Cosa c’è negli sguardi di Bettiol? Balducci racconta…

07.04.2024
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Gabriele Balducci oggi non seguirà la Roubaix in televisione: nelle stesse ore sarà impegnato con la Mastromarco al Trofeo Piva. E’ chiaro però che una parte del cuore batterà per quello che a buon diritto può essere definito il suo figlioccio: Alberto Bettiol. Il toscano non è stato bene dopo il Fiandre e lo svuotamento subito nella corsa dei muri è stato il principale cruccio della settimana. Certi sforzi vanno recuperati per bene e bisogna che nulla si metta di traverso.

Gabriele Balducci ha 48 anni ed è stato professionista per 12, con qualche vittoria e il gusto un po’ guascone per la vita, accanto a Dario Pieri: l’amico di sempre. Era direttore sportivo da quasi quattro stagioni, quando alla Mastromarco arrivò il giovane Bettiol. Era il 2012, Alberto era al secondo anno da U23 e nella squadra toscana trovò Valerio Conti: rivale di tante battaglie. “Baldo” lo accolse e col tempo, assieme al procuratore Battaglini e a Piepoli (che gli fa da allenatore e psicologo), creò attorno al corridore una struttura a prova dei suoi alti e bassi. Quando Battaglini venne a mancare, il diesse si rimboccò le maniche e non ha mai fatto un passo indietro. Hanno litigato e lo faranno ancora, ma sempre nell’interesse dell’atleta. Si capisce che Balducci lo faccia per affetto e non per ambizione, perché non ha mai voluto un ruolo ufficiale nelle squadre di Bettiol. Altri probabilmente avrebbero cavalcato la situazione.

Carlo Franceschi, Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Franceschi, Bettiol e Balducci: Alberto è il tramite fra Cannondale e la Mastromarco, in cui ha corso da U23
Alberto Bettiol, Gabriele Balducci, bici Cannondale alla Mastromarco, 2020
Bettiol e Balducci: Alberto è il tramite fra Cannondale e la Mastromarco, in cui ha corso da U23

Un cavallo di razza

Bettiol è un cavallo di razza, con impeti e momenti bui. Ha un motore da primo della classe, ma non sempre la capacità di sfruttarlo nel modo giusto. Ai mondiali di Wollongong sarebbe stato l’unico capace di andare via con Evenepoel, ma aveva previsto una tattica diversa e per restarle fedele, vide fuggire il belga. Quando vinse il Fiandre del 2019, non fu per caso: era il più forte e potrebbe esserlo ancora, in un ciclismo sempre più estremo che concede briciole agli uomini estrosi come lui. Alla Milano-Torino ha deciso di vincere e semplicemente lo ha fatto. A volte è solare, altre si rabbuia. Diciamo la verità: non è sempre semplice decifrarlo. E allora, alla vigilia della sua prima Roubaix, ci siamo rivolti proprio a Balducci per fare il punto della situazione. Chi è oggi Alberto Bettiol e dove può arrivare?

«Vi dico la verità – sorride il pisano – facciamo delle cose, ma finché non si conclude, anche dirlo sembra brutto. Io dentro di me so quanto può valere, però non lo possiamo dire proprio bene. Un po’ di risultati sono venuti, ma insomma non è che abbiamo fatto vedere tutto quello che potremmo. Quello ce l’ho dentro e solo io posso sapere quanto vale questo ragazzo, perché secondo me abbiamo ancora dei margini. A volte sembra che ci crediamo più noi di lui e va in questo modo da quando facemmo quell’intervista con lui e Valerio Conti (il riferimento è a un incontro fatto proprio nel 2012, quando Bettiol approdò alla Mastromarco, ndr). Erano due ragazzetti, ma già allora Alberto si chiedeva se sarebbe stato all’altezza. Diceva che Conti gli avrebbe “mangiato la pappa in capo”. Ed è una mentalità si è portato avanti in tutti questi anni».

Alla Milano-Torino aveva una condizione super: voleva vincere e ha attaccato
Alla Milano-Torino aveva una condizione super: voleva vincere e ha attaccato
Perché secondo te ha queste insicurezze?

