Pirrone torna in azzurro e vuole una crono di qualità

11.09.2024
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Con la quinta piazza alla crono Roland Bougé! a Saint Martin, praticamente la gara di casa per il suo team, Elena Pirrone ha messo il sigillo sulla convocazione per gli europei. La bolzanina, che ha riportato il capoluogo altoatesino ai vertici tricolori del ciclismo femminile a quasi trent’anni dalle imprese di Antonella Bellutti, sarà in gara oggi alle 15 nella cronometro in Belgio al fianco di Vittoria Guazzini (qui lo streaming per seguire la rassegna continentale). Non che la gara elvetica sia stata decisiva per la sua convocazione, ma certamente essere davanti in un consesso di ottimo livello ha avuto il suo peso.

Nella crono “Roland Bougé!” vinta dalla Kerbaol (FRA), l’azzurra è stata quinta a 1’08”
Nella crono “Roland Bougé!” vinta dalla Kerbaol (FRA), l’azzurra è stata quinta a 1’08”

D’altro canto nel corso dell’anno l’altoatesina è spesso balzata davanti negli ordini d’arrivo con 7 Top 10 conquistate e un rendimento nel complesso soddisfacente, fino alla prova di casa: «Era una gara alla quale il mio team teneva tantissimo e non nascondo che essere finite in tre fra le prime 5, ma con due ragazze della Ceratizit-Wnt davanti un po’ ci ha bruciato. Era un percorso di 18 chilometri ad andata e ritorno, tanto rettilineo e falsopiano, una sorta di mangia e bevi, senza vento. Un bel test, in fin dei conti».

Come giudichi quella prestazione anche in ottica continentale?

Si poteva fare meglio, ma guardando i valori mi sono espressa al massimo possibile. Considerando che ho fatto sia Giro che Tour, con un paio di gare nel mezzo, avevo un po’ raschiato il barile delle mie energie, per questo dopo la crono mi sono presa un po’ di riposo per ricaricare le batterie in vista degli europei, anche mentalmente.

Alla crono di Rotterdam del Tour Femmes la Pirrone aveva chiuso al 18° posto
Alla crono di Rotterdam del Tour Femmes la Pirrone aveva chiuso al 18° posto
Come giudichi finora la tua stagione?

Non è stata male anche se le due grandi corse a tappe sono state contraddistinte da una grande sfortuna, curiosamente coincisa sempre con la sesta tappa. Al Giro ho avuto un colpo di calore e non sono potuta ripartire, al Tour non stavo bene e mi sono ritirata. Mi è spiaciuto perché fino allora avevo raccolto bei piazzamenti, le classiche erano state soddisfacenti soprattutto per il lavoro svolto e contavo di far bene, anche alla Grande Boucle nella crono non ero andata male.

Dove pensi di avere toccato il tuo picco di forma?

Io credo al Tour de Suisse, con il 9° posto nella terza tappa ma viaggiando sempre nelle posizioni alte del gruppo. Poi sono stata terza ai campionati italiani dietro Guazzini e Longo Borghini. Non ho colto grandi risultati ma ho sempre lavorato per le compagne tenendo un livello alto.

La bolzanina è al secondo anno alla Roland, dove corre per le compagne
La bolzanina è al secondo anno alla Roland, dove corre per le compagne
Sapevi già prima della crono svizzera che saresti stata convocata?

No, non avevo avuto nessun preavviso, il cittì mi aveva solo detto di farmi trovare pronta. Secondo me ha inciso molto nella convocazione, più che la prestazione ai tricolori, quella nella crono del Tour, vista la concorrenza ad altissimo livello.

Come ti trovi nel team Roland? Ci sono state ripercussioni, soprattutto dal punto di vista della gestione economica e agonistica, dal distacco con l’Israel?

No, non ci manca davvero nulla, nella realtà non è che il far parte dell’universo della squadra maschile avesse portato particolari risultati. Il budget era tutto a carico del gruppo dirigenziale attuale, era già allora un team svizzero. E’ un ottimo team, pienamente inserito nel WorldTour, dove non mettono pressione. Certamente si corre tanto considerando che il parco atlete è ristretto, siamo in 12, ma a me non dispiace, è un buon ambiente considerando poi che con me ci sono anche due altre italiane, Vettorello e Collinelli.

Il podio dei tricolori con la Pirrone terza, a conferma della sua predisposizione per le cronometro
Il podio dei tricolori con la Pirrone terza, a conferma della sua predisposizione per le cronometro
Dopo gli europei che cosa ti aspetta?

Il 15 sarò a Stoccarda per il Grand Prix dove ho vinto lo scorso anno, la mia unica vittoria finora. Poi affronterò la lunga trasferta cinese sperando di mettermi ancor più in evidenza, in modo da arricchire il mio bottino stagionale con qualche piazzamento ancor più qualificato.

Agli europei che cosa ti aspetti?

Io vorrei almeno una top 10, so che non è facile, sarebbe un risultato sensazionale ma lo sento nelle mie corde. Ho visto il percorso sulla carta e mi piace, fondamentale sarà poi provarlo direttamente. Essendo in Belgio non mi aspetto di certo un tracciato “morbido”, ma dovrebbe essere con tanto falsopiano e non troppo tecnico. Insomma, proprio di quelli che mi piacciono di più…

Le mille (e più) volte di Michele Bartoli sul Monte Serra

11.09.2024
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Oggi si corre la 96ª edizione del Giro di Toscana (ora anche Memorial Alfredo Martini), 182 chilometri da Pontedera a Pontedera che molto probabilmente si decideranno sulla salita del Monte Serra, che i corridori affronteranno due volte nel finale. Abbiamo contattato chi quella salita la conosce non bene, di più, avendola percorsa in carriera un numero imprecisato di volte, nell’ordine di diverse migliaia: Michele Bartoli (immagine Instagram in apertura).

Bartoli è stato tra i più forti corridori da classiche a cavallo degli anni Novanta e Duemila. Vanta un palmares che comprende, tra le altre, due Liegi-Bastogne-Liegi, due Giri di Lombardia, un Giro delle Fiandre, una Freccia Vallone e un’Amstel Gold Race. Una carriera più che ventennale sempre vissuta all’ombra del Monte Serra, di cui conosce ogni metro e ogni segreto.

Il Monte Serra sarà affrontato per due volte oggi al Giro di Toscana
Il Monte Serra sarà affrontato per due volte oggi al Giro di Toscana
Michele, tu il Monte Serra lo conosci molto bene. Quante volte l’hai fatto, centinaia?

Credo molte di più. Tieni conto che è la salita che vedo ogni momento del giorno fin da ragazzo. Quando ero professionista la facevo in media 6-7 volte a settimana. Qualche giorno la saltavo, altri invece capitava di salirla anche tre volte per versanti diversi. Quindi con un calcolo a spanne direi che sicuramente il Serra l’ho fatto diverse migliaia di volte.

