Modolo Vuelta Espana 2021

Modolo: «Riparto dalla Vuelta con un nuovo ruolo»

07.09.2021
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E’ stata una Vuelta travagliata, quella di Sacha Modolo e forse non poteva essere altrimenti, visto che il corridore di Conegliano veniva da mesi davvero travagliati. Lo avevamo lasciato in primavera alle prese con grossi guai a un ginocchio che gli avevano precluso il Giro d’Italia, per questo ritrovarlo alla Vuelta è stato già un bel risultato. Ogni tappa però diventava sempre più pesante, tanto che dopo la corsa era una fatica anche rispondere alle chiamate e controllare i social, ma fa parte del gioco. Quando però sei costretto a mollare a due tappe dalla fine, un po’ di rammarico c’è, per non dire altro…

Sono passati un paio di giorni dalla fine dell’avventura, ma la delusione nel cuore del corridore dell’Alpecin Fenix è ancora tanta: «Venerdì ho vissuto la classica giornata no, mi sentivo stanchissimo già dal mattino appena sveglio, non avevo recuperato dallo sforzo del giorno prima, quando comunque ero riuscito a salvarmi. Lì invece sono rimasto subito solo, con oltre 20 chilometri di salita davanti, non avevo speranze. Chi mi conosce sa che non rinuncio se proprio non sono costretto, ma rientrare nel tempo massimo era impossibile, si era spenta la luce».

Modolo crono 2021
Sacha Modolo è nato a Conegliano il 19 giugno 1987. E’ all’Alpecin Fenix dallo scorso anno
Modolo crono 2021
Sacha Modolo è nato a Conegliano il 19 giugno 1987. E’ all’Alpecin Fenix dallo scorso anno
Un peccato perché eri ormai arrivato alla fine e dopo tutto quel che avevi passato non era per nulla scontato…

Infatti mi dispiace perché ci tenevo a finirla, per chiudere tre settimane che nel complesso mi avevano dato soddisfazione. Avevo iniziato con evidenti difficoltà, mi staccavo quasi subito, ma sentivo con i giorni che passavano che la condizione stava arrivando, tenevo anche in salita, ero davvero soddisfatto. L’ho detto, è stata una giornata no, il fisico non aveva recuperato, evidentemente gli anni che passano si fanno sentire…

Come giudichi nel complesso la tua Vuelta?

Positiva, le soddisfazioni non sono mancate. Quando sono stato convocato mi hanno chiesto di lavorare per Jasper Philipsen, fargli da ultimo uomo e già al secondo giorno è arrivata la vittoria. Ero felice come se avessi vinto io, perché non avevo mai interpretato quel ruolo. Alla fine ha vinto due volte, in squadra erano molto soddisfatti di come sono andate le cose e di come abbiamo lavorato.

Potrebbe essere questo il tuo nuovo ruolo?

Direi proprio di sì: ho 34 anni, ho avuto le mie gioie personali, ma chiaramente devo fare i conti con il tempo che passa, penso però di poter ancora dire qualcosa in aiuto di un altro velocista, diciamo che la Vuelta mi ha aperto nuove prospettive.

Modolo Philipsen 2021
L’entusiasmo in casa Alpecin per la prima delle due vittorie di Philipsen alla Vuelta
Modolo Philipsen 2021
L’entusiasmo in casa Alpecin per la prima delle due vittorie di Philipsen alla Vuelta
Il ginocchio come va?

Bene, considerando che tra una cosa e l’altra mi ha costretto a un’inattività di oltre 6 mesi. Avevo ripreso la bici in mano a due settimane dai campionati Italiani, giusto per rientrare in gruppo. Poi il Giro di Vallonia e la Vuelta a Burgos sono serviti per riabituarmi alle gare, sentivo che la condizione era in crescita e sono fiducioso per il prosieguo della stagione. Infatti i vertici della società mi hanno già convocato per il Giro del Lussemburgo.

Sai già che intenzioni hanno all’Alpecin per il 2022?

No, ma sono stato io che ho evitato di affrontare l’argomento. Per poter parlare del 2022 devo prima correre, far parlare i fatti. Sicuramente l’andamento della Vuelta, il lavoro svolto per Philipsen sono punti a mio favore, staremo a vedere, anche perché ho molta fiducia nei dirigenti.

Ti hanno messo fretta durante il periodo dell’infortunio?

Assolutamente no, anzi. Lo scorso anno, nei lunghi mesi del lockdown gli stipendi sono comunque arrivati puntuali e lo stesso nei mesi nei quali sono stato costretto a stare fermo. Si sono dimostrate persone corrette, anche per questo vorrei rimanere, è un bell’ambiente.

Modolo Algarve 2020
L’ultimo podio di Sacha Modolo, alla Vuelta ao Algarve 2020, terza tappa, secondo dietro Cees Bol
L’ultimo podio di Sacha Modolo, alla Vuelta ao Algarve 2020, terza tappa, secondo dietro Cees Bol
Tu eri il più anziano della squadra: che cosa ti dicevano gli altri del team?

Non mi trattavano come il “grande vecchio”, siamo tutti amici, è vero però che all’inizio molti erano timorosi nell’affrontare una corsa di tre settimane e chiedevano consiglio a me che ne ho affrontate 12 concludendone la metà. Mi faceva un certo effetto tranquillizzarli, mi piace poter trasmettere qualcosa a chi ha molti meno anni in questo circo.

Hai lavorato per Philipsen: come ti sei trovato a fargli da “pilota”?

Benissimo, devo dire che è un velocista un po’ com’ero io alla sua età. Lavora tanto, tiene bene in salita e soprattutto ha una gran fame di successi. Devo dire che con il suo entusiasmo ha contagiato anche me…

Rotonde nel finale, la Deceuninck attacca e Senechal vince

27.08.2021
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Anche quando deve esserci una volata (e questa c’è) nulla è scontato alla Vuelta. La tappa 13 arrivava a Villanueva de la Serena. Era la frazione più lunga con i suoi quasi 204 chilometri. Non era difficile altimetricamente, ma come si dice: la corsa la fanno i corridori. Velocità elevata, un po’ di vento e 13 giorni di gare nelle gambe iniziano ad essere un bel po’ per rendere il finale incerto. Se a tutto ciò ci si mette un arrivo tecnico, con rotonde, curve, la Deceuninck – Quick Step in gara e Davide Bramati in ammiraglia lo show è assicurato!

