Come il gatto col topo, Roglic dà la zampata e riprende la maglia

20.08.2024
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In cima al Pico Villuercas fa davvero tanto caldo. E forse proprio la fornace spagnola ha trasformato il primo arrivo in salita della Vuelta in un calvario. Gli improvvisi passi a vuoto di grossi nomi come Yates, Kuss, Rodriguez e Carapaz fanno pensare che non sia stata soltanto la salita, che pure è stata di tutto rispetto. Quattordici chilometri e mezzo, con una strappata dal decimo al tredicesimo con pendenze fra 11,8 e 14,6 per cento. Un drittone cementato per trattori, la scorciatoia per evitare i chilometri di troppo della strada principale. E su in cima, anche se il tratto finale spianava scendendo a un più mite 7,6 per cento, il vecchio Roglic ha spiegato le regole del ciclismo al giovane Van Eetvelt. Come il gatto col topo. Il belga aveva praticamente vinto ed era così contento da aver alzato il braccio, nel momento stesso in cui lo sloveno ha dato il colpo di reni, superandolo.

«Quando sei fra i giovani – dice Van Eetvelt – impari che devi continuare a sprintare fin oltre il traguardo. Non ero del tutto sicuro di aver vinto, non ho sentito Roglic arrivare e pensavo di avercela fatta. Non è stato così. Ho un duplice sentimento. Da una parte sono molto soddisfatto della forma che mi permette di giocarmi la vittoria di tappa. Gli ultimi mesi non sono stati facili perché ho combattuto con un infortunio al ginocchio e quindi sono contento. Allo stesso tempo mi sento anche stupido, ma ci saranno ancora opportunità».

Nonostante le grandi pendenze che non ama, Tiberi ha chiuso al quarto posto dietro i migliori
Nonostante le grandi pendenze che non ama, Tiberi ha chiuso al quarto posto dietro i migliori

Tiberi in bianco

A margine dell’incresciosa ingenuità, Van Eetvelt si è detto dispiaciuto di non aver conquistato la maglia bianca, che sarebbe stata un privilegio. Quella infatti se l’è presa in virtù della crono e del piazzamento odierno il nostro Antonio Tiberi, già miglior giovane del Giro d’Italia.

«Sono davvero felice e orgoglioso della tappa di oggi – dice l’azzurro del Team Bahrain Victorious – e dal momento che non ci aspettavamo di fare così bene, per tutto il giorno abbiamo lavorato con la squadra per restare al riparo e al fresco, anche ricorrendo a ghiaccio e acqua. Abbiamo fatto un ottimo lavoro, anche se è stata una tappa super dura per il ritmo imposto dalla Red Bull e per il caldo. Era una salita super ripida, non di quelle che preferisco, ma sono andato più forte che ho potuto. E forse mi sono sorpreso un po’ anche io, dato che normalmente nella prima settimana di un Grande Giro ho sempre bisogno di più tempo per prendere il ritmo. Qui alla Vuelta è un po’ diverso. Mi sento bene davvero da subito, quindi spero di continuare così. Sono super felice di aver indossato la maglia bianca, mi dà un sacco di morale per continuare in questo modo».

Sua maestà della Vuelta

Sua maestà della Vuelta, per averne già vinte tre, s’è ripreso la maglia rossa. Roglic dice che non prevedeva di vincere la tappa e che forse non era neppure nei suoi piani, ma per tutto il giorno è parso eccezionalmente tranquillo e in controllo. Seppure Enric Mas abbia dato a lungo la sensazione di essere ottimamente a suo agio, lo sloveno ha colpito con la ferocia di un cecchino. E dopo il cambiamento di squadra, il ritiro dai Paesi Baschi dopo la caduta in cui tuttavia non subì danni e quello dal Tour con ben più conseguenze, finalmente ha trovato il modo per sorridere.

«Vincere di tappa non era l’obiettivo principale oggi – dice – ma quando vedi i compagni di squadra lavorare così duramente con il caldo, sono felice di essere riuscito a portarla a termine. Di certo non ho chiesto io di fare quel lavoro sulla testa. Se me lo avessero chiesto, avrei detto che non era necessario. E stata una salita dura, molto ripida. Dopo il mio ritiro dal Tour, sto ancora recuperando. Dopo tante ore in bici ho sentito la schiena dare problemi. Speriamo che nei prossimi giorni la situazione non peggiori. Ho continuato a viverla giorno dopo giorno. Perciò adesso cerco di godermi questa vittoria di tappa, perché alla mia età non si sa mai quando sarà l’ultima».

Terzo al traguardo, Almeida ha rintuzzato tutti gli attacchi tranne l’ultimo
Terzo al traguardo, Almeida ha rintuzzato tutti gli attacchi tranne l’ultimo

Almeida sornione

Il vincitore uscente Sepp Kuss si è detto soddisfatto per il passivo di soli 28 secondi alle spalle del suo ex capitano, che aspettava vincente quassù. Dice di non aver avuto le migliori sensazioni, perché il caldo è stato duro e all’inizio dell’ultima salita il gruppo era ancora numeroso e c’era parecchio nervosismo. Chi invece s’è salvato molto bene (al contrario del compagno Adam Yates) è il solito Almeida, che si stacca sugli scatti e poi rientra da par suo.

«E’ stata una giornata molto, molto calda – dice il portoghese – sin dalla partenza. Penso che probabilmente abbia battuto qualche record di temperatura. Il team ha fatto un ottimo lavoro con le borracce e il ghiaccio per tenerci freschi e mantenere alta l’idratazione. E quando siamo arrivati all’ultima salita, eravamo in posizione perfetta, ma ci siamo accorti che era davvero dura. Io mi sono ritrovato con gambe abbastanza buone e in qualche modo sono arrivato terzo al traguardo. E’ stata una giornata positiva per me, per cui continuiamo a far girare la palla e speriamo di riuscire a fare meglio. Spero che Adam (Yates, arrivato a 1’29”, ndr) stia meglio già da domani, in modo che abbia presto risultati e sensazioni migliori».

Kuss immaginava la vittoria di Roglic, ma forse non di perdere 28 secondi
Kuss immaginava la vittoria di Roglic, ma forse non di perdere 28 secondi

Van Aert ha lasciato la maglia rossa all’ex compagno Roglic, raggiungendo il traguardo con 16’44” di ritardo, felice tutto sommato che la gloria sia andata all’amico che ha il suo bel conto aperto con la sfortuna. Domani si arriverà veloci a Sevilla, ma l’indomani si tornerà a salire. La Vuelta è cominciata. E anche se patron Guillen dice che il caldo non sarà determinante, quello che si è visto oggi a 1.526 metri di quota qualche preoccupazione addosso in effetti l’ha messa.

Team Di Federico, il baluardo più a sud del ciclismo femminile

20.08.2024
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Nel secolo scorso il premio Nobel Thomas Eliot diceva che ciò che conta è il viaggio e non la meta. Una filosofia sposata più o meno consciamente dal Team Di Federico, che si distingue per l’attività esclusivamente femminile con una filiera profonda non tanto nei numeri, quanto più nel modo di vivere il suo percorso agonistico.

Ogni gara che la società abruzzese (con sede a Pescara) disputa è un avvenimento spaziotemporale. Ciclismo abbinato alla crescita personale delle proprie atlete attraverso un viaggio che non può essere uguale a quello delle colleghe, né come durata né come esperienza. Perché quante volte abbiamo detto che fare ciclismo in una determinata zona d’Italia sia particolarmente complicato? E quante volte abbiamo sostenuto che avere dei riferimenti nel movimento giovanile, specie nel femminile, sia importante? Tante volte o forse non abbastanza per entrambe le domande, però una buona parte di risposte sta provando a darle da un po’ di anni proprio la squadra gestita da Edoardo Di Federico, dal quale ci siamo fatti raccontare meglio la loro realtà.

