Il parterre dei velocisti in questo Giro d’Italia è davvero stellare. Tolto Jasper Philipsen ci sono tutti: da Jakobsen a Merlier, da Dainese (in nero nella foto di apertura) a Kooj, passando per Milan, Ewan… E potremmo continuare a lungo. Ci aspettano quindi grandi sfide, sgomitate, colpi di reni e velocità folli. Adrenalina pura.
Questi possibili duelli li mettiamo sotto la lente d’ingrandimento di Alessandro Petacchi, uno dei velocisti più vittoriosi della storia, specie quella del Giro. Solo nella corsa rosa AleJet vanta 22 successi. E restano memorabili le sue nove tappe in una sola edizione, quella del 2004.
Dicevamo, Alessandro, di un parterre da urlo per quanto riguarda i velocisti…
In effetti ci sono tutti. Manca quello che su carta è il più forte del momento, cioè Philipsen. E lo è anche per quel che ha fatto vedere ad inizio stagione, non solo nelle volate, ma anche alla Sanremo e alla Roubaix.
Ma alla Tirreno ha perso da Milan…
Ha perso nei confronti di Milan è vero, ma prima c’era uno strappo e anche a San Benedetto del Tronto, dove lo strappo non c’era. Speriamo che Jonathan possa avere di nuovo quella condizione che aveva alla Tirreno. Jonathan ha fatto vedere tanto l’anno scorso al Giro, ma quest’anno il livello è più alto. Il lotto dei velocisti è più importante e se riuscisse a confermare quanto fatto, allora potremmo dire che è cresciuto ancora. Io però aspetto Milan al Tour. Se queste vittorie le otterrà anche in Francia, allora il più forte sarà lui. E potremmo dire di aver trovato un velocista di livello mondiale.
Scorriamo l’elenco: forse un nome grande, il più grande, tra i velocisti è quello di Fabio Jakobsen, ora alla Dsm-Firmenich…
Jakobsen è un grande motore. Senza dubbio se lui sarà quello di prima dell’incidente sarà difficilissimo da battere per potenza pura e punta di velocità. L’incognita appunto è capire se è di nuovo a quei livelli.
Andiamo avanti…
Mi viene in mente il nome di Gaviria, il quale è sempre forte ma se continua a partire ai 300 metri poi non arriva. Deve ancora valutare bene le distanze. Non si riesce mai a capire cosa farà.
Di Merlier cosa ci dici?
E’ giovane, è forte e ha già fatto vedere buone cose. Con uno come lui tutto è possibile. Merlier è piuttosto imprevedibile ma è molto, molto veloce.
Un altro atleta interessante che zitto, zitto c’è sempre è Phil Bauhaus, che tra l’altro ha un ultimo uomo come Pasqualon…
In una tappa difficile o in un arrivo più complicato Bauhaus c’è di sicuro. Lui è perfetto per quegli arrivi, mentre lo vedo un po’ più in difficoltà su quelli più ampi, piatti e regolari di gruppo. Di questi ne vince uno su dieci, mentre in quelli più tecnici difficilmente esce dai primi tre. Sarà da tenere d’occhio. Magari già ad Andora.
C’è poi una vecchia conoscenza: Caleb Ewan, il quale tra l’altro ha un bell’apripista come Mezgec…
Stavolta però Caleb non ha dato grandi segnali sin qui. Ewan non mi sembra più quello esplosivo di un tempo. Però poi magari azzecca due tappe perché ha esperienza ed è motivato. Una volta Ewan era perfetto anche per gli arrivi che tiravano un po’ o dopo uno strappetto, in quanto sfruttava il suo peso ridotto.
Veniamo ad un corridore che tu stimi molto: Alberto Dainese. Come lo vedi?
Bene, anche perché su carta Dainese è il velocista che ha il treno più numeroso (Storer, Froidevaux, Mayrhofer e Trentin come ultimo uomo, ndr). E questo è molto importante visto che si corre in otto e non più in nove. Ed è importante anche perché vuol dire che hanno puntato su di lui. Alberto, quando gli hanno lasciato spazio, ha vinto due tappe al Giro ed era giusto per me dargli più spazio. Lo ha trovato alla Tudor. Tra l’altro questo ragazzo si difende bene su determinate difficoltà.
Ti riferisci a qualche tappa specifica?
Penso ad Andora che prima ha Capo Mele o anche a quella di Fossano, il cui arrivo è preceduto da uno strappo. Nulla di che, l’ho visto in ricognizione e si fa di rapporto, ma si scollina ai -3 chilometri. Quindi se il treno si disunisce o è corto poi è un problema risalire.
C’è poi una folta schiera di velocisti di rango: Kooj, Girmay, Molano, Aniolkowsky…
Ce ne sono molti e tutti sullo stesso livello. Come detto, il parterre è importante. Tra questi Girmay è un po’ come Bauhaus, se prima c’è uno strappetto o una difficoltà tecnica c’è. Molano ogni tanto una volata l’azzecca, ma immagino non avrà un grande aiuto dalla squadra (è nella UAE Emirates di Pogacar, ndr). Una cosa è certa, per vedere la prima volata e i valori in campo dei velocisti bisognerà aspettare almeno la terza tappa, quella di Fossano.
Entriamo nel dettaglio della bici da crono del Team UAE-Emirates, ovvero della nuova Colnago TT1. Purtroppo non la vedremo sfrecciare con Almeida, i motivi ormai li conosciamo, ma vale la pena entrare nel dettaglio della bicicletta
Jonathan Milan, Olav Koij, Jasper Philipsen, Alberto Dainese, Fabio Jakobsen, Mark Cavendish. E ancora De Kleijn, Bauhaus, Groenewegen, Merlier, Groves… senza contare i tanti giovani emergenti, non ultimo il francese Magnier. E quelli in cerca di riscatto: Nizzolo, Gaviria, Girmay, Coquard, Demare… La lista dei velocisti quest’anno è più lunga che mai.
Cosa dobbiamo attenderci? Chi è il più forte? Chi ha il miglior leadout? Domande alle quali ha risposto Alessandro Petacchi che di volate (e di velocisti) se ne intende.
Vista la lista lunga, Alejet ne ha battezzati cinque. I cinque che secondo lui sono i più forti e che ci faranno vedere grandi cose durante l’anno. «Ma – dice Petacchi – sarebbero molti di più. Penso a Dainese (caduto recentemente, ndr), che ho consigliato personalmente a Cancellara. Penso a De Lieche forse è più di un velocista e può vincere anche una classica. Ad Ewan che anche se non è più quello di un tempo può fare male».
Philipsen, il numero uno
Senza dubbi il favorito di Petacchi è Jasper Philipsen. Lo sprinter della Alpecin-Deceuninck lo scorso anno ha dettato legge tra i velocisti. E quest’anno le cose non dovrebbero cambiare. Senza parlare poi del suo apripista. Un certo Van der Poel!
«Al netto di Van der Poel che può togliergli le castagne dal fuoco se è messo male o lanciarlo alla grande, Philipsen ha un’intera grande squadra vicino. Anche se per me riesce a tirarsi fuori dai guai anche da solo. L’ho visto al Tour l’anno scorso. Quando vinci in tre modi diversi significa che sei il più forte.
«Jasper è in quel momento della carriera in cui ti riesce tutto. E’ al top. E questo lo fai quando hai gamba, tanta gamba. Per batterlo deve sbagliare lui. Lo dico per esperienza diretta. So bene cosa succede. Se vede le brutte, parte prima e vince. Altrimenti parte più corto. Ha lucidità. Anche Cav, per dire, è così, ma oggi non ha quella gamba».
Jakobsen, l’antagonista
Petacchi pone Fabio Jakobsen alla pari di Philipsen, a fare la differenza è la continuità. Quella continuità che è venuta a mancare a Fabio dopo il grave incidente del 2020 in Polonia. Grande potenza, grande velocità di punta.
«Jakobsen ha una potenza incredibile, ma qualche volta si perde un po’. Non so se è per paura o per gamba. Ma io credo che se ritrova gli equilibri giusti può tornare alla pari di Philipsen, perché ha l’età e i numeri per riuscirci».