Anche oggi tappa corsa a ritmi folli. E il vento ha creato anche molti ventagli
Anche oggi tappa corsa a ritmi folli. E il vento ha creato anche molti ventagli

Capolavoro Deceuninck

«Eh ragazzi: ritmo elevato, finale con le rotonde… se metti la squadra davanti e la fai tirare forte il gruppo si spacca e quando perdi 10 metri in quei momenti poi è tosta chiudere – dice Bramati – senza contare che c’è stanchezza in gruppo. Anche prima c’era stato vento. L’abbiamo studiata bene stamattina sul bus. Abbiamo visto che c’erano queste insidie e abbiamo deciso di fare così. Lo abbiamo potuto fare anche perché i ragazzi stanno bene, la squadra si sta bene comportando.

«Senechal capitano? No, l’ultimo uomo era Fabio Jakobsen ma non so cosa sia successo e perché si sia spostato. Non ci ho ancora parlato perché era alla premiazione della maglia verde. Florian era l’uomo che avrebbe dovuto lanciare Fabio, ma a quel punto è diventato colui che ha fatto lo sprint. Hanno fatto tutto i ragazzi. Perché Fabio si è spostato che mancava circa un chilometro. Dall’ammiraglia con la tv sei una decina di secondi dietro e quindi neanche puoi dirgli nulla. Stybar, che ha gestito la situazione inaspettata, ha fatto un lavoro eccezionale. E lo stesso Van Lerberghe. Ma sono stati bravi tutti. Anche Bagioli, a portarli con quella velocità tra le rotonde».

Una volta staccatosi, Jakobsen è arrivato al traguardo in scioltezza
Una volta staccatosi, Jakobsen è arrivato al traguardo in scioltezza

L’occhio del velocista

E dall’occhio del diesse passiamo a quello del velocista, tra l’altro di un collega in attività, Jakub Mareczko. Il corridore della Vini Zabù si trova in Belgio per correre alcune classiche e non si è perso lo sprint spagnolo.

«Eh – commenta Kuba – è la Deceuninck! In queste situazioni fanno la differenza. Perché tutti vanno a tutta ma loro restano uniti. Ai meno due erano ancora in cinque. Hanno fatto un ritmo pazzesco. Si è staccato anche Jakobsen! Che tra l’altro ha fatto un bel buco. Saranno andati a 65 all’ora… con quelle rotonde è normale che si rompa il gruppo.

«Posso assicurarvi che non è facile fare queste azioni: serve tanta gamba (e anche pelo sullo stomaco, ndr). Magari dalla Tv sembra lo sia, ma non è così. Loro ai -3 avevano davanti ancora Cerny, che l’anno scorso correva con me, ed è uno che tira da lontano. Ognuno di loro ha svolto al meglio il proprio ruolo».

Ancora Trentin e Dainese

Ma dal capolavoro della Deceuninck, passiamo poi a parlare del “resto del mondo”. E qui troviamo, come ieri, parecchia Italia. E di nuovo Matteo Trentin, secondo.

«Che poi quando è così – continua Kuba – diventa difficile anche per gli altri velocisti. Anche se stanno bene. Perché se non hanno una squadra che li tiene davanti fanno fatica, prendono aria e si stancano o si staccano. Piuttosto peccato per Trentin. E’ stato bravo a rimanere davanti. Si sarebbe potuto togliere una bella soddisfazione ma Senenchal lo ha proprio battuto». E qui si torna alla questione dell’importanza della squadra, proprio come sottolineava Mareczko. Trentin era solo.

«E bravo anche Dainese (terzo, ndr). Come fanno le volate loro due? Beh, non ho fatto molti sprint contro di loro. Matteo, che tiene molto bene anche in salita, va più in progressione e più o meno la stessa cosa vale per Dainese. Con lui facemmo una volata in Ungheria. L’arrivo tirava un po’ e scappò via facendo secondo vinse un Bora».

Mareczko intanto si appresta ad andare a cena. Dice di avvertire un po’ la mancanza del ritmo gara. L’aver corso poco dal periodo post Giro si sente. Anche al Danimarca si è scontrato con gente che usciva dal Tour. Tuttavia è fiducioso in vista del bel bottino di gare che verranno. A cominciare dalla Brussels Classic di domani, anche se è previsto due volte il Grammont.

A Cordoba va a segno Cort, ma Trentin batte un colpo

26.08.2021
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Cordoba è una delle perle dell’Andalusia: case bianche con porte e finestre colorate di giallo e un passato glorioso testimoniato dalle tante diverse architetture ne fanno un vero gioiello del Sud della Spagna. E la Mezquita ne è il suo simbolo. Il suo riassunto. Questa struttura al centro della città mescola l’architettura islamica con quella cristiana. In qualche modo quindi Cordoba è stata abituata alle invasioni, solo che di solito venivano dall’Italia (i romani) o da oriente (i saraceni), e non dalla Danimarca! E sì perché oggi l’ha spuntata, con merito, quel Magnus Cort Nielsen che tanto era piaciuto ieri a Riccardo Magrini, il quale bisogna dirlo, ci aveva visto lungo.

Il danese ha faticato un po’ sull’ultimo Gpm, ma poi ha tenuto, è rimasto col gruppo (orfano dei velocisti puri) e ha scaricato a terra tutti i suoi cavalli. Vincendo così la sua terza tappa alla Vuelta (le altre nel 2020 e nel 2016).

Ciccone e la sua grinta

Tuttavia questa tappa qualcosa ha detto. Ha detto che l’Italia, seppur a fatica, vuole esserci. Chi per un obiettivo chi per un altro i nostri ci hanno provato. Giulio Ciccone, ha deciso di battere un colpo. Bardet era avanti e ha colto l’occasione di riprenderlo per tentare di fare come i saraceni e conquistare Cordoba. Ci era quasi riuscito, ma lui Bardet e i compagni di fuga, non avevano fatto i conti con il gruppo.

