L’addio da leader di Morkov, che indossa la giacca di cittì

25.10.2024
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Con la medaglia di bronzo conquistata nella madison dei mondiali, Michael Morkov ha chiuso da par suo la sua lunghissima carriera, iniziata da professionista nel 2009. A 39 anni il corridore di Kokkedal appende la bici al chiodo con 6 vittorie al suo attivo, tra cui 3 titoli danesi e una vittoria di tappa alla Vuelta di Spagna. Ma è soprattutto su pista che sono arrivati i suoi sigilli, tra cui un oro olimpico a Tokyo 2020 nella madison (ma anche l’argento nell’inseguimento a squadre in quella palpitante finale con l’Italia) e 4 titoli mondiali.

Se su pista Morkov è stato un leader, su strada ha elevato a questo rango il ruolo forse più subordinato di tutti, quello di ultimo uomo, divenendo per acclamazione planetaria il migliore interprete. Un maestro che lascerà un vuoto. Morkov però non resterà inattivo: per lui è già pronta l’ammiraglia di responsabile della nazionale danese su strada. Una nuova sfida, alla guida di una delle Nazioni più forti del momento.

Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Domenica hai chiuso la tua carriera con l’ennesima medaglia, oltretutto davanti al tuo pubblico. Che sensazioni hai provato nel tagliare l’ultimo traguardo?

Sono davvero orgoglioso di aver concluso a un livello molto alto. Nei miei ultimi campionati mondiali stavo ancora lottando per la medaglia d’oro e, naturalmente, non è mai piacevole perdere, ma sono comunque felice che abbiamo ottenuto la medaglia di bronzo e abbiamo fatto felice il pubblico danese. Non potevo chiudere meglio.

Tu hai vissuto due carriere parallele: maestro nell’aiutare i velocisti e grande specialista del ciclismo su pista. Quale delle due ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Beh, penso che sia una combinazione perché in pista ho ottenuto le mie soddisfazioni, i miei obiettivi e i miei grandi risultati. Sulla strada, ero completamente determinato ad aiutare i miei compagni di squadra, quindi penso che sia stato il giusto mix.

La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
L’ultimo uomo del treno dello sprint: per chi interpreta questo ruolo, che cosa significa vedere il leader vincere?

E’ come vincere la gara da soli, perché tu come uomo di testa sei molto concentrato per vincere la gara con il tuo velocista e per tutto il giorno lavori duramente per organizzare l’intera squadra e fare che tutto funzioni fino a quegli ultimi 200 metri, quando sarà lui a giocarsi la vittoria e devo metterlo nella posizione migliore. Bisogna avere fiducia in se stessi e guidare gli altri come leader. Posizionare il mio velocista e vederlo alzare le braccia è come una mia vittoria. Quindi questa è la sensazione migliore.

Qual è la più grande emozione che hai vissuto in bicicletta?

La risposta è semplice: vincere la medaglia d’oro olimpica a Tokyo. In quella madison c’erano grandi campioni tanto è vero che ce la giocammo tutta sugli sprint, senza guadagnare giri. C’erano grandi interpreti come Hayter e Thomas, eppure io e Lasse Norman Hansen ce la facemmo per tre punti. Penso che sia la medaglia più bella che puoi vincere come atleta. E sì, è stato molto emozionante.

La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
Hai lavorato con tutti i migliori velocisti dell’ultimo decennio, chi è stato il migliore ma sopattutto quello che hai sentito più vicino?

Credo di aver stretto un rapporto molto stretto con tutti i velocisti con cui sono cresciuto e penso che questo rapporto umano sia anche una parte importante del successo che ho avuto con ognuno di loro. Direi sempre che il mio migliore amico è Cavendish: i suoi risultati parlano da soli, ma ha anche una conoscenza incredibile dello sprint, della tecnica pura. Sa esattamente cosa fare, il suo istinto e il suo tempismo sono perfezione pura. Ma c’è un corridore con cui ho un legame speciale…

Chi?

Viviani. Ora posso guardare indietro e vedere che forse i due migliori anni che ha avuto come professionista sono stati quelli in cui l’ho aiutato a vincere dappertutto, nel 2018 e 2019. Abbiamo vissuto un biennio speciale e penso che Elia sia il corridore che è riuscito a ottenere il massimo dal suo talento sapendo sfruttare una squadra molto forte. Aveva dei compagni di squadra molto bravi intorno a lui e quando i compagni di squadra facevano un buon lavoro per lui, riusciva sempre a concludere con una vittoria. Molti dei successi con Elia sono speciali, di cui sono orgoglioso.

Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Ora passerai sull’ammiraglia della nazionale danese: quali sono i tuoi obiettivi nel nuovo lavoro?

Battere i miei amici italiani – dice ridendo – No, a parte le battute, sono davvero motivato per questo nuovo incarico. Soprattutto per trasmettere tutta la mia esperienza ai giovani corridori danesi e spero davvero di poterli aiutare a crescere e diventare buoni professionisti e vincere gare in futuro. Quindi la mia ambizione è quella di poter gioire di altre vittorie non personalmente mie, ma nelle quali sento di averci messo qualcosa.

Oggi la Danimarca è uno dei Paesi leader nel ciclismo professionistico, ma non ha un suo team WorldTour: pensi che sia un problema?

Io non penso, corridori danesi bravi ci sono e sono riusciti a firmare con tutte le migliori squadre del WorldTour. Quindi non penso che sia strettamente necessario avere una squadra danese al massimo livello. E’ invece fondamentale avere è una squadra Continental o Professional, per tutti i ragazzi che hanno bisogno di imparare. Ci sono corridori capaci di entrare subito nel WT, ma tanti altri hanno bisogno di più tempo, di avvicinarsi con più calma, maturano più lentamente. Questo possono farlo se hai una squadra Continental molto buona. Poi abbiamo la Uno-X che è sì norvegese, ma con una forte componente nostrana ed è molto importante nello sviluppo dei talenti danesi.

Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Che cosa c’è dietro i Vingergaard, Pedersen e gli altri big del ciclismo danese?

C’è molto lavoro sui talenti, esattamente come dicevo prima. Provengono da un livello molto alto di squadre Continental in Danimarca con un livello molto, molto alto di professionisti. Hanno un grande fisico e capacità non comuni, ma sono frutto di un ottimo programma di sviluppo per i giovani corridori.

In prospettiva vedi Albert Withen Philipsen come un altro grande campione del WorldTour?

Andiamoci piano. In tutti gli anni in cui sono stato coinvolto nel ciclismo, ho visto molte volte corridori estremamente talentuosi da junior che poi non riescono a trovare gli stessi guizzi quando le cose si fanno serie. Albert è un corridore molto promettente, ma deve ancora migliorare molto per diventare il prossimo grande nome del World Tour. Io ovviamente non vedo l’ora di supportarlo e spero che diventerà presto quello che sogna di essere lui e tutti noi danesi.

Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Rispetto a quando hai iniziato, che ciclismo ti lasci alle spalle?

Un ciclismo molto professionale, molto più di quando iniziai vent’anni fa. Molte cose che si facevano allora, oggi sono considerate superate. In termini di allenamento, alimentazione, altitudine, sonno, campi di allenamento, equipaggiamento, dinamiche… Sono tutti aspetti che incidono molto. Per questo il ciclismo attuale corridori molto più talentuosi rispetto al passato, forse allora era più difficile diventare professionisti. Forse ora è più facile trovare i grandi talenti.

Uscendo dai confini danesi, c’è un altro Morkov, un corridore nel quale rivedi la tua storia e le tue capacità?

Oh, ci sono un sacco di grandi corridori in giro per il mondo, penso che la bellezza del ciclismo sia che siamo tutti diversi e veniamo da realtà differenti. Naturalmente ho uno spazio speciale nel cuore per i corridori che corrono in pista e che arrivano con le abilità della pista. E anche per quelli molto bravi nel gruppo. I ragazzi che hanno il potenziale per aiutare i migliori velocisti a diventare i più veloci. Quindi è lì che terrò gli occhi per il futuro.

Il bilancio di Villa ai mondiali. Ora però spazio ai giovani

23.10.2024
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Con un bottino di 4 medaglie tra cui il fantasmagorico titolo nell’inseguimento individuale di Jonathan Milan, a suon di record mondiale, l’Italia ha chiuso i mondiali su pista di Ballerup confermandosi un sicuro riferimento nel settore. E’ così da molti anni, Marco Villa lo sa bene e ne ha fatto il suo biglietto da visita, corroborato dai risultati a ripetizione nel settore giovanile.