Era anche il tuo terreno di test immagino, in cui provavi la forma prima dei grandi appuntamenti.

Esatto. Conoscendolo così bene riuscivo a capire subito la condizione, a cogliere le sfumature delle mie sensazioni. Non ho ricordi di un’occasione particolare in cui lì ho capito che avrei vinto una gara importante, però sicuramente l’ho fatto in preparazione dei due Lombardia che ho vinto. Era un’usanza farlo, assieme ad altre due salite della zona, per cercare appunto le migliori sensazioni. Sai com’è, i corridori a volte hanno bisogno anche di queste conferme.

Fra gli anni Novanta e Duemila, le bici avevano a malapena il 39×25 come rapporto più agile
Fra gli anni Novanta e Duemila, le bici avevano a malapena il 39×25 come rapporto più agile
Conoscerai benissimo anche il versante che si scalerà oggi, da Calci. Com’è?

Certo, anche se a dire il vero quello lo facevamo poco, perché è molto duro all’inizio e alla fine, ma a metà spiana un po’. Noi facevamo quasi sempre da Colle di Compito o da Buti, da dove scendono domani, perché lì la salita è più regolare e andava bene per fare i diversi lavori in allenamento. Ad ogni modo anche da Calci è dura. I primi due chilometri sono davvero impegnativi, come anche gli ultimi due, due e mezzo, con punte che arrivano anche sopra il 10 per cento. Quindi non c’è dubbio che sarà decisivo, specialmente durante il secondo passaggio.

Immagino come dev’essere stato farlo oltre vent’anni fa. Ti ricordi con che rapporti salivi?

Sì, alla mia epoca ovviamente non c’erano i rapporti di oggi, non esisteva il 28 dietro, ma forse neanche il 25. Il Serra lo facevamo col 41×16 o 41×17 massimo. A volte anche col 53, ma quello solo per i lavori specifici di forza. Comunque sia quei rapporti bastavano e avanzavano per scornarmi su quelle rampe coi miei compagni di allenamento.

Nel 2023, il Giro di Toscana è stato vinto da Pavel Sivakov
Nel 2023, il Giro di Toscana è stato vinto da Pavel Sivakov
Cioè?

Tenete conto che in quegli anni la zona di Lucca e la Versilia erano com’è adesso Calpe in Spagna, moltissime squadre ci venivano in ritiro. Il Serra era la salita più frequentata. Io mi allenavo spessissimo con Scinto e Sciandri, ma anche con Tani e Sorensen. E il Serra era il terreno ideale per fare a gara e farsi del male, come si dice in gergo.

Vincevi sempre tu?

Non credo proprio sempre io, a volte anche gli altri potevano trovare la giornata buona, ma diciamo che essendo della zona ero avvantaggiato, dai…

Con Scinto e Petacchi, ma anche Sorensen e Sciandri. il Serra era la loro palestra (immagine Instagram)
Con Scinto e Petacchi, ma anche Sorensen e Sciandri. il Serra era la loro palestra (immagine Instagram)
Loro li senti ancora? Potrebbe essere bello organizzare una reunion tra di voi sul Monte Serra?

Sì, il rapporto è rimasto ottimo, ci siamo divertiti tanto assieme, sono stati anni davvero molto belli. Con alcuni eravamo anche avversari, ma prima di tutto amici. Organizzare una rimpatriata mi piacerebbe tanto, anche se ora tutti hanno i loro impegni, io compreso. Due di loro sono direttori sportivi e poi siamo distanti, Sorensen per esempio abita in Danimarca. Però perché no, potrebbe essere una bella idea, magari potremmo organizzarla con voi di bici.PRO…

Classiche italiane: dal Toscana al Matteotti parlando con Visconti

11.09.2024
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Il Gp Industria e Artigianato vinto domenica scorsa da Marc Hirschi ha fatto da antipasto al calendario autunnale delle classiche italiane, che si concluderà ad ottobre inoltrato con il Giro di Lombardia. Questa tranche di gare si apre oggi con il Giro di Toscana-Memorial Alfredo Martini, per poi passare alla Coppa Sabatini, al Memorial Pantani per chiudersi domenica col Trofeo Matteotti. Una settimana a dir poco intensa.

Tutte queste classiche un tempo erano adatte ad un certo Giovanni Visconti. Erano il suo “giardino di casa”: percorsi ideali per le sue caratteristiche, grandi successi, tanti aneddoti e in qualche caso davvero si correva “dietro casa” sua. 

In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con Basso e un giovanissimo Visconti
In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con un giovanissimo Visconti
Dal Toscana al Matteotti, Giovanni, che gare sono? E che gare erano?

Una volta contavano moltissimo per tutti, specie per gli italiani che cercavano un posto in nazionale. Oggi contano davvero per gli italiani. I parterre non sono quelli di una volta, ma non è colpa di queste gare. Il calendario mondiale è diverso, ci sono più competizioni. Basta pensare che si disputano in contemporanea al campionato europeo e alle gare WorldTour canadesi. Senza dimenticare che un tempo la questione dei punteggi non era così esasperata. Le squadre WorldTour che fanno doppia o tripla attività schierano le formazioni laddove possono guadagnare più punti, oltre al fatto che sono obbligate a fare quelle WorldTour.

E per Giovanni Visconti che corse erano?

Erano corse importanti, che mi davano tanto. Erano un grande stimolo per allenarmi bene durante l’estate. Di fatto ci tiravo fuori la mia stagione con queste corse. Staccavo a giugno dopo il Giro d’Italia, facevo un po’ di “vacanza pedalata” e da luglio iniziavo a fare sul serio. Era un finale di stagione breve, ma intenso. Alla fine stavi fuori casa un mese e mezzo. Erano poi tutte corse adatte a me, corse da vincere, per fare gamba, per divertirsi. Non c’era mai quella gara che partivi “annoiato”, sapendo già come andava a finire. No, strappi brevi, intensi, discese, circuiti… il finale non era mai scontato. E non ultimo provavi a guadagnarti una convocazione in azzurro. 

Analizziamo questa tranche, s’inizia oggi con il Giro di Toscana. Parlaci di questa gara…

Anche se negli ultimi anni è cambiata un po’, il Monte Serra resta decisivo. Non è vicinissimo all’arrivo e se va via un gruppetto, è difficile che poi da dietro rientrino. Il gruppo è tutto spezzettato ormai. Il Toscana era una corsa adatta a me e infatti ci puntavo subito molto perché se fosse andata bene poi avrei corso un po’ più tranquillo le gare successive. Nel corso degli anni la Coppa Sabatini era diventata una corsa per corridori sempre più veloci. Quindi meglio puntare forte su questa e magari risparmiare qualcosa poi. 