Nel caso dell’olandese c’è anche il discorso della squadra, forse meno votata alla causa rispetto a Philipsen. Jakobsen ha lasciato la Soudal-Quick Step per approdare alla DSM-Firmenich, che sì gli assicura fiducia, ma anche automatismi da oliare.
«Non mi aspettavo un suo cambio di squadra, ma è anche vero che quando hai un Evenepoel come compagno che accentra molte attenzioni, ci sta. Poi magari dietro ci sono anche questioni economiche, ma questo non lo so. Di certo, lui voleva fare il Tour e lì avrebbe fatto fatica ad andarci. Alla DSM non ha più Mayrhofer che ha seguito Dainese e ne sono contento, perché i due potranno fare bene alla Tudor. Quindi non so chi davvero potrà pilotare Jakobsen. Vedremo».
“Cav” e il suo obiettivo
Si arriva poi a Mark Cavendish, velocista che Petacchi conosce alla grande visto che ci ha anche corso. Quanti duelli tra i due. Chissà se è cambiato da allora il Cav sprinter?
«Prima aspettava sempre un po’ a partire per paura di essere rimontato, adesso invece noto che tende ad anticipare. Ora, sa che se aspetta non vince più, perché ha perso quel super spunto e così intelligentemente anticipa. Difficilmente ha la posizione ottimale di un tempo».
Qui ritornano in mente le parole di Pasqualon, sulle tempistiche, i watt e le punte di velocità. Ma Petacchi stesso ci regala una perla con lo sprinter dell’Astana Qazaqstan.
«Di questa cosa parlai proprio con Cav. Glielo dissi: “Negli ultimi anni quando ti ho battuto, l’ho fatto perché anticipavo. Non avevo il tuo treno, né quello spunto, così cercavo di partire prima e di partire “secco”. Ti prendevo tre bici e poi speravo di tenere fino alla fine. A volte ci riuscivo, altre no. Ma era l’unico modo per batterti”.
«E così fa lui ora. Certo, ci vuole gamba, ma anche testa. Mark continua perché ha un solo obiettivo: quello del record di tappe al Tour. E’ moltodifficile, ma non impossibile (ha di nuovo Morkov come apripista, ndr). Ma è pur sempre una volata e se tutto gli gira bene può riuscirci. Fosse stato un arrivo in salita di 15 chilometri avrei detto di no, ma in volata…».
Groenewegen, quanta potenza
Dylan Groenewegen. Petacchi non poteva non inserire il corridore della Jayco-AlUla tra i grandissimi velocisti visto il suo motore gigante. Sarà interessante la sua convivenza con Ewan.
Magari in qualche occasione (non molte a dire il vero) correranno insieme e allora sarà curioso vedere “chi tirerà per chi”. Ewan è più piccolo e potrebbe essere pilotato. Però è anche vero che Caleb è un funambolo, è più “vecchio” e potrebbe essere lui il leadout. Dylan e Caleb: coppia esplosiva. Senza dimenticare Matthews.
«Qui parliamo di un velocista puro, puro… Groenewegen fa fatica in certe tappe, ma in quelle piatte può andare forte. E’ un po’ discontinuo e a volte si perde nel finale. Ha una velocità di punta pazzesca, parte fortissimo, fa la differenza in quel momento, ma più di qualche volta viene rimontato da Philipsen. Segno che arriva alla volata con le gambe un po’ in croce, gli manca spesso qualcosina».
Milan, il futuro è suo
Chiude il lotto dei “fab five” Jonathan Milan. Il gigante della Lidl-Trek piace molto a Petacchi. Ha anche un apripista ottimo, Simone Consonni, e potrebbe avere persino Mads Pedersen, che tra l’altro potrebbe a sua volta essere inserito in questa classifica. Ma Petacchi reputa il danese più di un velocista.
«Milan, per capire quanto è grande, deve confrontarsi con i velocisti del Tour. E’ sicuramente forte, anche alla Valenciana, dove è stato ben pilotato, è ripartito alla grande, ma se viene al Giro d’Italia e quest’anno il lotto dei velocisti è lo stesso dell’anno scorso, sarebbe grave se non vincesse. Deve dominare… e io ne sarei felicissimo».
Alejet fa le pulci a Milan e parla del suo gesto tecnico. Deve lavorare molto, specie per la questione aerodinamica, cosa che lo penalizza.
«Sia per lo stile, che per la sua stazza, Jonathan deve cercare di abbassarsi. Oggi la questione aerodinamica è troppo importante. Si guardano calze, caschi… e un solo chilometro orario in più può fare la differenza, specie a 70 all’ora. E’ un po’ il discorso che c’è a crono tra Ganna e Remco. Il belga non farà mai gli stessi wattaggi di Pippo, ma va forte tanto quanto (o di più) perché ha un coefficiente aerodinamico molto favorevole.
«Milan è da volata lunga. Un bestione così deve assolutamente essere lanciato e possibilmente anche forte. Meglio rettilinei lunghi, che la curva a 200 metri. In quel caso se uno come lui è terzo, è difficile che rimonti, che si metta in moto in tempo. Consonni come apripista va bene. Se è un po’ basso? Il problema non è Simone, che anzi è bravissimo e sfrutta al meglio ciò che gli dà la pista in termini fisici e tattici, ma è Jony che è un bestione!».
Il quartetto azzurro perde la finale contro la Danimarca. Dopo la brutta qualificazione, un risultato che ci può stare. Ma per Parigi serve molto di più
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Luca Mozzato è stato uno dei sette italiani al via del Tour de France e uno dei sei ad arrivare a Parigi. Dopo la Grande Boucle, il veneto della Arkea-Samsic è rimasto nella Ville Lumiere per godersi il meritato premio gironzolando con la sua compagna, Giorgia.
All’ombra della Tour Eiffel e con le sensazioni ancora calde, ci è sembrato un buon momento per tornare sul capitolo volate con lui. Cosa ha visto Luca? Philipsen è stato davvero il più forte? Mozzato le volate le ha disputate quasi tutte. E’ arrivato anche una volta quarto e una settimo, quindi era ben inserito nei meccanismi della mischia.
Luca, cosa ti è sembrato dunque di questo Tour?
Un Tour davvero duro, velocissimo e stressante come al solito. Man mano che passavano le tappe ognuno trovava il “suo posto” in gruppo, nel senso che sapevi poi con chi eri quando si accelerava. Personalmente mi sentivo sempre un po’ meglio e abbiamo finito con qualche risultato buono. Magari è mancata la super giornata.
Dei velocisti che movimenti hai visto?
Beh, c’è stato un dominio quasi assoluto della Alpecin-Deceuninck di Jasper Philipsen. Lui è del mio stesso anno, il 1998, e lo reputo ancora abbastanza giovane: ha vinto quattro volate di gruppo di fila. E’ stato impressionante e soprattutto sembrava avesse sempre la situazione sotto controllo nonostante il livello degli sprinter fosse altissimo. Però la squadra, tutta, lavorava bene per lui. Si vedeva da come si muovevano che il treno era ben organizzato. E poi Van der Poel come ultimo uomo…
Ecco, hai toccato un tasto importante. Cosa ti è sembrato di Mathieu in quel ruolo?
Sicuramente ci hanno lavorato. Storicamente le squadre olandesi e belghe hanno esperienza in tal senso. C lavorano spesso e hanno il personale adatto per farlo perché hanno tante corse veloci da quelle parti. Se a tutto questo aggiungi un ultimo uomo con quella gamba tutto diventa più facile.
La differenza Philipsen l’ha fatta anche grazie a lui, vero?
Eh sì. Un conto è avere un uomo che in certi frangenti ti fa 150 metri con la velocità alta e ti porta fuori con i tempi giusti e un conto è averne uno che fa le stesse cose per 300 metri a velocità supersoniche. Ma non è facile. Serve una gamba da fuoriclasse.
Il giorno dello sprint nell’autodromo è stato impressionante: Philipsen e VdP erano davvero indietro. Lo ha portato fuori benissimo. A quanto sarà andato?
Almeno a 70 all’ora. Il percorso era anche tecnico, ma era comunque velocissimo.
E quanta tranquillità dà al velocista una situazione simile?