Ce l’ha su tutto, se vi raccontassi quello che triboliamo anche per la vita normale. Ha un carattere che ha bisogno sempre di conferme. Prima della Milano-Torino chiedeva in maniera ossessiva se l’avrebbe fatta, perché stava così bene che voleva la conferma. Poi l’ha fatta e l’ha vinta. Perché accada non so dirlo. Ci sono corridori che hanno qualcosa in più, che sono sopra le righe, ma gli manca qualcosa. Alberto è un ragazzo d’oro, molto intelligente, però a volte ha queste mancanze.

Ha ancora la giusta cattiveria?

No, sentite, a livello di cattiveria è ancora orgoglioso. Vi dico la verità, magari soffre e non lo dice, però è ancora orgoglioso. Gli piace farsi vedere e questa è la cosa che ci fa andare avanti. La cattiveria c’è ancora e secondo me è ancora tanta e ben più di quella che lascia trasparire. Diciamo che non gli scatta in tutte le corse, è uno che si carica nei grandi appuntamenti. Si carica veramente tanto e questa è una dote. Ci sono certe gare in cui dobbiamo portarlo fin lì e siamo a posto. Perché sappiamo che anche se è al 70 per cento, con la motivazione arriva al 90. Questo ce l’ha dimostrato più di una volta. A livello di cattiveria sono contento.

Lo abbiamo sentito dire che in nazionale si trova benissimo perché tutti lo coccolano come alla Liquigas, che si sente in famiglia. Però corre nella squadra con meno italiani che ci sia…

Avete visto bene. La EF Education è la meno italiana del gruppo, una squadra con delle idee un po’ particolari. Mi ricordo quando era in BMC con Fabio Baldato, di cui sono molto amico, che a volte sbottava e diceva che non lo sopportava più. Allora vi dico, forse è la meno italiana, ma anche la più giusta. Con lui ci vuole sempre una coccola, il modo giusto anche negli allenamenti. Condividiamo tanto gli allenamenti, tutte le tabelle. Tante volte per stimolarlo mi invento anche qualcosa: facciamo così, dai, che domani sarà meglio. E così magari capita che possa stare per ore in bicicletta e non se ne accorga nemmeno. Bisogna saperlo prendere, questa è la cosa fondamentale. Non voglio essere il più bravo né niente, però credo di conoscerlo nella maniera giusta. Non solo da direttore sportivo, ma da amico, da confidente, da psicologo e lui in qualche modo mi riconosce per la figura che sono.

La EF Education è la squadra meno italiana del WorldTour, ma secondo Balducci perfetta per Bettiol
La EF Education è la squadra meno italiana del WorldTour, ma secondo Balducci perfetta per Bettiol
Non sarai troppo buono?

Ho cercato anche di essere più cattivo, ci siamo arrabbiati tante volte. Non so quante volte ho chiuso il discorso dicendogli di fare come gli pareva, però non è passato un giorno che non mi abbia ricercato. Quello che sto vivendo è una cosa bellissima, perché preparare insieme un Fiandre o una Sanremo per me è un sogno. Non tanto tempo fa venne fuori la possibilità di entrare in squadra con lui, ma vi dico la verità: io ho sempre guardato la mia squadra, le mie cose. Alberto ci sta vicino, abbiamo le bici Cannondale grazie a lui, ma non voglio che anche questo diventi una pressione. E non mi è mai passato per la testa di fare carriera sfruttando l’amicizia.

Tempo fa si diceva che tra i motivi per cui dovevi controllarlo ci fosse la poca attenzione sull’alimentazione.

Invece finalmente su questo è migliorato molto. Ci è arrivato da solo, a forza di sbagliare e risbagliare, lo vedo quando viene a casa nostra. Sa come deve fare e infatti ha vissuto un buon inizio di stagione. Una volta magari a tavola era necessario dirgli di fermarsi, ma ha capito che oggi il corridore lo fai anche mangiando nel modo giusto. Purtroppo non ci sono tante scappatoie. Se non fai quella vita lì, non porti a casa niente. Il ciclismo è cambiato tantissimo e per me è molto più bello. Magari può non piacere perché è tutto computerizzato, anche a me i numeri non vanno giù del tutto, però si sbaglia poco. La differenza con Alberto è che ti diverti ancora. Partiamo la mattina alle dieci con lo scooter e magari torniamo la sera alle cinque. Ci inventiamo delle cose che poi la sera raccontiamo quando si condividono gli allenamenti e ci piace stupirli. Con Alberto ci divertiamo davvero tanto.