Qual è il ricordo che ti lega al Giro di Toscana?

E’ stata la mia ultima vittoria da professionista con la Neri Sottoli. Venivo da un periodo difficile. Ero caduto a giugno al Giro d’Austria, dentro ad un galleria, mi schiantai a 90 all’ora quando stavo per vincere. Dovettero portami via in elicottero. Passai un ‘estate complicata. Per un mese e mezzo mi allenai con un drenaggio, avevo un tubicino che usciva dalla tasca della maglia… capito perché dicevo che queste corse mi davano stimoli? E insomma vinsi a Pontedera davanti a Bernal che veniva dalla vittoria al Tour de France. Ha un grande significato questa gara per me. Tra l’altro è a 10 chilometri da Peccioli, sede della Coppa Sabatini, dove vinsi la mia prima gara da professionista: fu come chiudere un cerchio.

Passiamo proprio alla Sabatini…

Sarebbe un percorso da mondiale. E infatti se ne è anche parlato: paesaggi bellissimi, percorso tecnico, adatto ad un mondiale e a più soluzioni. Rispetto al passato è stata un po’ indurita nella prima parte e infatti il circuito finale è tornato a fare un po’ più differenza, ma negli ultimi anni era diventata una gara molto veloce. Ricordo che all’imbocco della curva dell’ultimo strappo ormai si sgomitava con i velocisti. Ma anche questa si adattava bene alle mie caratteristiche.

Anche di questa dicci il ricordo, l’aneddoto.

E’ stata la mia prima gara con i pro’. Era il 2004 e feci lo stagista con la De Nardi-Montegrappa. Era una bella giornata e c’era un parterre… Vinse Ullrich, su Pellizotti e Boogerd, insomma fu un battesimo di fuoco! C’erano Scinto e Citracca che mi avevano lanciato da dilettante a vedermi. C’era il mio fans club: in quei tempi c’era il fans club Visconti e quello di Nibali, reduci dagli scontri tra i dilettanti. E c’era mio papà che scriveva ovunque il mio nome sull’asfalto… Un bel ricordo.

E due anni dopo la stessa Coppa Sabatini fu anche la tua prima vittoria da professionista…

Anche quello è un grande ricordo. C’era la storia del nove. Quando avevo un numero la cui somma faceva nove o vincevo o ci andavo vicino. Quell’anno era la 54ª edizione della Sabatini e io avevo il 63 o il 36 non ricordo bene…

Passiamo al Memorial Pantani. E’ la più giovane tra queste classiche. E cambia sempre un po’. Che gara è?

Come le altre, è una corsa che si adatta bene a corridori come me. Lascia spazio a più finali. Cambia sempre un po’. Ma di base nella prima parte c’è pianura, poi da quelle parti (la Romagna, ndr) quando si va nell’entroterra ci sono salite corte ma dure. Come diceva Paolo Bettini: “Si entra nel ginepraio”. E’ tutto un su e giù. Bisogna stare attenti e davanti. Ricordo che su quella salita cara a Pantani, Montevecchio, si arrivava da un lungo rettilineo e si svoltava a sinistra, ma la strada si stringeva, era come un imbuto. La salita iniziava con dei tornanti e stare davanti significava risparmiare davvero tanto. Una volta in cima non si scendeva subito, ma c’era una contropendenza che faceva davvero male. Di solito la selezione si faceva negli ultimi due giri e l’arrivo era sempre una lotta tra i fuggitivi e quel che restava del gruppo. Il finale non era mai scontato.

L’aneddoto del Pantani?

L’anno che corremmo con la nazionale. Avevamo dominato la corsa noi azzurri. Eravamo io, Ulissi e Nibali e decidemmo di lasciare la vittoria a Diego che aveva appena avuto un grave problema familiare. Fu un momento toccante.

Infine c’è il Trofeo Matteotti, la più storica tra queste prese in esame…

Circuito duro e impegnativo (a Pescara, ndr), tra l’altro domenica lo commenterò per la Rai. Anche questa è una gara entusiasmante, tecnica, dura… poi lì spesso fa caldo e questo elemento può fare la differenza. Spesso conviene andare in fuga anche se si è in tanti, perché si fa meno fatica che a stare in gruppo su quelle strade così tortuose. Una caratteristica del Matteotti è che spesso la finiscono in pochi proprio perché è dura. Negli ultimi anni Trentin l’ha vinta due volte, una delle quali con un ampio distacco e non capita spesso. E’ più facile che arrivi un gruppetto ristrettissimo. Nel finale si fa la selezione su Montesilvano, strappo duro, secco. E’ una festa perché c’è gente e in salita si sente l’odore degli arrosticini.

Chiudiamo con il tuo aneddoto.

Anche questa era particolarmente adatta a me. Ricordo che un anno, il 2018 prima del mondiale di Innsbruck, non ero messo benissimo in quanto alla convocazione, e così dissi all’ora cittì, Davide Cassani: “Se vinco mi porti al mondiale”. Arrivai secondo, vinse Ballerini… E al mondiale non ci andai!

Juniores: la corsa all’oro che non fa bene ai ragazzi

10.09.2024
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TERRE DI LUNI –  La nostra presenza alla 48ª edizione del Giro della Lunigiana ci ha permesso di vedere ancor più da vicino e per più giorni il mondo degli juniores (in apertura foto Duz Image / Michele Bertoloni). Da tanto tempo questo spiraglio di ciclismo ha acquisito un’importanza sempre maggiore, diventando, a tutti gli effetti, la categoria di riferimento. Da qui i team, WorldTour e non, prendono i migliori ragazzi con l’intento di farli crescere attraverso i loro vivai. Succede però che il meccanismo porta alla ricerca costante dell’oro e, come succede con il nobile metallo, il rischio è quello di scavare sempre più a fondo. 

Paul Seixas, Lorenzo Finn i due nel 2024 hanno corso con i devo team di Bora e Decathlon AG2R
Paul Seixas, Lorenzo Finn i due nel 2024 hanno corso con i devo team di Bora e Decathlon AG2R

Tutto subito

Sono nati così dei team satellite o development anche tra gli juniores. La Bahrain Victorious ha il Cannibal Team, la Bora ha la Grenke Auto Eder e la Decathlon ha il team U19 dal quale ha tirato fuori gli ultimi due vincitori del Lunigiana: Bisiaux e Seixas. 