Ai vertici con Ciabocco

Il Team Di Federico attualmente sta vivendo un comprensibile ricambio generazionale, soprattutto se contestualizzato a quelle latitudini italiane. Tuttavia ha conosciuto l’apice per tante stagioni grazie ad Eleonora Ciabocco, indiscutibilmente il miglior gioiello forgiato da loro. Tantissime vittorie della ragazza marchigiana (ben 43 nelle tre categorie giovanili), tra cui molti titoli italiani, fino al passaggio direttamente nel WorldTour alla DSM.

«Siamo ancora in contatto con Eleonora – spiega Edoardo Di Federico con soddisfazione – e ci sentiamo ogni settimana. Ci sta rendendo orgogliosi con il suo processo di crescita. Lei ha fatto la storia della nostra società. Nel 2022 ha vinto il secondo tricolore juniores consecutivo che non accadeva dai tempi di Noemi Cantele a fine anni ’90. Eleonora oltre ai risultati si è contraddistinta per le grandi qualità umane. E’ una ragazza con un’intelligenza molto sopra la media ed io sono certo che nel 2026 sarà una delle migliori in circolazione, anche se spero che già dall’anno prossimo andrà molto forte».

Restiamo sul discorso storico. Come nasce la vostra società?

Quest’anno siamo al decimo anno di attività. Gestiamo la squadra la mia compagna Silvia Trovellesi ed io, entrambi con un passato agonistico (lei tra le elite, Edoardo tra gli U23, ndr). Quest’anno per la prima volta abbiamo esordienti, allieve e juniores, mentre in precedenza facevamo due categorie a seconda delle atlete che avevamo. Tutto è iniziato però con mio padre Lucio (una vittoria al Giro Dilettanti nel ’77 e poi pro’ con Gis e Jollyceramica, ndr) che prese quattro ragazze che correvano nelle gare maschili. Col passare del tempo ci siamo voluti specializzare facendole correre solo nelle gare femminili dove avevano la possibilità di crescere meglio.

Questo ha significato spostarsi per tutta Italia per correre, giusto?

Esattamente. Per noi è diventato un bell’impegno. Quello che le altre società del Nord Italia spendono in materiali tecnici, noi lo spendiamo in trasferte. Per seguire il calendario siamo sempre costretti a partire con un giorno di anticipo, anche nel periodo scolastico che spesso è traumatico. Le nostre ragazze finiscono di studiare sul pullmino con la torcia sui libri. Facciamo sempre spostamenti da almeno 36 ore e suddividendoci tra le categorie. E’ un lavoro di organizzazione e logistica non semplice. A cavallo del Ferragosto ne abbiamo avuto un ulteriore esempio.

Racconta pure.

Siamo partiti il 13 con le juniores per correre il giorno dopo a Vittorio Veneto il Trofeo dell’Assunta. Poi alla sera nel viaggio di rientro mi sono trovato a Bologna con mio padre che mi ha portato esordienti e allieve per andare nella zona di Domodossola dove correvano il 15, mentre lui riportava a casa le juniores. Infine siamo rientrati la sera tardi per Ferragosto. Per noi è sempre così. Onestamente ci rimango un po’ male quando vicinissimo a casa nostra ci sono corse e le squadre del nord non scendono perché sono lontane, preferendo fare un weekend fermi. Peccato, perché poi si rischia di perdere quelle poche gare femminili per mancanza di partecipanti. E il movimento ne potrebbe risentire.

Come si porta avanti un sacrificio del genere?

Noi lo facciamo per passione e ancor prima per il bene delle ragazze. Abbiamo pochi sponsor che ci aiutano e che ringraziamo sempre. Per il resto ci mettiamo tanto del nostro. I conti della società non ridono mai (dice proprio sorridendo, ndr), ma ci togliamo sempre tante soddisfazioni con le nostre atlete. La nostra è una società famigliare che tuttavia è diventata un appiglio importante per le ragazze che vogliono fare ciclismo nella nostra zona e dalle regioni limitrofe. Pensate che siamo la società femminile più a sud dell’Italia. Siamo l’ultimo baluardo e per il momento non vogliamo mollare.

Vi è però mai venuta voglia di smettere?

Non nascondo che dopo gli anni di Ciabocco volevamo fermarci per poter respirare. Erano state stagioni belle soddisfacenti, ma intense nonostante il prezioso supporto della Ciclismo Insieme (società vicentina, ndr) nelle ultime stagioni. Tuttavia non ce la siamo sentita. Avevamo ragazze che stavano crescendo bene e chiudere significava lasciarle a spasso, perché sappiamo bene che nel ciclismo femminile non tutte trovano squadra o hanno voglia di spostarsi lontano da casa. Dalle nostre parti sentiamo forse un po’ di più una responsabilità sociale per chi fa ciclismo. Infatti siamo fieri dell’identità che ci riconoscono.

Come avviene il vostro reclutamento?

Attualmente non abbiamo tante atlete in Abruzzo, però ormai da qualche anno abbiamo ragazze che vengono dall’Emilia-Romagna, Toscana, oltre che Marche, Molise, Puglia o Umbria. Ci chiamano in tanti e ovviamente ci fa molto piacere, però ci teniamo subito a spiegare come funziona, proprio per la questione delle lunghe trasferte. Adesso abbiamo nove ragazze totali, tre per categoria. Per noi sono un numero giusto perché non possiamo permetterci di più, ma lavoriamo sempre sodo con loro.

De Laurentiis è una passista-scalatrice che va forte anche a crono. Farà un ritiro con la nazionale, sperando di andare all’europeo (foto Ossola)
De Laurentiis è una passista-scalatrice che va forte anche a crono. Farà un ritiro con la nazionale, sperando di andare all’europeo (foto Ossola)
Nelle juniores intanto il Team Di Federico orbita nelle prime posizioni con un nome interessante.

Siamo felici della nostra stagione. La quasi totalità dei punti li ha ottenuti Elena De Laurentiis, una ragazza di Altino (in provincia di Chieti, ndr) al primo anno nella categoria, che era da noi da allieva nel 2023. E’ una passista-scalatrice ed ha già conquistato due vittorie, oltre a tanti piazzamenti nelle cinque. Si difende a crono, dove è arrivata terza al campionato italiano. Stiamo lavorando sulle volate ristrette perché non ha un grande spunto veloce. Elena ha grandi margini di miglioramento. Fra qualche settimana dovrebbe andare in ritiro con la nazionale di Sangalli, che la potrebbe portare all’europeo. Noi lo speriamo, sarebbe un altro grande traguardo raggiunto.

Parisini, primi segnali di crescita alla corte di Nizzolo

20.08.2024
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Alla recente Vuelta a Burgos, prova introduttiva alla Vuelta Espana si è rivisto ad alti livelli Nicolò Parisini. Il portacolori della Q36.5 ha colto la piazza d’onore nell’ultima tappa per poi spostarsi in Danimarca e conquistare un’altra Top 10, a dimostrazione di una condizione fisica finalmente acquisita. Il che si traduce in uno spirito alto, nella voglia di spaccare il mondo, cosa che gli era un po’ mancata da inizio stagione.

In fin dei conti parliamo di un corridore ancora giovane, appena 24 anni, che il suo posto nel ciclismo che conta se lo è guadagnato e che nel team ha un ruolo importante, a metà fra l’ultimo uomo per Giacomo Nizzolo e il finalizzatore, almeno in certi tipi di arrivi.

Per il vogherese quest’anno 53 giorni di gara con 4 Top 10, tutte ottenute in agosto

«In Spagna ho iniziato a sentire le gambe proprio come volevo – afferma mentre è ancora in giro per l’Europa – già nella seconda tappa avrei potuto dire la mia, ma non ero ancora nella condizione giusta, eppure ho colto la decima piazza il che significava che cominciavo a funzionare. Nell’ultima tappa eravamo d’accordo che avrei tirato per Giacomo, ma sull’ultimo strappo si è staccato così ho preparato lo sprint e Bittner mi ha battuto di poco».

Come ti trovi a lavorare con Nizzolo?