La BikeExchange e la UAE, rispettivamente per Matthews (terzo) e Trentin (quarto), hanno chiuso un gap che a quattro chilometri dal termine sembrava incolmabile. Ma degli scalatori come loro nulla potevano contro i pesi massimi. Cicco sta cercando di portare qualcosa a casa in questa sua prima occasione da leader. Ma non è facile ed è giusto che ci provi in queste occasioni. Infatti, per ora almeno, in salita non ha possibilità contro Roglic e company. E stando in classifica (è 12°) non ha spazio per andare in fuga.

«E’ stato un attacco ponderato perché potevano esserci chance. E così è stato: lo dimostra il fatto che dietro si sono dannati per riprenderci. Con un pizzico di fortuna poteva finire diversamente, ma allo stesso tempo sono contento perché ho ritrovato un po’ di fiducia e sensazioni migliori».

Lo sprint con Cort e Bagioli al centro e Trentin sulla destra che molla nel finale
Trentin sulla destra che molla nel finale dello sprint

Trentin, un passo per volta

E poi c’è Matteo Trentin. Il trentino è in crescita e questa è la notizia più bella.

«Le sensazioni sono buone, il risultato meno – dice Trentin – Oggi ci è stato chi è stato più bravo di noi. La EF ha fatto un capolavoro nel finale. Sono partiti fortissimo e con un tempismo eccezionale. Una volata da manuale che infatti ha tagliato fuori la BikeExchange. Io mi sono rialzato perché vedevo che tanto non riuscivo a passare Matthews e dietro c’era il buco».

Certo che non è facile per Trentin lottare con gente che forse ha più fondo e già almeno un grande Giro nelle gambe. Lui però non cerca scuse.

«No, no… mi sono allenato per questo obiettivo e il non aver fatto grandi Giri non incide. Questo era il programma. Oggi volevo vincere. Era una buona occasione. Una tappa dura nel finale e infatti davanti eravamo rimasti 50 corridori di cui 48 scalatori (il riferimento ai due mancanti è a lui stesso e a Matthews, ndr), segno la gamba è buona.

«Che voto mi dò sin qui? Beh, senza voto direi. Alla fine ho avuto solo due tappe veramente adatte a me. In una ho fatto ottavo e ho preso la volata dalla quarantesima posizione, e in una ho fatto quarto. Oggi in particolare, poteva essere buona, per questo ho messo la squadra a tirare. Però non era quello che volevo sin qui. Ma sono fiducioso, la condizione è in crescita e la gamba c’è. Sto correndo questa Vuelta pensando alla gara stessa, ma anche all’europeo (al quale Matteo tiene tantissimo, ndr) e al mondiale che c’è subito dopo. C’è da tenere un po’ di più in qualche tappa intermedia per migliorare ancora. Poi in quelle dure per davvero chiaramente si mettono i remi in barca. E nelle altre si prova a fare qualcosa».

Lo spirito è quello giusto, la determinazione non manca. Da qui all’Europeo ci sono altre due settimane abbondanti per riempire la gamba.

A Cordoba, Bagioli (Deceunick-Quick Step) è secondo al colpo di reni
A Cordoba, Bagioli (Deceunick-Quick Step) è secondo al colpo di reni

Bagioli, che corridore!

Ma se Ciccone ci provava per far vedere che era tra i grandi e Trentin per uscire dal lungo periodo difficile e battere un colpo in ottica iridata, Andrea Bagioli ci ha provato e basta. Per lui la situazione è molto più leggera. Che dire: bravo, bravissimo. Un combattente, una classe come pochi. Viene da mordersi le unghie per quella caduta al Laigueglia. Che stagione ci avrebbe regalato? Cosa avrebbe combinato al Giro? L’età è dalla sua e avrà tutto il tempo, a partire da questa Vuelta, per provarci ancora.

La cosa bella di questo ragazzo è che va forte un po’ su tutti i terreni. E il fatto che si butti in volata (e sia veloce) è fondamentale per il ciclismo moderno. Oggi ha perso al colpo di reni contro un atleta che è ben più maturo di lui e soprattutto che ha ben altra stazza. E non è poco.

Landa Vuelta 2021

EDITORIALE/Meno male che c’è Landa…

23.08.2021
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Geraint Thomas è l’eccezione che probabilmente conferma la regola. Dopo una vita di piazzamenti e cadute, senza mai un podio in un grande Giro, nel 2018 s’è svegliato e ha vinto il Tour, arrivando secondo l’anno dopo. E basta, come se fosse poco! Detto di uno che è nato pistard (due ori olimpici e tre mondiali), si tratta ovviamente di una grande impresa, ma accende la luce sull’argomento che ci si è proposto davanti agli occhi ieri con la crisi di Mikel Landa (nella foto di apertura) sull’Alto de Velefique alla Vuelta.

Non è per niente facile essere capitano, pertanto questo discorso che nasce come un’apparente critica farà il giro largo per dimostrare l’opposto. Non vuole essere una mancanza di rispetto per il basco al quale auguriamo di risollevarsi e vincere la Vuelta. Dopo la caduta del Giro ha avuto le sue ossa da aggiustare e ritrovare la condizione alla ripresa da un infortunio non è affatto semplice. Tuttavia la storia è emblematica.

Landa ha fatto le cose migliori quando era più giovane e correva senza grosse responsabilità con l’Astana. Scattava. Vinceva. Masticava amaro quando gli toccava frenare per aspettare Aru. Però così facendo ha portato a casa l’unico podio in un Giro, quello italiano del 2015, dietro Contador e appunto Aru.

Thomas Tour 2018
Geraint Thomas in maglia gialla: uno dei pochi vincitori estemporanei in un grande Giro nel ciclismo d’oggi
Thomas Tour 2018
Geraint Thomas in maglia gialla: uno dei pochi vincitori estemporanei in un grande Giro nel ciclismo d’oggi

Landa e quel “treno” ormai passato…

A ben vedere, la stessa cosa è successa a Damiano Caruso, che al Giro c’è arrivato come gregario di Landa e, quando Mikel si è ritirato, ha potuto correre libero da pressioni, conquistando il secondo posto.