Alla presentazione delle squadre a Lerici, in occasione dell’inizio del Giro della Lunigiana, lo aveva sottolineato Dmitri Konychev. L’ex campione russo ha ricordato quanti ragazzi a 14 anni sembrano dover spaccare il mondo per poi fermarsi alla prima difficoltà. Con lui sul palco c’era anche Stefano Garzelli, che in Spagna ha gestito un team juniores, per poi arrivare a chiuderlo a fine 2023. 

«Per me si tratta di un movimento molto preoccupante – spiega Garzelli – perché i devo team andranno a prendere gli juniores migliori. E ora si tratta di avere 8 ragazzi, magari in futuro arriveranno a 10 e 12. L’ambizione di un ragazzino è di andare a correre lì perché pensa di essere già arrivato, pensa di essere già un campione, forse. Ma non tutti questi passeranno professionisti, magari ora sì perché i team sono pochi. Ma in futuro aumenteranno e le possibilità diventeranno sempre meno. Il rischio è che poi i ragazzi vedano come un fallimento il mancato passaggio trasformandolo in un “non sono bravo”. Saranno pronti a metabolizzare questo fatto? Credo di no, semplicemente smetteranno di correre».

Finn e Seixas ogni giorno hanno distrutto record e tempi di scalata (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
Finn e Seixas ogni giorno hanno distrutto record e tempi di scalata (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Ricerca anticipata

Si fa presto a capire che la corsa è agli allievi, categoria che precede gli juniores. Ragazzini trattati come campioni o addirittura fenomeni, con bici e divise uguali a quelle del team professionistico. Una stretta cerchia di ragazzi che vivono come i grandi, ma che tali non sono. Vanno forte, lo si vede sulle strade, all’ultimo Giro della Lunigiana Lorenzo Finn e Paul Seixas hanno disintegrato ogni tempo di scalata degli anni precedenti. Ma sono pronti a vivere e subire delle pressioni che rischiano di farli arrivare stanchi del ciclismo a 18 anni?

«Ho parlato con un team manager di una squadra juniores – continua Garzelli – e già ragionava del 2026. Mi diceva che deve cercare tra gli allievi altrimenti rischia di non fare più la squadra. Se il meccanismo è questo, tra un po’ andremo a prendere gli esordienti. Il rischio è che tra 7-8 anni non avremo più una base, ma se non hai niente sotto come fai a costruire sopra?».

La preoccupazione di Garzelli, al Lunigiana per il commento tecnico, è che i ragazzi siano già al massimo delle prestazioni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)
La preoccupazione di Garzelli, al Lunigiana per il commento tecnico, è che i ragazzi siano già al massimo delle prestazioni (Foto Duz Image / Michele Bertoloni)

Accecare i ragazzi

Il problema è che un meccanismo simile porta i ragazzi a pensare che la realtà delle cose sia diversa. Uno junior vuole a tutti i costi entrare in un devo team altrimenti pensa di aver fallito. 

«In Spagna – prosegue Garzelli – in gruppo i ragazzi dicono che ormai tra gli juniores o passi in una devo o sei finito. E’ la cosa più sbagliata del mondo. E il rischio è di distruggere tutte le squadre juniores nazionali, perché alcuni ragazzi preferiscono smettere piuttosto che continuare nelle squadre “normali”. Ma non tutti hanno gli stessi tempi di crescita e in una squadra più piccola ti lasciano il tempo di maturare. I talenti, Lorenzo Finn ad esempio, la strada la trovano comunque. Noi dobbiamo lavorare sui ragazzi che hanno numeri minori con un’attività dedicata per permettergli di crescere. Chi corre nella squadra satellite di una WorldTour ha tutto: preparatore, nutrizionista, mezzi migliori. Ma quali sono i suoi margini di crescita? Molto pochi o probabilmente nessuno. Se da junior mi alleno già 26 ore, da professionista quante ne devo fare, 40?».

Dopo i grandi successi ottenuti nel 2024 è bastato un Avenir sotto tono per far vacillare la fiducia di Widar (qui a destra)
Dopo i grandi successi ottenuti nel 2024 è bastato un Avenir sotto tono per far vacillare la fiducia di Widar (qui a destra)

Saper perdere

E’ voce di queste settimane che Jarno Widar, belga del Lotto Dstny Development Team, sia in rottura con la squadra dopo la delusione del Tour de l’Avenir. Il belga, al primo anno da under 23, ha vinto in ordine: Alpes Isere Tour, Giro Next Gen e Giro della Valle d’Aosta. Un bottino che difficilmente abbiamo visto raccogliere a un ragazzo di 18 anni al primo anno della categoria. Eppure lo scricchiolio del Tour de l’Avenir sembra aver rotto il quadro e la sua cornice. E’ vero che quando si vede la torta sul tavolo la voglia è di mangiarla tutta, ma bisogna anche sapersi accontentare e mangiarne qualche fetta. 

«Se non hai margini di crescita – prosegue Garzelli – quando passi non ottieni più gli stessi risultati. Perché ora stai dando tutto e allora vai avanti, ma poi non avrai più niente da dare e il livello sarà talmente alto che per forza troverai gente che ha i tuoi stessi valori o maggiori. Per questo bisogna imparare a perdere, meglio, a gestire la non vittoria. Widar è un esempio, non ha saputo gestire la sconfitta dell’Avenir e al posto che rimboccarsi le maniche e ripartire, ha voltato le spalle alla squadra».

Mentalità vincente

I ragazzi che vediamo darsi battaglia sulle strade delle corse internazionali e non, stanno imparando a gestire la gara, a vincere, creandosi una mentalità improntata a questo. Ma cosa succede se una volta passati smettono di farlo?

«Gli atleti corrono e lo fanno con in testa la vittoria – conclude – ed è giusto che sia così. Però servono degli step. Uno junior che passa professionista e fa gruppetto per tutto il primo anno e magari anche al secondo, rischia di perdere la mentalità vincente. Markel Beloki, figlio di Joseba, è passato dagli juniores alla EF Easy Post e per tutto il 2024 non ha mai visto la testa del gruppo. La capacità di gestire determinate situazioni in corsa la perdi dopo un po’. Invece se da junior vinco, poi passo under 23 e mi metto ancora in gioco e così via, mentalmente mi mantengo sul pezzo.

«La mia preoccupazione deriva dal fatto che l’Italia non ha squadre WorldTour. Questo vuol dire che il ragazzo forte va all’estero e che la squadra straniera tuteli i suoi talenti di casa. Rischiamo di perderli. Bisogna ricordare ai ragazzi che il loro bene passa anche da chi li tutela, non solo da chi fa promesse».

Campagnolo Super Record S Wireless, la famiglia si allarga

10.09.2024
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La famiglia Wireless di Campagnolo si amplia grazie al nuovo pacchetto S, meno estremo rispetto al Super Record esistente. Le tecnologie sono mutuate dal fratello Super Record Wireless, ma il range di combinazioni dei rapporti si allarga. Cambia la finitura esterna che adotta un nero opaco moderno ed elegante.