Benissimo, siamo anche in camera insieme nelle trasferte che condividiamo proprio per trovare un sempre più stretto feeling. Parliamo molto, mi dà consigli, gli stimoli giusti. Il suo insegnamento principale è che in questo mondo non c’è nulla di facile, devi guadagnarti ogni cosa con il sudore della fronte facendo piccoli passi. Sto imparando molto da lui.

Tappa finale alla Vuelta a Burgos con Bittner che beffa Parisini, decisamente amareggiato
Tappa finale alla Vuelta a Burgos con Bittner che beffa Parisini, decisamente amareggiato
Giacomo ha avuto per te parole molto lusinghiere, quasi da suo erede…

Lo apprezzo molto, spero sia proprio per quel feeling che si è instaurato anche fuori dalle corse. Mi accorgo che in gara gli chiedo tanto, nella gestione delle corse e lui è sempre disponibile. D’altronde si vede che ha un occhio diverso, coglie momenti che a me sfuggono ancora. La squadra ha puntato molto su di noi, non è un caso se i nostri calendari per la maggior parte coincidono.

Tu nella maggior parte dei casi hai detto di essere il suo pesce pilota. Come ti trovi in questo ruolo?

E’ una vera e propria scuola, è un compito importante per svolgere il quale serve innanzitutto una grande fiducia reciproca. Non s’inventa, serve tempo anche per sincronizzare i movimenti. Io d’altro canto sono uno sprinter diverso da lui, sono veloce ma non abbastanza per le volate a gruppo compatto, mentre Nizzolo è un velocista puro che ha sempre uno straordinario colpo di pedale. Io ho già svolto questo compito al servizio di Moschetti, ora con Nizzolo continuo a crescere. Poi, quando capita l’occasione non mi tiro certo indietro…

Parisini insieme a Nizzolo. Un connubio in tante corse e volate costruite insieme
Parisini insieme a Nizzolo. Un connubio in tante corse e volate costruite insieme
Sei soddisfatto finora di come sta andando la stagione?

Non tantissimo. Sono stato piuttosto sfortunato perché lo scorso anno avevo colto la mia prima vittoria al Cro Race e contavo di ricominciare sulla stessa linea, ma alla quinta tappa della prima corsa, la Volta a la Comunitat Valenciana sono caduto e da allora ho sempre inseguito la condizione migliore. Pensavo di averla trovata alla Tirreno-Adriatico e infatti ero carico a mille per le classiche, ma alla Gand-Wevelgem altra caduta con rottura della clavicola e due mesi di stop. Non ho fatto altro che inseguire la forma migliore, spero di essere ormai sul punto di trovarla.

Come ti trovi nel team?

C’è un solo termine per definirlo: perfetto. E’ una professional al livello più alto, segue un calendario molto qualificato pur dovendo fare i conti con un budget che non può essere all’altezza di quello del WorldTour. L’unica cosa che manca è la partecipazione a un grande giro, ma credo proprio che il prossimo anno anche questa lacuna verrà colmata.

Il lombardo all’E3 Saxo Classic finita al 29° posto. Per Parisini il sogno è vincere in Belgio
Il lombardo all’E3 Saxo Classic finita al 29° posto. Per Parisini il sogno è vincere in Belgio
Ora che la forma sta arrivando, che cosa desideri?

Io mi aspetto di ripetere il 2023 e quindi di vincere almeno una gara. In Danimarca ho lavorato per Giacomo, che ha colto due buoni piazzamenti in un contesto di primo piano. Dopo ci saranno molte classiche di un giorno, alcune hanno percorsi che sono davvero alla mia portata, vorrei piazzare la mia zampata e se fosse all’estero, magari nel nord Europa sarebbe ancora più bello. Il mio sogno? Mettere la firma su una corsa belga, perché la patria del ciclismo vero è lì.

Sul traguardo con le ali aperte, Van Aert riallaccia il filo

20.08.2024
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«E’ questo il posto cui appartengo», ha detto Van Aert subito dopo aver vinto la terza tappa della Vuelta. «Corro per vincere. Sono arrivato qui con un’enorme motivazione. Ero ansioso di vincere una tappa e oggi è arrivato il giorno. Ho avuto dei dubbi nei mesi successivi alla caduta, ma durante il Tour de France ho sentito che prima o poi avrei potuto raggiungere il mio livello migliore. Questo risultato mi rende molto felice».

La tappa verso Castelo Blanco, la terza in Portogallo, misurava 191,2 chilometri
La tappa verso Castelo Blanco, la terza in Portogallo, misurava 191,2 chilometri

La volata e poi il volo

La tappa di ieri a Castelo Blanco non era una frazione banale, ma quando la maglia roja della Vuelta ha lanciato lo sprint, si è ricordato di essere semplicemente Wout Van Aert. Quello che in salita metteva in croce Pogacar, a crono se la giocava con Ganna e allo sprint teneva testa ai migliori velocisti. Ed è per questo che dopo l’arrivo il belga ha aperto le ali e mimato il gesto di volare, come il 5 luglio 2022 a Calais. Quel giorno anticipò il gruppo e vinse la quarta tappa del Tour. Van Aert è tornato e non è stato niente di facile, forse per questo dopo l’arrivo erano tutti contenti per lui.

«E’ bello quando le cose vanno così – ha detto dopo la vittoria – vale la pena avere pazienza. E’ passato molto tempo dall’ultima volta che avevo potuto agitare di nuovo le braccia e adesso mi sento bene».

Non vinceva dalla Kuurne-Bruxelles-Kuurne del 25 febbraio, la caduta di un mese dopo alla Dwars door Vlaanderen ha chiuso in modo drammatico la prima parte della sua stagione e la risalita è stata più ripida di qualsiasi colle alpino avesse affrontato in precedenza.

Una preparazione particolare

Vincere una tappa era il suo obiettivo personale per questa Vuelta, ma non deve essere stato facile arrivarci dopo la caduta, la rincorsa al Tour, il Tour, le Olimpiadi e la necessità di ripartire.

«E’ stato abbastanza impegnativo nelle ultime settimane – ha spiegato – non è stata una normale preparazione per un Grande Giro, specialmente con le Olimpiadi subito dopo. Mi sono preparato cercando di mantenere quello che avevo alla fine del Tour, mentre devo dire che mentalmente è stato abbastanza facile perché ho ancora fame per questa stagione. Sto bene. Mi sentivo bene anche alle Olimpiadi e negli ultimi dieci giorni a casa credo di aver lavorato bene, anche se senza correre, è sempre difficile capire la forma che hai. Diciamo che va bene per settembre e per fare una bella corsa. Non ho intenzione di risparmiare energie, voglio fare bene e aiutare i miei compagni. Penso che i mondiali quest’anno siano davvero difficili, spero di andarci e avere una piccola possibilità, ma di sicuro sarà una piccola possibilità. Quindi preferisco cogliere le opportunità che troverò qui in Spagna».

Un bel grazie ad Affini, che ha lavorato sodo tutto il giorno
Un bel grazie ad Affini, che ha lavorato sodo tutto il giorno

Sprint ai 200 metri

Perciò questa volta è stato Van Aert a lanciare lo sprint lungo, anticipando Groves e migliorandosi rispetto al Tour, quando rimaneva sistematicamente chiuso alle transenne. Proprio l’australiano della Alpecin-Deceuninck lo aveva battuto domenica e Van Aert deve essersela legata al dito o semplicemente ha messo a punto la strategia per rifarsi.

«Il mio piano era di fare il contrario di domenica – ha spiegato – cioè lanciare lo sprint lungo e poi usare la mia forza. Sono partito a più di 200 metri dal traguardo. La strada era leggermente in salita, lo sprint perfetto per me, e ho sorpreso Groves. Mi sono sentito bene domenica e stavo bene anche oggi. La squadra è stata forte e mi ha messo in una posizione perfetta. Questo mi ha dato la fiducia necessaria per concludere il lavoro».

