Con Bartoli nelle Fiandre: Scinto, ti ricordi?

25.03.2021
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C’erano giorni che Scinto non vedeva l’ora di andare alle corse, perché allenarsi con Bartoli per il Fiandre era troppo pesante. Il periodo era più o meno questo, con la Sanremo alle spalle e davanti la trasferta del Nord. Erano gli anni 90, il ciclismo italiano aveva grandi squadre e grandi campioni anche per le pietre. E quando si andava al Nord con certi nomi – Bartoli e Ballerini, Tafi e Bortolami, Zanini e Baldato – si veniva guardati con rispetto.

In azione nel Fiandre vinto nel 1996, assieme a Tchmil
In azione nel Fiandre vinto nel 1996, assieme a Tchmil

«Ma Bartoli era davvero un fuoriclasse – ricorda Scinto – con un motore impressionante. Era nato per vincere e andare forte. Gli veniva tutto facile. Ha vinto tanto, ma avrebbe meritato di vincere tanto di più. Con lui ci si preparava prima per il Fiandre e poi per le Ardenne. E non so quale parte del lavoro fosse peggio, forse però quella della Liegi. Io lo dico sul serio: in corsa mi riposavo!».

Un cappuccino a Pasqua

Un anno riuscirono a passare la Pasqua a casa e gli parve strano. Il tempo era traballante, come fa a marzo quando non si decide ancora a passare dall’inverno alla primavera.

Vince al terzo Fiandre, dopo un 41° e un 7° posto
Vince al terzo Fiandre, dopo un 41° e un 7° posto

«Avevo la tavola apparecchiata – ricorda Scinto – con mia madre e altri parenti, quando intorno all’una esce uno spicchio di sole e squilla il telefono. Fu un tutt’uno. Era Michele e mi disse di andare fuori in bici. Lasciai tutti lì. Partimmo, dando appuntamento alle mogli a Forte dei Marmi per le cinque del pomeriggio. Le aspettammo prendendo un cappuccino al bar, mentre il tipo ci guardava pensando che fossimo matti. Un cappuccino alle cinque di pomeriggio del giorno di Pasqua. Poi quando arrivarono le mogli, facemmo dietro macchina fino a casa, dove arrivammo col buio dopo 190 chilometri. Si poteva pensare che fossimo matti, ma pochi giorni dopo Michele vinse la Freccia Vallone».

Gregario e amico

Partivano la mattina e andavano a cercarsi gli strappi che più somigliavano a quelli della prima corsa. Verso Lucca c’erano quei due o tre in pavé che venivano bene per il Fiandre, mentre quelli asfaltati erano più lunghi e si trovavano dovunque.

Quarto al Fiandre del 1999 vinto da Van Petegem
Quarto al Fiandre del 1999 vinto da Van Petegem

« Avere in corsa un corridore come me – racconta Scinto – per Michele era importante, perché psicologicamente gli davo lo stimolo che serviva. In una Liegi in maglia Asics, voleva fermarsi per l’allergia. Eravamo fissi in fondo al gruppo e io gli dicevo che non poteva mollare, che non eravamo al circuito di Poggio alla Cavalla. Finì che io tirai fino all’imbocco della Redoute, poi toccò a Coppolillo e Bettini e alla fine Michele andò via e vinse la Liegi. Io mi rialzai e lui alla fine fece un regalo a tutti e a me ne fece uno supplementare. Erano gesti che ripagavano di ogni sacrificio. Ma io gli stavo sempre accanto. Lo riparavo dal vento laterale, lo pungolavo, gli portavo l’acqua. Un anno al Fiandre, sul muro prima del Grammont, disse che gli era caduto l’Extran. Andai alla macchina e poi mi toccò risalire il gruppo, ma gli portai i suoi zuccheri a 35 chilometri dall’arrivo. Glieli diedi e mi staccai. Lo conoscevo, sapevo come prenderlo. Era un modo di fare ciclismo che si dovrebbe insegnare anche oggi, perché corridori che fanno il lavoro sporco ce ne sono pochi. E sono pochi anche i campioni come lui…».