Daniel Oss ha seguito parte del Giro da una moto di Eurosport. Ora si trova negli Stai Uniti per partecipare alla Unbound Gravel, gara di altissimo livello per specialisti, ma si capisce che pur a distanza ha continuato a seguire la corsa rosa, lasciata alla vigilia della terza settimana. L’esperienza è andata bene. Le sue osservazioni sono parse puntuali e in un ottimo inglese, figlio di tanti anni in team non italiani. E così incuriositi per le dinamiche del numerosissimo contingente di Eurosport al Giro, ci siamo fatti raccontare questo debutto inatteso.
«Per la Sanremo – racconta Oss – ero stato nella sede di Londra per fare una puntata di The Breakway con Adam Blythe e Orla Chennaoui. E’ un programma in cui prima della corsa fanno una sorta di preview, poi gli highlights e dopo la gara fanno un commento, un po’ come fanno Magrini e Luca Gregorio su Eurosport Italia. La via di mezzo fra un confronto e un battibecco. Per cui ho partecipato ed è stato molto bello. Sono arrivato la sera prima, l’indomani abbiamo fatto tutta la giornata in diretta. E a quel punto Doug Ferguson, il produttore di Eurosport Londra, mi ha chiesto se mi interessasse l’idea di fare qualche giorno con la moto. E io ho detto di sì a pelle, perché sembrava una proposta molto bella. Una bella esperienza da vivere».
Anche perché iniziano a essere parecchi gli ex atleti che si cimentano in questo ruolo…
Infatti mi sono rivisto nell’immagine di Wiggins e dello stesso Blythe. Mi stuzzicava l’idea di essere su una moto dentro la tappa, con il pensiero di viverla e raccontarla offrendo dei piccoli spunti a chi commenta. Per cui ho detto di sì e loro si sono organizzati. Qualche settimana prima del Giro mi hanno contattato e ho confermato, guardando le mie date possibili. Ci stavo dentro bene e non potevo dire di no. Magari a scapito di un allenamento in più o in meno, però era un’esperienza che andava fatta.
Com’è stare in gruppo su due ruote ma senza faticare?
Figo, tutto bellissimo, da insider, però pensavo di vedere di più. Nei miei pensieri prima di cominciare mi vedevo in mezzo al gruppo, però effettivamente ci sono delle dinamiche e delle tempistiche che non immaginavo. C’è chi deve andare avanti, chi va dietro e quindi c’è il tuo momento di vedere l’azione: non ci sei sempre. Anche se, come moto di Eurosport, da giornalista o comunque vogliate chiamare quello che ho fatto, ci sono molte possibilità di vedere bene la corsa da vicino. E’ stato bellissimo.
Loro in bici tu sulla moto, appena un anno dopo…
Soprattutto questo mi ha un po’ spiazzato. Non immaginavo come sarebbe stato vedere i ragazzi far fatica rispetto a me che non la faccio più. Insomma, mi sentivo molto vicino pur essendo molto lontano. Ho riconosciuto la fatica, ma vista da fuori mi ha stupito molto di più. E da fuori è impressionante anche la condotta di gara. La moto dà l’impressione della velocità, dello sforzo che fanno, dell’attendismo, della paura nel muoversi.
In quali situazioni?
La difficoltà nel muoversi in certe circostanze, come può essere il paese o la strada particolarmente ventosa. Tutte queste cose, colte dal mio punto di vista, mi hanno coinvolto parecchio sul piano emotivo. Ho visto per la prima volta da vicino Ganna in una cronometro. Mi ha fatto impazzire, è stato incredibile. E poi anche le volate e le situazioni di vento. Lo sparpagliamento nella tappa di Cento che ha vinto Milan, quando si sono rotti col ventaglio. E io ero lì a vedere in che modo gestivano e superavano le situazioni e questo in un certo senso mi emoziona.
Durante la tappa hai avuto contatti con i corridori oppure la moto sta rigorosamente a distanza?
Le regole sono abbastanza severe. Non si può fare l’intervista ai corridori, si può parlare con le macchine. Tanti corridori li ho salutati, s’è fatta giusto una battuta e ci siamo scambiati un in bocca al lupo. Ad esempio in una tappa sull’Adriatico, Pellizzari non stava bene e lo vedevo che si staccava dal gruppo in pianura. Era tra le macchine, mancava 15-20 chilometri alla fine e io gli dicevo di stare tranquillo. Lui era nervoso, aveva paura di non farcela e io allora gli ho urlato di mollare, che non serviva a niente tenere duro. Meglio recuperare e arrivare, che il giorno dopo sarebbe stato meglio.
Il colpo d’occhio da corridore serve sulla moto?
Il feeling è lo stesso, magari ci vuole un po’ per entrare nei meccanismi e diventare bravi a valutare le situazioni standone fuori. Senti e vedi tutto, però effettivamente senza la spinta di quello che percepisci dalle gambe, è difficile. E’ chiaro che da casa o comunque davanti a una tv capisci molto di più, però dalla moto puoi vedere dei dettagli che da fuori sfuggono.
Come funzionavano le tue giornate?
Sveglia la mattina e circa un’ora prima di partire, si faceva un briefing che partiva dalle indicazioni mandate su whatsapp dalla regia e dalla direzione. Dipende dalla trama della tappa. Se c’è una volata in cui se la giocano Milan e Merlier, si fanno le interviste a entrambi, in modo da poterle usare nei momenti in cui serve. Si realizzano servizi slegati da luoghi e tempi, in modo da poterle inserire quando servono.
Pensi che lo farai ancora?
Spero sia andata bene, che gli sia piaciuto. Devo migliorare, mi piacerebbe fare altre esperienze. Vedo che a loro comunque piace l’entusiasmo, il fatto che si lavori in gruppo. Non è solo una questione di lingua madre, ma anche di quello che si trasmette. Gliel’ho detto, vediamo se mi richiameranno. Intanto domenica si corre. E qua vanno tutti davvero molto forte…
Hai parlato di Ganna, com’è stato invece vedere Pogacar in azione?
Beh, cosa posso dire… abbastanza emozionante! E poi il mio parametro è sempre quando piaci ai bambini, allora hai fatto centro. Ma al di là di questo, tecnicamente mi ricorda tantissimo quando mi emozionavo con Peter (Sagan, ndr). Quando faceva quelle cose che, cavoli, resti proprio a bocca aperta. E non puoi che dire: «Wow, che bomba!». Davvero tanta roba…