Direi parecchia tranquillità. A ruota di Van der Poel chiudi gli occhi e ti fidi, risparmi energie nervose. In questo Tour è sembrato il Morkov dei tempi migliori.
In gruppo voi velocisti parlavate dei vostri sprint?
I velocisti, specie al Tour, non hanno poi tutto questo tempo per parlare. Anche quando per noi ci sono tappe più tranquille ci dobbiamo impegnare per non staccarci in salita. E alla fine non c’è abbastanza fiato per tenere una lunga conversazione. Vi faccio l’esempio dell’anno scorso con Alberto Dainese. Eravamo all’ultima tappa e lui mi fa?: «Certo Luca che sono tre settimane che siamo a un metro di distanza tutti giorni e solo oggi troviamo il tempo per fare due chiacchiere».
C’è un velocista, oltre Philipsen, che ti ha colpito? E perché?
Direi Mads Pedersen. Lui è fortissimo e ogni giorno era dentro la corsa: quando doveva fare la volata e metteva la squadra a lavorare per lui, quando cercava di andare davanti perché poteva arrivare un drappello, quando nel finale doveva aiutare i compagni in salita (il pensiero va a Ciccone, ndr). Veramente la sua presenza in gruppo era costante.
E lo percepivano anche gli altri?
Io credo proprio di sì. Anche in squadra quando ne parlavamo erano tutti d’accordo col dire quanto andasse forte.
E invece qualcuno che ha reso meno?
Vedendoli in corsa mi sarei aspettato di più da Ewan e Jakobsen. Ewan, soprattutto nelle prime tappe e sui Pirenei era sempre davanti, pimpante. E pensavamo facesse molto di più in volata. Jakobsen invece dopo quello che aveva fatto l’anno scorso credevo brillasse di più. Ma anche lì: sbagli la prima volata, poi cadi e le cose si complicano.
Ewan ha pagato l’assenza di Jacopo Guarnieri, ritiratosi dopo poche tappe?
Penso di sì e anche un bel po’. Un uomo che ti porta fuori come lui si sente quando ti viene a mancare, specie nella volate caotiche del Tour. Che poi è il discorso che facevamo con VdP prima: ad uno così gli dai carta bianca e lo segui, cosa che è molto più facile che saltare da una ruota all’altra.
E restando sui movimenti in gruppo degli sprinter, le squadre quando e come si mettevano in moto?
Era soprattutto la Alpecin a prendere in mano la situazione, sia perché dopo le prime volate Jasper aveva dimostrato di essere il più forte, e quindi toccava a loro, e sia perché molte squadre dei velocisti erano metà per gli uomini di classifica e metà appunto per il velocista. Penso per esempio alla Jayco-AlUla: per Gronenwegen e Simon Yates. La Alpecin invece era compatta per Philipsen e da loro ci si aspettavano sempre le prime mosse.
Ultima domanda Luca, nella tappa che ha vinto Asgreen cosa è successo?
Sono andati via al chilometro zero, ma vedendo chi c’era dentro il gruppo non gli ha mai lasciato troppo spazio. Li abbiamo tenuti sempre a un minuto, un minuto e mezzo e questo ha anche messo il gruppo stesso in una situazione di comfort, come a dire: «Tanto li andiamo a prendere quando vogliamo, sono 180 chilometri che sono fuori e spesso anche col vento contro». E invece noi dietro andavamo a 60 all’ora, ma loro davanti andavano a 58.
Quindi sono stati bravi loro…
Bravi loro, non è stato il gruppo che ha sbagliato. E poi l’ago della bilancia è stato il rientro sulla fuga di Eenkhoorn. A quel punto la Lotto-Dstny ne aveva due e sono stati bravi a sacrificarne uno, Campenaerts. Victor ha tirato sempre e quindi non hanno avuto neanche quel tentennamento, che in questi casi c’è ad un paio di chilometri dall’arrivo, quando uno tira ma si tiene qualcosa per la volata. Non hanno perso neanche quel tempo. Noi dietro non potevamo andare a 70 all’ora per 30 chilometri. E la riprova è che tanti uomini dei team che hanno tirato alla fine sono arrivati con 4′-5′ di ritardo.
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Con la tappa di oggi, la Teramo-San Salvo inizia il Giro dei velocisti. Quest’anno le tappe per le ruote veloci non mancano e neanche gli sprinter. Al via ci sono Cavendish, Dainese, Pedersen, Consonni, Bonifazio, Gaviria, Matthews… mentre non c’è Luca Mozzato.
Con il corridore della Arkea-Samsic abbiamo fatto un’analisi dei velocisti e delle tappe a loro congeniali: “chi, può andare forte e dove”. Il veneto non è al Giro d’Italia in quanto si è aggregato molto tardi al team francese e quando è arrivato ormai i piani erano fatti.
Luca era stato allertato per la corsa rosa, ma poi visto che stava andando bene, per non stravolgergli i programmi nel breve periodo, è stato inserito nei papabili per il Tour.
Luca, tu che sei in gruppo, che idea ti sei fatto del percorso di questo Giro in relazione ai velocisti?
Di tappe per uomini veloci, e non solo velocisti puri, ce ne sono tante. Dico tra le otto e le dieci (qui tutte le frazioni del Giro, ndr). Mi riferisco anche a velocisti resistenti sulle brevi salite. Il primo che mi viene in mente è Mads Pedersen. Questo Giro è perfetto per lui.
Dici?
Sì, perché i classici piattoni ormai non ci sono quasi più e poi è difficile per le squadre degli sprinter controllare la corsa. Mi aspetto anche che qualcuno possa anticipare, viste le tante salitelle finali. E se le fughe arriveranno molto dipenderà dalle condizioni dei velocisti stessi.
Chi sono i più forti per te… in questo Giro?
Come ho detto Pedersen, che tra l’altro vedo favorito per la maglia ciclamino. Poi ci sono Groves della Alpecin-Deceuninck, Cort Nielsen della EF Education-EasyPost, Matthews della Jayco-AlUla… tutti uomini veloci e resistenti. Loro si possono giocare le volate anche se arrivano gruppi di 50-60 atleti. Per me in quella di Napoli, per dire, potrebbero anche arrivare davanti.
Stando a questi profili l’Italia può contare su Fiorelli e Albanese…
Sì, ma molto dipenderà dalla loro condizione e da come andrà ad evolversi nel corso del Giro. Può starci anche che qualcuno di loro possa crescere durante le tre settimane. “Alba”, per quel che l’ho visto in corsa sin qui, mi sembra stia benone.
E invece i velocisti puri?
Loro sono Cavendish, Dainese, Gaviria e ci metto anche Milan. Al Romandia ho visto un buon Gaviria. Certe volate bisognava guadagnarsele e lui ci è riuscito. E poi quando si staccava aveva tutta la sua Movistar intorno, segno che la squadra crede in lui.
Di Cav invece cosa ci dici?
Lui è sempre pericoloso. Anche lo scorso anno ha vinto una tappa e resta un totem per tutti noi velocisti. Dovrà avere però anche la testa giusta. La tappa perfetta per Cavendish è quella di Caorle. Però non ha un vero apripista. Bool non c’è e Luis Leon Sanchez è esperto, ma non è quello il suo ruolo.
Speriamo non sia venuto solo per mettere dei chilometri nelle gambe in vista del record del Tour e che torni a casa dopo 10 giorni…
Magari ne farà anche di più. Dipenderà molto da come starà. A volte s’innesca un circolo virtuoso e se stai bene andare avanti non ti costa poi troppa fatica. Anche stare quelle 3-4 ore a tutta per rientrare nel tempo massimo diventa un’altra cosa rispetto a quando stai male. In quel caso molli.
Quindi se dovessi dire un favorito per le volate pure e un favorito per quelle “da guadagnarsi” chi diresti?
Gaviria tra gli sprinter puri e Pedersen tra gli altri. Non dimentichiamo che Pedersen ha tutta la squadra a disposizione e chiaramente potrà fare bene anche nelle volate di gruppo.