Nelle interviste dopo la tappa, la gioia per il successo e la consapevolezza della salita odierna
Nelle interviste dopo la tappa, la gioia per il successo e la consapevolezza della salita odierna

Iniziano le salite

Oggi la pacchia finirà. La quarta tappa propone il primo arrivo in salita al Pico Valluercas, a quota 1.544, in una tappa con tre salite prima di quella d’arrivo. Per essere il Van Aert che sarebbe venuto al Giro per fare classifica, si potrebbe pensare che farà di tutto per tenere. Ma avendo davanti il Van Aert in ripresa dopo l’incidente, anche la sua ambizione fa fatica a puntare troppo in alto.

«Ormai il divertimento finisce – ha riso ieri dopo l’arrivo – sarò felice di cedere il ruolo di leader della squadra a Sepp Kuss e Cian Uijtdebroeks. Sarà il primo test tra i corridori di classifica e per me sarà molto difficile mantenere la maglia di leader. Mi mancava il sapore della vittoria e l’ho ritrovato, ma sono venuto alla Vuelta per aiutare i miei compagni e ora il momento è arrivato. E’ un anno diverso dal solito, non è detto che non possa essere ugualmente bello».

Gregario vero, ragazzo gentile: “Cece” Benedetti saluta

20.08.2024
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Quando parli con Cesare Benedetti non puoi non fare a meno di notare il suo sguardo dolce e la sua espressione gentile, quasi timida. Trentino di nascita, polacco d’adozione, l’altro ieri a Cracovia “Cece” ha chiuso la sua onorata carriera. 

Un gregario di quelli veri, un professionista esemplare. Silenzioso, ma generoso. Quindici stagioni da professionista. Una la squadra e una la vittoria. Eppure Cesare è sempre stato inserito in gare e formazioni di alto livello. E questo succede quando si è corridori, quando si ha sostanza.

Qualche giorno di riposo e presto Benedetti sarà un direttore sportivo… manco a dirlo della sua Red Bull-Bora.

Massima professionalità fino alla fine. Ultima tappa del Polonia, ultimi chilometri in carriera e Benedetti è in seconda ruota a tirare (foto Sprint Cycling)
Massima professionalità fino alla fine. Ultima tappa del Polonia, ultimi chilometri in carriera e Benedetti è in seconda ruota a tirare (foto Sprint Cycling)
Insomma, Cece: è andata…

È finita! Prima o poi doveva succedere e sono contento che sia finita così: con un piano esatto di quel che stavo facendo e soprattutto del futuro. Prima del Tour de Pologne ho avuto una lunga e bella telefonata con Gaspa (Enrico Gasparotto, ndr) che mi ha evidenziato due fortune: scegliere l’ultima corsa della carriera ed avere già un piano per il prosieguo. Posso davvero ritenermi fortunato da questo punto di vista, perché dopo tanti anni di una certa vita smettere e non avere un progetto non deve essere facile.

Raccontaci le emozioni dell’ultima corsa. Dal bus, al traguardo…

C’e stato un momento in cui cercavo d’immaginarmi come potesse essere questo finale. L’ultima tappa alla fine è stata abbastanza veloce e si è anche lavorato un po’. Poi quando ho visto il cartello dei 10 chilometri all’arrivo ho pensato che sarebbero stati gli ultimi. E ancora di più quando ho visto quello dei meno cinque. Ma è stato così un po’ per tutto il finale del Polonia: l’ultima cena con i compagni, l’ultimo massaggio, l’ultima riunione… L’unica cosa bella è che per fortuna non dovrò più mangiare gel e barrette, che ormai mi vengono fuori occhi! Scherzi a parte, è stata un’emozione forte. Ho avuto vicino la mia famiglia, mio fratello, i miei genitori, il tifo. Insomma, non mi sono commosso ma… sono stato felice.

I ringraziamenti in italiano (sul cartellone) e in polacco (sulla strada): il giusto omaggio per Cece
I ringraziamenti in italiano (sul cartellone) e in polacco (sulla strada): il giusto omaggio per Cece
In gruppo come è andata?

Un po’ tutta la settimana, e nell’ultima tappa in particolare, chi mi incontrava mi dava una pacca sulla spalla, mi faceva i complimenti. Questa cosa mi ha ricordato quando ho vinto la tappa al Giro. Il giorno dopo in tanti erano contenti della mia vittoria e vennero a complimentarsi.

Come nasce questa decisione?

Qualche pensiero me lo ero messo in testa già l’anno scorso. Mi ero dato il limite dei 38 anni. Magari avrei fatto un’altra stagione ma vista l’offerta del team ho scelto di dire basta un po’ prima. Anche perché bisogna rendersi conto, e l’ho fatto, che il livello del WorldTour ormai è altissimo e anche per le ambizioni della squadra e per il mio livello fisico, e a 37 anni il recupero si fa sempre più lento, era giusto così. Non ho nessun rimpianto. Certo, un po’ di tristezza c’è.

Immaginiamo sia normale…

Di fatto termina una storia di 25 anni, da quando ho iniziato a gareggiare. Per ora tutto mi sembra normale. A fine corsa abbiamo preso una birra con la squadra e tutto lo staff, come spesso facciamo dopo le gare. Magari tra qualche giorno inizierò a sentire qualcosa, a cogliere qualche differenza.

Dopo aver fatto lo stagista alla Liquigas, nel 2010 Benedetti approda alla neonata NetApp, gruppo che si è evoluto fino a diventare Red Bull-Bora
Dopo aver fatto lo stagista alla Liquigas, nel 2010 Benedetti approda alla neonata NetApp, gruppo che si è evoluto fino a diventare Red Bull-Bora
E il prossimo anno sarai un direttore sportivo…

Esatto. La Red Bull-Bora farà il team under 23 e io sarò il diesse. Da qui, è nata la proposta del team di finire ad agosto così da poter affiancare i vari direttori nelle ultime corse dell’anno per fare tirocinio. Ora resto un po’ in Polonia, poi verrò in Italia per il Toscana, il Pantani, il Matteotti… Insomma comincio in casa, per di più in Toscana. Quelle strade le conosco bene in quanto feci lo juniores nel GS Aquila, a Ponte a Ema, Firenze. La squadra di Gino Bartali.

Sei sempre stato in questo gruppo, da quando si chiamava NettApp sino al oggi. Tu e il manager Ralph Denk…

Io e lui siamo i reduci di quel gruppo del 2010 e infatti è stato proprio Ralph a farmi la proposta di smettere e fare il diesse. Me lo ha detto prima della Strade Bianche. Con l’entrata di Red Bull ci sono grossi cambiamenti nel team. Non solo economici ma anche tecnici. Penso ai test, agli studi sull’aerodinamica, alla squadra under 23…

Cosa lascia il ciclismo a Cesare Benedetti?

Tante avventure di vita e di sport. I grandi Giri e le corse in Europa: quello è stato il ciclismo, le esperienze sportive. Le trasferte in Cina, Argentina e nel resto del mondo, sono state esperienze di vita. In certe occasioni vedi anche la povertà e quando torni poi non ti lamenti più di tante piccole cose. Del Qinghai Lake (nel centro della Cina, ai confini col Tibet, ndr) potrei scrivere un libro. Un mondo talmente diverso… Ricordo che avevamo una massaggiatrice tedesca abbastanza robusta e un meccanico con la barba lunga alto due metri. La gente del posto veniva a vedere i biondi di altri mondi e non tanto la corsa. Vedevi in loro questa curiosità, questo stupore dello straniero. Oppure mi vengono in mente i bambini correre attorno al nostro bus in Argentina, erano i più felici del mondo. Senza contare che in bici vedi dei posti che un normale turista non vedrebbe mai.