A giusto completamento della piattaforma Super Record S ci sono le Bora Ultra WTO, ruote superlative per design e performances, anche loro con una livrea opaca che richiama la trasmissione. Entriamo nel dettaglio.

Nuova famiglia Campagnolo S, aggressività e stile
Nuova famiglia Campagnolo S, aggressività e stile

Versione S, meno estrema e meno tirata

Per lo sviluppo e la costruzione del nuovo Campagnolo sono stati adottati dei materiali meno estremi, una guarnitura non cava (ma comunque full carbon) il tutto per sfruttare un prezzo aggressivo, senza sacrificare le performance. Rispetto al fratello Super Record Wireless l’incremento di peso (a parità di configurazione) è di soli 150 grammi. Il prezzo di listino è di 3.990 euro. Ci vogliono 3.800 e 2.700 euro per le ruote WTO matt edition, rispettivamente quelle con il suffisso Ultra e quelle standard.

Più combinazioni a disposizione

Le configurazioni disponibili sono 6 (perfettamente configurabili con il power meter Campagnolo HPPM). A quelle esistenti 45-29, 48-32 e 50-34 si aggiungono la 52-36, 53-39 e 54-39, con una possibilità di scelta molto ampia e con l’obiettivo di soddisfare a 360° il delta di utilizzatori.

Sono tre le cassette di pignoni disponibili: 10-27, 10-29 e 11-32, naturalmente a 12 rapporti. Ogni cassetta è studiata nella progressione dello sviluppo metrico, in modo da fornire una fluidità pienamente sfruttabile nelle diverse situazioni e senza “buchi” proprio in fatto di rapportatura.

Punti di forza dal passato

Alle spalle di una nuova livrea cromatica che non passa inosservata, ci sono anche delle soluzioni tecniche diventate dei punti di forza Campagnolo.

Ultra-Torque per l’asse passante della guarnitura, una soluzione che aumenta la rigidità del comparto. L’ergonomia delle leve e la loro adattabilità. L’interfaccia creata dai led delle batterie, sempre perfettamente visibili ed immediati, così come la app MyCampy 3.0. Non in ultimo l’impianto frenante.

Campagnolo

Isolmant, risultati e crescita per Tormena e compagne

10.09.2024
6 min
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Prospetti pronti per un salto in avanti, è la mission delle continental italiane femminili. Nella Isolmant-Premac-Vittoria si lavora per continuare a “tirare fuori” delle atlete da consegnare al piano superiore. Anche cercando di vincere scommesse.

Negli ultimi anni Giovanni Fidanza non si è certo nascosto quando c’è stato da prendere e far crescere ragazze che arrivavano da altre discipline o addirittura altri sport. Anche quest’anno la Isolmant (in apertura foto Ossola) ha mantenuto fede alla propria filosofia, riuscendo a raccogliere risultati che vanno oltre il piazzamento in un ordine d’arrivo. Ne abbiamo parlato col team manager della squadra bergamasca, attualmente impegnato agli europei in Belgio con Vittoria Servizio Corse.

Giovanni che bilancio puoi trarre finora da questa stagione?

Abbiamo fatto un calendario equilibrato per le ragazze che abbiamo. Siamo sempre andati bene, anche se abbiamo vinto solo una corsa. Abbiamo però conquistato molte top ten e tanti secondi posti, l’ultimo domenica a Racconigi con Gaia Tormena. Fare risultato è importante per gratificare gli sponsor ed alzare il morale, ma per noi l’obiettivo è far crescere le nostre ragazze.

Le gare internazionali come le avete affrontate?

Nelle corse di livello più duro siamo sempre andati per imparare. Ad esempio abbiamo finito il Giro Women con quattro atlete e non è poco, tenendo conto della difficoltà del percorso. Due di loro, Arici e Pepoli, sono al secondo anno nella categoria e sono andate molto bene. Siamo stati soddisfatti delle ragazze, perché per loro è stata un’ottima esperienza ed una grande occasione per migliorarsi. Infatti nelle gare successive si sono visti subito gli effetti.

Hai citato qualche ragazza, tra cui Tormena che era una tua scommessa. Come sta andando?

Gaia con pazienza sta arrivando ad un buon livello nel suo percorso da stradista. Una sua vittoria sarebbe la ciliegina sulla torta. E lo dico considerando che non avendo fatto le categorie giovanili, le mancano alcune basi, come tenere le posizioni in gruppo o come gestire le energie in corsa. Per ovviare a tutto ciò di conseguenza dovrebbe correre di più su strada, però per lei non è facile far conciliare l’attività del fuoristrada. Nella Mtb è un’atleta importante, di assoluto rilievo. A luglio ha vinto il quinto mondiale Eliminator. In quel periodo aveva una buona condizione e avrei voluto portarla al Giro Women, però non abbiamo potuto. E’ del 2002, ancora giovanissima e dovrebbe restare con noi anche l’anno prossimo, quindi cercheremo di capire come farla correre di più.

Degli altri nomi che hai fatto cosa ci puoi dire?

Pepoli era con noi anche l’anno scorso e sta continuando ad imparare. Arici invece ha iniziato con noi a giugno. Arriva dalla Mtb e dal ciclocross, ha buone potenzialità e in pratica sta facendo i primi mesi su strada. Entrambe però devono crescere con calma visto che hanno rispettivamente diciannove e ventun’anni. Una ragazza invece che ha fatto grandi passi in avanti è Asia Zontone. Anche lei arrivava dal ciclocross ed ora le manca veramente pochissimo per completare il percorso di adattamento. Al Giro del Mediterraneo è andata forte raccogliendo un podio e chiudendo quarta nella generale. Meritava un po’ di fortuna in più. E lei è una delle altre che ha finito il Giro Women.

Nella tua Isolmant c’è poi sempre il solito mix di ragazze.

Sì, esatto. Dalle giovani a quelle che vengono dal fuoristrada o altri sport fino alle più esperte, che comunque hanno meno di 29 anni. C’è Rossato che è sempre un esempio per tutte. Lei è insegnante di ruolo a scuola, ma riesce sempre a farsi trovare pronta per le gare, specie le più importanti. C’è Zanetti che in volata è sempre presente e le sue vittorie le mette sempre a segno, come quella di San Miniato a Pasqua. E poi tutte le altre che non fanno mai mancare impegno e lavoro per le compagne.

Giovanni Fidanza guarda con attenzione alla imminente riforma UCI sui ProTeam (foto Ossola)
Giovanni Fidanza guarda con attenzion alla imminente riforma UCI sui ProTeam (foto Ossola)
Riguardo alla riforma sui ProTeam per il 2025 ne avevamo parlato a novembre. Il tuo pensiero è sempre lo stesso?

