Il 15 maggio arriverà nelle librerie “Un primo, sessanta secondi”, viaggio intimo e sorprendente nella vita e nella carriera di Giovanni Visconti. Un percorso letterario che inizia dal momento drammatico e catartico del ritiro e poi torna alle origini in Sicilia, in un mondo che per tanti lettori risulterà lontano e inaspettato (in apertura, il siciliano con i genitori Rosi e Nino alla Coppa Sabatini del 2006, vinta in maglia Milram).
Quello che segue è un piccolo estratto: il terzo capitolo che racconta gli esordi da ciclista, con la regia e la preparazione rigida gestita dal padre Antonino. Il corridore bambino. Il libro, scritto a quattro mani con Enzo Vicennati, è pubblicato da Mulatero Editore e fa parte della collana Pagine Al Vento.
Il corridore bambino
La vita da corridore in Sicilia, che poi da bambini è anche sbagliato chiamarla così, dovrebbe essere un gioco, ma per me non lo è mai stato. E’ piuttosto una guerra tra genitori. Non dico solo tra mio padre e mio zio: quella si potrebbe anche capire. Io e mio cugino Agostino siamo compagni di squadra, ma anche avversari e a vincere è sempre lui. Io arrivo secondo, è una rivalità che sento proprio tanto. Proprio per questo, quello da giovanissimo è uno dei periodi più duri della mia vita. Se non altro, a livello di fatica.
Primo perché non mi vivo niente dell’infanzia e poi dell’adolescenza, ma niente davvero. Secondo perché faccio davvero tanta fatica. Mi alleno tutti i giorni: non come un giovanissimo, ma come se fossi uno junior. E non mi alleno solo in bici. C’è la palestra, c’è la piscina, c’è la corsa a piedi e c’è anche il ciclocross… Mischio tutto, non sto mai fermo.
Mi allena mio padre e la sera arrivo a casa stravolto. Mio cugino è fortissimo. Siamo due bambini della stessa età, ma lui è più sviluppato, anche muscolarmente. Usciamo da scuola, mangiamo qualcosa e ci portano su quello stradone a Brancaccio che fa una specie di cerchio, in cui si può pedalare fuori dal traffico e dove possiamo sentirci un po’ più liberi.
Mio cugino Agostino
Quando sono in bici con mio cugino, anche se abbiamo 8-9 anni, a meno di 30 all’ora non si va, con i nostri rapportini e tutte quelle pedalate. La fatica che faccio per stare con lui è pazzesca. E la fatica diventa stress mentale: già da bambino sono pieno di paure. Per cui la domenica corro, do sempre il massimo e dopo le gare vomito sempre, sempre, sempre. Non c’è una gara in cui io non vomiti.
Insomma, è dura per entrambi, ma io forse faccio uno sforzo superiore a quello che sono in grado di sostenere. In più mi pesa, perché so che c’è questa lotta tra i genitori. Ho paura di arrivare secondo, la paura di perdere e di vedere anche mio padre sempre un gradino sotto… Sicuramente tutte queste cose compongono un quadro impegnativo per un bambino come me. Una questione fisica e poi anche di testa.
Fra me e Agostino c’è un bel rapporto. In quei periodi si usa stare parecchio in famiglia. Non dico tutte le sere, ma i fine settimana siamo sempre da mia nonna Orsola giù al fiume. Chiamiamo così la sua casa perché effettivamente abita vicino al corso dell’Oreto. Andiamo da lei e ceniamo tutti insieme. Siamo in tanti, tra nipoti e i vari parenti.
Con Agostino giochiamo e facciamo di tutto, tranne che parlare di bici. Da più piccoli abbiamo giocato con le macchinine nella terra, ma ora che siamo più grandi diamo calci al pallone, anche se poi arrivano i nostri padri, si immischiano e rompono le scatole: non si può giocare, dicono, perché fa male alle gambe. Ci controllano nel mangiare, soprattutto mio zio nei confronti di mio cugino. Mi ricordo che tante volte se Agostino vuole mangiare un dolcino, deve farlo di nascosto. Mio padre è un po’ meno duro, però quando sono lì e c’è zio Angelo, anch’io mi sento di dover fare le sue stesse cose.