Le frazioni in cui ci sarà la volata “di sicuro”, quelle per velocisti puri, sono…
San Salvo, Salerno, Tortona, Cassano Magnago, Caorle e Roma. Anche se quella di Cassano Magnago, col Sempione, è legata da come sarà affrontata la salita. Perché se la fuga dovesse andare via poco prima del Gpm sono dolori. Significherebbe che hanno fatto la scalata forte e che è una fuga di gambe. Il gruppo sarebbe rotto e recuperare terreno non sarebbe facile. Lo spazio ci sarebbe, ma sarebbe più complicato riorganizzare il lavoro delle squadre e ne servirebbero almeno 3-4 a tirare insieme.
E le frazioni intermedie che potrebbero “trasformarsi” in volate?
Ci metto quella di Fossombrone, ma dipenderà più da come sarà andata la corsa nelle prime fasi, che non tanto dal Gpm di 4ª categoria nel finale.
Perché secondo te?
Perché quello è duretto, ma è un tipo di sforzo che il velocista può anche superare. Per la tappa di Viareggio vale un po’ il discorso di quella del Sempione. Poi non sarei stupito se si arrivasse in volata, magari non di gruppo completo, anche a Napoli. E forse ci metto pure quella di Rivoli, almeno per i velocisti-resistenti.
Il primo traguardo volante di Oggi è fissato a Peonis, il luogo in cui il 3 giugno 1927 fu trovato agonizzante Ottavio Bottecchia. Conoscete la sua storia?
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Qualche giorno fa ragionando con Silvio Martinello si parlava di rapporti e di velocisti. La scelta degli ingranaggi o le nuove soluzioni che i corridori hanno a disposizione non riguardano però solo le volate. Il campione olimpico della corsa a punti a Atlanta 1996 ha spostato l’attenzione anche sui rapporti e il tempo massimo.
Stavolta il discorso velocisti-rapporti è letto a parti inverse: salite e rapporti corti, anziché volate, tappe pianeggianti e mega padelloni come il 58.
Volata da ultimo
Per portarvi in questo discorso vi proponiamo un esempio concreto: Fabio Jakobsen al Tour 2022. L’atleta della Soudal-Quick Step verso Peyragudes era al limite del tempo massimo. Talmente al limite – viaggiava sul filo dei secondi – che i direttori sportivi per non rischiare di lasciare fuori gli altri corridori che lo scortavano, li avevano mandati avanti. Almeno loro sarebbero ripartiti il giorno dopo.
Gli stessi compagni aspettavano il loro velocista appena un metro dopo la linea d’arrivo (nella foto di apertura). Lo tifavano come se si stesse giocando la vittoria… quando in realtà era ultimo. Fabio ce la fece per una manciata di secondi. Poi cadde stremato.
Probabilmente qualche anno fa Jakobsen non ce l’avrebbe fatta. Non sarebbe rientrato nel tempo massimo. E non ce l’avrebbe fatta perché non avrebbe avuto a disposizione i rapporti più corti con cui “salvarsi”. Rapporti che in qualche modo oggi gli consentono di sviluppare parte della sua forza, contro il peso dei suoi muscoli, che invece in salita gli remano contro. Con un 39×25 Jakobsen si sarebbe “incatramato” su stesso.
Rapporti corti
«Oggi – dice Martinello – le nuove scale posteriori aiutano moltissimo gli atleti più pesanti e i velocisti in particolare. E lo si vede quando ci sono le grandi salite. In quei casi anche gli scalatori usano dentature molto agili. Ai miei tempi il 95 per cento delle corse le facevi con il 39×23 come rapporto più leggero. Potevi montare il 25 giusto quando c’erano il Gavia, il Mortirolo, il San Pellegrino in Alpe… La differenza era che lo scalatore quel rapporto in qualche modo lo girava, noi velocisti molto meno».
Con i rapporti attuali sono cambiate anche le preparazioni. Oggi tutti i velocisti lavorano in salita. E tutti vanno, chiaramente, alla ricerca della cadenza. Le 60 rpm dei velocisti negli ’90 sono un ricordo. Oggi come minimo si ragione su 15 rpm in più. Poi magari non si riesce a rispettarle, ma la base di riferimento è ben più alta.
«Oggi i velocisti lavorano in salita – va avanti Martinello – sia perché i percorsi sono diversi (mediamente più duri, ndr), sia perché c’è quasi sempre una salitella prima della volata. Soprattutto da quando ci sono le 12 velocità, i corridori hanno scale più ampie che gli consentono di avere rapporti più agili.
«Rapporti come il 34 all’anteriore (e pignoni come il 32-30-28 al posteriore, ndr) ti permettono di tutelare le fibre muscolari, quelle che servono fresche per lo sprint. Se le stesse fibre sono 5-6 ore in tensione, quasi come una Sfr, e per tanti giorni consecutivi (Jakobsen fu ultimo anche il giorno dopo, ndr) alla fine quella forza esplosiva per lo sprint viene meno».
Tempo massimo
Ma oggi un velocista se la cava meglio in salita non solo per i rapporti più corti. Il tempo massimo è aumentato e può arrivare anche al 18% della durata della tappa. Una volta si creava la famosa “rete”, il gruppetto, perché se si finiva in tanti fuori tempo massimo l’organizzatore era “costretto” a reinserire tutti gli atleti. Era una sorta di mossa sindacale!
«Rispetto ai miei anni – va avanti Martinello – il tempo massimo oggi si è dilatato. E giustamente mi sento di aggiungere… L’obiettivo di un organizzatore qual è? Dare spettacolo e per farlo deve portare più corridori possibili al traguardo. Come per esempio gli sprinter all’ultima tappa di un grande Giro. E questo incide parecchio. Noi avevamo tempi massimi più ristretti e facevamo una grande fatica per starci dentro. Una volta avevi 30′-35′, oggi arrivano anche ad un’ora.
«Spesso si sentono critiche verso i velocisti nelle tappe di montagna perché vanno troppo piano. Ma loro fanno bene a sfruttarlo il più possibile. Questo significa che il giorno dopo hanno più energie per disputare un buono sprint».
La “rivolta” di Verona
E questo è verissimo. Proponiamo ancora due esempi concreti. Uno riguarda ancora Jakobsen che quel giorno a Peyragudes spese talmente tanto che poi non ebbe le gambe per fare lo sprint sui Campi Elisi, nonostante la “crono di recupero” nel mezzo.
L’altro esempio è una “semi querelle” rimasta nascosta risalente alla tappa di Bagno di Romagna al Giro d’Italia 2021.
Quel giorno il dislivello dichiarato era di circa 3.600 metri e la tappa era classificata di media montagna. All’arrivo un po’ tutti i corridori lamentarono invece un dislivello superiore ai 4.400 metri. La tappa, dunque, sarebbe dovuta essere classificata di alta montagna e di conseguenza sarebbe dovuto cambiare il tempo massimo (più ampio). I velocisti si lamentarono con l’organizzazione.
Furono infastiditi anche perché il giorno dopo c’era uno sprint annunciato: tappa totalmente piatta verso Verona. Una tappa che fu parecchio noiosa. Nessuno si mosse e il gruppo di fatto passeggiò fino ai -10 dall’arrivo, quando poi iniziarono le manovre per lo sprint. Sembra che questo immobilismo fosse una sorta di protesta mascherata.
«Ci sta – commenta Martinello – un velocista ci tiene molto. In certe tappe spende tantissimo e se giustamente aveva la possibilità di risparmiare qualche energia perché non sfruttarla? Una volata richiede molta forza e farla con le gambe stanche non è facile. Tanto più che le occasioni per fare gli sprint sono sempre meno».
«Anche quella dei velocisti – dice Viviani, in apertura con Richeze – è una famiglia che si sta evolvendo. Siamo tanti, ma non vedo un dominatore assoluto. I giovani arrivano. De Lie ha vinto tante corse lo scorso anno e ha cominciato bene quest’anno. Poi ci sono Kooij e anche Jakobsen, anche se lui è una conferma. Lo scorso anno però non c’è stato uno che abbia schiacciato gli altri. Se ci mettiamo tutti insieme in una gara come questa, magari qualcuno manca, però non c’è uno che le vinca tutte».