La volta scorsa ci hai detto che il capitano che più ti ha colpito è stato Sagan…

Sicuramente Peter Sagan per il talento che aveva, un talento naturale. Certo, dietro c’era anche del lavoro, ma quando stava bene certi suoi numeri pazzeschi sembravano facili. Mi viene in mente il 2017: quell’anno tra la caduta al Fiandre e l’esclusione al Tour non raccolse molto, ma era fortissimo fisicamente. E poi ho i tanti ricordi dell’inizio di carriera quando arrivato in gruppo mi ritrovavo vicino ai corridori che vedevo in tv da bambino. Sono riuscito anche a fare cinque giorni di corsa con Lance Armstrong! Mi vengono in mente Petacchi, McEwen… Gilbert e Valverde sono stati gli ultimi due che mi facevano ancora emozionare in gruppo. I campioni di oggi sono fortissimi, ma non avendoli vissuti da bambino, dal basso verso alto, non mi danno quelle emozioni.

Il tuo momento? La tappa al Giro immaginiamo…

In realtà a livello emozionale l’anno scorso essere riuscito a passare in testa, in fuga, al mio paese, Ronzo-Chienis è stato qualcosa d’incredibile. Avevo la pelle d’oca. Avrei potuto chiuderla lì! Eravamo alla terza settimana, del Giro. Nella seconda ero stato male, ma avevo tenuto duro per arrivare lì. Per di più avevo anche lottato per entrare in fuga e Ronzo-Chienis è in salita. Insomma ero così emozionato anche perché avevo voluto, e centrato, l’obiettivo. Ma un’emozione forte è stata anche la vittoria del Giro d’Italia di Jai Hindley: per un gregario un successo così è la ciliegina sulla torta.

Sei incredibile, Cece! Cos’è un gregario? E soprattutto ci sono ancora quelli come te?

Qualcuno c’è ancora. Mi viene in mente Patrick Gamper. Lui per esempio mi ha dato una delle soddisfazioni più grosse. Dopo che Jai vinse il Giro e gli feci i complimenti per il suo lavoro, lui mi disse: “Cece ho imparato tanto da te”. Cos’è un gregario: chiaramente da giovane anche io puntavo al risultato. Ma già all’epoca quando tra gli under 23 ero compagno di Daniel Oss e correvo in suo supporto, mi sentivo più forte, rispetto a quando dovevo correre per me. Forse era anche un fattore psicologico, avevo meno pressione. Ma poi ho sempre ammirato questo ruolo. Mi ricordo i treni di Cipollini: quei vagoni, quegli atleti sono sempre stati una fonte d’ispirazione per me.

Tour de Pologne finito: per Cece scatta la festa e l’abbraccio dei compagni
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Una vita nel ciclismo, 15 stagioni da pro’: quanto è cambiato questo sport?

Tanto. Oggi ci sono mezzi a disposizione per allenarsi, dal misuratore di potenza agli aspetti dell’alimentazione, che mettono a disposizione tantissime informazioni. Informazioni aperte a tutti. Questo fa sì che si brucino i tempi, che poi è quel che succede nel mondo reale, nella società. Oggi gli allievi hanno il procuratore, il preparatore. Una volta il direttore sportivo faceva tutto. Se guardo indietro un errore che non rifarei, per esempio, è stare i primi anni da pro’ senza preparatore.

Cioè?

Dal 2010 al 2012, nella mia testa dicevo: “Ora sono un professionista, quindi so allenarmi da solo”. Magari neanche sbagliavo tutto, ma andavo avanti con il cardio e non con il potenziometro… che avevo. Oggi è impossibile. Il ciclismo è uno sport più specifico, aperto a più nazioni e il livello si alza. C’è una selezione pazzesca. Per ora ho avuto solo qualche contatto col mondo manageriale, ma ho già visto che c’è un’analisi dei dati impressionante. Ai miei tempi si guardavano i risultati e la costanza del ragazzo. Oggi si fanno test su test, analisi, numeri… Probabilmente io oggi neanche sarei passato pro’ se mi avessero fatto un test. Non ho i numeri… rispetto a quel che riesco a mettere in corsa. Alla fine ho fatto qualche podio da pro’. Ma ad un certo punto devi essere realista e capire cosa fare. Vuoi fare “esimo” o trovare la tua dimensione e fare il corridore per più anni?

Simone Velasco ha salutato Cesare “Cece” Benedetti sui social dicendogli che è stato un esempio di professionalità per molti giovani. Possiamo solo aggiungere che i ragazzi del nascituro devo team Red Bull-Bora con ogni probabilità avranno un grande maestro. 

Colbrelli, il sogno di Parigi e l’azzurro che purtroppo non brilla

19.08.2024
6 min
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Amadio l’ha appena accennato, Bennati l’ha detto chiaramente, ma forse non tutti l’hanno sentito o voluto capire. Dietro il malcontento per le prestazioni di Bettiol e Mozzato a Parigi c’è una semplice constatazione: abbiamo corso in tre perché il nostro ranking non è all’altezza delle Nazioni più forti. I punti si fanno nei Grandi Giri e anche nelle classiche monumento e noi, persi Nibali e Aru, non abbiamo più trovato sostituti all’altezza. Ci sarebbe stato anche Colbrelli, che però si è fermato per i noti problemi di salute. Sin da Tokyo, Sonny aveva fatto un bel cerchio rosso sul giorno di Parigi. Per cui oggi è con lui che facciamo il punto della situazione azzurra (in apertura è proprio con Bennati, in una foto Limago | Creative Agency).

«Io non ho mai fatto le Olimpiadi – dice il bresciano da casa – ma posso dirvi che con Cassani avevamo parlato proprio di Parigi. Non mi aveva portato a Tokyo nel 2021, nonostante andassi fortissimo in salita. Però ricordo che ne parlammo, vi dico la verità. Fui io a dirgli che avrei preferito non andare, perché il percorso mi sembrava troppo duro. Lasciate stare che Van Aert fece terzo, ma lui quell’anno volava. Io magari sarei stato con Bettiol, che poi ebbe i crampi. Magari venivano anche a me o saremmo arrivati in quel gruppetto e sarei arrivato fra l’ottavo e il decimo posto. Per questo dissi a Cassani che sarei rimasto a casa e sposammo l’idea di andare a Parigi. Che ne sapevo di quello che mi sarebbe successo? Andai anche a fare le visite al Coni perché ero nelle liste olimpiche. Ci tenevo molto, le Olimpiadi mancano alla mia carriera, perché per uno sportivo sono indimenticabili. Ma nel 2021 ci concentrammo sul mondiale…».

Il 2021 è l’anno in cui Colbrelli batte Van der Poel alla Roubaix ed Evenepoel agli europei
Il 2021 è l’anno in cui Colbrelli batte Van der Poel alla Roubaix ed Evenepoel agli europei
A Parigi siamo andati in tre, perché il nostro ranking non era all’altezza.

Purtroppo è così. Le Olimpiadi sono già difficili a pieno organico, che sono 4 corridori. Ma se corri in 3 e uno è Viviani che si è trovato lì per la pista, su un percorso che non era per lui, allora si fa dura. Che poi Elia ha fatto la sua parte. Ma se siamo andati in tre non è solo per quest’anno, ma anche per i precedenti. Mancano un po’ più di continuità e magari corridori da corse a tappe, perché i punti pesanti si prendono nei Giri. Senza più Nibali e Aru, dobbiamo aspettare Pellizzari e Piganzoli e ovviamente il nostro Tiberi, che al momento credo sia la punta italiana. Invece nelle classiche siamo anche in tanti, però quando inizia la vera corsa, non ci siamo. Ganna ha fatto secondo alla Sanremo ed è stato un grandissimo numero. Penso che corridori per le corse del Nord li abbiamo, perché quest’anno Bettiol è stato preso nel finale del Fiandre e poteva andare sul podio. E invece quel giorno è venuto fuori Mozzato, che ha fatto secondo.

La sensazione è che manchino l’incisività, la forza e il coraggio di provare qualcosa fuori dagli schemi.