Innanzitutto non abbiamo ancora comunicazioni ufficiali e pertanto diventa molto difficile capire molte cose. Quante saranno le professional e come saranno gli spazi per le continental. Le voci di corridoio dicono che comunque dovrebbero lasciare aperti gli inviti alle continental anche nelle gare più importanti come Giro, Tour o altre classiche. Se fosse così, sarebbe un bene, quantomeno per le formazioni italiane visto che nessuna dovrebbe prendere la licenza superiore, salvo qualche possibile fusione. In ogni caso, lo ripeto, non vorrei che l’UCI avesse alzato troppo l’asticella, volendo i ProTeam senza chiarire a dovere certi paletti e regolamentazioni.

Migliore degli italiani alla Vuelta. Ma Fortunato voleva di più

10.09.2024
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Lorenzo Fortunato ha chiuso la Vuelta al 16° posto, primo degli italiani, a 40’43” da “padron” Roglic. Questi dati non bastano però per definire la sua corsa, molto più complessa nella sua definizione attraverso le tre settimane di gara. Lo stesso portacolori dell’Astana Qazaqstan team fa un po’ fatica a darsi un voto, fra un piazzamento di livello ma non pari alle sue aspettative e un andamento nelle tappe difficile da gestire.

Su un aspetto però il bolognese tiene subito a mettere l’accento: il livello generale della corsa. «Ho sentito dire in giro che la Vuelta era di livello inferiore rispetto agli altri due Grandi Giri ma io, che ho corso anche il Giro d’Italia, posso dire che non era assolutamente così. Nel complesso si è andati davvero forte, non si stava tranquilli mai, neanche nelle tappe che finivano allo sprint, si andava sempre a tutta tanto è vero che anche le fughe nascevano con difficoltà».

Il bolognese nella tappa di Moncalvillo, con Rodriguez e Vlasov, chiusa al 14° posto
Il bolognese nella tappa di Moncalvillo, con Rodriguez e Vlasov, chiusa al 14° posto
Perché allora la corsa spagnola è stata giudicata con un po’ di sufficienza?

E’ un errore che si verifica sempre più spesso: se non ci sono i fenomeni come Pogacar, Vingegaard, Evenepoel allora si pensa che vale di meno. Non è così: guardate l’ordine di arrivo finale, togliendo quei tre, gli altri big c’erano tutti e in corsa si vedeva. Ma io vado anche oltre: ne parlavo con gli altri e tutti, ma dico tutti, mi hanno detto che i valori erano più alti, in salita ma non solo. E proprio in salita si vedeva che si andava più forte.

Secondo te la fuga di O’Connor, in lizza per la vittoria fin quasi alla conclusione, ha cambiato un po’ l’evoluzione della corsa?

Io penso di sì. Ha soprattutto stravolto la meccanica di corsa perché la Decathlon, che pure si è dimostrata squadra molto forte, non controllava il gruppo, non imponeva la sua legge. La Red Bull però non ne approfittava più di tanto, forse perché Roglic voleva aspettare la parte finale della Vuelta come poi è avvenuto. Inoltre va considerato il fatto che 21 giorni sono lunghi da gestire, quindi hanno preferito lasciare mano libera e questo ha un po’ stravolto le tattiche.

L’emiliano in salita ha avuto valori più alti di quelli del Giro, ma non è bastato per emergere
L’emiliano in salita ha avuto valori più alti di quelli del Giro, ma non è bastato per emergere
Ciò ha coinvolto anche te?

Per certi versi. Alla vigilia si era partiti con l’idea di fare classifica e siamo andati avanti su quella linea. Se avessi preso mezz’ora nelle prime tappe, avrei avuto mano maggiormente libera per entrare in una fuga, così invece ero marcato stretto perché la Top 10 è qualcosa che fa gola a molti. La corsa ha poi dimostrato che con quel livello riuscire a entrare nei primi 10 era praticamente impossibile. Io non posso nascondere che buona parte di quelli che mi sono finiti davanti erano più forti di me, io comunque non rinnego la scelta che abbiamo fatto.

Facendo il paragone con il Giro finito al 12° posto, pensi di essere andato più forte?

Io dico di sì, me lo dicono i valori in gara ma anche il mio rendimento. Andavo più forte, anche in base agli ordini d’arrivo. Torno al discorso di prima: se fuori dai 10 trovi gente come Yates o Kuss, significa che il livello era davvero alto e chiaramente facevo più fatica, anche Dunbar che pure ha vinto due tappe è rimasto fuori.

Al Giro d’Italia Fortunato aveva chiuso 12°, finendo 4° nella tappa di Oropa
Al Giro d’Italia Fortunato aveva chiuso 12°, finendo 4° nella tappa di Oropa
Dicevi però che hai mantenuto il punto: ti senti sempre più un corridore da Grandi Giri, ossia da classifica?

Da questo punto di vista sono convinto della scelta, pur tenendo presente che vado bene in salita ma non sono uno dei top. Cerco però di essere a quel livello, l’unica cosa che mi dispiace e che influisce un po’ sul giudizio generale sulla mia Vuelta è che avrei voluto almeno emergere in una tappa, ma i piazzamenti a Pico Villuercas e Alto de Molcalvillo sono un po’ lo specchio del mio valore in quella corsa paragonato agli altri. Ribadisco, andavano più forte, niente da dire.

Questo rientra anche in un discorso più generale di ristrutturazione dell’Astana, molto attiva sul mercato e che ha preso gente proprio dedita alle corse a tappe, soprattutto per quelle medio-brevi…

Sì, è un po’ la chiave per il futuro del team nella quale io mi rispecchio, considerando che ho il contratto per il prossimo anno. Oltretutto sarà un anno decisivo per la permanenza nel WorldTour e faremo di tutto per confermarci, lavorando soprattutto nelle prove di più giorni. La squadra si sta rinforzando proprio in questi termini.

Riconfermato per il 2025, Fortunato conta di aiutare l’Astana a rimanere nel World Tour
Riconfermato per il 2025, Fortunato conta di aiutare l’Astana a rimanere nel World Tour
In definitiva dai un giudizio positivo sulle tue tre settimane?

Lo dico un po’ a denti stretti ma sì, anche se sono convinto che valevo di più proprio facendo il paragone con il Giro. Ho finito comunque rispecchiando la mia dimensione, anche se è chiaro che alla vigilia mi aspettavo e proponevo di più. Ma alla fine bisogna anche saper accettare il verdetto della strada.