Ieri la salita ha diviso il gruppo. Davanti sono rimasti Gaviria e Sagan, dietro Jakobsen, lo stesso Viviani e tutti gli altri. La curiosità di fare con Elia il punto sui velocisti è venuta proprio osservando l’andamento della Vuelta a San Juan. Ogni volata un vincitore diverso, ogni volata una squadra capace di gestire diversamente il finale. Poco importa se giovani o più esperti.
«In questo momento – conferma Viviani – Van Poppel è quello che fa la vera differenza e Bennett ne trae beneficio. Però anche Bennet ha la mia età, quindi possiamo dire che c’è una decina di velocisti che si dividono le vittorie. Poi ogni anno c’è chi prevale sull’altro in termini di numero o qualità delle vittorie. Non è secondo me come gli scalatori. Il Tour se lo giocano Pogacar, Vingegaard e non so chi altri. Sul piano delle volate, la situazione è più aperta».
Dipende dal livellamento delle prestazioni?
No, perché comunque lo sprint non è come in salita. La differenza la fanno tante cose, non solo i watt per chilo. La fa il percorso, se tira un po’ in su. La fa se la volata viene un attimo più tirata, come qui nella seconda tappa. La fanno le dinamiche, il treno migliore, restare chiusi sulle transenne, riuscire a venir fuori… Quindi tante cose che, messe insieme, non fanno prevalere sempre il corridore più potente. Probabilmente i primi sprint da giovanissimo potrebbero far prevalere sempre lo stesso, però tra i professionisti non è più così.
Quanto incide il treno?
Prima ho parlato di Van Poppel per dire che tantissime squadre possono portare il velocista all’ultimo chilometro, ma è quello che succede nel finale a fare la differenza. Tutte le volte che ho vinto nel 2018-2019 era perché Sabatini, Richeze o Morkov lavoravano per me. Questa combinazione di corridori aveva il pieno controllo di quello che succedeva nell’ultimo chilometro. Quindi la squadra può fare bene dal chilometro zero fino all’ultimo, ma in quello spazio, sono il penultimo e l’ultimo uomo che fanno la differenza. Un Van Poppel così fa la differenza e ti porta a giocarti il 90 per cento delle volate. Senza di lui, Bennett non vincerebbe così bene.
In che modo l’assenza dei treni all’antica cambia la volata?
La situazione è più caotica. Non c’è più il treno di quei 6-7 che prendono la testa e portano il leadout fin là. Oggi parliamo di due uomini: quello che entra al chilometro e porta l’ultimo ai 500 metri e quello ti lancia negli ultimi 500 metri. Le squadre non sono più sbilanciate verso lo scalatore o il velocista. Tutto da una parte o dall’altra. Ormai ci sono dentro i due uomini per lo scalatore e i due per il velocista. Per questo non vediamo più il dominio di un treno che prende la testa e va pulito sino falla fine.
Una volta fra grandi velocisti c’erano spesso tensioni, adesso come va?
Abbiamo rapporti abbastanza buoni. E’ ovvio che poi con qualcuno vai più d’accordo e c’è chi ti sta più sulle scatole o chi secondo te si muove in modo un po’ troppo aggressivo. Capita poche volte ormai di vedere delle scorrettezze per cui dici: «Cavoli, mi ha fatto rischiare la vita!». C’è rispetto, questo mi sento di dirlo.
Non ci sono più… i banditi come un tempo?
Con tutti i temi che si trattano negli ultimi anni, parlando di sicurezza, di stare attenti… E’ inutile che lottiamo per la sicurezza organizzativa, se poi ci ammazziamo fra noi. Quindi è ovvio che questo porta ad essere un po’ più corretti. Anche le squalifiche che ci sono state secondo me hanno indotto qualcuno a pensarci bene prima di fare scorrettezze.
L’incidente di Jacobsen, per esempio, ha fatto parlare?
Ha fatto parlare tanto, però secondo me ha fatto parlare in modo sbagliato. Come al solito se ne è parlato per le conseguenze, non per quello che è successo. Perché io sono ancora del parere che Groenewegen si sia spostato una volta di troppo, ma anche Fabio ha pedalato una volta di troppo. Nove velocisti su dieci avrebbero capito che era il momento di frenare. Quindi per me in quell’incidente le responsabilità sono 50 e 50. E’ successo a chiunque di vedere la ruota che arriva sotto e fare uno spostamento. Okay, Groenewegen ha esagerato, ma dall’altra parte Jakobsen ha provato a infilarsi fino a quando il manubrio è entrato nelle transenne. La mossa di Dylan non è stata per ammazzare Jakobsen. Certo che ne abbiamo parlato, ma nel modo giusto, analizzando ambedue le parti.
Il fatto che si usino i rapporti sempre più lunghi in volata è causa dell’evoluzione del ciclismo?
Ma sì, perché comunque ci sono volate dove chi è da solo magari mette un dente in più. Se gli va bene e prende la scia giusta, riesce a saltare quelli davanti. Quindi secondo me l’uso di rapporti sempre più lunghi è più per la dinamica che ormai c’è nelle volate. E poi si va avanti, guardiamo come sono aumentati i rapporti in pista. Aumentano le velocità, però quei rapporti bisogna tirarli.
Cioè?
Mercoledì avevo il 56 pensando alla volata, ma non sono arrivato a farla. Quindi a cosa serviva il 56? Sulla bilancia va messo sempre tutto, perché se non sei abituato a tirare un certo rapporto, probabilmente può essere più nocivo che altro. Per contro, il primo giorno era una volata tutta piatta, si girava a sinistra e trovavi vento a favore, probabilmente un dente in più sarebbe servito. Quindi c’è sempre da analizzare non solo quei 500 metri finali, ma anche la giornata.
Prima forse queste attenzioni non c’erano.
Non si cambiavano i rapporti giorno per giorno. Avevi un rapporto ed era quello. C’era chi metteva il 54 tutto l’anno, chi il 53… Sicuramente fa parte delle scelte di oggi. Come gli scalatori cambiano dal 36 al 39 e al 42 se la salita è poco pendente, lo stesso noi possiamo permetterci cose che una volta non si facevano.
Tu hai corso la Sei Giorni di Rotterdam e poi hai fatto i lavori in pista prima di venir qua: com’è il passaggio dai carichi di lavoro della pista alla prima corsa su strada?
Nei primi giorni è sempre difficile, però è ovvio che facendole entrambe, non è un problema e anzi deve essere un vantaggio. Il passaggio successivo è che dopo questa corsa, andrò ancora in pista con le gambe belle cariche. Adesso dovremo finire questa gara, poi recuperare e recuperare non vuol dire viaggiare. Quindi ci prenderemo qualche giorno in più a casa per assimilare quello fatto qua e aggiungere la qualità, per arrivare pronti all’europeo.
E dopo gli europei?
Strada. Uae Tour e poi sono nella lista della squadra per la Parigi-Nizza, ma dobbiamo vedere le dinamiche di inizio stagione. Il mio programma strada sarebbe perfetto vede Parigi-Nizza, Sanremo, Gand-Wevelgem. Se non dovessi essere fare la Parigi-Nizza, potrei andare in Coppa del mondo al Cairo. Ma il programma numero uno è quello della strada al 100 per cento.
Fabio Sabatini ne ha scortati di velocisti nella sua carriera. E tutti i più forti… e se un Fabio Jakobsen dichiara di essere l’uomo più veloce del mondo la cosa non può cadere a terra.
Vi riportiamo la frase dello sprinter della Soudal-Quick Step. «Se penso di essere l’uomo più veloce del mondo? Se guardi alla punta massima di velocità non tanti riescono a passarmi quando parto. E’ quello per cui mi alleno e per questo posso dire che hai ragione. Per contro, magari non sono il velocista più forte del mondo, visto che devo sempre lottare col tempo massimo. Funziona così: se vuoi essere il più veloce, devi soffrire in salita. E al Tour sono tutti così al massimo che ogni cosa è amplificata. Ma io sono fatto così e non voglio cambiare. Non per ora, almeno…».
Fabio, è vero dunque che Jakobsen è l’uomo più veloce del pianeta?