Che sia una corsa prestigiosa, che sia anche una corsa più piccola, vincere è sempre difficile e in questo nuovo ciclismo ancora di più. Si va a mille, è tutto esasperato. Non devi tralasciare niente. Posso capire la vita che fanno i corridori e la pressione che hanno, perché l’ultimo anno l’ho fatto come Dio comanda e ho avuto i miei risultati. Però non è facile, perché se non sei alle gare, sei in qualche ritiro in altura. Se vuoi fare la differenza servono rinunce, sacrifici e un impegno fuori dal comune. O sei Van Der Poel, Van Aert, Pogacar e Remco, che però li conti su due mani, oppure non è per niente facile. Per un ragazzo che approda in questa nuova avventura è molto difficile, che sia nel WorldTour o una professional. Poi ci sono team e team. E alcuni non sono attrezzati o sul pezzo, come ero io col Bahrain.

Dopo la fuga di Bettiol, il Fiandre 2024 ha segnalato il secondo posto di Mozzato
Dopo la fuga di Bettiol, il Fiandre 2024 ha segnalato il secondo posto di Mozzato
La squadra giusta rende le cose più facili?

Se sei arrivato fino lì e sei professionista, devi essere anche professionista nella vita. E’ un attimo restare senza squadra, è un attimo non fare il risultato o essere messo da parte da un team perché non ti sei allineato a questa disciplina. Diventare professionista vuol dire anche esserlo sul lavoro, sull’alimentazione e la preparazione. Su tutto quanto. Sapete quante volte mi svegliavo la mattina e avevo la classica nausea? Magari pensavo che avrei preferito fare tre ore anziché sei, ma non è così che funziona.

L’Italia porta sempre avanti il tema della gradualità, all’estero si bruciano le tappe: chi ha ragione?

Quando andiamo nelle corse minori, facciamo fatica. Ci sono squadre under 23 che non sposano il progetto continental e si lamentano, quella mentalità di lavorare per il risultato va cambiata. Sto vedendo dei giovani che sono già professionisti e hanno la mentalità da grandi. L’asticella si è alzata molto. In Italia vedo ragazzini di 12-13 anni con la bici da professionisti. Quello che vorrei far capire è che il professionismo si fa da professionista, non da giovane. Fino a una certa età deve essere un gioco, altrimenti a un certo punto è normale che arrivi al bivio e mandi tutto a quel paese.

Protagonista lo scorso anno da junior, Widar ha vinto il Val d’Aosta e il Giro d’Italia U23 (foto Roberto Fruzzetti)
Protagonista lo scorso anno da junior, Widar ha vinto il Val d’Aosta e il Giro d’Italia U23 (foto Roberto Fruzzetti)
Ormai la soglia del professionismo si è abbassata agli juniores.

Mi sto guardando attorno per fare una squadra di giovani e sto vedendo i costi di una squadra di juniores. Alcuni ragazzi prendono anche i soldi, juniores che guadagnano 1.000-1.500 euro al mese. Vuol dire che con 100.000 euro gli juniores quasi non li fai più e questa è una mentalità da cambiare. Come bisogna cambiare il fatto di non andare all’estero.

Tu hai rinunciato a Tokyo, Bennati dice che se un corridore convocato non si sente all’altezza, dovrebbe chiamarsi fuori…

Bisogna sempre guardare il punto di vista del corridore che, se sta bene, vuole onorare la maglia azzurra. Certo, la giornata storta ci può stare, non esiste la bacchetta magica. Ma se nelle settimane prima vedi che non vai come deve andare, a quel punto bisogna essere onesti e dire di no. Chiamarsi fuori perché la figuraccia in corsa sarebbe la tua personale, ma anche per l’Italia. Scegliere gli uomini per le Olimpiadi è difficile perché devi programmarla mesi prima, però il corridore deve essere onesto. E anche in corsa devi dire se stai bene o se stai male…

Tolto Viviani, che ha preso l’argento nella madison, la sensazione è che gli azzurri di Parigi non fossero al meglio
Tolto Viviani, che ha preso l’argento nella madison, la sensazione è che gli azzurri di Parigi non fossero al meglio
Ha fatto bene Pogacar a non andare a Parigi?

Forse dopo una stagione così intensa, capisco che abbia avuto voglia di staccare la spina e pensare alle ultime gare di stagione. Ha vinto prima del Giro. Poi avrà fatto qualche giorno di scarico e si è allenato in altura diretto verso il Tour. Sapete, non è semplice anche se sei Pogacar. La testa conta molto, è quello che conta di più.

Finiti i brindisi, Villa già pensa al futuro

19.08.2024
5 min
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Il positivo andamento delle Olimpiadi di Parigi 2024 si deve anche ai tecnici che lo hanno reso possibile. In questi giorni tutti osannano – giustamente – il guru Velasco che ha ripreso le macerie della nazionale femminile di volley portandola in un anno all’oro a cinque cerchi, ma c’è anche chi all’oro olimpico ha quasi fatto il callo. Marco Villa continua a portare gente sempre diversa al massimo risultato, questa volta il colpaccio è riuscito con Chiara Consonni e Vittoria Guazzini nella madison, la specialità che sembrava la più difficile da gestire e che invece il mago della pista ha trasformato in una miniera di medaglie.

Villa però non è tipo da dormire sugli allori. Appena tornato a casa dalla lunga trasferta parigina, si è subito messo al lavoro pensando ai mondiali juniores e di fatto cominciando già a pensare a Los Angeles 2028. D’altro canto il tragitto che porterà ai Giochi è un po’ diverso da quello appena effettuato.

Guazzini e Consonni. Il loro è il terzo oro di Villa in tre edizioni dei Giochi
Guazzini e Consonni. Il loro è il terzo oro di Villa in tre edizioni dei Giochi

«Avere un anno in più rispetto al post Tokyo è importante per programmare bene. Dal 2021 eravamo usciti con un gruppo formato, con la voglia di proseguire l’avventura e tirare avanti. I fatti ci hanno dato ragione, quel bronzo del quartetto ha un valore enorme, proprio sapendo che a Ganna e Milan avrebbe fatto comodo avere più tempo per la strada. Filippo poi aveva anche l’obiettivo della cronometro, che si sposava meglio con le nostre esigenze».

Ora però cambieranno molte cose…

So che i ragazzi vogliono ragionarci con calma e fanno bene. Avremo tempo per parlarne, io comunque devo guardare avanti e pensare anche a nuovi nomi. Le ragazze hanno un gruppo giovane, che può tranquillamente puntare a Los Angeles e che anzi avrà 4 anni di esperienza in più. Noi abbiamo tanti giovani che nelle categorie inferiori hanno vinto ripetutamente, ora dobbiamo essere bravi a coinvolgerli sempre di più e farli crescere. Lo abbiamo già fatto nei mesi precedenti, proseguiremo su questa strada.

Fiorin, Favero, Giaimi, Sierra. Su questi e altri giovani Villa conta per rimpinguare il gruppo in vista di LA 2028
Fiorin, Favero, Giaimi, Sierra. Su questi e altri giovani Villa conta per rimpinguare il gruppo in vista di LA 2028
Da più parti si è detto che serve un’attività più specifica, con meno commistioni fra strada e pista…

Ho sentito anch’io e non mi trovo d’accordo, come anche su giudizi troppo diretti verso chi dovrebbe lasciare il gruppo per via dell’età. Guardate che cosa ha fatto un eterno ragazzo come Viviani. Io sapevo che era in grado di farlo, anzi l’esito infausto dell’omnium mi aveva lasciato interdetto, c’era qualcosa che non mi tornava. Nella madison si è visto il vero Elia che resta un maestro della pista, che non si abbatte mai. Quello suo e di Simone è un argento tendente all’oro. Ma su questo tema c’è altro da dire…

Prego…

Guardate l’Australia. Ha vinto riesumando Welsford che ha 28 anni e che proprio grazie all’esperienza su strada è tornato nel quartetto con una marcia in più, diventandone il motore. La differenza non è certo stata fatta attraverso la scelta di pistard puri, ma attraverso il tempo dedicato. In pista ho parlato con i selezionatori delle altre nazioni che mi chiedevano come abbiamo fatto a ottenere quei risultati con così poco tempo a disposizione.