Milan in maglia iridata. Ora spazio alla strada, ma la pista resta fra le sue opzioni
Milan in maglia iridata. Ora spazio alla strada, ma la pista resta fra le sue opzioni

Doveva essere un’edizione iridata meno squillante, considerando che si arrivava a poche settimane dall’appuntamento olimpico, ma i risultati della rassegna di Ballerup hanno sorpreso lo stesso cittì azzurro: «E’ vero che alcune nazioni non c’erano, ma è anche vero che chi è venuto lo ha fatto in forze, presentando praticamente gli stessi effettivi di Parigi, mentre io pensavo che avrebbero sfruttato l’occasione per fare un po’ più di ricambio. Quindi c’era più gap rispetto a noi, almeno in alcune gare».

Sei soddisfatto alla fine?

Penso che il bilancio sia abbastanza giusto e pari al nostro valore, con qualcosa in più e in meno come sempre avviene. Noi avevamo una buona formazione, ma con una preparazione precaria come ad esempio il quartetto femminile, che ha fortemente risentito della mancanza di lavori specifici. Ma non si poteva fare altrimenti, perché dopo Parigi le rispettive squadre hanno giustamente richiesto la presenza delle ragazze nelle varie gare.

Tanta sfortuna per il giovane quartetto azzurro, con Lamon e Moro provenienti dai Giochi
Tanta sfortuna per il giovane quartetto azzurro, con Lamon e Moro provenienti dai Giochi
La caduta del quartetto maschile ti ha lasciato davvero l’amaro in bocca…

A caldo è emersa tutta l’amarezza, ma ripensandoci cerco di prendere il buono dalla prestazione. Eravamo davvero da terzo posto perché fino alla caduta arrivata a un giro e mezzo dalla fine viaggiavamo a un ritmo da 3’52” e nessuna squadra, salvo Danimarca e Gran Bretagna, era a quei livelli, erano 2-3 secondi sopra e lo sono rimasti anche nei turni successivi. Era un quartetto molto rinnovato, con un giovanissimo come Favero, Galli che è U23, Boscaro che è appena passato di categoria. Andando avanti metteremo dentro altri giovani, soprattutto gli juniores che hanno fatto il record del mondo. Mettendo in preventivo che ci sarà da pagare uno scotto, magari qualche medaglia in meno ma tanta esperienza in più per quando servirà.

In quest’opera di ringiovanimento conti d’inserire altri?

Sicuramente, voglio ad esempio lavorare a fondo con Sierra, spero di averlo maggiormente a disposizione, ma il suo è solo uno dei nomi su cui voglio fare affidamento. Gran Bretagna e Danimarca hanno già iniziato a ringiovanire, sono avanti a noi e non di poco, ma abbiamo quattro anni per colmare il gap, non sono preoccupato. L’importante sarà poter lavorare bene.

Record italiano frantumato per la Venturelli, sempre più promettente
Record italiano frantumato per la Venturelli, sempre più promettente
Non è andata a medaglia, ma il record italiano della Venturelli, dopo quel che ha passato, è davvero tanta roba…

Assolutamente sì, ma lei stessa era sorpresa del tempo, anche se alla fine è scoppiata in lacrime per essersi vista sfuggire una finale. Io le ho detto che ha un margine enorme davanti a sé, quelle davanti le raggiungerà. Federica è un talento puro unito a una grande intelligenza, vorrei ricordare che nel 2023 è stata premiata dal Presidente Mattarella come una delle sei migliori studentesse d’Italia. Tornando alla sua prestazione, dopo la gara mi ha detto di essersi accorta che per i primi 2 chilometri viaggiava più forte del suo record mondiale junior. E’ normale, sta progredendo da ogni punto di vista, ha solo bisogno di un po’ di fortuna sotto forma di buona salute e libertà dagli incidenti…

Le ragazze di bronzo nell’inseguimento. L’Italia ha chiuso settima nel medagliere
Le ragazze di bronzo nell’inseguimento. L’Italia ha chiuso settima nel medagliere
Hai già detto che il discorso con Ganna sulla pista verrà affrontato a tempo debito, quando si saprà il cammino verso Los Angeles 2028. Vale lo stesso per Milan?

Di base sì, perché è giusto che ora si concentri di più sulla strada. I mondiali sono a ottobre, ma come ci arrivi? Abbiamo visto Filippo quanto ha sofferto nel dopo Parigi, eppure è riuscito nel capolavoro dell’argento nella crono. Pippo ha già detto che preparerà i suoi impegni includendo anche allenamenti su pista e per lui le mie porte saranno sempre aperte. Lo stesso vale per Milan. Poi, quando sapremo quale sarà il cammino di qualificazione, quando anche conosceremo il programma orario di Los Angeles, se ci sarà prima la pista o la strada, allora parleremo.

L’abbraccio a un commosso Viviani. Villa lo vuole nello staff azzurro quando finirà di correre
L’abbraccio a un commosso Viviani. Villa lo vuole nello staff azzurro quando finirà di correre
Un discorso a parte però riguarda Viviani, autore di un’altra magia a Ballerup…

Nelle ore immediatamente seguenti l’argento olimpico a Parigi, gli ho detto che voglio assolutamente che ci sia a Los Angeles, in una veste o nell’altra. Io voglio assolutamente averlo con me, ma bisognerà vedere intanto che cosa vuole fare come corridore e poi che prospettive avrà, perché io sono sicuro che un personaggio simile avrà grandi possibilità di ogni tipo professionale, anche a livello internazionale. Ma la sua esperienza è preziosa, speriamo di potercene avvalere.

Viviani, la pista, la Ineos, l’editoriale: diciamocela tutta

21.10.2024
7 min
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Viviani sta viaggiando dalla Danimarca verso casa. I mondiali della pista si sono conclusi ieri e volevamo sottoporgli gli spunti da cui abbiamo tratto l’editoriale di oggi. La medaglia d’argento dell’eliminazione è un bel trofeo, anche se il veronese aveva lasciato casa per puntare all’oro. Per cui è ripartito con il senso della conquista, ma la consapevolezza di non avere la pancia del tutto piena.

«Sicuramente la medaglia conferma il fatto che se punto a qualcosa ci arrivo – dice – anche se soddisfazioni su strada non sono arrivate. Speravo dopo l’Olimpiade di riuscire a raccogliere qualcosa, ma non aver staccato dopo Parigi non ha funzionato. E’ palese che ne siamo usciti provati. Le pressioni sono alte, la preparazione è stata intensa. E quando tutto è finito, le squadre hanno chiamato. Probabilmente la cosa migliore da fare era fermarsi e ripartire per il finale di stagione, però non avevamo tanta scelta. Quindi siamo arrivati in fondo con le energie misurate. Questo era l’anno della pista e le medaglie sono arrivate, quindi non posso essere scontento né recriminare niente».

La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
Secondo te Ineos è stata contenta di aver avuto per tutto l’anno a mezzo servizio te, Ganna ed Hayter?

L’ha accettato come negli anni scorsi, non hanno fatto una piega. Ci hanno lasciato liberi. Io l’anno scorso ero a correre e ho vinto in Cina, però non hanno detto nulla. Secondo me quello che è cambiato è il valore che hanno avuto queste medaglie. Ho come la sensazione che negli anni precedenti, a Rio come a Tokyo, la mia medaglia olimpica valesse molto di più per il team. Invece adesso è stato come se avessero detto, fra virgolette: “Libertà agli atleti, però non è che di queste medaglie olimpiche ce ne facciamo qualcosa”. Questa è la differenza che ho colto.

E’ così perché è cambiato il management? In fondo Brailsford ed Ellingworth venivano proprio dalla pista…

Penso di sì. L’Olimpiade cambia di persona in persona. Qualcuno ci tiene e per qualcun altro ti porta via dal lavoro vero. Che se poi avessimo vinto 50 corse, il problema neppure si sarebbe posto…

Non hai la sensazione che l’oro olimpico di Martinello sia stato valorizzato dall’ambiente più di quanto sia successo di recente con voi?