Sì, ci può stare, può essere vero. Però è anche vero che è stato battuto. Sulla carta, chiaramente, è uno dei velocisti più forti e attualmente credo anche il più puro. Se la gioca con Groenewegen.
Quindi sei d’accordo anche quando dice di essere il più puro attualmente?
Sì, se c’è una salitella, se non si stacca, rischia di arrivare allo sprint con “una gamba su e una gamba giù” e può essere battuto.
E per te che ne hai visti e scortati parecchi chi è stato il più veloce e il più puro?
Marcel Kittel – risponde Sabatini senza indugio – sono stato con lui alla Quick Step per due anni ed era effettivamente velocissimo.
Pensavamo più ad un vecchio McEwen, un Ewan, allo sprinter “piccolo” che ti salta negli ultimi 30 metri. Si dice che le punte maggiori di velocità le abbiano loro…
Un conto è uscire all’ultimo secondo e un conto è essere il più veloce. Un velocista come Jakobsen che fa in pieno 200-210 metri di volata e vince con una bici di vantaggio per me è il più forte. Se poi lui partendo così viene saltato nel finale perché c’è vento contro, ci sta che uno come Ewan possa saltarlo negli ultimi metri, ma non è detto che sia più veloce.
Insomma la velocità della volata non aumenta fino alla fine e chi salta, lo fa perché chi era davanti è “calato”…
In una volata ci sono tantissimi fattori da valutare, tante cose in ballo… E non si può dare un giudizio unico. Certo è che dopo quel che gli è successo per me Jakobsen che è tornato al suo livello è ancora più forte.
Io sono passato con Petacchi, ma forse andiamo troppo indietro con il tempo. A lanciarmi in modo definitivo nel mio ruolo di apripista è stato proprio Kittel. Però credo che Cav sia il più forte, specie dopo quel che ha fatto al Tour 2021, vincendo quattro tappe e la maglia verde. Se avesse un treno come aveva alla Quick Step sono sicuro che vincerebbe ancora lui. Però gli ci servirebbe il treno…
E Viviani?
Lui forse è più un Caleb Ewan, se ce lo hai a ruota uno come lui è un problema perché ha il picco da pistard e infatti il 70% delle volate in cui lo scortavo io lo portavo “veramente corto” (vicino alla linea d’arrivo, ndr). Perché se si partiva lunghi chi gli era a ruota poteva saltarlo, in quanto il suo picco poi andava a calare. Se un Kittel lo lasciavo ai 210-220 metri, Viviani lo lasciavo ai 170-150.
Facciamo un gioco di fantaciclismo. Prendi tutti i velocisti con cui ti sei incontrato in carriera e supponiamo che tutti siano all’apice della carriera. Chi è il più forte?
Eh – ci pensa un po’ Sabatini – se devo fare una classifica metto primo il Peta! Alessandro quando partiva era impressionante e aveva una volata veramente lunga. Lui forse non aveva il picco più alto ma ti faceva 1.500 watt per 30”-40” e con questi valori fai una differenza pazzesca. Lui, non credo di averlo mai lasciato al di sotto dei 200 metri. Lui e Kittel fanno parte di quegli sprinter che quando li lasci e sei già lanciatissimo aumentano ancora la velocità. Poi alla pari metto Cavendish e Viviani. Gente così con un treno è davvero pericolosa!
Viste le esigenze dei percorsi attuali (con più dislivello), secondo te limitano il potenziale degli sprinter proprio nelle volate?
Certo che li limitano e lo si vede anche dalle squadre che si fanno ormai per i grandi Giri. Difficilmente una WorldTour, a meno che non sia una “novellina”, porta il velocista o il treno per il velocista. Al massimo un uomo o due gli mettono vicino. Anche perché che garanzie può dare uno sprinter? Oggi c’è sempre una salitella prima dell’arrivo. E se la supera arriva stanco in volata. Ma questo dipende anche dai punteggi dell’UCI.
Vai avanti…
Finché non cambieranno del tutto – so che sono stati ritoccati per fortuna – sarà sempre così. Meglio fare un decimo nella generale che vincere diverse tappe. Guardiamo la Vuelta di quest’anno. Ma voi lo portereste un velocista? La prima tappa è una cronosquadre, nella seconda c’è una salitella nel finale e alla terza si arriva già ai 2.000 metri di Andorra. Tante volte lo sprinter ha bisogno delle prime tappe per carburare, così rischia di finire fuori tempo massimo.
Torniamo a noi. Merlier ha il potenziale per impensierire Jakobsen? Alla fine è una nuova leva che arriva nella squadra dove tutti migliorano…
Sono stato sei anni in quel gruppo e vige la filosofia che va avanti “chi va più forte”. Lefevere non guarda in faccia nessuno. Sono molto d’accordo quando avete scritto che la squadra del Tour verrà decisa poche settimane prima della corsa. E’ verissimo, posso garantirlo. E se Merlier dovesse vincere le corse in quel periodo e Jakobsen dovesse perderne qualcuna state certi che in Francia portano Merlier. Se Jakobsen vuol restare alla Soudal-Quick Step deve sapere che Lefevere avrà sempre almeno due velocisti. Insomma un “problema” ce lo avrà sempre.
In quella classifica dei velocisti di prima, dove collocheresti Jakobsen?
Tra Petacchi e Kittel. Fabio è davvero potente. In una volata regolare, quando Morkov si sposta è difficile che qualcuno riesca a passarlo. Quando è successo è perché ci sono state dinamiche particolari.
Alla Tirreno, si è visto per la prima volta in ammiraglia Sabatini. Il toscano ha affiancato Damiani e lo farà anche al Giro. Poche parole, sempre chiare
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Settimana tipo del velocista, anzi dei velocisti. Questa volta ve ne proponiamo due Alberto Dainese e Luca Mozzato. Li abbiamo messi insieme in una divertente videochiamata su WhatsApp e i due sprinter veneti ci hanno raccontato come vivono queste settimane di dicembre.
Dainese parte oggi per la Spagna con la sua Dsm, mentre Mozzato resta ad allenarsi a casa, anche perché i programmi della B&B Hotels-KTM in questo momento non sono chiarissimi come si è visto. I due classe 1998 sono amici e sono stati anche compagni in nazionale agli ultimi europei.
Ragazzi, prima di tutto come state in questo momento?
DAINESE: «Io sicuramente peggio di lui! In realtà forse sono un po’ più avanti perché ho avuto un’incidente il 31 agosto, ho fatto un mese di riabilitazione a settembre e quindi già dal 1° ottobre ero in bici. Ho iniziato quando gli altri erano ancora in vacanza».
MOZZATO: «No peggio io! Ho appena ricominciato a pedalare. Questa è la seconda settimana di allenamenti, la condizione è molto lontana da quella ideale. Ma credo di essere in linea col periodo».
Partiamo dalla sveglia. A che ora vi svegliate?
DAINESE: «Io alle 7 comincio a tirarmi su…. Mentre posso dirvi che “Moz” fino alle 9,30 non risponde al telefono!».
MOZZATO: «Vero! Le 9,30 sono il mio limite, ma ogni tanto mi sveglio anche prima».
A che ora fate colazione?
MOZZATO: «Abitiamo anche relativamente vicini, 35-40 chilometri, e quindi capita di allenarci insieme. E svegliandomi tardi poi sono costretto a fare tutte le cose di corsa. Il tempo dalla sveglia a quello in cui sono in bici è veramente breve. Fra sveglia, colazione e preparativi faccio tutto in 40-45′. Prima delle 10 è raro che esca».
DAINESE: «Appena mi sveglio faccio subito la colazione. Esco prima di Luca. Però me la prendo un po’ più comoda. Faccio una colazione abbondante e dopo un’oretta parto, di solito alle 9,30».
Come vi vestite ora che fa un po’ più freddo?
DAINESE: «Pesante: calzamaglia, puntali e magari sopra al puntale metto anche un copriscarpe aerodinamico, così… Un po’ per lo sporco e anche perché “fa più bello”! Poi maglia termica e primaverile o invernale a seconda dalla giornata».
MOZZATO: «Mi vesto un po’ meno perché il freddo non lo soffro tanto. Se mi vesto troppo tendo a sudare. Magari parto con una maglia termica corta, un giubbino primaverile e poi a seconda della giornata la gabba o uno smanicato».