Welsford ha trascinato l’Australia all’oro concentrandosi da giugno solo sulla pista
Welsford ha trascinato l’Australia all’oro concentrandosi da giugno solo sulla pista
Gli altri hanno dedicato più sessioni?

Altroché. L’Australia ha svolto una preparazione specifica di 10 settimane ad Anadia, in Portogallo. Le americane che hanno sorpreso tutti sono state per due mesi e mezzo a lavorare sul quartetto: la Faulkner aveva corso l’ultima gara su strada al Giro di Svizzera a metà giugno, poi ha lavorato solo su pista e quel lavoro le è servito anche per vincere l’oro su strada. Noi abbiamo potuto lavorare insieme una decina di giorni. Questo per dire che la multidisciplina resta la via maestra, quel che conta è riuscire a mettere insieme i pezzi con più tempo a disposizione. Noi abbiamo lavorato con il poco tempo che avevamo.

Come accennavi, ora però si riparte e bisogna integrare nomi nuovi.

Infatti. Moro c’è già, altri ragazzi lo seguiranno ma d’altronde molti hanno già corso in Coppa del Mondo e proseguiranno quella via. I giovani dovranno affrontare i massimi impegni per imparare tantissimo, anzi in tal senso già i mondiali di ottobre saranno molto importanti, non tanto come rivincita quanto proprio come prima palestra per chi ambisce a entrare nel gruppo, nelle varie specialità. Senza rinunciare agli altri, che anzi potranno essere i compagni giusti per accompagnarli.

Villa con Viviani, il suo argento ha grandissimo valore, per il tecnico è un esempio da seguire
Villa con Viviani, il suo argento ha grandissimo valore, per il tecnico è un esempio da seguire
Dopo Parigi però hai fatto presente quanto servirebbe all’Italia una squadra che raccogliesse i migliori specialisti della pista…

Era un po’ una provocazione. Pensate a come sarebbe più semplice il lavoro con un team nel quale confluiscono i vari Ganna, Milan, Consonni, ecc. facendo una programmazione mirata per tutti. Un po’ quello che ha fatto il Team Sky prima di Londra 2012. Anche gli inglesi hanno lavorato un po’ come gli australiani, a Manchester, tanto che Hayter si è assentato solo per i campionati nazionali su strada che peraltro ha vinto, dimostrando anche lui come la pista sia utile per la strada e viceversa. Certamente analizzeremo quel che è successo a Parigi per provare ad apportare i giusti correttivi, ma mi pare che il bilancio finale dei Giochi sia molto positivo, quindi non ci sono rivoluzioni da fare.

EDITORIALE / Non tutte le UAE riescono (subito) col buco

19.08.2024
6 min
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C’era una volta la Valcar-Travel&Service, squadra continental italiana, voluta, creata e plasmata dalla competenza e la passione di Valentino Villa e Davide “Capo” Arzeni. Oggi le sue atlete migliori sono sparpagliate fra la Lidl-Trek, la Uae Team Adq, la FDJ-Suez e la Cofidis. Se ne parlava giusto qualche giorno fa con Roberto Amadio, individuando in essa l’esempio migliore di una squadra italiana, capace di valorizzare alcune fra le migliori atlete, lavorando in stretta collaborazione con la FCI.

Dino Salvoldi non faceva sconti, ma con Arzeni aveva trovato un punto di incontro. E uno dopo l’altro erano arrivati i due mondiali su strada di Elisa Balsamo, la Gand-Wevelgem, la Ronde Van Drenthe, il Trofeo Binda e la Valenciana. Oltre ai risultati in pista di quel gruppo di ragazzine terribili che ancora oggi rappresentano la struttura portante della nazionale di Marco Villa. Come ebbe modo di dirci Arzeni, la squadra bergamasca si era guadagnata il rispetto degli squadroni a suon di risultati.

Nel 2021, vinto il mondiale di Leuven, Elisa Balsamo conquista The Women’s Tour, prima di passare alla Lidl-Trek
Nel 2021, vinto il mondiale di Leuven, Elisa Balsamo conquista The Women’s Tour, prima di passare alla Lidl-Trek

La bomba del WorldTour

Il WorldTour ha travolto il mondo di queste squadre come una bomba d’acqua. E quando alla fine il quadro si è ricomposto, si è scoperto che per le continental andare avanti sarebbe diventato ogni anno più difficile. I più scaltri si sono fatti assorbire da realtà più ricche. Sono andati incontro alla loro necessità di strutturarsi con un team femminile e ne sono diventati parte integrante.

La Valcar ha sperato fino all’ultimo di trovare un grosso sponsor che le consentisse il salto nella categoria superiore. Tuttavia alla fine patron Villa ha dovuto arrendersi. Campionesse come Cavalli, poi Balsamo, Guazzini , Alzini e Sanguineti hanno firmato in squadre WorldTour, mentre altre hanno continuato con Arzeni fino al 2022.

Quinta al Tour Femmes 2022, Silvia Persico arriva terza alla Planche des Belles Filles
Quinta al Tour Femmes 2022, Silvia Persico arriva terza alla Planche des Belles Filles

Sparisce la Alé-BTC

Nel frattempo il panorama italiano ha subito un altro colpo, con l’acquisizione della licenza WorldTour della Alé-BTC Ljubljana da parte del neonato UAE Team Adq. Dopo il secondo Tour di Pogacar, parve impellente per il gruppo degli Emirati avere una squadra femminile, che assecondasse le politiche di emancipazione. Così fu Gianetti a suggerire il nome di Rubens Bertogliati come team manager. Mentre a capo della struttura si trovò sin dall’inizio Melissa Moncada, manager colombiana che aveva preso parte anche all’acquisizione di Colnago.

Forte della guida di Lacquaniti e Devoti, il primo anno andò bene. Non si fece che proseguire l’attività e il metodo della squadra veneta, con quattro vittorie di Marta Bastianelli e quattro di “Mavi” Garcia. Volendo ancora crescere, l’anno dopo fu proprio Bertogliati a propiziare l’assorbimento del gruppo guidato ancora da Arzeni. Così alla UAE passarono atlete come Consonni, Persico, Gasparrini, Baril e Carbonari. Lacquaniti non fu confermato, mentre accanto ad Arzeni arrivò l’espertissimo Marcello Albasini.

Il claim delle manager è la voglia di eguagliare le imprese del team maschile, senza riflettere sul fatto che certi picchi non arrivano semplicemente mettendo insieme atleti, soldi e mezzi. Lo spiegamento di mezzi del team alle corse è piuttosto impressionante, ma non sempre i risultati sono all’altezza di tanta abbondanza. E quando alla fine del 2023 Bertogliati rassegnò le dimissioni si capì che qualcosa non andasse per come il ciclismo classico avrebbe suggerito. E suona ancora strano che la compagine maschile del team emiratino non sia coinvolta e non voglia esserlo nella gestione del femminile.

Arzeni, qui con Karlijn Swinkels, è stato al UAE Team Adq per una stagione e mezza
Arzeni, qui con Karlijn Swinkels, è stato al UAE Team Adq per una stagione e mezza

Se ne va anche Arzeni

Il 2024 è iniziato con l’inserimento di nuovi preparatori e la necessità che Arzeni non allenasse più le “sue” ragazze. Il criterio può essere condivisibile: ciascuno deve fare la sua parte, senza intrecci di competenze. Forse per avvalorare la decisione, al ritiro di dicembre i direttori sportivi sono stati lasciati a casa. Le ragazze hanno così trascorso quelle due settimane con i soli preparatori. Un tempo non si diceva che il ritiro invernale serva per creare il gruppo?

Al posto di Bertogliati è arrivata Cherie Pridham e di recente nel ruolo di Head of Business and Communication è stata ingaggiata Yana Seel. La manager era già nota nel ciclismo per aver allontanato Vinokourov dalla “sua” Astana. Tornato come era prevedibile il kazako alla guida del team, per lei si chiusero le porte. Destino simile alla Lotto-Dstny. Chiamata del team manager John Lelangue, dopo due anni e le dimissioni di quest’ultimo, anche Yana Seel ha cambiato direzione.