In questi casi, come è giusto che sia, il suo procuratore portò Landa al Team Sky e lì gli offrirono la chance di essere capitano al Giro. Lui arrivò a un soffio dall’impadronirsene, ma fu colto da malore e si ritirò mestamente sul più bello. Da quel momento, forse con eccesso di lungimiranza, la squadra britannica lo mise a tirare, avendo forse colto in lui altre stimmate. Desideroso di liberarsi dal giogo, dopo due anni Landa è passato alla Movistar di Quintana e Valverde: ambiente forse poco ospitale per uno che promette scintille e si ritrova con padroni di casa preoccupati che gli brucino il giardino.

Così anche nella squadra spagnola, non sono arrivati i risultati sperati. Il quarto posto al Giro, dovendo aiutare Carapaz, il sesto posto al Tour. Al Team Bahrain Victorious (allora Merida) lo volle Rod Ellingworth che con lui aveva lavorato a Sky e i risultati hanno parlato del quarto posto al Tour dello scorso anno e di una condizione stellare all’ultimo Giro d’Italia, vanificata tuttavia dalla caduta di Cattolica.

Chiappucci
Claudio Chiappucci,, con il suo coraggio alla ricerca dell’utopia, ha fatto innamorare gli italiani e non solo
Chiappucci
Claudio Chiappucci,, con il suo coraggio alla ricerca dell’utopia, ha fatto innamorare gli italiani e non solo

Viva coloro che almeno ci provano…

Quanti sono i corridori (ancora) in grado di vincere un grande Giro? Fra quelli in attività, si contano sulla punta delle dita. Sono quattro: Pogacar, Bernal, Roglic, Carapaz. Ci sarebbe Quintana, che però da un pezzo sembra aver rivisto le sue azioni al ribasso. Ci sarebbero Froome e Thomas, che potrebbero aver fatto il loro tempo. Altri che diano quale segno di concretezza crescono, pensiamo a Sivakov e Vlasov.

E poi ci sono quelli che ci provano. Landa, appunto, e anche Simon Yates. Quelli che quando ne parli, sui social si scatena la lapidazione. Su Landa, un commento ricevuto su Facebook continua a ronzarci nella testa: «Il protagonista annunciato. E continuate ad annunciarlo…».

Potremmo smettere di parlarne, in effetti, lasciarlo alla sua dimensione di Willy Coyote su ruote. Potremmo concentrarci soltanto su quei quattro e rassegnarci anche noi all’appiattimento. Invece alla fine, sapete una cosa? Continueremo a raccontare il coraggio di provarci. Lo stesso che rese Chiappucci un beniamino dei tifosi italiani. Neanche Claudio vinse mai un grande Giro, ma continuò a provarci fino all’ultimo. Meglio Landa che si mette in gioco rinunciando ai soldi… facili, di quelli che si nascondono sotto l’ombrello di un ottimo contratto e alle loro chance rinunciano in partenza. E poi volete mettere che bello il giorno che davvero Willy acchiapperà quel velocissimo Beep Beep?

Caro Jakobsen: è tutto vero! Adesso il cerchio è chiuso

17.08.2021
3 min
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Fabio Jakobsen è davvero forte, ragazzi! Un ragazzo in rampa di lancio, che subisce quel terribile incidente, riparte da zero e torna a vincere. Solo chi è grande dentro ci riesce. Vero, l’olandese era già tornato a vincere. Ma un conto è farlo al Tour de Wallonie e un conto è farlo alla Vuelta

La frazione odierna era molto ondulata. La Intermarché Wanty di Taramae ha controllato bene
La frazione odierna era molto ondulata. La Intermarché Wanty di Taramae ha controllato bene

Dalla Polonia alla Spagna

Oggi sull’arrivo di Molina de Aragón la volata non era affatto scontata. I velocisti se la sono dovuta sudare non poco. Ma se la Deceuninck-Quick Step mira a tenere la corsa chiusa… allora levatevi tutti! E infatti la vittoria è loro.

Jakobsen stesso torna subito sull’argomento. Dal Polonia 2020 in poi: «È un sogno che diventa realtà – ha detto il corridore della Deceuninck-QuickStep – Dopo l’incidente è stata una lunga strada per tornare. Sono felice di essere qui. Ci è voluto molto tempo e molta energia da parte di molte persone. E questa vittoria è anche la loro vittoria. Sto parlando dei medici, dei chirurghi, dell’équipe medica in Polonia e della mia seconda famiglia, la Deceuninck, dell’équipe e di tutto il resto. È anche la vittoria della mia famiglia, perché io ci sono per loro».

Jakobsen festeggia la sua vittoria a Molina de Aragòn, per lui è la terza vittoria di tappa alla Vuelta (ne aveva vinte due nel 2019)
Per Jakobsen è la terza vittoria di tappa alla Vuelta (ne aveva vinte due nel 2019)

Paura alle spalle…

In ogni caso, la paura non deve appartenere più a questo ragazzo. Nei primi sprint dopo il ritorno alle corse aveva ammesso che la prima cosa era ritrovare la lucidità e la scioltezza in volata, ma da come ha descritto il finale di oggi si può dire che Jakobsen sia più che lucido.