Con Belli il premonitore il bilancio della Vuelta

10.09.2024
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«Ben  O’Connor finirà tra i primi cinque. Vedrete». Wladimir Belli ha azzeccato in pieno il pronostico sul conto del corridore della Decathlon-AG2R. L’ex corridore lombardo, oggi commentatore per Eurosport, ha seguito la Vuelta molto da vicino e tra il suo occhio lungo e il fatto di stare sempre sul pezzo è la persona giusta per tracciare un bilancio del grande Giro spagnolo.

Sempre Belli aveva azzeccato anche la vittoria di Roglic, questa più pronosticabile, certo. L’unico dubbio circa lo sloveno era: arriverà a Madrid? O sarà bloccato, come spesso gli succede, da qualche caduta?

Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni, ora è un commentatore di Eurosport
Wladimir Belli (classe 1970) è stato pro’ per 16 stagioni, ora è un commentatore di Eurosport
Vuelta finita Wladimir, partiamo proprio dalla tua visione su O’Connor…

O’Connor è un buon corridore, magari non è un vincente, né un super campione, va bene in salita, si difende bene a crono e ha un grande livello di continuità. Ormai si sa gestire: si conosce. Conosce i suoi limiti e sa sfruttare bene le sue qualità. Non ha vinto chissà cosa, ma se andiamo a guardare il suo palmares è uno di quelli che non crolla mai. Quarto al Giro d’Italia, quarto al Tour de France.

Ha guadagnato un gruzzoletto di minuti nella sesta tappa, quella che ha vinto, ma davvero ti aspettavi un risultato simile?

Io sì, alla fine dopo quel giorno quanto ha perso nei confronti degli altri? Faccio un esempio. Prendiamo il Pozzovivo di qualche anno fa. Se gli lasciavi 10′ non so se il Roglic della situazione lo riprendeva. Semmai solo lui. Ma gli altri no. Pozzo si sarebbe staccato tutti i giorni, ma non avrebbe mollato mai. Sarebbe andato su al massimo delle sue possibilità e non avrebbe avuto un giorno di enorme crisi. E quindi sarebbe andato sul podio. 

E poi c’è Primoz Roglic: quarta Vuelta. Cosa ne pensi?

Sono gli altri che hanno perso una buona occasione, quella che lui, ancora una volta ha sfruttato bene. Ad un certo punto credo si sia anche spaventato un po’ con il vantaggio che aveva O’Connor e tutto sommato questo distacco ha tenuto viva la Vuelta stessa. Io avevo ipotizzato che Roglic avrebbe ripreso la maglia rossa ai Lagos de Covadonga: non ce l’ha fatta per 5”, ma ricordiamoci anche della sua penalizzazione di 20”.

O’Connor stoico: in montagna ha ceduto poco terreno agli altri (Roglic escluso) e ha fatto un’ottima crono finale. Risultato: 2° a Madrid
O’Connor stoico: in montagna ha ceduto poco terreno agli altri (Roglic escluso) e ha fatto un’ottima crono finale. Risultato: 2° a Madrid
La sensazione, al netto dei nomi che erano anche buoni, è che sia stata una Vuelta un po’ in caduta in quanto a livello di forma. Tu come la vedi?

Roglic secondo me non è andato forte come i suoi standard. Non era il solito Roglic, ecco. Come ho detto prima gli altri hanno perso una buona occasione. Carapaz ha lottato, ha detto che voleva vincere la Vuelta, ma alla fine ha fatto il suo. O’Connor con quella fuga ha fatto molto e ha messo pepe all’intera corsa. La Vuelta è spesso un esame di riparazione, a parte per gli spagnoli che la sentono e la vivono in modo diverso. 

A tal proposito Enric Mas è andato forte….

Sì, molto. Però va anche ricordato che il livello era quello che era. Ho l’impressione che Mas non sia al pari di quei 3-4 corridori che difficilmente sbagliano. Magari un giorno potrebbe provare a vincere la Vuelta sfruttando quell’occasione di cui dicevo, ma è anche vero che il tempo passa e dietro c’è gente che spinge.

In generale chi ti è piaciuto?

Beh, questo Pablo Castrillo ha fatto dei bei numeri. E’ stato un corridore inaspettato. Un gran bel lottatore. Mi è piaciuto molto anche Kaden Groves. E’ vero che i velocisti veri non c’erano, però oltre che a fare bene in volata ha tenuto su percorsi mossi e difficili nonostante la sua stazza. Alla fine si è portato a casa tre tappe e la maglia verde. E bene anche Richard Carapaz, mi è piaciuta la sua solita tenacia. Alla fine non è andato lontano dal podio.

Wladimir Belli ha messo Kaden Groves tra i promossi di questa Vuelta
Wladimir Belli ha messo Kaden Groves tra i promossi di questa Vuelta
E degli italiani cosa ci dici?

Non si sono visti moltissimo a dire il vero. Ma mi sono piaciuti Aleotti, Baroncini e Cattaneo. Baroncini ha delle qualità… quando non cade e si frattura, quindi è sfortunato. Anche quando Velasco vinse l’italiano ricordiamoci che forò nel finale e lui era nettamente il più veloce. Battè Girmay al mondiale under 23, e questo vuol dire molto, va forte a crono. Insomma è un bel corridore. Aleotti mi è piaciuto per quel che ha fatto. Ha svolto un ottimo lavoro, è stato sempre presente e secondo me ha trovato il suo posto in gruppo. Per fare classifica non ha ancora la forza necessaria a crono, in salita e nel recupero, ma ha il suo spazio ed è un corridore molto utile alla causa.

Non abbiamo ancora parlato di Van Aert. Fin quando è stato in corsa, sembrava in netta crescita…

Sì, ma per le sue caratteristiche vince poco. Era in lotta per gli sprint, per le tappe, per la maglia verde e tutto ciò a cosa lo ha portato? A precludergli il finale di stagione. Pensate a Van der Poel: quante volte lo abbiamo visto davvero attivo al Tour? Poche. E magari quando si vedeva provava a vincere. E’ vero che Wout è più duttile va forte su più terreni e si mette più in gioco, ma così no.

Dici che deve selezionare insomma?

Sì, e poi c’è un’altra cosa che penso al suo riguardo: uno come Van Aert non dovrebbe fare mai il gregario. Si fa in quattro per aiutare questo o quello. Lo portano al Tour per Vingegaard. Lo fanno andare in fuga, lo fermano per attenderlo, per farlo tirare, ci si aspetta che poi vinca lui stesso. Okay la sfortuna, ma quest’anno ha vinto cinque corse: poco per uno forte come lui. Vi faccio un esempio…

Per Van Aert una Vuelta a doppio volto: bene all’inizio, ma poi un ritiro che gli è costato molto
Per Van Aert una Vuelta a doppio volto: bene all’inizio, ma poi un ritiro che gli è costato molto
Vai…

Ripenso, e mi arrabbio, alla prima tappa del Tour di quest’anno, quella che ha vinto Bardet. Una tappa ideale per Van Aert. Bastava che su una di quelle salite finali, quando il gruppo era tornato ad aver la fuga a vista, Vingegaard facesse una tirata delle sue di 250 metri e Van Aert avrebbe chiuso o si sarebbero eliminati del tutto i velocisti. Cosa sarebbe costato a Vingegaard? Quanto avrebbero inciso 250 metri di tirata sul Tour del danese? Non è facile per Wout stare in quel team.