Dipende dall’impresa, perché la vittoria individuale fa molto più di quella di squadra. L’ho vissuto su di me. Adesso che non vinco gare importanti su strada, sono ancora Elia Viviani che ha vinto l’oro di Rio, ben più di Elia che ha vinto quattro tappe al Giro, una al Tour, una alla Vuelta. Quindi probabilmente la sua vittoria e anche la mia sono state esaltate perché era tanto che non si vinceva in pista. Sono un po’ il bollino per sempre di Silvio e anche mio. Ho visto però la differenza con i ragazzi, la vittoria del quartetto ha avuto meno impatto. Per chi segue, è stato un boom clamoroso, perché vincere un oro con il quartetto, per quello che significa, è stato immenso. Però è vero che la sensazione di maggior risalto per l’individuale rimane.

Viviani_Oro_omnium_rio2016
Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
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Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
Non ci si accontenta mai…

Se rimettono nel programma olimpico l’inseguimento individuale, la vittoria di Milan avrebbe grande eco. Jonathan quest’anno ha vinto 11 corse, ma fra poco non basterà più neanche quello e si conterà il numero di tappe che vincerà al Giro. Guarderanno se batterà i record di Petacchi o di Cipollini. Il ciclismo moderno è fatto da dominatori. Nel 2018 e 2019 vinsi 18 e 11 corse. Philipsen l’anno scorso ne ha vinte 19, Pogacar quest’anno 25. E’ un ciclismo che va ad annate.

Tu pensi che dedicarti alla pista ti abbia penalizzato su strada?

Negli ultimi tre anni, sicuro al 100 per cento. Quando sono passato alla Cofidis non le ho dato troppa importanza, ma visto che nel 2020 e 2021 le cose non erano andate, mi sono buttato su Tokyo per far vedere che c’ero ancora. Invece negli ultimi tre anni con la Ineos, ho messo la strada in secondo piano. Sapevo che non mi avrebbero portato al Giro, quindi non avrei potuto pormi dei grandi obiettivi. 

Milan ha vinto l’inseguimento col record del mondo, ha avuto il giusto risalto?

Secondo me, se avesse vinto il mondiale e basta, sarebbe passata quasi sotto silenzio: un’altra medaglia, bravo. Con il record però ha dimostrato di aver battuto anche Pippo, anche se non c’era, e ha fatto un’impresa notevole. Secondo me ha avuto la giusta risonanza. Dall’altra parte la gente non si ricorda neanche quali e quante tappe abbia vinto al Giro. Per questo ai ragazzi dico sempre che il nostro punto forte deve essere scegliere i periodi giusti per fare le cose migliori.

Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Vale a dire?

Nelle nostre chiacchierate, gli dico spesso che devono mettere i mattoncini della loro carriera, per comporre il proprio murales. E’ chiaro a tutti che Milan l’anno prossimo deve andare al Tour. Prima deve provare a vincere la Gand-Wevelgem in cui quest’anno è scattato a 50 dall’arrivo, stando in fuga da solo. Poi il Tour, per vincere anche lì e dimostrare di essere il velocista più forte al mondo. Il mattoncino di Pippo invece è concentrarsi su una classica monumento, la vittoria che gli manca. Anche lui il Tour l’ha provato solo una volta e probabilmente deve tornarci. Per entrambi, ma soprattutto per Pippo visti i suoi 28 anni, i prossimi due anni devono essere quello che per me furono il 2018 e il 2019. Nel frattempo verranno fuori i percorsi delle Olimpiadi e magari, se saranno duri, li vedremo tornare alla pista.

Un ritorno di fiamma?

Riguarda uomini e donne, visto che anche loro hanno un ciclismo professionistico di altissimo livello. Non è escluso che tornino, perché il richiamo per chi ha già vinto una medaglia è fortissimo. In più pare che UCI e CIO siano convinti che il percorso di Parigi fosse morbido, per cui chi può dire come sarà quello di Los Angeles? E questo gruppo potrebbe tornare in pista, dato che già hanno fatto la storia. E’ uno scenario credibile ed è per questo che dobbiamo ricostruire un’ottima base di giovani che arrivano da sotto.

Milan, Ganna, Consonni, Moro, Lamon hanno avuto te come riferimento: chi ci sarà per i giovani che arrivano, ora che questa “band of brothers” sta per sciogliersi?

Toccherà a Marco Villa, comunque alla Federazione, e dovranno lavorare tanto. Intanto per richiamare giovani e spingere ancora sulla multidisciplina, sennò c’è il rischio che si crei un buco. E’ ovvio che non può chiudersi tutto qui. L’altra cosa che dico io, avendo visto l’ottimo materiale che ci arriva dagli juniores, bisogna stare attenti allo scalino juniores-under 23, che è quello che spaventa tutti anche su strada. Non saranno più seguiti e coccolati dal tecnico del paese, diventerà una vita un po’ più individuale e purtroppo capita che qualcuno possa mollare. A mio parere i ragazzi ci sono. So quanto sia duro fare un 3’51” oppure 3’53” nel quartetto e se lo fanno da juniores, vuol dire che con degli step giusti, possono entrare nei nostri quartetti olimpici.

Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Quale sarà il tassello per completare il murales di Elia Viviani?

Voglio tornare al Giro, questa è la mia priorità. La possibilità che vedo è di restare alla Ineos, dove stiamo vivendo una fase di transizione. Sarebbe difficile cambiare e cominciare un altro progetto a 35 anni, anche perché le squadre stanno prendendo altre direzioni. La cosa più grossa sarà dimostrare che un velocista può darti qualche vittoria più di oggi, visto che quest’anno ne abbiamo fatte 14. E’ stata l’annata peggiore, quindi se dimostro che preparando qualcosa, io ci posso arrivare, al Giro potrei fare delle belle cose. Che sia l’ultimo oppure no.

Quindi Elia si vede ancora a braccia alzate, non diventare l’ultimo uomo di qualcun altro come Morkov?

No, è una scelta che ho fatto. Diventare il leadout di qualcuno avrebbe avuto senso se lo avessi fatto dopo gli anni della Cofidis. Farlo per un solo anno con uno sconosciuto non avrebbe senso. Non ho bisogno di allungarmi la carriera. Non perché non abbia l’umiltà di tirare le volate, probabilmente l’unico per cui avrei potuto farlo è Milan perché abbiamo un rapporto di fratellanza in nazionale. Ma ci sono troppi dubbi di natura tecnica su come si affronta quel ruolo e in un anno non lo impari. Lo abbiamo visto con Consonni alla Cofidis: non fu facile, ma cinque anni dopo lui è uno dei più forti al mondo in quel ruolo. Per cui Elia vuole fare le volate per provare a vincerle. E’ questo il mattoncino che ancora mi manca.

EDITORIALE / Se il pubblico non capisce, il ciclismo non cresce

21.10.2024
6 min
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Ci sono tre punti fra cui, mettendo mano a questo editoriale, la mente continua a rimbalzare. La fine dei mondiali su pista di Ballerup, il pubblico e una canzone degli Stadio del 1988. Saranno in qualche modo collegati? Andiamo con ordine e cerchiamo di capire.

Il miracolo di Villa

L’Italia è un Paese (in cui il ciclismo è) fondato sulla strada, quantomeno nel gusto popolare. Il miracolo di Marco Villa e di chi gestiva la Federazione dopo Londra 2012 fu quello di intravedere le potenzialità di una generazione di pistard e dare fiducia alla cocciutaggine di Viviani. Con il velodromo di Montichiari appena aperto, si iniziò a soffiare su quella brace che nel giro di 12 anni ha portato titoli olimpici e mondiali, con il testimone raccolto dalla successiva gestione che ha agito in continuità con la precedente. Al netto di tutte le considerazioni di merito che si possono fare, senza il lavoro di chi c’era prima, sarebbe toccato ai nuovi partire da zero e oggi magari parleremmo d’altro.

L’Italia è un Paese fondato sulla strada, per cui la scelta di Viviani di puntare così forte sulla pista ha avuto per lui, almeno negli ultimi tre anni, conseguenze sulla carriera da stradista. Vuoi gli anni che passano, vuoi aver lasciato l’infallibile treno della Quick Step, vuoi pure il Covid, il veronese ha visto calare drasticamente la propria quotazione: in termini di punti e di riflesso agli occhi del pubblico che non lo ha più visto lottare per la vittoria. Dall’essere il corridore numero 9 al mondo a fine 2019 con 2.392 punti, Elia chiude il 2024 in 425ª posizione con 212 punti.

Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione
Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione

Fra Martinello e Milan

Come lui, sono nel mirino altri nomi di riferimento. Ganna viene messo spesso in discussione per il rendimento nelle classiche, sebbene continui a volare in pista e nelle crono. La necessità di farsi trovare sempre pronto lo ha portato a un 2024 che lo ha lasciato sulle ginocchia. Chi lo gestisce dirà pure che non è vero, ma dovendo accontentare la squadra e la nazionale – per la strada, le crono e la pista – Pippo probabilmente non ha mai raggiunto veramente il top in una specialità o l’altra. L’argento è meglio del bronzo, ma vedere che altri hanno preso gli ori, concentrandosi su una specialità per volta, potrebbe indurre in riflessione. Mentre Milan, fresco di iride nell’inseguimento individuale con tanto di record del mondo, si salva per le sue volate su strada (11 nel 2024).

Silvio Martinello, candidato alla prossima presidenza federale, ha vinto su strada 14 volte in 14 stagioni da professionista. Ha però vinto un oro olimpico e 5 mondiali su pista, convertendosi nel frattempo nell’ultimo uomo di Cipollini. Quello che in qualche misura sta facendo Simone Consonni, che lancia Milan in volata e cerca gloria personale in pista. Martinello però ha sempre goduto di un credito eccezionale e la celebrazione del suo oro olimpico del 1996 è sempre parsa più solenne di quanto accada negli ultimi tempi. Forse l’oro di Viviani a Rio ha avuto un’eco simile, non certo quello del quartetto a Tokyo.

Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto
Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto

Multidisciplina a rischio?

Oggi è diverso e accade qualcosa di insolito. A fronte di stradisti italiani che faticano a farsi vedere, il tifoso italiano non si lega a quelli che vanno forte altrove. La vittoria di Milan al mondiale e il suo record del mondo, che gli ha permesso di battere il primato di Ganna, vale quando un successo di Sinner. Eppure passa sul giornale, il pubblico applaude e il giorno dopo sparisce. Addirittura, sui social ci si chiede quando finiranno i mondiali della pista. Non perché domani ci sia un’altra corsa su strada, ma semplicemente perché non si ha voglia o non si è in grado di seguirli e di conseguenza non si coglie la grandezza dei loro protagonisti.

La conseguenza più immediata di questo è che la multidisciplina, che a fatica si stava facendo largo, piano piano viene rimessa in discussione. E se già avevamo incassato, ad esempio, il ritiro dal cross di De Pretto e Olivo, siamo prossimi a registrare anche quello di Paletti, dopo aver visto mollare Silvia Persico. Casi distinti, ciascuno con la propria motivazione, incluso lo scarso gradimento di certe squadre nei confronti di chi vuole dedicarsi ad altro rispetto alla strada. E’ chiaro che su questo la FCI deve tenere alta l’attenzione, ma un ruolo pedagogico potrebbero averlo anche i media. Il pubblico va in qualche modo abituato, si potrebbe dire persino educato. E qui veniamo alla canzone degli Stadio.

Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato
Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato

Chi erano i Beatles

«Chiedi chi erano i Beatles»: questo il suo titolo. Se incontri una ragazzina di 15 anni di età e gli chiedi chi fossero i Beatles – questo in sintesi il testo del brano – lei ti risponderà che non lo sa. Non lo sa perché non conosce la storia, sa a malapena quello che le succede attorno. Non sa di Hiroshima, suo padre le ha detto che quaranta anni fa l’Europa bruciava nel fuoco. Ha la memoria breve dei ragazzi che volano lievi su tutto.

Quando la canzone fu scritta, non c’erano i social, per cui si era quantomeno capaci di ascoltare il racconto di chi sapeva chi fossero i Beatles e si leggevano i giornali. «Voi che li avete girati nei giradischi e gridati – prosegue la canzone come un appello dei ragazzi a chi c’era – voi che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordati. Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole: chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?».

Oggi l’informazione arriva attraverso canali non convenzionali ma potentissimi e l’assenza dei media diventa ancora più rumorosa. Una volta la presenza dei giornalisti italiani a un mondiale era oceanica, oggi ci conti sulle dita della mano. Alcuni hanno rinunciato al ciclismo, altri lo seguono con mezzi non più competitivi e limitano la loro azione a un pubblico non più giovane

Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni
Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni

Il linguaggio dello sport

«Con tutte le cose – dice la canzone – non solo a parole». Non si tratta più di spiegare al pubblico più giovane chi fossero i Beatles, come Pantani oppure Indurain. Alfredo Martini, che non smette di insegnare neanche adesso che non c’è più, diceva che un giovane ha bisogno di sentirsi dire cosa accadrà, non cosa accadeva. Però chi ha l’esperienza di ieri, deve rendere fighi il presente e il futuro. Pretendere di imporre le regole del passato fa crollare il ponte che da sempre unisce le varie epoche dello sport. Mostrare una via alternativa per lo sviluppo ha invece un senso diverso. Occorre una visione. Serve gente competente, nei media e nei palazzi.

La sensazione invece è che si mettano i dischi dei Beatles per non ascoltare la musica del presente. Che è sincopata, dialettale e sghemba, ma è viva e forte. E non retrocede certo in onore della memoria: semplicemente preferisce ignorarla e andare avanti. Il ciclismo si inchina a Pogacar perché è forte, giovane e figo: la FCI in che modo può rendere giovane e attraente la sua proposta? Le società giovanili chiudono perché sono ferme al passato e chi le guida non ha i piedi nel presente né lo sguardo nel futuro. Sta a noi, con garbo e il linguaggio giusto, spiegare al pubblico e ai giovani atleti che le radici, sia pure lontane, fanno parte dello stesso albero. E allora magari scopri che tua figlia è fissata per Geolier, ma quando meno te la aspetti canta parola per parola quella canzone di De André che tu avevi quasi dimenticato.

Un soffio fra l’argento e l’oro: il giorno dopo di Consonni

20.10.2024
6 min
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Il giorno dopo ha la pacatezza dell’adrenalina che si è depositata sul fondo e aspetta semmai di tornare su. Per Simone Consonni quest’ultima giornata dei mondiali pista di Ballerup (Copenhagen) significa dover ancora affrontare la madison con Elia Viviani, che ha appena colto l’argento nell’eliminazione. Ieri l’argento dell’omnium ha spalancato una finestra sul futuro della specialità che finora è stata appannaggio del veronese. I trent’anni di oggi, compiuti il 12 settembre, saranno 34 a Los Angeles 2028 e potrebbero consentirgli di puntare a un ultimo grande obiettivo su pista.

Nonostante si celebrino più spesso gli altri, nella sua bacheca brillano un oro, un argento e un bronzo alle Olimpiadi. Un mondiale nel quartetto più altre nove medaglie fra argento e bronzo. Due titoli europei e otto medaglie fra argento e bronzo. Uno forte, niente da dire. Uno forte che non se la tira neanche un po’.

Simone è ancora in hotel, mentre si sta preparando per andare in pista. Ieri su Instagram sua moglie Alice ha scritto un post che la diceva lunga sulla tensione con cui dagli spalti si è vissuta la rincorsa alla medaglia: «Non so chi era più finito dopo 8h in pista… (forse io). Che dirti… Non c’è molto da dire, ti conosco troppo bene e so che appena passato il traguardo e guardato il tabellone hai avuto un momento di sconforto, avrai pensato a quella maglia lì sempre così vicina ma che pare veramente irraggiungibile, ma io sono sicura che tutto può arrivare per qualcuno che si impegna e ci prova come te!».

Questo argento nell’omnium può essere davvero un bel progetto su cui ragionare?

L’omnium mi è sempre piaciuto e quando non c’era Elia ho tirato fuori delle buone cose. Ai mondiali di Apeldoorn nel 2018 ho vinto il bronzo. Agli europei di Monaco e poi a Grenchen l’anno scorso ho preso l’argento, per giunta dietro Ben Thomas, che sappiamo tutti quanto valga. E quindi mi dico: «Perché no?». Non voglio non voglio pormi limiti, altrimenti perdi di sicuro. Voglio godermi tappa per tappa e cercare di fare il massimo possibile per me stesso. Insomma, si parla tanto di ricambio generazionale, ma finché riesco a portare la medaglia, vuole dire che posso andare avanti. Penso che alla fine uno che porta medaglie lo schieri anche se ha 50 anni.