«È stato uno sprint molto lungo e durante il quale sono successe tante cose – ha detto Jakobsen – il problema è che tutte le squadre dei leader volevano stare davanti e quindi per noi c’era poco spazio. Poi ai -3 chilometri, come è scattata la neutralizzazione e loro hanno mollato un po’, abbiamo provato a prendere il comando. Prima Stybar mi ha messo intorno alla ventesima posizione, poi Bert van Lerberghe mi ha portato davanti. C’era una piccola curva a destra. Ho trovato la ruota di Demare era lui l’uomo da battere oggi (vero, ha fatto secondo, ndr). Ho spinto al massimo e alla fine l’ho passato. Ma non ero sicuro di farcela».

jakobsen
Con la vittoria di oggi, l’olandese balza in testa alla classifica a punti
Con la vittoria di oggi, l’olandese balza in testa alla classifica a punti

E spalle coperte di verde

La paura sarà anche alle spalle e il cerchio sembra essere definitivamente chiuso, ma adesso proprio quelle spalle sono ricoperte di verde. Il verde di chi indossa la maglia della classifica a punti. Jakobsen in salita tiene benino rispetto ad altri sprinter e visto che non deve correre pensando troppo al mondiale (i leader olandesi sembrano essere altri) può puntare forte anche sulla maglia fino alla fine. In più quest’anno in Spagna gli sprint non mancano.

L’avversario più pericoloso è Michael Matthews oggi sesto. L’australiano vorrà rifarsi del secondo posto, sempre in questa classifica, del Tour de France. E poi è un volpone. Ma Jakobsen ha dalla sua la squadra. Una squadra fortissima, che sa correre compatta ovunque. E che sa come portare il suo velocista al traguardo. Cavendish lo sa bene. E anche Matthews.

Modolo in Spagna per tornare a ruggire (e trovare un contratto)

12.08.2021
5 min
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Quando lo abbiamo raggiunto al telefono Sacha Modolo stava facendo le valigie per la Vuelta. «Ho il volo a breve». Il suo tono era squillante, nonostante il veneto venga da una stagione (ma sarebbe meglio dire tre) a dir poco complicata e, aggiungiamo, sfortunata.

Eppure il corridore della Alpecin-Fenix non si è perso d’animo e ha continuato a lavorare. Non è stato facile, per sua stessa ammissione, ma tant’è.

Per Sacha Modolo, a Burgos, prime sensazioni positive dopo tanto tempo (foto Instagram)
Per Sacha Modolo, a Burgos, prime sensazioni positive dopo tanto tempo (foto Instagram)
Sacha, parti per la Vuelta quindi, ma come parti?

Con tanta voglia di fare bene e al tempo stesso con la consapevolezza di non essere al 110 per cento. Bisogna considerare che è la quinta gara della mia stagione e che l’anno prima praticamente non ho corso.

Però qualche timido segnale lo abbiamo visto…

Infatti pensavo peggio. Al Wallonie siamo andati veramente forte, ma mi sono salvato bene. Arrivavo con il gruppo davanti, solo che poi ero senza gambe per fare la volata. Ma era normale dopo tanto tempo lontano dalle gare. Però ero fiducioso perché sapevo che la condizione sarebbe andata a migliorare e infatti a Burgos sono riuscito a disputare la prima volata della stagione, facendo settimo. Mi spiace che nella prima tappa sia caduto e abbia preso una botta al costato che mi ha un po’ condizionato. E’ vero che l’arrivo era forse un po’ duro per me, ma magari se avessi fatto anche quello sprint, quello successivo sarebbe potuto andare meglio. Però dai, pian pianino si torna a migliorare. Ci vuole calma. Andare alla Vuelta già è tanto.

Come si fa a non saltare di testa dopo tanti problemi. Adesso il ginocchio, ma prima i problemi con lo stomaco, il glutine, la pandemia…

Eh – sospira Modolo – non è facile. Di fatto è dal 2018, dalla mia ultima vittoria (una tappa alla Vuelta Andalucia, ndr) che non sto bene e non riesco a fare una stagione senza intoppi.

Come ti sei allenato per questo rientro?

Mi sono affidato al preparatore della squadra dalla A alla Z. Ho seguito le sue tabelle, i lavori specifici. Forse si poteva rientrare anche un po’ prima del Wallonie, ma lui mi ha detto di stare tranquillo e di lavorare bene. Così ho fatto e onestamente credevo di fare più fatica.

L’ultima vittoria di Modolo. Era la 3ª tappa della Vuelta Andalucia, sempre in Spagna. Che sia di buon auspicio…
L’ultima vittoria di Modolo. Era la 3ª tappa della Vuelta Andalucia, sempre in Spagna. Che sia di buon auspicio…
Sei stato anche in altura?

Sì, 15 giorni a Livigno, poi sono sceso e una settimana dopo appunto sono andato al Wallonie.

Hai fatto tanti chilometri? Perché ci avevi detto che non ve ne fanno fare tantissimi in Alpecin…

Vero. I chilometri li ho fatti a Livigno, ma proprio perché ero lì, altrimenti le 6 ore sono una rarità. In montagna invece ho fatto anche 6-7 ore per mettere sotto stress il ginocchio e vedere come reagiva. Raramente con le loro tabelle supero le 4-5 ore, ma sono ricche di esercizi che certe volte quando torni a casa devi buttarti sul divano!

Sei in scadenza di contratto, hai parlato con la Alpecin?

No, ed è stata anche una scelta mia. Che senso avrebbe parlarne adesso? Ho corso talmente poco: l’infortunio, il Covid, il ginocchio… Devo dirgli solo grazie perché non solo non mi hanno mai messo in discussione e mi hanno pagato regolarmente, ma mi hanno anche assecondato. Per esempio, sono stato io che ho chiesto di fare la Vuelta. Con la mia situazione avrebbero tranquillamente potuto dirmi di no e invece mi hanno detto: tranquillo Sacha, era nei programmi andrai in Spagna. Questa è una professional solo di nome, di fatto è uno squadrone.

Che ruolo avrai?

Dovrò aiutare Philipsen nelle volate. Io almeno ai capi avevo detto così, ma poi loro mi hanno detto: «Okay, ma resta anche concentrato su di te, se avrai qualche opportunità». E poi ci sono dei giovani. C’è l’australiano Jay Vine che va forte. E come lui in squadra ci sono altri ragazzi davvero interessanti. Non li conosco bene, perché come ripeto ho corso poco, ma in questo team crescono bene e adesso capisco perché a 23-24 anni vanno così forte.

Per Sacha due settimane di altura a Livigno prima del Wallonie (foto Instagram)
Per Sacha due settimane di altura a Livigno prima del Wallonie (foto Instagram)
Perché?