Uscite tutti i giorni o alternate con la palestra?
MOZZATO: «Si prova a fare qualcosa a tutti i giorni, poi dipende anche dal tempo. Al momento sono su “mini blocchi” di lavoro in bici di due o tre giorni consecutivi e poi il giorno dello “scarico” vado in palestra. Quindi in una settimana faccio cinque uscite in bici e due di palestra».
DAINESE:«Io faccio triplette e di solito la palestra la metto nel giorno che ho le partenze da fermo, quindi intorno alle tre ore. In palestra ci vado dopo la bici. Però nel giorno di recupero, faccio un’ora di bici o anche meno».
Per Mozzato un’ottima stagione. Nessuna vittoria ma grande costanza di rendimento ad alti livelliDainese è cresciuto molto nel 2022. Per lui la perla della vittoria al Giro
Facciamo una settimana tipo: lunedì, martedì, mercoledì…
MOZZATO: «Due ore e mezza il primo giorno e mezz’ora in più quello successivo. Il mercoledì non tocco la bici e faccio palestra per un paio di ore. Giovedì, venerdì e sabato altre uscite in bici. Uscite che a seconda del meteo possono anche andare a decrescere. La domenica vado in palestra».
DAINESE: «Faccio delle triplette. E bene o male sia in questo periodo che in stagione faccio già 3-4-5 ore a salire, o 3-5-3. Faccio palestra nel giorno delle tre ore. Quindi recupero e via con un’altra tripletta».
Quali sono i tre esercizi che più fate in palestra?
MOZZATO: «Tantissimo squat, stacchi e addominali».
DAINESE: «Squat, stacchi da terra (anche step up, dal cubo) e bulgarian».
Quante volate fate il giorno dell’allenamento esplosivo, se così possiamo dire? Sempre in questo periodo…
DAINESE: «Io sono un po anomalo, perché il mio mese di stop è stato anticipato e quindi sono più avanti. Non dico che sono in condizione, ma quasi. Il giorno delle tre ore faccio tre serie con quattro partenze da fermo ciascuna. Poi capita invece che in un altro giorno della tripletta faccio delle volate ad alta cadenza o sprint lunghi da 20”. Mi è capitato già di fare 6×20”: era novembre e di solito è presto per certi lavori».
MOZZATO: «Per me è molto più semplice, visto che al momento di volate non ho ancora fatta una! Sono nella fase della base».
Quando fate la volata in allenamento cosa non deve assolutamente mancare? Un cartello da vedere, lo sguardo sul computerino, la musica a tutto volume nelle orecchie…
MOZZATO: «Per me non deve mancare il punto d’arrivo che può essere un cartello, un palo… Cerco di regolarmi in base alla durata della volata, ma preferisco avere una “linea d’arrivo”. Mi motiva di più».
DAINESE: «A me piace tanto, e ho cominciato da quest’anno più che gli anni scorsi, fare dietro moto su strada e lanciarmi proprio a tutta, ai 70 all’ora e fare la volata più lunga possibile fino al cartello che mi fisso io. C’è quel momento che sei già sfinito dietro la moto e dici: “Dai ora, spingi”».
Mozzato (in foto) ha detto che tollera bene il freddo. Dainese invece si veste di piùMozzato (in foto) ha detto che tollera bene il freddo. Dainese invece si veste di più
Quando vi allenate insieme fate mai la volata?
MOZZATO: «Ho perso le speranze!
DAINESE: «Abbiamo abbandonato le volate insieme qualche anno fa».
MOZZATO: «Lui è più esplosivo di me e ogni volta mi toglie di ruota. Quindi ho detto: “Meglio lasciare perdere”».
DAINESE: «Ma non è vero. Il fatto è che stando sempre in viaggio, quest’anno avremmo fatto dieci allenamenti insieme».
Con il peso come è messo il velocista in questo periodo?
MOZZATO: «Io discretamente male! Scherzi a parte, rispetto al peso forma dovrei essere 2-3 chili sopra. Il peso è stato un po’ la mia croce in questi anni. Anche per questo sto cercando di mettere ore nelle gambe con il fondo lento e faccio poche volate».
DAINESE: «Io benino, qualcosa ho preso, ma non so neanche bene definire quanto: un chiletto e mezzo…».
Oggi il velocista deve andare forte anche in salita. E’ un aspetto che già state curando?
DAINESE: «Sì, anche se io non faccio lavori specifici, almeno adesso, per la salita. Nel giorno delle 5 ore cerco di farne abbastanza, anche in Z2 o Z3 bassa. Magari ci butto dentro un cambio cadenza».
MOZZATO: «Discorso simile anche per me. I lavori specifici non sono ancora stati fatti. Arriveranno coi ritiri e con le temperature più calde. Però le salite vanno inserite il più possibile, dovendo portare la bici in cima è un allenamento che serve sempre di più. Ripide corte, lunghe, facili… bisogna farle».
Dainese è partito oggi per il ritiro con la squadra, qui in una foto (Instagram) dell’anno scorso. Mozzato si allena a casa inveceDainese è partito oggi per il ritiro con la squadra, qui in una foto (Instagram) dell’anno scorso. Mozzato si allena a casa invece
Passiamo alla parte alimentare. A colazione cosa mangiate?
MOZZATO: «Con il discorso peso, in questo periodo provo a stare più leggero possibile. Cerco di limitare i carboidrati o gli alimenti che durante la stagione vengono usati di più, come avena, pane… Prediligo una colazione più proteica. E anche in bici: invece di mangiare ogni mezz’ora, come sarebbe giusto fare, mangio una volta all’ora. E nella borraccia metto le proteine anziché le maltodestrine. Prima di partire prendo un po’ di caffè…».
DAINESE: (ride, ndr) «Un po’: lui si fa la moka da sei!».
MOZZATO: «Serve grinta per uscire di casa!».
DAINESE: «Io insisto ancora sui carboidrati. Non ho cambiato molto l’alimentazione rispetto alla stagione vera e propria, anche perché una ventina di ore settimanali le faccio comunque. Non devo perdere tanto peso. Mi piace variare quindi posso farmi porridge, pancakes o l’omelette col pane… O tutti e tre! Mi piace fare la colazione abbondante, soprattutto il giorno della distanza. Magari sono un po’ ingolfato nelle prime ore, ma poi la gamba è bella piena».
Quindi tornate dall’allenamento e pranzate sempre o se fate la distanza lo saltate?
MOZZATO: «Soprattutto in questo periodo non penso di aver mai saltato il pranzo. Magari capita più in là o in altura. In quel caso fai tante tante ore, arrivi verso le quattro, mangi un frutto, un po’ di proteine e arrivi a cena. Adesso invece pranzo con una porzione di carboidrati, una di proteine e un frutto».
DAINESE: «Più o meno uguale. Anche se questo mese mi è già capitato di essere tornato che faceva quasi buio e tirare a cena mangiando più leggero. Comunque quando pranzo prendo sempre un po’ di carboidrati. Quando c’è la distanza e arrivo ad orari “strani”, tipo le 15,30, non ho una gran voglia di pasta, mangio qualcos’altro. Anche per questo preferisco partire un po’ prima, specialmente quando ho la palestra al pomeriggio: cerco di stare a casa per mezzogiorno».
Alternanza delle proteine ed omega-3, contentuti nel salmone, sono cardini per entrambiAlternanza delle proteine ed omega-3, contentuti nel salmone, sono cardini per entrambi
A cena cosa mangiate?
MOZZATO: «Io provo a variare il più possibile le proteine. Se a pranzo ho preso il pollo, la sera mangio del pesce, della carne rossa o delle uova… Può capitare che faccia una porzione ridotta di carne o pesce e magari inserisca dei legumi».
DAINESE: «Molto simile a Luca. Cerco anche di evitare troppa carne. In qualche pasto (soprattutto a pranzo) sostituisco la carne con dello yogurt greco».
E il dolcetto post cena?
DAINESE: «Penso che siamo amanti entrambi del dolcetto!».