Consonni era partito per vincere ed è stato in testa all’omnium, poi De Vylder ha azzeccato la mossa giusta
Consonni era partito per vincere ed è stato in testa all’omnium, poi De Vylder ha azzeccato la mossa giusta
Piano buttarsi giù, non sei fra i pensionabili…

No, però sono ormai nella metà… alta. Dopo Scartezzini e Viviani, arrivo io. Però vi ripeto: la carta d’identità non è un limite. Anzi magari, per come si è visto in questi ultimi tempi, per l’omnium e come si corre, serve esperienza. Ma io sono convinto che, indipendentemente che uno abbia 19 anni o 39, se porta medaglie e fa le prestazioni, l’età non conta.

Il mondiale dopo le Olimpiadi. Alcuni hanno rinunciato alla pista, è stato difficile tenere la concentrazione?

E’ stato facile! Mi diverto quando vado in giro con questo gruppo. Passatemi il termine: mi sembra di essere in vacanza. Non mi pesa minimamente, quindi ho voluto esserci. Ho parlato con Marco Villa della possibilità di concentrarmi bene sull’omnium perché volevo vincere questa maglia, che mi manca da singolo. Ho vinto medaglie olimpiche e mondiali nel quartetto o nella madison, sono sempre salito in compagnia di qualcun altro. Nella mia testa ora c’è la voglia di far vedere che posso conquistare una maglia iridata da me. Non tanto per farlo vedere agli altri o per dimostrare chissà cosa. E’ una cosa che voglio, cui tengo per me stesso.

Consonni in mezzo alle donne della sua vita: la moglie Alice, sua mamma Michela e la sorella Chiara
Consonni in mezzo alle donne della sua vita: la moglie Alice, sua mamma Michela e la sorella Chiara
Volevi vincere, il belga è stato più forte. Come è andata?

Nell’omnium, adesso come adesso, le gambe sono vicine per tutti. Nella corsa a punti, De Vylder è partito a 20 punti da me, quindi era il meno curato. In questa specialità si dice che forse è meglio partire un tantino indietro e cercare la fortuna così è stato. Lui è stato forte e bravo a cogliere le occasioni e si è meritato un bell’omnium, veramente incerto e chiuso.

Chiuso?

Si parlava anche con i ragazzi del fatto che solitamente il mondiale dopo l’Olimpiade è sempre un po’ più aperto, più tranquillo, vengono tutti un po’ più scarichi. Invece sia nei quartetti per i primi due posti, sia nell’inseguimento individuale si sono visti tempi da far paura. E’ stata una roba impressionante, quasi… schifosa, passatemi il termine anche in questo caso. La verità è che nelle varie prove, devi andare sempre forte uguale. Per questo dico che l’omnium è stato chiuso, perché eravamo molto vicini tra noi. Quindi è stato un peccato, perché per come si era messo, ci credevo.

Se davvero la pista non ti pesa, si può dire che questo sia il posto in cui Simone può venir fuori per sé, mentre su strada il ruolo ormai è un altro?

Sì, dai, si può dire. Nel ciclismo di oggi anche quello che sto ricoprendo su strada è un ruolo importante, mi piace quello che faccio. Mi piace aver trovato nuovi stimoli e per questo dico che il 2024 è stato una stagione positiva. Manca ancora una corsa per la quale partiamo senza stress. L’obiettivo è sempre far bene. L’omnium ieri è stato abbastanza faticoso, dopo le fatiche del quartetto. Partiamo senza stress con il tiro puntato in alto. Quindi andrò a Londra con Elia la prossima settimana e poi, ragazzi, poi finalmente si va in vacanza…

Parigi, la caduta di Consonni e una scheggia nel muscolo

08.10.2024
6 min
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La caduta di Consonni a pochi giri dalla fine della madison olimpica. Le parole di Simone nel racconto successivo a far capire che non fosse stata una scivolata come tante e dare una dimensione anche più grande a quell’argento che sapeva già di oro. Che cosa è successo al bergamasco in pista il 10 agosto? E in che modo gli uomini della nazionale gli hanno permesso di ripartire e lo hanno curato nelle ore successive?

Lo abbiamo chiesto a Fred Morini, uno dei fisioterapisti della nazionale. Un passato da atleta e poi una vita che varrebbe il racconto di un bravo scrittore. L’umbro ascolta e annuisce. Ha ben chiaro quel che è accaduto, a partire dalla caduta. L’impatto di Consonni con il legno della pista è stato così fragoroso che, pur con tutto il rumore del palazzetto, si è percepito come il suono di uno schiaffo.

La foto dopo con Viviani e Morini mostra nello sguardo di Consonni certo la gioia, ma ancora i postumi della caduta
La foto dopo con Viviani e Morini mostra nello sguardo di Consonni certo la gioia, ma ancora i postumi della caduta
Che cosa è successo, dal tuo punto di vista?

La caduta può accadere, ma nessuno se l’aspettava, soprattutto perché eravamo alla fine. Cominciavamo già ad assaggiare più l’oro che l’argento. Erano abbastanza al limite e i portoghesi per certi versi stavano correndo un po’ meglio nella parte finale. Però per come si era messa, i nostri potevano riuscire a contenerli. Era chiaro che facessero corsa su Leitao e Oliveira, perché erano gli unici in grado di incrementare. La caduta è stata una grande botta, ce ne siamo accorti subito.

Che cosa avete visto?

Eravamo il meccanico Giovanni Carini ed io. Quando siamo arrivati, Consonni aveva il pantaloncino girato e uno strappo molto grande. Ma la prima cosa che ho visto era il casco completamente ruotato, tanto che l’ho tirato da dietro e lui subito se l’è rimesso a posto. Quindi sicuramente ha battuto anche la testa, per questo sembrava un po’ rintronato. La testa, la gamba e la spalla. E comunque è risalito su, non ci ha pensato un secondo. Un po’ per la foga, un po’ perché noi lo incitavamo, poi i fischi, il rumore, la gente. Non ha guardato più niente, ha fatto la sua corsa. Ma il grande shock che ha accumulato si è visto appena è arrivato.

Che cosa si è visto?

Appena è sceso giù dalla balaustra si è messo seduto e ha scaricato la tensione, come a Tokyo dopo il quartetto. Sembrava dovesse svenire da un momento all’altro. E così ho fatto le stesse manovre di tre anni prima. Sono intervenuto sulla parte cervicale, dove ci sono dei punti neurologici che di solito si attivano sulle persone che rischiano di perdere i sensi o che effettivamente svengono. Ho cominciato a premere forte e sembrava che si riaccendesse. Poi si è alzato, perché lo chiamavo alle interviste. E’ andato, solo che nei primi 4-5 minuti non sapeva nemmeno dove si trovasse. Era in crisi di zuccheri, perché nella madison è arrivato proprio al limite del limite. Allora gli ho dato un gel, ha bevuto qualcosa, poi si è incamminato verso la tv. E a me a quel punto è caduto l’occhio sul pantaloncino.

Cosa c’era?

Una scheggia del parquet del velodromo, che sarà stata di due centimetri, che usciva fuori dal muscolo. Dritta come uno spillo. Allora sono andato da lui e gli ho detto: «Dai Simo, bevi qualcosa» e gli ho passato una lattina di Fanta. Lui l’ha accettata e mentre la guardava, ho preso la scheggia con le mani e l’ho tirata via. Non l’avessi mai fatto… Ha imprecato, ha sentito come un coltello che invece di entrare, usciva dalla sua gamba. C’era la telecamera e Stefano Rizzato per qualche istante ha abbassato il microfono, chiedendomi cosa fosse successo. E allora gliel’ho fatta vedere e gliel’ho detto: «Avevi una scheggia di legno di due centimetri infilata nella gamba!».

E’ possibile che nel momento in cui si è ritrovato per terra abbia avuto anche un crampo?