Va detto che negli ultimi anni ha avuto problemi fisici veri, giusto?

Questa cosa ci tengo a dirla. Tante volte il fisico non ha retto al suo motore, che è veramente notevole. Sinceramente ne ho visti pochi con la sua forza, però magari la carrozzeria non è la carrozzeria di Johan Museew. E’ un po’ più delicato, tante volte non è continuo, non ha salute. Se penso che abbiamo tribolato con l’intestino, a fare delle flebo da 4.000 euro l’una, per una cura sperimentale. Abbiamo tribolato davvero, lui perdeva sangue mentre per gli altri corridori il sangue è oro. Poi è normale che ci abbia messo anche del suo, magari trascurando una cosa o mangiandone un’altra. Però i problemi fisici non li possiamo nascondere, semmai questi crampi…

I crampi hanno fermato Bettiol anche in alcune occasioni importanti: qui alle Olimpiadi di Tokyo
I crampi hanno fermato Bettiol anche in alcune occasioni importanti: qui alle Olimpiadi di Tokyo
Ecco, una nota dolente.

Anche l’alimentazione è cambiata, ora si va per microgrammi, si fa il conto dei carboidrati, ma non è detto che tutte le volte si facciano le cose per bene. Prendiamo un tot di carboidrati per ora, però magari mancano i liquidi o i sali minerali. Tante volte si sbaglia. Deve ragionare di più, l’altro giorno mi sono arrabbiato quando ha fatto quello scatto al Fiandre con Teuns, perché poteva anche gestirlo meglio. Però l’istinto del corridore era quello ed è arrivato al traguardo senza più energie addosso. E’ arrivato al lumicino, come la lucina Garmin rossa che si mette dietro la sella…

Perché a volte ha quasi degli scatti di ira? Perché al Tour Down Under l’anno scorso tirò la borraccia all’operatore che lo riprendeva mentre aveva un crampo?

Torno indietro alla cattiveria e al suo orgoglio. Ci lavoriamo tanto, ma a volte non ce la facciamo. I miei complimenti dopo la Milano-Torino sono stati per il fatto che non abbia fatto una scenata. Pensavo che si sarebbe buttato per terra, invece è stato perfetto. Così la prima cosa che gli ho detto è stata: «Grazie che non hai fatto niente dopo l’arrivo». La cattiveria delle volte viene fuori e bisogna saperla gestire.

A sentirti parlare, la tua sembra quasi una missione…

Sì, sarò sempre dalla sua parte, lo sapete bene. Io so quanto vale e quindi è logico che stia con lui, poi è normale che vedo gli errori e glieli farò sempre presenti. Non mi tiro indietro, non mi tirerò indietro nel fargli presenti quelli che fa anche nella vita di tutti i giorni. Però Alberto è ancora quell’Alberto che piace a noi, che magari si ricorda episodi vissuti insieme che io magari ho dimenticato. Voglio bene a tutti i miei corridori, però ricreare un altro legame simile non è facile. Questo è bello, è una bella storia e me la tengo stretta.

Bettiol ha finito il Fiandre davvero al lumicino: l’attacco con Teuns è costato caro
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Che cosa ti aspetti dalla Roubaix?

Innanzitutto, sono sincero, spero che abbia recuperato il Fiandre. Per il resto, è la prima Roubaix, ma lui sa spingere la bicicletta. Se non è una Roubaix bagnata, di quelle che fanno male, lui è nato per spingere. Quindi un po’ mi fa paura, perché non ha esperienza. Ne abbiamo parlato, della Foresta di Arenberg, del Carrefour de l’Arbre. Giovedì ha fatto una ricognizione di quattro ore e poi abbiamo parlato ancora, perciò c’è solo da sperare che abbia recuperato e lo vedremo subito. Io non vedrò la Roubaix, ma tanto mi telefonano e me lo dicono. Se sta coperto e guarda in basso, vuol dire che ha ancora addosso il Fiandre. Ma se vediamo un Alberto che fa dentro e fuori con la testolina nelle prime 20 posizioni, potete stare tranquilli che qualcosa di bello lo farà di certo.