Sta di fatto che i risultati del 2024 sono stati finora ben al di sotto delle potenzialità del team. Le vittorie sono 10, fra cui 2 di Gasparrini, 3 di Consonni e una di Silvia Persico. Ragazze attese a importanti consacrazioni (fa eccezione l’oro olimpico di Consonni, che poco c’entra con la gestione UAE), hanno perso il filo. E quando anche Arzeni ha dato le dimissioni alla vigilia del Giro, si è capito che ci fosse in atto qualcosa di atipico. Probabilmente è ingiusto puntare il dito sulle atlete che non rendono come dovrebbero, se la gestione della squadra cambia di continuo direzione e linee guida.

La migliore del UAE Team Adq al Tour Femmes è stata Erica Magnaldi, 12ª a 9’16” da Niewiadoma
La migliore del UAE Team Adq al Tour Femmes è stata Erica Magnaldi, 12ª a 9’16” da Niewiadoma

C’era una volta la Valcar

C’era una volta la Valcar-Travel&Service, come ci sono state prima la Lampre e la Liquigas. Squadre in cui la matrice italiana ha avuto per anni a cuore lo sviluppo dei talenti. Quello che è venuto dopo, giusto o sbagliato, ha fatto passare in secondo piano le esigenze del movimento ciclistico italiano. I migliori atleti sono stati consegnati a manager di altre nazionalità che hanno a cuore altri obiettivi. Ecco perché serve un team WorldTour italiano che sappia tenere insieme i migliori uomini e le migliori donne. Con i rispettivi devo team e i bravissimi tecnici che da anni hanno trovato fortuna all’estero.

Se bastassero i soldi, la UAE Team Adq avrebbe già vinto il Giro e il Tour. Invece ne è uscita con le ossa rotte e – ormai ne siamo quasi certi – non per scarsa volontà o qualità delle atlete. Nel giro di sei mesi si sono dimessi due dei riferimenti che avrebbero potuto farne la fortuna. Non crediamo che questo sia soltanto l’indice della voglia di cambiare. Si cambia se qualcosa non funziona o se si ha in mano una soluzione che funzioni meglio. Altrimenti si distrugge e dispiace che ci vadano di mezzo atlete italiane che meriterebbero di più negli anni migliori della carriera. Speriamo che il nuovo management trovi presto la strada, che probabilmente passa per step molto più semplici di quanto si creda.

Avenir Femmes, il cittì Sangalli al via con una nazionale d’attacco

19.08.2024
6 min
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«Sarà un Avenir importante per… l’avvenire delle atlete». E’ con un sottile gioco di parole che il cittì Paolo Sangalli prova a riassumere la spedizione della nazionale U23 al Tour de l’Avenir Femmes.

Prima di sistemare le ultime cose per la partenza per la Francia di domani, il tecnico azzurro è ancora gasato dal finale incerto del Tour Femmes, che fa il paio con quello del Giro Women, e si concede un piccolo excursus. «Che spettacolo! Niewidoma contro Vollering e prima ancora Longo Borghini contro Kopecky sempre sul filo dei secondi fino alla fine. Il ciclismo femminile è diventato davvero grande». Come non essere d’accordo con lui.

Tornando a monte, l’appuntamento della seconda edizione della piccola Grande Boucle femminile è fissato fra due giorni (dal 21 al 24 agosto: in apertura, una foto della passata edizione). Cronoprologo e tre tappe in linea per un totale di 321,2 chilometri infarciti di salita. Il gran finale, proprio come la gara maschile, sarà in vetta al Colle delle Finestre. E chissà se il totem delle Alpi Cozie stuzzicherà la fantasia delle più audaci come ci ha insegnato la storia o se sarà solo il teatro di una sfida ad eliminazione? Le azzurre dovranno difendere, e possibilmente migliorare, il terzo posto ottenuto da Realini l’anno scorso con una formazione quasi tutta nuova. Le scelte di Sangalli sono un mix tra l’obbligato e lo sperimentale, ma all’Avenir non mancherà uno spirito intrepido. Abbiamo cercato di capire che gara vedremo e quali saranno le rivali principali.

Paolo ricordiamo le convocate intanto.

Ho chiamato Ciabocco, Giada Borghesi, Valtulini, Segato, Cipressi e La Bella. Diciamo che come ogni anno ho dovuto aspettare un po’ per confermare le convocazioni. Ultimamente è diventata una costante tra le tre nazionali. Per un motivo o l’altro, principalmente fisico, ho sempre qualche ragazza in dubbio. Ad esempio, la mia intenzione sarebbe stata quella di chiamare Venturelli, ma agli europei di categoria in pista a Cottbus si è rotta il radio e ho fatto altre scelte. Mi lamento solo della sfortuna, non delle alternative a disposizione.

In un certo senso pensi di aver dovuto fare delle scelte forzate?

No, però mi vengono da fare delle considerazioni in generale. Considerando tutta la salita che c’è, più dell’anno scorso, è ovvio che mi dispiaccia non poter portare Realini che non è più U23. Mi spiace anche non aver chiamato Barale perché ha corso il Tour Femmes, ma è stato meglio così, anche se mi sarebbe piaciuta vederla da vicino in prospettiva mondiale. Quelle che porto all’Avenir sono tutte ragazze che hanno fatto un certo tipo percorso da juniores. Andremo avanti nel senso della continuità.

Che tipo di formazione sarà?

Faremo una gara all’attacco. Borghesi è una ragazza che non ha paura in questo tipo di azioni. Valtulini e Segato sono due scalatrici interessanti che hanno fatto un bel Giro Women. Dopo un buon Thuringen, Cipressi ha fatto altura a Tignes con le sue compagne che sono andate al Tour Femmes e quindi arriverà preparata. Viene dall’altura anche La Bella.

Non è ancora una junior?

Con le autorizzazioni delle varie federazioni, le juniores possono correre tra le U23, come se fosse uno stage. Infine c’è Ciabocco che aveva corso l’Avenir 2023. Ha un anno di esperienza in più nel WorldTour dove lavora tanto e bene per le compagne. Col cronoprologo del primo giorno capiremo chi curerà la generale, anche se sulla carta dovrebbero essere Ciabocco e Valtulini.

Chi saranno le rivali principali?

Ce ne saranno tante. Ho segnato alcuni nomi sul taccuino, ma credo sia più giusto ragionare più per Nazioni che per nomi. La prima che mi viene in mente è la Francia con Bego e Rayer, ma attenzione alla Germania (Riedmann e Czapla le capitane, ndr), alla Spagna (con Eraso, ndr), al Canada con le gemelle Holmgren, alla Gran Bretagna (Backstedt e Nelson, ndr) e naturalmente all’Olanda (guidata da Vinke, Reijnhout e Oudeman, ndr). Poi occhi puntati anche su quelle nazionali che conosciamo meno e che possono stravolgere i piani. Noi possiamo mantenere il podio che abbiamo conquistato con Realini l’anno scorso, però bisognerà vedere come andrà la corsa.

Podio 2023. Van Anrooij ha corso il Tour Femmes e non difenderà il titolo. Shackley si è dovuta ritirare per problemi al cuore e Realini non è più U23 (foto twitter)
Podio 2023. Van Anrooij ha corso il Tour Femmes e non difenderà il titolo. Shackley si è dovuta ritirare per problemi al cuore e Realini non è più U23 (foto twitter)
Cosa si aspetta Paolo Sangalli da questo Avenir Femmes?

Uno degli obiettivi sarà quello di crescere con questa squadra di giovani. Ad esempio Cipressi la voglio testare in vista dell’europeo, mentre La Bella per il mondiale. Portarla è forse un azzardo e non credo che altre nazionali porteranno una juniores. ma è anche un buon modo per farla crescere ulteriormente. Lo scontro all’Avenir con le pari età serve per capire cosa è successo nel percorso dalle juniores ad oggi. Capiremo a che punto siamo col nostro movimento.