Certo. Si è alzato di colpo e sicuramente era già parecchio provato. Il crampo l’ha avuto perché quando ha dato la botta, è rotolato e rialzarsi ha richiesto la massima contrazione muscolare. Un po’ era stanco, un po’ disidratato e di fatto è partito il crampo. Anche dietro la coscia, non dove c’era la ferita, ma tra coscia e polpaccio. Anche il senso di svenimento è connesso a una reazione adrenalinica. Il nervo vago comincia a scaricare, aveva comunque dato una bella botta. Passavano le ore e lui peggiorava, anziché migliorare. Il giorno dopo si è alzato e sembrava un novantenne che camminasse a quattro zampe, perché cominciava a sentire la botta. Aveva più segni addosso l’indomani che dopo la caduta. Ha dormito male tutta la notte, si è goduto male anche la medaglia. Anche la sera che abbiamo fatto il brindisi, era molto dolente.

Come lo hai trattato?

Un lavoro manuale, decontratturante, ma non un vero massaggio. La sera stessa e il giorno dopo. Poi un trattamento osteopatico a livello cranio-sacrale, per allentare un po’ la tensione. Il terzo giorno abbiamo lavorato sulla mobilizzazione: sempre lavoro manuale, ma anche attivo. Qualche piccolo esercizio sul bacino, sulla parte bassa della schiena, per recuperare la mobilità. Dopo due giorni già stava meglio, ma il giorno dopo è stato veramente male.

Finita la madison, Consonni torna alla balaustra. E’ frastornato e dolorante
Finita la madison, Consonni torna alla balaustra. E’ frastornato e dolorante
E’ andato in ospedale? La botta alla testa lo richiedeva?

No, l’ha visto il dottor Angelucci. Non c’erano i sintomi di fratture, per cui il dottore ci ha detto di trattarlo. La cosa in più che abbiamo fatto sono state delle medicazioni con il Duoderma, perché c’erano anche delle belle abrasioni. Abbiamo anche ripulito la ferita con delle pinzette. Per il colpo alla testa, il dottore l’ha valutato. Ha fatto anche dei test di risposta neurovisiva e neurobiologica, ma non c’era nulla di particolare. Però ci ha raccomandato di osservarlo e segnalare se avessimo visto qualcosa di particolare. Ma Simone non aveva lo stimolo di vomitare, non aveva giramenti di testa improvvisi o mancamenti. Per cui abbiamo proseguito così.

Quanto è durata la fase… novantenne?

Due giorni, poi ha cominciato rimuoversi degnamente. Ha fatto un po’ di rulli ed è uscito su strada. E devo dire che la sua caduta è stato il solo problema di queste Olimpiadi, a parte i classici problemi del quartetto, che vanno sempre in sofferenza con la schiena perché la partenza con quei rapporti è impressionante. Hanno sempre la solita patologia al fondo della schiena soprattutto a destra dove fanno l’attivazione per la partenza. E poi per il resto tutto bene, ordinaria amministrazione. Null’altro da segnalare.

Finiti i brindisi, Villa già pensa al futuro

19.08.2024
5 min
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Il positivo andamento delle Olimpiadi di Parigi 2024 si deve anche ai tecnici che lo hanno reso possibile. In questi giorni tutti osannano – giustamente – il guru Velasco che ha ripreso le macerie della nazionale femminile di volley portandola in un anno all’oro a cinque cerchi, ma c’è anche chi all’oro olimpico ha quasi fatto il callo. Marco Villa continua a portare gente sempre diversa al massimo risultato, questa volta il colpaccio è riuscito con Chiara Consonni e Vittoria Guazzini nella madison, la specialità che sembrava la più difficile da gestire e che invece il mago della pista ha trasformato in una miniera di medaglie.

Villa però non è tipo da dormire sugli allori. Appena tornato a casa dalla lunga trasferta parigina, si è subito messo al lavoro pensando ai mondiali juniores e di fatto cominciando già a pensare a Los Angeles 2028. D’altro canto il tragitto che porterà ai Giochi è un po’ diverso da quello appena effettuato.

Guazzini e Consonni. Il loro è il terzo oro di Villa in tre edizioni dei Giochi
Guazzini e Consonni. Il loro è il terzo oro di Villa in tre edizioni dei Giochi

«Avere un anno in più rispetto al post Tokyo è importante per programmare bene. Dal 2021 eravamo usciti con un gruppo formato, con la voglia di proseguire l’avventura e tirare avanti. I fatti ci hanno dato ragione, quel bronzo del quartetto ha un valore enorme, proprio sapendo che a Ganna e Milan avrebbe fatto comodo avere più tempo per la strada. Filippo poi aveva anche l’obiettivo della cronometro, che si sposava meglio con le nostre esigenze».

Ora però cambieranno molte cose…

So che i ragazzi vogliono ragionarci con calma e fanno bene. Avremo tempo per parlarne, io comunque devo guardare avanti e pensare anche a nuovi nomi. Le ragazze hanno un gruppo giovane, che può tranquillamente puntare a Los Angeles e che anzi avrà 4 anni di esperienza in più. Noi abbiamo tanti giovani che nelle categorie inferiori hanno vinto ripetutamente, ora dobbiamo essere bravi a coinvolgerli sempre di più e farli crescere. Lo abbiamo già fatto nei mesi precedenti, proseguiremo su questa strada.

Fiorin, Favero, Giaimi, Sierra. Su questi e altri giovani Villa conta per rimpinguare il gruppo in vista di LA 2028
Fiorin, Favero, Giaimi, Sierra. Su questi e altri giovani Villa conta per rimpinguare il gruppo in vista di LA 2028
Da più parti si è detto che serve un’attività più specifica, con meno commistioni fra strada e pista…

Ho sentito anch’io e non mi trovo d’accordo, come anche su giudizi troppo diretti verso chi dovrebbe lasciare il gruppo per via dell’età. Guardate che cosa ha fatto un eterno ragazzo come Viviani. Io sapevo che era in grado di farlo, anzi l’esito infausto dell’omnium mi aveva lasciato interdetto, c’era qualcosa che non mi tornava. Nella madison si è visto il vero Elia che resta un maestro della pista, che non si abbatte mai. Quello suo e di Simone è un argento tendente all’oro. Ma su questo tema c’è altro da dire…

Prego…

Guardate l’Australia. Ha vinto riesumando Welsford che ha 28 anni e che proprio grazie all’esperienza su strada è tornato nel quartetto con una marcia in più, diventandone il motore. La differenza non è certo stata fatta attraverso la scelta di pistard puri, ma attraverso il tempo dedicato. In pista ho parlato con i selezionatori delle altre nazioni che mi chiedevano come abbiamo fatto a ottenere quei risultati con così poco tempo a disposizione.

Welsford ha trascinato l’Australia all’oro concentrandosi da giugno solo sulla pista
Welsford ha trascinato l’Australia all’oro concentrandosi da giugno solo sulla pista
Gli altri hanno dedicato più sessioni?

Altroché. L’Australia ha svolto una preparazione specifica di 10 settimane ad Anadia, in Portogallo. Le americane che hanno sorpreso tutti sono state per due mesi e mezzo a lavorare sul quartetto: la Faulkner aveva corso l’ultima gara su strada al Giro di Svizzera a metà giugno, poi ha lavorato solo su pista e quel lavoro le è servito anche per vincere l’oro su strada. Noi abbiamo potuto lavorare insieme una decina di giorni. Questo per dire che la multidisciplina resta la via maestra, quel che conta è riuscire a mettere insieme i pezzi con più tempo a disposizione. Noi abbiamo lavorato con il poco tempo che avevamo.

Come accennavi, ora però si riparte e bisogna integrare nomi nuovi.

Infatti. Moro c’è già, altri ragazzi lo seguiranno ma d’altronde molti hanno già corso in Coppa del Mondo e proseguiranno quella via. I giovani dovranno affrontare i massimi impegni per imparare tantissimo, anzi in tal senso già i mondiali di ottobre saranno molto importanti, non tanto come rivincita quanto proprio come prima palestra per chi ambisce a entrare nel gruppo, nelle varie specialità. Senza rinunciare agli altri, che anzi potranno essere i compagni giusti per accompagnarli.