Perché la squadra è eccezionale. Ti dice e ti segue in tutto: quando, cosa e quanto mangiare, come bere in corsa, le tabelle, l’idratazione, cosa fare quando sei a riposo… Quando ero giovane io, c’era ancora la vecchia scuola: testa bassa e menare. Non avevi uno staff dietro. A sapere tutte queste cose a 24 anni…

In effetti sarebbe stato un bel potenziale. Torniamo alla Vuelta: quest’anno il percorso sembra favorire un po’ più del solito i velocisti…

Ho sentito che è un po’ meno dura, ma io le tappe le scopro il venerdì quando ci consegnano il Garibaldi, che non so come si chiami in spagnolo! Conosco i chilometraggi e le prime tre frazioni, che più o meno sono le stesse fatte a Burgos la scorsa settimana. In ogni caso non ho obiettivi così specifici. Diciamo che sono riposato, dai! E’ meglio non pensare a quanto hanno corso gli altri e a come ci arrivo io. Peccato perché questa poteva essere una bella stagione.

A proposito: il mondiale di Leuven sarebbe perfetto per il miglior Modolo…

Eh già! Ero partito per guadagnarmi la nazionale. Magari fare il capitano sarebbe stato difficile, però ho esperienza da vendere per le gare lassù, per aiutare i compagni, per stare davanti. Oh, poi magari vinco quattro tappe e cambia tutto, ma per adesso non ci penso. Penso solo a fare bene e a trovare un contratto. Perché vorrei fare altri due anni, ma fatti bene e senza intoppi.

Vamos in Spagna! Sabato comincia la Vuelta, scopriamola

09.08.2021
6 min
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E’ la numero 76 della sua storia: la Vuelta a Espana si appresta a scattare. Lo farà sabato prossimo da Burgos, 21 tappe fino al 5 settembre, da Nord a Sud del Paese iberico e poi ancora verso Nord, per un totale di 3.417,7 chilometri. Una Vuelta un po’ diversa dagli ultimi anni, che “balla” tra elementi classici e altri innovativi. Un bel mix… che cerchiamo di scoprire.

Enric Mas, Alto de Angliru, Vuelta 2020
L’anno scorso la Vuelta chiuse la stagione a novembre inoltrato, quest’anno torna a fine agosto (e addirittura anticipa un po’)
Enric Mas, Alto de Angliru, Vuelta 2020
L’anno scorso la Vuelta chiuse la stagione a novembre inoltrato, quest’anno torna a fine agosto (e addirittura anticipa un po’)

Tappe brevi ma non troppo

Partiamo dalle conferme. La prima cosa sono le tappe più brevi, che poi anche questo è “un mezzo” mito da sfatare. Se infatti andiamo a guardare bene, il Tour de France quest’anno è stato più corto di tre chilometri (3.414,4 chilometri) e il Giro d’Italia, complice l’accorciamento della tappa di Cortina, ancora di più (3.410,9). Alla fine la lunghezza media delle tappe è per tutti e tre i Giri di circa 162 chilometri, metro più, metro meno.

La differenza però la fanno le crono. Giro e Vuelta praticamente ne propongono due in fotocopia: una breve iniziale e una più lunga finale. Per il Giro: 8,6 chilometri la prima e 30,8 la seconda. Per la Vuelta: 7,1 chilometri la prima e 33,8 la seconda. In Francia invece le crono sono state due e più lunghe, entrambe sui 30 chilometri. E questo di fatto ha allungato di poco la lunghezza media reale delle frazioni, ma parliamo davvero di una manciata di chilometri.

In Spagna le tappe al di sopra dei 200 chilometri sono solo tre e tra l’altro li superano di pochissimo: 202, 203 e ancora 202 chilometri. Di contro non c’è mai una “mini” frazione come si è visto al Tour per esempio. La tappa più breve di questa Vuelta è l’11ª, la Antequera-Valdepenas de Jaén di 133 chilometri, tra l’altro con un finale durissimo: uno strappo al 20%.

Altro classico è l’arrivo ai Lagos de Covandonga, che è l’unico “super must”. Quest’anno infatti niente Angliru o Covatilla.

Le novità

Il tracciato spagnolo è davvero ben ponderato e variegato. Basterebbero le prime tre frazioni per sintetizzare questa Vuelta: una crono, una tappa ondulata, un arrivo in quota.

Stavolta i velocisti hanno, su carta, nove arrivi adatti alle loro caratteristiche. Ma ce ne sono almeno tre che si dovranno sudare. Quel che è interessante sono alcune tappe intermedie. Frazioni insidiose: o con arrivo su uno strappo, o con delle colline nel finale. Come il traguardo sul Balcone de Alicante (tappa 7) che è anche un inedito per la corsa spagnola.

Ed è insolita anche la disposizione di queste tappe ondulate. Una disposizione molto più da Tour. Un esempio sono le frazioni 19 e 20. Soprattutto quest’ultima, la Sanxenxo-Castro de Herville (202 chilometri), che non propone come ci si poteva attendere un super tappone di montagna in vista delle crono finale, ma un arrivo su una collina dopo una scalata di seconda categoria e dopo aver superato tante altre colline in precedenza. Pensate che Fernando Escartin l’ha definita una Liegi-Bastogne-Liegi di Galizia.

E a proposito di tapponi e di novità. C’è grande attesa per l’ultimo di questi: la Salas-Altu d’El Gamoniteiru (tappa 18) di 162 chilometri e 4.957 metri di dislivello. Tante salite ed un inedito arrivo ai 1.770 metri di questa vetta asturiana. Si tratta di una scalata molto lunga, oltre 14 chilometri, con pendenze costantemente tra il 10% e il 12%. Senza dimenticare che si viene da un altro tappone (181 chilometri e 4.749 metri di dislivello) con arrivo in quota ai Lagos de Covadonga. Sarà questa doppietta a definire con grande probabilità la classifica.

