Cavendish, resta solo Roma. Intanto Sabatini racconta…

25.05.2023
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Se ne va uno degli ultimi “mammasantissima” del ciclismo, esponente di spicco di quell’epoca delle due ruote immediatamente precedente a quella attuale dei fenomeni che vincono dappertutto. Marc Cavendish (in apertura col dottor Magni, dopo la tappa di Caorle in cui non ha brillato) era uno di quelli specializzati, un maestro delle volate che nel corso del Giro d’Italia ha deciso di annunciare l’addio a fine stagione, non senza commozione.

A 38 anni, in coincidenza con il suo compleanno, il britannico chiude una carriera che lo ha visto protagonista per oltre tre lustri. Tanti gli avversari affrontati e battuti, tanti i compagni di viaggio diventati poi rivali o viceversa. Fra questi uno che i velocisti li conosce bene, li ha pilotati quasi tutti. Fabio Sabatini è stato il suo “pesce pilota” per poco, ma ha condiviso anni e anni di volate e lo conosce come pochi.

L’annuncio del ritiro nel giorno di riposo, insieme alla sua famiglia (foto Astana Qazaqstan Team)
L’annuncio del ritiro nel giorno di riposo, insieme alla sua famiglia (foto Astana Qazaqstan Team)

L’ex corridore di Pescia, dopo aver lavorato fino allo scorso anno alla Cofidis, si è preso un periodo di pausa, tornando in Toscana a dedicarsi ai più giovani nel team dei suoi inizi: «Sto studiando per prendere il diploma di terzo livello come diesse, senza di quello non vai da nessuna parte, poi tornerò nel giro, per ora sto a guardare e restituisco ai più giovani un po’ di quel che ho avuto».

Quanto tempo hai condiviso con Cavendish?

Siamo stati compagni nella Quick Step nel 2015, solo un anno perché poi lui andò via, ma abbiamo condiviso volate ed esperienze per un decennio abbondante. Io ero al primo anno in quel team e allora non ero ancora ultimo uomo per le volate, il suo fidato compagno era l’australiano Renshaw e io ero colui che doveva lanciare la coppia fino all’ultimo chilometro.

Sabatini e Cavendish, per tanti anni hanno condiviso gli sprint, quasi sempre con maglie diverse
Sabatini e Cavendish, per tanti anni hanno condiviso gli sprint, quasi sempre con maglie diverse
Che velocista è?

Nervoso. E’ nel suo carattere, molto diverso ad esempio da Viviani e Kittel. E’ sempre stato così, il più nervoso di tutti, esigentissimo, tutto doveva filare liscio. Si faceva sentire eccome, ma lavorandoci insieme si capiva presto che era il suo modo di fare. Appena tagliato il traguardo tutto svaniva: se aveva vinto baci e abbracci, se perdeva non c’erano recriminazioni, a meno di errori marchiani. Era il suo modo per cercare sempre la perfezione.

Com’è in corsa, anche prima di entrare nelle fasi decisive prima della volata?

Sempre molto attento a tutto quel che succede. Rispetto a tanti altri velocisti, Mark ha qualcosa che non tutti hanno, la capacità di potersi giocare la vittoria anche su percorsi che proprio per velocisti non sono. Si è visto anche in questo Giro, nella tappa di Viareggio. Davanti erano rimasti una cinquantina, ma lui c’era. Sapendo questo, chi corre con lui sa di dover lavorare molto, per cercare di preservarlo e non fargli fare tanta fatica, farlo risparmiare nelle tappe dove può dire la sua oppure aiutarlo quando la salita è davvero troppa.

Il britannico ha assommato la bellezza di 161 vittorie in carriera
Il britannico ha assommato la bellezza di 161 vittorie in carriera
C’è una volata condivisa da compagni che ti è rimasta impressa?

Sì, l’ultima del Tour de San Luis in Argentina. Io ero appena entrato nel team e in squadra non c’era Renshaw che aveva scelto il Tour Down Under che si correva nella sua Australia. Toccava quindi a me pilotarlo. Era un arrivo particolare, in leggera discesa al termine di uno stradone lungo. Io dovevo guidarlo dallo striscione dell’ultimo chilometro fino ai 350 metri, quando mi scansai vidi che avevamo toccato una velocità folle. Lui sconfisse Gaviria e Mareczko, la cosa che mi colpì è che era andato tutto esattamente come era stato stabilito a tavolino e Mark me lo fece notare, contento del mio lavoro.

Sei rimasto colpito dalle sue lacrime nell’annuncio del ritiro?

Lo conosco, so che è un animo sensibile e sapevo che non sarebbe riuscito a dire addio senza piangere e sarà così anche quando a fine anno chiuderà anche nell’atto pratico. D’altronde si è reso conto che ormai a 38 anni ha l’età giusta, è come se trascini un carro pieno di buoi. Ormai già a 32 anni ti dicono che un contratto biennale te lo puoi scordare, che si va avanti stagione per stagione, mentre si pensa già a chi prenderà il tuo posto. E’ un ciclismo per giovani e lui si rende conto che non è più quello di prima.

Il ricordo di Sabatini, ultimo uomo nella vittoria di Cavendish a San Luis 2015
Il ricordo di Sabatini, ultimo uomo nella vittoria di Cavendish a San Luis 2015
Come lo collochi in un’ideale classifica fra i velocisti che hai incontrato?

E’ al primo posto insieme a Kittel, con la differenza però che Mark è durato di più e che aveva dalla sua anche un po’ di resistenza in più sui tracciati mossi. Al tedesco la salita faceva male solo a guardarla… E’ un grande che se ne va, oltretutto portandosi dietro un curriculum enorme, tra titolo mondiale, classiche e un fiume di vittorie di tappa nei grandi giri.

Secondo te Cavendish può essere un buon insegnante?

Sicuramente, ha proprio l’indole del trasmettere la sua sapienza agli altri. Faceva così anche quando arrivai alla Quick Step, è uno che ha la pazienza di mettersi lì a spiegare, ha voglia di parlare con i più giovani. Non è uno di quelli che se la tira, è abituato a condividere e potrà essere prezioso in questo, sicuramente resterà nell’ambiente.