Villa con Viviani, il suo argento ha grandissimo valore, per il tecnico è un esempio da seguire
Villa con Viviani, il suo argento ha grandissimo valore, per il tecnico è un esempio da seguire
Dopo Parigi però hai fatto presente quanto servirebbe all’Italia una squadra che raccogliesse i migliori specialisti della pista…

Era un po’ una provocazione. Pensate a come sarebbe più semplice il lavoro con un team nel quale confluiscono i vari Ganna, Milan, Consonni, ecc. facendo una programmazione mirata per tutti. Un po’ quello che ha fatto il Team Sky prima di Londra 2012. Anche gli inglesi hanno lavorato un po’ come gli australiani, a Manchester, tanto che Hayter si è assentato solo per i campionati nazionali su strada che peraltro ha vinto, dimostrando anche lui come la pista sia utile per la strada e viceversa. Certamente analizzeremo quel che è successo a Parigi per provare ad apportare i giusti correttivi, ma mi pare che il bilancio finale dei Giochi sia molto positivo, quindi non ci sono rivoluzioni da fare.

Parigi, gli ultimi appunti alla fine del viaggio

15.08.2024
6 min
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PARIGI (Francia) – La città va in bicicletta. Lo slogan è “Vive la vélorution”, gioco di parole ben riuscito che trovi un po’ ovunque. Se non è in francese, è in inglese. “Love vélo”. Quando vogliono, anche i francesi usano l’inglese. Da tempo in città è in corso una campagna del Comune per spingere i cittadini ad andare in bici e per i Giochi sono arrivati altri 60 chilometri di piste ciclabili. Ce n’erano già mille. Questi si chiamano “Olimpiste”, perché con le parole si gioca, questo s’è capito, e collegano tutti i siti delle competizioni.

Anche il velodromo di Saint Quentin en Yvelines, che è quasi 20 chilometri fuori Parigi e che davanti all’ingresso ha una strana scultura con un podio dove sul primo gradino c’è un gatto, sul secondo una tartaruga e sul terzo una lumaca. L’ha realizzata Philippe Geluck, uno scultore belga che è anche fumettista e ha rappresentato sul podio “Le chat”, cioè il suo personaggio. L’opera si chiama “Il Dio dello Stadio”. Il senso è, spiegato dall’autore: “Se vuoi vincere, devi sceglierti gli avversari”. Cioè una lumaca e una tartaruga. Ci torneremo, purtroppo non in bicicletta.

L’urlo di Madiot

Non abbiamo visto né lumache né tartarughe a Parigi. Gli ultimi sono stati applauditi come i primi, sia sulla collina di Montmartre (foto Paris 2024 in apertura), dove il popolo del ciclismo ha fatto sentire tutto il suo entusiasmo, sia all’arrivo. Applausi per Jakob Soederqvist, svedese, arrivato a 14’22” da Remco Evenepoel. Applausi per Phetdarin Somrat, thailandese, arrivata a 14’19” da Kristen Faulkner. Applausi per i secondi, per uno in particolare: Valentin Madouas.

Dall’ultima fila della tribuna stampa, a un certo punto sale forte un urlo. Dice più o meno così: «Vieni piccolo mio! Per la tua famiglia! Per i bretoni! Per la Francia! Prendi questa medaglia, ce la meritiamo!». Chi urla è Marc Madiot, il suo manager alla Groupama-Fdj. Fece una cosa simile per Thibaut Pinot in vetta al Tourmalet nel 2019, ma non c’era tutta una tribuna a sentirlo.

Madouas in marcia verso l’argento, sospinto dal tifo di Madiot in tribuna
Madouas in marcia verso l’argento, sospinto dal tifo di Madiot in tribuna

I Giochi delle vecchie glorie

Non avrebbe potuto sentirlo nessuno se ci fosse stata la stessa pioggia che c’era durante la cronometro e che non ha condizionato solo la prova di Filippo Ganna, che ha sbandato ed è stato bravissimo a rimanere in piedi. Ogni postazione era coperta da plastica trasparente, per salvare computer e tutto ciò che avesse bisogno di elettricità dall’acqua. Nonostante ciò, sono scappati tutti. Anche Laurent Jalabert, che sprintava come ai vecchi tempi. Anche Cadel Evans, al riparo sotto un ombrello gigante offerto dalla tv australiana.

Non le uniche “vecchie glorie” incontrate. Abbiamo visto anche Jeannie Longo dare il via alla prova femminile, Peter Sagan a quella maschile e Annemiek van Vleuten assistere alle finali del nuoto. Lei ama l’acqua e sarebbe rimasta anche senza plastica e senza ombrelli ad assistere alle prove a cronometro. Quella maschile si è conclusa con l’argento di Ganna, sul podio tra l’oro Evenepoel e il bronzo van Aert. Podio curioso, perché da Pont Alexandre III si vedeva, correttamente, Ganna sulla sinistra, Evenepoel al centro e van Aert sulla destra. Cioè dove devono stare il secondo, anche se non è una tartaruga, il primo, anche se non è un gatto, e il terzo, anche se non è una lumaca. Poi vedi alzarsi le bandiere e vedi due bandiere del Belgio a sinistra e al centro e quella dell’Italia a destra. Tutte con i colori invertiti. Per vederle giuste serviva uno specchietto retrovisore, oppure guardarle in tv. La regia francese infatti aveva previsto l’inquadratura da un lato della Senna per gli atleti e da quello opposto per le bandiere.

Peter Sagan dà il via alla prova su strada dei professionisti (foto UCI)
Peter Sagan dà il via alla prova su strada dei professionisti (foto UCI)

Fra Mattarella e Remco

Sono stati Giochi pensati per la tv, non solo per le cerimonie di apertura e per le location. Comunque vive la Velorution, ma senza accento. Velo nel senso di Marco, Ct della cronometro, specialità in cui per la prima volta un italiano sale sul podio, per quella che è anche la prima delle quaranta medaglie di tutta la spedizione italiana. C’è anche il presidente Mattarella.

«Mi spiace di averla fatta aspettare sotto la pioggia», gli dice Filippo Ganna, che è un po’ triste. «A 28 anni, era la mia ultima occasione». Incarnerà il diritto di ognuno di noi a contraddirsi dopo il bronzo col quartetto. «A 28 anni, penso già al 2028». Per età, a Los Angeles, salvo imprevisti, ci sarà anche Evenepoel. Difficile pensare di vederlo nel baseball, disciplina che tornerà nel programma olimpico, almeno come ricevitore. Appena si siede in conferenza stampa, stremato, implora i presenti: «Qualcuno ha qualcosa da mangiare?». Dall’alto (la conferenza si tiene in un cinema) gli tirano una merendina e lui non riesce a prenderla. Si china per raccoglierla, gliene tirano un’altra, ma niente da fare. Battitore in prima base.

Tanta pioggia sulla crono di Ganna, mentre Mattarella lo aspetta senza ombrello
Tanta pioggia sulla crono di Ganna, mentre Mattarella lo aspetta senza ombrello

L’Italia, una squadra

Saint Quentin en Yvelines è un mondo a parte. All’ingresso trovi tifosi travestiti da tigre o da ape, forse giusto per contrastare lumache, gatti e tartarughe. I volontari creano un corridoio umano e applaudono gli spettatori che entrano come se fossero ciclisti e che poco prima hanno scommesso tra di loro sull’esito delle gare.

All’interno trovi David, il papà di Vittoria Guazzini scambiato per un olandese perché si veste di arancione per scaramanzia. Chiara Consonni che piange dopo il quarto posto nell’inseguimento e salta in braccio al fratello dopo l’argento di Simone nella madison. Nel frattempo, ha regalato all’Italia una delle immagini più belle dei Giochi con il suo: «Ma cosa abbiamo fatto?», dopo averla vinta lei, la madison, che fino a poche ore prima non era neanche sicura di fare. Ma la cosa che colpisce di più è vedere come ogni risultato dell’Italia sia stato accolto come un risultato di tutti. Non c’è stata gara in cui, a meno che non ci fossero i rulli a chiamare, tutti i convocati del Ct Villa siano stati lì a sostenere chiunque fosse in pista, in qualsiasi posizione. Sì, l’Italia è stata una squadra e forse è questo che andrebbe detto al giornalista inglese che chiede: «Ma come mai siete sempre forti, se non avete piste?».

Sembra Montichiari, ma è Saint Quentin en Yvelines. L’11 agosto il velodromo chiude e si trattiene tante emozioni. E per un attimo cala ancora un velo, un velo di tristezza. Poi esce l’Italia e vedi Elena Cecchini ed Elia Viviani che si guardano. E pensi a come, dopo la madison, lei ha guardato lui mentre piangeva. «E’ arrabbiato, ma capirà che è un campione». E cala un velo di dolcezza.