La crono finale della Vuelta 2021
La crono finale della Vuelta 2021

Crono finale tortuosa

Tuttavia queste due tappe di montagna potrebbero non decretare il vincitore, per quello bisognerà attendere la crono finale. Ed anche questa appartiene in qualche modo alle novità. Niente più la classica passerella finale, ma una vera crono (quasi 34 chilometri) per chiudere la Vuelta. Chiusura che tra l’altro non avverrà a Madrid, ma a Santiago de Compostela.

Se la prima breve prova contro il tempo, a parte quale strappo iniziale, è veloce questa seconda crono è molto impegnativa. Tanti strappi nella prima parte e saliscendi più brevi nella seconda. Non solo, ma sembra bisognerà essere molto abili nella guida, visto che si parla di strade tortuose e anche strette. In poche parole i super specialisti non dovrebbero essere avvantaggiati.

Primoz Roglic, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
Roglic re della Vuelta 2020. Vinse davanti a Carapaz (a 24″) e a Carthy (a 1’15”). Le tappe furono 18 e non le consuete 21
Primoz Roglic, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
Roglic re della Vuelta 2020. Vinse davanti a Carapaz (a 24″) e a Carthy (a 1’15”). Le tappe furono 18 e non le consuete 21

Roglic favorito, suggestione Pidcock

Chiudiamo con uno sguardo ai favoriti. A noi, visto il disegno del percorso, viste le tante “Liegi” proposte, verrebbe in mente un nome secco: Alejandro Valverde, ma certo anagrafe e impegni recenti (Tour e Olimpiadi) pongono un grosso punto interrogativo su di lui. Sarebbe stata la Vuelta ideale per Purito Rodriguez. Su un percorso del genere, con tanti punti per attaccare e finali che richiedono esplosività, ci sta che un finisseur resistente possa accumulare anche un minuto tra abbuoni e piccoli secondi di vantaggio.

Il favorito principale pertanto non può che essere Primoz Roglic (campione uscente): è sereno per l’oro olimpico nella crono, al Tour non si è stancato troppo (si è ritirato dopo otto tappe), senza contare che ha una squadra molto forte. Ma visto quanto detto sopra lasciateci lanciare un nome: Tom Pidcock. L’inglese tiene in salita, è uno scattista e anche lui ha vinto un oro (nella Mtb): ha tutto per poter stupire e correre nella massima serenità. In una situazione molto simile è il suo compagno di squadra, Richard Carapaz, anche lui è forte di un oro al collo che potrebbe sgravarlo di tante pressioni. Sempre in casa Ineos c’è Bernal, re del Giro, che al rientro post corsa rosa non ha brillato, ma da lui c’è da attendersi di tutto. Solita attesa per Mikel Landa: indiscutibilmente forte, ma poco finalizzatore. E di Damiano Caruso, forte della piazza d’onore al Giro.

Tutti gli altri partono davvero con un ruolo di outsider. Qualche nome? Romain Bardet, il nostro Giulio Ciccone, Guillame Martin, Miguel Angel Lopez, Enric Mas (nella prima foto), Hug Carthy. E perché no: Fabio Aru che è sempre un piacere poter inserire in certe liste e che questa corsa l’ha vinta nel 2015.

Santini Tono Freccia: pronti per la Vuelta, già testati al Tour

23.07.2021
3 min
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Il più grande nemico per un ciclista d’estate? Il caldo. Quando si pedala sotto il sole è fondamentale avere un abbigliamento in grado di traspirare e di disperdere il calore al meglio. Santini, l’azienda di Lallio, ha progettato dei pantaloncini all’avanguardia, che ci consentono di pedalare anche nelle più afose giornate estive, i Tono Freccia.

Questo nuovo capo di abbigliamento sarà indossato dai corridori della Trek-Segafredo alla Vuelta Espana, ma hanno già fatto il loro debutto al Tour de France. E’ stato il belga Jasper Stuyven ad indossarli per primo nelle giornate più calde della Grande Boucle. 

Materiale all’avanguardia

Una salopette extra traspirante, con rete sensitive sulla parte delle cosce per disperdere al meglio il calore, realizzata con tessuti Sensitive® Fabrics di Eurojersey SPA, azienda della provincia di Varese, composto dal 72 per cento di poliamide e dal restante 28 per cento da elastane.

Prodotto etichettato Oeko-text, un test di laboratorio che tiene conto delle sostanze, regolamentate o meno, che possono essere dannose per la salute umana. In molti casi i valori limite per lo standard 100 vanno oltre i requisiti internazionali. 

Le bretelle cucite con materiale Polartec, sono leggere e morbide, così la schiena, altro punto critico per il ciclista, resta asciutta. 

L’idea di utilizzare questi materiali è nata anche dall’aumento degli allenamenti indoor, dove l’accumulo di calore e la maggior sudorazione richiedono materiale di maggior efficienza.

Fondello in schiuma

Il Fondello NAT è uno dei più apprezzati ed è stato completamente rinnovato per garantire prestazioni sempre migliori.

E’ realizzato attraverso l’assemblaggio di diversi strati di schiuma a densità differenziata, più spesso nella parte di appoggio. Racchiude un’anima in Next, un gel dalle proprietà rinfrescanti, con un effetto prolungato fino a 7 ore, che offre un’incredibile protezione dagli shock. Tutti i materiali con cui è realizzato sono perforati per la massima traspirabilità anche durante le giornate più calde.

Il prodotto è disponibile in 4 colorazioni: Nero, Blu, Grigio e Verde militare

Il prezzo di mercato è di 159 euro

www.santinicycling.com/it/

La storia di Giovannetti che un giorno disse basta…

11.04.2021
5 min
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Pochi giorni fa, Marco Giovannetti ha compiuto 59 anni: per lui il ciclismo ormai è qualcosa da guardare in televisione, con quella curiosità mista a nostalgia per un mondo vissuto da protagonista, che ora gli appare lontano.

C’è il suo hotel da curare, da oltre vent’anni la sua realtà lavorativa in quel di Altopascio (Lucca): «Da quest’anno avremo anche a disposizione le bici per le escursioni nella zona, avremo anche le e-Bike. Qui c’è tanto da vedere, è davvero il paradiso delle due ruote, ma non eravamo ancora riusciti a realizzare qualcosa del genere. Solo che siamo anche noi bloccati, come tutto il mondo, in attesa che questa tempesta passi…».