Torniamo alla Vuelta: c’è qualcuno che invece ti ha deluso?

Vlasov. Alex lo conosco bene, so delle sue doti. Lo allenavo io quando vinse il Giro Under 23. Ma dopo tanti grandi Giri quante tappe ha vinto? Nessuna. E ha sempre avuto una o più giornate no. E poi in generale non mi è parsa brillante la UAE Emirates. E’ vero che hanno perso Almeida (il leader, ndr) per covid ma poi Adam Yates non ha reso come ci si poteva attendere, evidentemente le fatiche del Tour si sono fatte sentire. Non è facile essere competitivi tanto a lungo. E poi avevano avuto già prima quel problema con Ayuso. Se fosse stato bene sarebbe di certo entrato nei primi cinque, perché lui è un corridore vero.

Ermakov, un russo in Friuli con idee chiare per sfondare

09.09.2024
5 min
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Nel suo racconto della vittoria a Capodarco, Filippo D’Aiuto non aveva mancato di far notare quanto sull’evoluzione della corsa avesse influito l’attacco di Roman Ermakov. Che il russo del CTF Victorious fosse in buona forma era chiaro e lo si è evinto nel weekend successivo, quando ha realizzato uno splendido uno-due a Kranj, conquistando soprattutto la classica della domenica, una delle prove più ambite nel vecchio mondo slavo. Un successo, con Baseggio e Balmer vanamente prodigati al suo inseguimento, che rilancia le ambizioni del giovane russo.

L’arrivo solitario di Ermakov a Kranj, dove aveva vinto anche il giorno prima
L’arrivo solitario di Ermakov a Kranj, dove aveva vinto anche il giorno prima

Al suo secondo anno in Friuli, Ermakov guarda già al futuro pur avendo una ventina d’anni, ma la scuola di ciclismo in casa CTF si sta rivelando fondamentale per la sua crescita e infatti è perfettamente conscio di aver fatto la scelta giusta.

«Mi piace l’atmosfera nella nostra squadra, l’approccio verso ogni corsa. Questi due anni stanno andando bene e spero che continuino sulla stessa lunghezza d’onda, magari con qualche vittoria in più…».

Il russo sul podio, fra Matteo Baseggio e l’elvetico Alexandre Balmer
Il russo sul podio, fra Matteo Baseggio e l’elvetico Alexandre Balmer
Com’è la vita per un ragazzo russo in Friuli, che cosa ti piace di più e di meno?

Qui la nazionalità non è un fattore – afferma con un pizzico di polemica legata alle sue origini – nessuno nella squadra ti guarda per dove vieni, ma per quello che sei. A tutti importa cosa c’è dentro di te, non della tua nazionalità e per me è importante. Quindi direi che la nazionalità non è sicuramente un fattore che influisce. Questo è ciò che mi piace di più, mi sono ambientato, anche se parlo molto poco italiano.

A Kranj hai ottenuto le prime vittorie ma già ti eri messo in evidenza nella stagione, per esempio a Capodarco: eri preoccupato per non riuscire a vincere?

No, non proprio. Ero abbastanza fiducioso che sarebbero arrivate le mie vittorie, solo che doveva venire il tempo. Ma non ho mai perso fiducia nelle mie qualità e nella mia forza, né la squadra mi ha fatto pesare qualcosa, anche nello staff erano convinti che il momento era maturo. E’ stata solo una questione di tempo e di pazienza.

Per Roman è il secondo anno nel CTF, dove si sente pienamente a suo agio, come anche nella vita in Friuli
Per Roman è il secondo anno nel CTF, dove si sente pienamente a suo agio, come anche nella vita in Friuli
Di te avevamo già parlato ai tempi del Cannibal Team, come ti eri trovato in quella squadra junior con tante nazionalità?

Penso che il team Cannibal sia probabilmente il posto migliore in cui far crescere gli juniores perché il loro approccio è qualcosa di un altro pianeta. Il modo in cui il direttivo e i ragazzi principali dello staff gestiscono il team è di un altro livello rispetto agli altri, qualcosa che si avvicina molto ai professionisti e ti permette di crescere avendo già un assaggio di quel che sarà. Quindi il loro approccio secondo me è il migliore possibile che si possa ottenere. Inoltre è ancora meglio avere così tante nazionalità nel team, proprio per entrare nel pieno di questo mondo così variegato. A quel tempo, mi piaceva molto.

Rispetto alle corse che facevi da junior, quali differenze hai trovato e quanto è cresciuto il livello?

Beh, di sicuro è cresciuto, ma non saprei definire nello specifico cosa è cambiato esattamente. Le gare sono ancora gare, solo che stiamo facendo più chilometri ora, disputiamo gare a tappe più lunghe, ora abbiamo un sacco di salite e tutto il resto. Da juniores non avevamo questo, quindi probabilmente questa è la differenza maggiore.

Ermakov (a sinistra) ai tempi del Cannibal Team, dove conviveva con corridori di altre 16 nazionalità
Ermakov (a sinistra) ai tempi del Cannibal Team, dove conviveva con corridori di altre 16 nazionalità
Che tipo di corridore sei?

Probabilmente direi che sono più versatile e questo è cambiato rispetto al passato. Riesco ad affrontare alcune salite piuttosto bene. Riesco a spingere molto in pianura e soprattutto mi piace essere in fuga.

Ora quali sono i tuoi obiettivi?

Faccio ogni gara nel miglior modo possibile, aiutando la squadra a fare qualcosa d’importante, se sarò io a finalizzare meglio ancora, ma questo si decide volta per volta. Siamo davvero molto vicini alla fine di questa stagione e voglio sfruttare ogni occasione.

Per Ermakov una stagione sempre in crescita dopo un inizio in sordina
Per Ermakov una stagione sempre in crescita dopo un inizio in sordina
Che cosa significherebbe per te entrare nel Bahrain Victorious?

Tutti hanno questo sogno di unirsi al mondo dei professionisti. Per me è il riferimento perché siamo la loro squadra satellite. Penso che sia una speranza per tutti. Io spero di unirmi ai grandi prima possibile, perché sono curioso di vedere dove finiremo e dove mi porterà questa strada…