MOZZATO: «E’ il mio punto debole! Come sempre dipende anche dal periodo. Quando so che devo limare sul peso, in casa non ne tengo, così sono obbligato a non mangiarne».
DAINESE: «Io sono un po’ più permissivo con me stesso. Alla fine conta l’introito calorico e se voglio il dolce limo su qualcos’altro».
Integratori: in questo periodo il velocista ne fa uso?
MOZZATO: «Quando ho staccato… ho staccato anche con gli integratori. Invece adesso cerco d’introdurre le cose di cui solitamente sono carente, quindi: vitamina D, ferro, Omega-3… Più che altro perché ogni volta che faccio le analisi sono un disastro!».
DAINESE: «Come squadra abbiamo la linea guida di doverli prendere tutto l’anno. E sono tre in particolare: omega-3, probiotici e vitamina D. Ma nel mese di stacco li ho evitati anche io. Quando sono tornato in bici ho ripreso a prenderli».
Il Covid prima del rientro e un 5° posto al Saudi Tour. Alberto Dainese si lancia verso le prossime volate con più appoggio dal team e la preparazione mirata
Fare punti per una squadra WorldTour è uno, se non l’aspetto più importante per il bilancio stagionale. Ne conseguono infatti la permanenza nella categoria e l’appetibilità verso sponsor e atleti. Per Cofidisla zona retrocessione di cui si era parlato a inizio anno è ormai dimenticata. Hanno fatto tutti la loro parte, gli scalatori e soprattutto i velocisti. La stagione ormai alle battute finali si è rivelata essere uno step in avanti sotto più punti di vista.
I velocisti per molte formazioni rappresentano la linfa vitale per accumulare vittorie, piazzamenti e quindi punti preziosi. Ci siamo posti interrogativi e li abbiamo dirottati su Roberto Damiani diesse del team francese, chiedendogli come si gestiscano tante ruote veloci e cosa ci sia dietro l’esigenza di finalizzare ogni ordine d’arrivo per l’accumulo dei punti.
Tirreno-Adriatico, Roberto Damiani e Fabio Sabatini, che ha chiuso sull’ammiraglia la sua carriera da ultimo uomo dei velocistiRoberto Damiani e Fabio Sabatini, che ha chiuso sull’ammiraglia la sua carriera da ultimo uomo dei velocisti
Roberto, facciamo una panoramica sui vostri velocisti…
Partirei con Max Walscheid che ha vinto una corsa poi ha avuto un incidente in allenamento e da aprile ha rincorso sempre un po’ la condizione. Ritengo che Max sia l’interprete ideale per essere l’ultimo uomo per un altro velocista. Lui non ha l’esplosività naturale vista la stazza, ma dispone di una progressione importante. C’è una grossa differenza tra il velocista esplosivo o il velocista come Max più alla Petacchi o Cipollini. Questi atleti infatti sono in grado di raggiungere delle punte di velocità in progressione. Per cui diventano veloci, ma per questo tipo di caratteristiche.
Continuiamo…
Piet Allegaert che ha fatto buonissimi risultati, ma che probabilmente manca di quell’esplosività finale che gli potrebbe permettere di vincere. Anche lui potrebbe essere inserito tra gli uomini di aiuto per il pit out finale.
Poi c’è Coquard il vostro migliore velocista quest’anno…
Bryan ha riaperto il discorso con la vittoria, l’ha fatto bene già a inizio stagione e vincendo anche adesso alla fine. E’ un velocista che invece diventa uno di quegli uomini da ultimi 100/150 metri. Ha fatto bene il suo lavoro, abbiamo cercato di sostenerlo come peraltro lui ha sostenuto Simone Consonni nell’ultima Parigi-Tours facendo davvero un ottimo lavoro.
Lo sprint vincente di Coquard all’Etoile de Besseges dopo 551 giorni di astinenzaLo sprint vincente di Coquard all’Etoile de Besseges dopo 551 giorni di astinenza
Eccoci a Consonni, che stagione ha disputato?
Direi abbastanza complicata, perché ha avuto qualche problema di salute. Simoneha forse pagato il fatto di trasformarsi da ultimo uomo di Elia Viviani a protagonista in ricerca del risultato. Però sta lavorando bene, sta crescendo e oltretutto ha fatto un buon cumulo di risultati.
Poi c’è Davide Cimolai altro azzurro molto veloce…
Cimolai è sicuramente un buon velocista, quest’anno si è dedicato più ad aiutare gli altri. Questi corridori sono stati importanti per un certo numero di punti che ci hanno dato la possibilità di arrivare nella posizione attuale di squadra.
Fare punti quindi è l’obiettivo?
Il primo obiettivo rimane quello di vincere. Sembra di dire un’ovvietà, ma se vinci fai anche i punti.
Simone Consonni ha vinto alla Paris-Chauny 2022 (foto @westcoo)Simone Consonni ha vinto alla Paris-Chauny 2022 (foto @westcoo)
Abbiamo visto spesso ordini d’arrivo con più uomini dello stesso team fare la volata, anche nel vostro caso. Come spieghi questo approccio?
Ci siamo trovati qualche volta a prendere in considerazione dei risultati che ponevano due o tre corridori nei dieci all’interno di una gara, come hanno fatto altre formazioni. Contenti per il numero di punti che hanno fatto un po’ meno per la corsa che si è persa.
E’ un aspetto tattico che diventa esigenza programmata prima della gara o è un’eventualità del finale?
E’ anche un’esigenza, io faccio fatica a non pensare di essere alla partenza di una corsa per non vincere. Anzi non ci riesco proprio. Per me ogni corsa è fatta per cercare il massimo risultato.
Questo non incide sull’ordine d’arrivo in negativo a volte?
Sono situazioni che a posteriori puoi anche dire che avresti potuto giocartela meglio. Ma l’importanza di essere nel WorldTour è comunque fondamentale.
Consonni e Cimolai sono i due velocisti azzurri in forza al team franceseConsonni e Cimolai sono i due velocisti azzurri in forza al team francese
Facendo un paragone calcistico i velocisti sono come delle prime punte. Più fanno gol e più acquistano continuità. Vale lo stesso per i tuoi sprinter, vedi Consonni sempre più presente negli ordini d’arrivo?
Buttarla dentro è importantissimo. Quella vittoria lì è stata come aprire una porta importantissima. Anche perché è stato un ordine d’arrivo pesante. C’erano davvero degli ottimi velocisti. A me dispiace tantissimo quello che è successo alla Coppa Bernocchi. In un momento chiave della gara, in cui Simone godeva di grande forma, ha avuto un problema meccanico e li è rimasto fuori dai giochi. Alla Parigi-Tours c’è stato quel tentennamento in cui Mozzato gli ha messo il manubrio davanti e lui non è riuscito più a partire per lo sprint. Sono situazioni che non gli hanno permesso di raccogliere risultati ancora meglio di quello che ha fatto.
E’ in un percorso di crescita?
Direi più un periodo di trasformazione e ci vogliono tempo e calma.
Cimolai è stato portato ala Vuelta per aiutare i corridori preposti a fare puntiCimolai è stato portato ala Vuelta per aiutare i corridori preposti a fare punti
In ottica 2023 avete in mente di rinforzare il roster dei velocisti?
Siamo in uno sfondo più dedicato al nostro manager che si occupa di mercato. Chiaramente si confronta con noi per le scelte tecniche, però adesso abbiamo già un buon numero di velocisti che potranno vantare un anno in più di lavoro insieme. Qualche dinamica di gara per il prossimo anno avverrà più facilmente nei finali di corsa. Penso che sia uno dei settori su cui ci possiamo affidare maggiormente.
Che bilancio dai al reparto in questa stagione?
Sicuramente è stata una stagione positiva, oltre che per il reparto per la squadra. Per il numero di vittorie conquistate e per il fatto che probabilmente una grande percentuale di quelli che si considerano come grandi esperti di ciclismo ci davano per spacciati nel WorldTour. Invece nella classifica annuale siamo in 11° posizione e in quella triennale in 14°. Siamo andati dritti verso i nostri obiettivi, con grande umiltà ma anche con grande determinazione. E questo devo dire che è una di quelle cose che ci fa maggiormente piacere.