Fatica e vomito
Non credo però che mio cugino vinca di più per la vita che fa. E’ semplicemente più forte. Io ci metto più tempo a sviluppare muscolarmente. Sono proprio un bimbetto e nei bambini la differenza la fa lo sviluppo: sarò così fino ai dilettanti. In più, lui fa anche tanta fatica negli allenamenti. La stessa mia, però con quel fisico così sviluppato vale doppio. Quindi per arrivare semplicemente con lui in volata e fare secondo o terzo, muoio ogni volta e vomito, mentre lui vince facile.
Comunque, dopo tanti di questi episodi nei giovanissimi, mio padre mi porta a fare una visita. Andiamo vicino allo stadio di Palermo e questo dottore, in tutta tranquillità, gli dice che evidentemente non sono in grado di sostenere certi sforzi e che è meglio mollare. Fare ciclismo come sport va bene, ma in tranquillità e basta. Dice che secondo lui non ci sono rimedi, è solo che io non ce la faccio. Così continuo a vomitare, finché passa da sé. Probabilmente è tutto legato allo sviluppo, ai mega sforzi, alla fatica per seguire mio cugino e a quello stress psicologico, perché poi di colpo passa da sé. Invece Agostino continua a vincere, anche se pure lui soffre questa rivalità tra genitori e lo stress che c’è sin da bambino.
In qualche modo sento che a me tutto questo serve. Ogni santa domenica, devo cercare quantomeno di arrivare in volata con lui e alla fine diventa il mio stimolo. Agostino è un tipo introverso, sembra un duro, ma in realtà è cattivo solo quando sale sulla bici e si trasforma.
La settimana tipo
La settimana tipo non esiste, esiste la vita tipo. Fissa, continua, sempre quella. Cambia solo in base ai periodi. Magari se siamo in inverno, mio padre mi porta su a Pioppo: un paesino sopra Monreale, per camminare in salita. Salite ripide e pareti spelacchiate. Da quelle parti le montagne sono parecchio scoperte, non ci sono boschi e sono il terreno delle mie camminate avanti e indietro. Quando torno, vado in bici e poi in palestra. Però prima di entrare, mio padre mi dice di fare 2 chilometri di corsetta a piedi.
Sono sempre un bambino di 9 anni, ma non fa niente. Due chilometri, una ventina di minuti a piedi. Pam, pam, pam. Torno. Vado in palestra per un’ora e poi passo subito in piscina al piano di sotto. Faccio 40 minuti di nuoto, 80 vasche. E così arriva la sera. Alle 20,30 sono a casa e tutte le sere mi metto a tavola, così morto che non ce la faccio a versarmi l’acqua. E allora chiedo a mia madre, che mi guarda e non dice niente: «Ma’, mi dai l’acqua?». Ce l’ho davanti al naso, ma non riesco a prenderla…
Mia sorella Ursula
Mia sorella non è gelosa, non c’è mai stato questo tipo di problema a casa mia. Sin da bambina, Ursula ha la testa sullo studio e nel suo mondo. A volte anche lei mi prende in giro, perché sembro viziato. Ed effettivamente lo sono, perché ogni giorno sono stanco morto e non muovo un dito. Però lo stesso, mi aiuta a fare i compiti, perché io non ho tempo e mio padre le chiede di darmi una mano.
In qualche modo certi giorni la aiuto anche io con lo studio. Mi metto disteso sul divano con la testa sulle sue gambe, lei mi fa le carezze, mi tira indietro i capelli, io mi rilasso e intanto mi ripete la sua lezione. Non c’è mai stata gelosia, perché Ursula è più grande e ben più matura di me. Si rende conto della fatica che faccio e magari pensa che per me possa essere la strada giusta per un futuro diverso.