In carriera Giovannetti ha vinto poco (in apertura è sul Gavia nel celebre Giro del 1988: fu 5° di tappa e 6° finale), appena 6 corse da professionista, eppure il suo peso nella storia del ciclismo non solo italiano è notevole perché quelle vittorie sono tutte di alto pregio.

Giovannetti gestisce l’Hotel Le Cerbaie ad Altopascio, ma una pedalata se la concede spesso
Giovannetti gestisce l’Hotel Le Cerbaie ad Altopascio

Il toscano è stato ad esempio uno dei pochissimi capace di centrare il podio alla Vuelta e al Giro nello stesso anno (anzi, quella Vuelta del 1990, che si correva ancora in aprile, la vinse sfruttando al meglio una fuga da lontano nelle prime giornate di gara, contenendo poi il ritorno del famoso Pedro Delgado).

«Quell’anno poi le due gare erano ancora più ravvicinate per i Mondiali d’Italia ’90. Meno di una settimana d’intervallo, non feci in tempo a scendere dall’aereo per la Spagna che ero già nella carovana della corsa rosa…».

Come riuscisti in quell’impresa?

La mia dote migliore è sempre stata il recupero: ero un buon passista ma non tra i migliori, un buon scalatore ma non tra i migliori, però riuscivo a recuperare bene dai grandi sforzi. Alla Vuelta trovai la forma strada facendo e al Giro andai forte nella prima parte. Ricordo ad esempio la crono di Cuneo, finii quinto ed entrai in classifica. Nella settimana finale ero cotto, anche nella cronometro degli ultimi giorni soffrii tanto, ma alla fine riuscii a terminare terzo dietro Bugno e Mottet.

Marco con sua moglie Paola, con cui ha condiviso gioie e dolori della sua carriera
Marco con sua moglie Paola, con cui ha condiviso gioie e dolori della sua carriera
Il bello è che nello stesso anno andasti pure al Tour…

Sì, ma fu una presenza per onor di firma. Alla Seur avevano bisogno che fossi al via affinché la squadra fosse ammessa, ma non ne avevo più e infatti dopo 5 giornate mi ritirai.

Come mai pur andando forte a Giro e Vuelta, con il Tour non hai mai avuto feeling?

Non mi piaceva: in Francia dovevi limare per almeno 10 giorni, stando attento a non cadere, ai ventagli, a me quel modo di correre non andava a genio. Il Giro è sempre stato tecnicamente la corsa più avanti a tutte, lì mi esaltavo.

La vittoria che ti è più rimasta impressa?

Nel mio cuore c’è il successo nella tappa del Giro 1992 a Pian del Re, sul Monviso, la montagna più bella che ci sia. Ho sempre saputo che per vincere dovevo davvero staccare tutti, perché in volata ero fermo come un paracarro e quel giorno mi riuscì. D’altronde sono sempre state le tappe più dure quelle dove andavo meglio. Se però guardo al complesso della mia carriera, c’è un successo davvero speciale…

Immaginiamo sia quello olimpico, la 100 Chilometri a squadre di Los Angeles 1984.

Quell’avventura è ancora stampata nella mia mente, giorni di allenamento pesantissimo. Eppure ci divertivamo tutti e 5 perché insieme a Bartalini, Poli e Vandelli io considero anche Manenti, lui che fu la riserva. Il Ct Gregori ebbe l’accortezza di lasciarci liberi, di farci vivere la nostra gioventù senza tenerci reclusi a pensare solo agli allenamenti, certo poi voleva che si andasse forte, che facessimo il nostro dovere e l’abbiamo fatto fino in fondo.

Da pro’, 4 presenze in nazionale: qui con Volpi e Bombini al mondiale del 1990 in Giappone
Da pro’ 4 presenze in nazionale: qui con Volpi e Bombini nel ’90 in Giappone
Qual è stato invece il giorno più brutto?

Di crisi ne ho attraversate tante, ma sicuramente il peggiore fu al Giro del ‘94, quando in una caduta presi una botta terribile alla schiena. Affrontai Stelvio e Mortirolo con un dolore fortissimo, soprattutto quando i tifosi mi spingevano vedevo le stelle… Arrivai fuori tempo massimo, poi a casa feci le lastre e si vide che avevo una vertebra rotta. Avevo rischiato di rimanere paralizzato. Allora dissi basta…

Perché non sei rimasto nel mondo del ciclismo?

Tante ragioni. Intanto la brutta esperienza con la Eldor, mi ritrovai a piedi prima del Giro ’93 dopo che nei primi mesi dell’anno avevo dovuto pensare più all’organizzazione della squadra che ad allenarmi. Ci salvò la Mapei. Speravo in un futuro con loro dopo il ritiro, ma non fu così. Mi ritrovai fuori dal mondo, senza spazi, ma non mi dispiacque più di tanto. Il Ds ad esempio non avrei voluto farlo, troppi giorni lontano da casa.

Una capatina nel ciclismo però l’hai fatta…

Sì, quando Vegni ed Allocchio mi vollero al Giro come responsabile delle partenze. Ho scoperto cose che non sapevo del mio mondo, i corridori dovrebbero davvero sapere quanto è difficile allestire una corsa, forse allora tante proteste non ci sarebbero.

Giovannetti al Giro d’Italia del 2009, ma in una veste diversa…
Giovannetti al Giro d’Italia del 2009, ma in una veste diversa…
Se tornassi ragazzo, faresti ancora il corridore?

Bella domanda… Il ciclismo è cambiato molto rispetto ai miei temi. Noi in allenamento ci si ritrovava in una ventina, ci si fermava per un panino, si viveva tutto con molta più tranquillità. Oggi invece con i preparatori ogni allenamento è durissimo, ci si diverte molto meno. D’altro canto però è la società intera che è cambiata: penso che se fossi un giovane d’oggi, sì, ci riproverei.