Spalla a spalla con Jonas Vingegaard. La lunga carriera di Diego Ulissi si fregia anche di questo particolare, in un Giro di Polonia vissuto da assoluto protagonista, lottando alla pari con il danese uscito rinvigorito dal Tour de France. Chi conosce il toscano sa che è solo un ulteriore capitolo di una carriera tanto lunga quanto luminosa, ancora lungi dallo scrivere le ultime parole.
Ulissi, uomo vincente in ogni anno della sua lunga storia, è davvero un esempio, ancor di più nel ciclismo italiano di oggi che fatica enormemente a ritagliarsi i suoi spazi. Ma Diego non è uomo da vantarsi, anche il suo Giro di Polonia è una delle tante avventure vissute.
«Sapevo che bisognava partire bene – racconta – nelle prime tappe si faceva il 90 per cento della classifica. Nei primi due arrivi sono rimasto sempre fra i primi, nel terzo ho chiuso secondo dietro Nys ed ero alle spalle di Vingegaard che aveva già costruito la sua leadership a cronometro, a quel punto era pura gestione. Il secondo posto finale era il massimo risultato possibile, il danese ha sempre fatto buona guardia».
Colpisce però il fatto che ti sia anche avvinato a lui, chiudendo a 13”…
Il Polonia è una corsa a tappe un po’ atipica, con tante frazioni impegnative ma senza salite lunghe. Lui ha fatto la differenza nella seconda frazione, a cronometro, poi ha sempre gestito. Io ho lavorato sugli abbuoni e sfruttato un tracciato che in generale mi si addiceva, ma è chiaro che con una salita più lunga e dura, il vantaggio di Jonas sarebbe stato maggiore.
Quel che colpisce è la tua costanza di rendimento. In 53 giorni di gara sei finito fra i primi 10 ben 31 volte comprese tre vittorie. Numeri da big, da quella ristretta fascia di corridori appena al di sotto dei “magnifici sei”…
La costanza è sempre stata una mia caratteristica, è grazie a essa che riesco sempre a finire l’anno nelle posizioni alte del ranking. Dopo il Giro d’Ungheria mi sono preso un mese di stop perché non stavo bene, non respiravo bene, ma quella sosta mi ha consentito di tirare il fiato e riprogrammare tutta la mia stagione.
Come ti gestisci durante il riposo?
Ormai ho anni e anni di esperienza alle mie spalle. Ad esempio sono refrattario ai periodi di allenamento in altura, a me non hanno mai dato grande giovamento, la faccio solo all’inizio con tutto il team. Preferisco lavorare alla maniera solita, seguendo le tabelle a casa mia. Praticamente mi alleno correndo, come si faceva una volta. I risultati mi pare che dicano che faccio bene…
Tu però anche a 35 anni sei lì che combatti, lotti con i primissimi, anche con i big. Perché gli italiani più giovani non ci riescono?
Difficile a dirsi, se lo sapessi potremmo dire che la crisi che stiamo attraversando sarebbe risolta… I risultati non arrivano a caso, ci vogliono doti. Io dico che di giovani validi ne abbiamo e ne continuiamo a sfornare, ma serve tempo, ognuno ha il suo per maturare ed emergere. Non tutti si chiamano Pogacar o Evenepoel. Io qualche anno di esperienza sulle spalle ce l’ho e vedo che oggi è più difficile emergere perché il livello è altissimo e le squadre sono costruite in maniera diversa, con tutti corridori che hanno nelle corde il colpo.
Questo cosa significa?
Prendi la mia squadra, la Uae. Dovunque andiamo, quando non c’è Tadej, ci sono almeno 4-5 capitani, poi in corsa si decide per chi si corre in base a tanti fattori: percorso, condizione del giorno, evoluzione della corsa… Un giovane italiano che approda in un team WT deve andare veramente forte per scalare le gerarchie e guadagnarsi fiducia. Bisogna fare le cose per gradi, io dico che se lavoreranno bene verrà anche il momento buono e dovranno essere pronti a sfruttarlo.
E’ pur vero però che, pur non considerando i super, ci sono tanti corridori giovani da ogni nazione che sono sempre lì a lottare per la vittoria, i nostri spesso si vedono nelle prime fasi delle corse, nelle fughe, ma poi?
Attenzione, quando parliamo di giovani, io dico sempre che noi valutiamo un ciclismo preso sull’immediatezza, ma quanti di questi corridori riusciranno a tirare avanti, ad avere carriere lunghe, ad arrivare alla mia età? Solo il tempo ci dirà se c’è un prezzo da pagare in termini di durata delle carriere. E’ vero, oggi guardiamo le corse e sembra che i talenti siano solo fuori dai nostri confini ma non è così, ci sono anche da noi ed emergeranno. Il ciclismo è fatto di fasi storiche, tra qualche anno magari saremo noi a gioire.
E’ un discorso anche caratteriale?
Sicuramente, forse preponderante. Tanti di quei giovani stranieri di cui prima li vedi correre senza paura, con una grande voglia di emergere. E’ quella che in primis un corridore deve avere, pensando che il contratto da professionista è un punto di partenza e non di arrivo. Poi è chiaro che dipende tutto dalle gambe…
Torniamo a te. E ora?
Dopo Plouay seguirò tutto il calendario italiano, fino al Lombardia, intanto valuterò che cosa fare, se rimanere alla Uae o no. Io voglio continuare per almeno un paio d’anni, vediamo dove e come.