Dov’erano gli azzurri? Ritorno a Parigi con il cittì Bennati

14.08.2024
7 min
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Parigi è un boccone che piano piano è andato giù. Bennati lo ha masticato a fatica, ripassando le scelte, le parole, gli impegni e la gara. E poi, dovendo partire alla svelta per un sopralluogo sul percorso degli europei, ha voltato la pagina. E’ innegabile che la corsa su strada degli azzurri alle Olimpiadi sia stata un buco nell’acqua, in cui la figura migliore l’ha fatta colui che meno c’entrava. Con quella fuga, Viviani se non altro ha mostrato al mondo che a Parigi c’era anche l’Italia.

Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?
Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?

Prestazione opaca

Il fatto che corressimo in tre discende direttamente dai risultati e i nostri (pochi) risultati nelle classiche hanno indicato i nomi di Bettiol e Mozzato. Se anche avessimo corso in cinque, probabilmente il risultato non sarebbe stato migliore. Ma altrettanto probabilmente, se si fosse potuta dare la squadra dopo il Tour, ci sarebbe stato margine per altre valutazioni. La tagliola del 5 luglio ha impedito di fare diversamente.

«I ragazzi stavano bene – spiega Daniele – apparentemente le cose andavano per il verso giusto. Poi la gara è andata come è andata, è inutile girarci attorno e io mi devo prendere la responsabilità, anche se rifarei le stesse scelte. Non parlo del piazzamento, ma della prestazione al di sotto delle nostre possibilità. Ho sempre detto che, a parte Evenepoel che in questo momento sarebbe sbagliato guardare, non vedo fenomeni nell’ordine di arrivo dal secondo al decimo. Dovevamo fare assolutamente meglio a livello di prestazione. Nei due mondiali che ho fatto, sia in Australia sia a Glasgow, sono sempre tornato a casa col sorriso, perché abbiamo fatto molto bene dal punto di vista della prestazione. In qualche modo abbiamo fatto divertire gli appassionati, cosa che in queste Olimpiadi non è successa».

Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas
Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas

L’avvicinamento non è stato semplice. A causa del calendario varato dal CIO con il benestare dell’UCI, non si sono potuti coinvolgere Ganna né Milan nella prova su strada. Poi, per le nuove quote della pista, il solo modo perché potesse correre l’omnium e poi la madison era che Viviani venisse convocato per la gara su strada. La decisione è stata presa e non avrebbe avuto senso mettersi di traverso.

Partiamo proprio da Elia.

Come ho detto fin dall’inizio, essendo il responsabile del settore strada professionisti, sul momento non ci sono rimasto bene. Però poi, ragionando a mente fredda, ho capito che fosse una cosa necessaria. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che in questo momento su strada facciamo più fatica che in pista. Va dato atto che siamo una delle Nazioni di riferimento nella pista e nelle crono, per cui si è scelto di dare la possibilità a Elia di fare le sue specialità. A un corridore come lui, bisogna stendere tutti il tappeto rosso per quello che è riuscito a dare in termini di visibilità. La pista è riuscita ad arrivare a questi livelli soprattutto grazie a lui che ci ha sempre creduto e ovviamente anche a Marco Villa.

E alla fine la mossa è stata azzeccata, vista la medaglia d’argento.

Sulle sue potenzialità e la possibilità di fare risultato non ho mai avuto dubbi. Sapevo però che Elia non avrebbe fatto un calendario mirato per la prova su strada, perché con la squadra non stava facendo l’attività più consona. Ovviamente qualcuno che sognava quel posto può esserci rimasto male. Penso che qualsiasi atleta abbia l’obiettivo e il sogno di partecipare a un’Olimpiade, ma non tutti alla fine riescono ad andarci.

Si sapeva da tempo che avreste corso in tre.

Ho iniziato a parlare di Parigi da dicembre del 2023 e una decina di atleti ha effettuato le visite a Roma. Ho indicato i più adatti a quel percorso, senza conoscere le dinamiche che si sarebbero create. Poi, a inizio stagione, ho detto a tutti che nessuno avrebbe avuto in mano la certezza di essere convocato, ma speravo che mi mettessero in difficoltà con i loro risultati di inizio stagione, delle classiche e del Giro. Nel caso specifico, Bettiol fino al Tour ha fatto una stagione molto significativa, con una continuità importante. E’ andato forte alla Sanremo e anche al Fiandre, dove è stato riassorbito nel finale. E proprio al Fiandre è arrivato con Mozzato il solo podio italiano in una gara monumento del 2024. Per cui la scelta è caduta su loro due. Avevano raggiunto risultati importanti e credo che un’Olimpiade si possa conquistare anche e soprattutto attraverso i risultati.

Hai dovuto dare i nomi il 5 luglio.

Credo l’ultima Nazione sia stata la Francia, che li ha dati l’8 di luglio. Poi ovviamente ti devi affidare alla buona sorte e alla parola dei corridori, che si impegnano ad arrivare pronti all’appuntamento. Ci siamo sentiti. Abbiamo parlato con i loro preparatori. Hanno avuto la massima fiducia. La crono ci aveva mostrato un Bettiol in ripresa. Dopo aver vinto l’italiano è andato al Tour, ha fatto una settimana discreta e poi si è ritirato per preparare la cronometro. Semmai, se qualcuno avesse sentito di non essere al meglio, avrebbe potuto fare un passo indietro. Ma erano entrambi certi di stare bene.

Come è stato il tuo approccio con Viviani?

Ci siamo sentiti spesso. Il suo ruolo era determinante e devo dire che ha confermato la sua professionalità. Il fatto che sia entrato in quell’azione è stata una decisione presa al momento da lui stesso, perché non c’erano le radio. L’obiettivo era che arrivasse a Parigi per dare il supporto agli altri due, poi ha deciso di inserirsi in questa azione che alla fine è risultata positiva per lui e anche per noi.

La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
Come è stato veder scorrere via un’Olimpiade senza poterci mettere mano?

Purtroppo correre senza radio è molto limitante. E’ frustrante non avere la possibilità di fare nulla. Quando sei in macchina, non hai contatto diretto con gli atleti. Quindi stai lì, guardi la corsa nel tablet e ascolti radio corsa, ma a a livello tattico non puoi fare quasi nulla. Ovviamente diventa più semplice per il mio collega belga, che ha un corridore come Evenepoel che stacca tutti (sorride, ndr).

Non sei riuscito ad avere alcun tipo di contatto con Bettiol e Mozzato?

Li abbiamo visti un paio di volte. Sono venuti alla macchina per prendere acqua e Alberto all’ultimo giro non era fuori corsa. C’erano ancora Evenepoel e Madouas e dietro era ancora tutto in gioco. Però quando è venuto alla macchina, obiettivamente non era l’Alberto dei giorni migliori. Quindi ho capito che la faccenda si faceva abbastanza complicata. Ovviamente Luca a quel punto era già più dietro.

Si è detto che con 89 corridori e 272 chilometri sarebbe venuta una corsa pazza, invece è stata molto più lineare.

E’ vero, però analizzandola bene, al 180° chilometro prima di entrare a Parigi, c’era il terreno per attaccare. Un po’ di azioni ci sono state e pensavamo che si potesse fare più differenza. Il Belgio ha provato a muovere la corsa già da lì, anche Van der Poel scalpitava, però era anche ancora lungo arrivare a Parigi. Poi Van Aert ha corso solo ed esclusivamente su Van der Poel e, così facendo, ha aperto una grande possibilità per Remco.

Sei riuscito a parlare con i corridori dopo la corsa, almeno per quello che si può dire?

Dopo la corsa non ci siamo detti nulla, ma la sera dopo cena ho voluto parlare con loro. Gli ho detto che non potevamo tornare a casa soddisfatti, tutt’altro. Mi hanno detto di aver fatto il massimo e io ci credo. Non penso che si siano tirati indietro perché non avessero voglia di far fatica. È stata una giornata negativa dal punto di vista prestazionale e sicuramente si sono ritrovati con poche energie o con energie non sufficienti per fare una gara più dignitosa. Tanto altro da dire al momento non c’è. Voglio che andiamo agli europei e al mondiale con la voglia di riprenderci il nostro posto. E se ci saranno altre cose da dire, le tirerò fuori con loro a fine stagione. Per adesso va bene così.