieri, nel momento chiave. Quando ha capito che si poteva prendere quel vantaggio che ha consentito di raggiungere il podio a lui e a Consonni.
Chissà come sarebbe andata senza quel cambio sbagliato prima dell’ultimo sprint che ha portato alla caduta di Simone.
«Il Portogallo ha vinto di 7 punti – analizza lui – con la volata saltata potevamo prenderne 5, non s’è perso l’oro per quello».
«Ci ha scombussolato i piani nel finale, ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte», ribatte Consonni. Che si prende la seconda medaglia, la terza in una ideale cameretta con la sorella Chiara in cui magari già da piccoli sognavano le Olimpiadi.
Tanti lavori di qualità
Quello di Londra è il Viviani che è arrivato qui. Quello che «si è allenato come un diciottenne», come racconta il Ct Marco Villa. E lui conferma. «Abbiamo fatto tantissimi lavori di qualità». Come se dovesse affrontare la prima Olimpiade. «Dovevamo alzare i watt, trovare rapporti più duri. Non ho lavorato più neanche col quartetto».
Poi però nell’omnium qualcosa non è andato nel verso giusto. Come a Londra, appunto. «Ci sono rimasto male, perché avevo lavorato tanto. Ho trovato avversari fortissimi, ma qualcosa non ha funzionato. La madison è una gara che non abbiamo preparato, ma che sappiamo correre. Ce lo hanno dimostrato anche le ragazze. Vederle da fuori ci ha aiutato. Serviva coraggio, l’abbiamo trovato, a costo di saltar per aria nel finale. Invece è andata bene, è stato bello, con un pizzico di follia». Come quando si è giovani, appunto.
L’ultima gara di un campione
Elia però è anche quello di Rio. Un esempio, come deve essere un portabandiera. «Ho corso con la testa, con il cuore e con le gambe di Elia», racconta Simone Consonni, che in testa aveva proprio il casco del suo compagno di squadra. «Perché ne avevo provati altri, ma era andata male». Il suo è un argento che «vale tanto, perché è la seconda medaglia». Per la sorella Chiara, che «mi ha detto che mi vuole bene e non ce lo diciamo spesso. E’ la cosa più bella».
Vale «per tutta la nostra squadra. Se anche i quartetti non sono andati come si sperava, siamo lo stesso una squadra forte». Con un leader vero. «Quando parti e sai che partecipi all’ultima gara di un campione che ha fatto la storia, sai che devi essere perfetto. E sono molto contento di essere stato sul podio con lui. E di aver messo in pista tutto quello che mi ha trasmesso lui in questi anni».
Il valore dell’argento
Elia è quello di Tokyo. Quello che sa cogliere il valore di una medaglia anche se non è del metallo più prezioso.
«In Giappone esultai di più – dice – perché me l’ero guadagnato con le unghie e con i denti. Qui l’oro era vicinissimo e anche per questo ho pianto. Per la rabbia. Ma poi analizzo tutto e so bene che è un argento guadagnato e importantissimo. Volevo chiudere la mia esperienza olimpica con una medaglia e ce l’ho».
Con gli occhi di Elena
Quello di Parigi è l’Elia ormai sposato, che si fa guardare anche con gli occhi della moglie. «La medaglia era il suo obiettivo e l’ha raggiunto. E’ un campione. Siamo stati molto lontani in questi mesi, ora non vedo l’ora di passare del tempo con lui».
Il tempo dice che questa è l’ultima Olimpiade. Elia sarà alla cerimonia di chiusura, come è stato in quella di apertura. «Abbiamo chiuso un cerchio. Olimpico. Avrei firmato per una medaglia. Analizzando le cose, però, noi abbiamo preso un giro di astuzia, i portoghesi lo hanno fatto nel momento in cui è esplosa la corsa. E’ un segnale di gambe. Erano i più forti, probabilmente non potevamo farci niente. Mancava l’argento, lo mettiamo in collezione. E chiudiamo questa storia con il lieto fine».
Se ne va sorridendo. E lascia un dubbio. Forse Elia non è né quello di Londra, né quello di Rio, né quello di Tokyo, né quello di Parigi. E’ semplicemente quello di sempre. Una stella. E nella notte di San Lorenzo, a Parigi le stelle non cadono. Salgono sul podio.