Team Cofidis

Cofidis, Damiani analizza: «Errori di tutti, ma guardiamo avanti»

06.11.2025
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Il Team Cofidis ha vissuto forse la sua stagione peggiore. La storica squadra francese ha chiuso un’annata con appena nove vittorie ed è retrocessa dal WorldTour, essendo arrivata ventesima nel ranking. Un colpo non da poco per un team che, pur senza grandissimi campioni, si è sempre distinto nel panorama ciclistico internazionale.

Ne è conseguito l’allontanamento del team manager Cédric Vasseur e l’arrivo di Raphael Jeune. Di questo rimescolamento, di quel che è stata la stagione e di ciò che sarà, abbiamo parlato con Roberto Damiani, direttore sportivo e ormai colonna portante della squadra francese.

Roberto Damiani (classe 1959) da otto stagione è nella Cofidis (foto Instagram)
Roberto Damiani (classe 1959) da otto stagione è nella Cofidis (foto Instagram)
Roberto, dunque, che stagione è stata?

Una stagione iniziata tutto sommato bene, almeno fino ad aprile, poi siamo andati in difficoltà. Il perché: odio accampare scuse, ma è certo che qualcosa non ha girato per il verso giusto. Abbiamo fatto tutti degli errori e come dico sempre si vince e si perde tutti insieme. Ognuno ha le sue responsabilità se le cose non sono andate come pensavamo.

E ora?

Abbiamo fatto le nostre analisi e possiamo dire che ripartiremo con ancora più grinta.

C’è stato un grande cambio al vertice: via Cédric Vasseur, dentro Raphaël Jeune…

E’ stato un cambio deciso dall’alto, da Cofidis come azienda. Io sono arrivato in questo gruppo otto anni fa proprio con Vasseur e con lui ho sempre lavorato molto bene. Ma quando mi hanno proposto il rinnovo ho deciso di rimanere, perché voglio continuare a dare il meglio. Prima Cédric era il mio team manager, ora è un amico. Ci sentiamo ancora.

Si dice che proprio Vasseur sia stato travolto dallo stress dei punti a un certo punto della stagione. Questo ha contagiato anche il resto del team?

Certo, ma ditemi chi, dal decimo posto in giù del ranking UCI, non sia stato travolto da questa paura, da questa paranoia. C’era per tutti una vera tensione da punti, non solo per noi della Cofidis. Guardiamo le squadre con cui eravamo in lotta: XDS-Astana, Uno-X Mobility, Picnic-PostNL… Tutti hanno cambiato modo di correre e di gestire le gare. In quante corse si è andati non per vincere ma per fare punti? Questo ha inevitabilmente comportato una diminuzione dello spettacolo, e chi ha deciso queste regole se ne deve assumere le responsabilità. Ma se sei con l’acqua alla gola – e dico acqua per non dire altro – per salvarti non stai a guardare lo stile…

Fretin è stata una delle sorprese della prima parte di stagione: il velocista belga ha vinto tre corse e ottenuto molte top 5
Fretin è stata una delle sorprese della prima parte di stagione: il velocista belga ha vinto tre corse e ottenuto molte top 5
Immaginiamo, appunto, quella tensione, quell’ansia…

E’ stato così, mesi di tensione. Mesi in cui c’era voglia di fare, ma eravamo in grande difficoltà. Poi va detto anche che per fare punti servono corridori buoni e in condizione. Anche per questo, a un certo punto, abbiamo puntato molto sulle gare minori. Al tempo stesso però, da squadra WorldTour quale eravamo, dovevamo rispettare il calendario e gli impegni in Coppa di Francia. Ma in certe corse va detto che non c’eravamo. Al Tour de France, e sapete quanto sia importante per una squadra francese, proprio non siamo esistiti. E’ stato il peggiore dei nostri tre Grandi Giri.

Tu, Roberto, prima hai parlato di analisi fatte: cosa ne è emerso? Cosa non ha funzionato nel concreto?

Per quanto riguarda l’analisi, questa è stata fatta con il team manager, il gruppo performance, i medici, i direttori sportivi e l’alta dirigenza. E’ stata un’analisi a 360 gradi. Tutti noi – e quando dico tutti, intendo dai corridori ai massaggiatori, dai meccanici ai direttori sportivi – potevamo e dovevamo fare di più. Tuttavia, di fronte a una stagione non in linea con le aspettative, ci tengo a dire che Cofidis non si è tirata indietro, anzi… Ci ha rinnovato la fiducia fino al 2028 per una ripartenza decisa. Una fiducia totale.

E non è poco…

Stavo dicendo proprio quello. Non è poco in un periodo in cui vedi squadre che chiudono, altre che si fondono. Perché poi uno pensa ai corridori, ma c’è tanta gente che resta a casa. Si parla di professionismo, di aziende. E per chi non è corridore, che guadagna meno, la cosa è ancora più pesante. Cofidis invece ci ha detto: «Okay, non è andata bene, così non va, ma rimbocchiamoci le maniche e tiriamoci fuori da questa situazione tutti insieme».

Emanuel Buchmann , Team Cofidis, Tour de France
Emanuel Buchmann era il leader della Cofidis al Tour: è giunto 30° nella generale
Emanuel Buchmann , Team Cofidis, Tour de France
Emanuel Buchmann era il leader della Cofidis al Tour: è giunto 30° nella generale
Hai parlato con Jeune?

Certamente. Raphael, nel finale di stagione, è venuto a seguire le corse in Italia. Ha parlato con i corridori, con lo staff, si è presentato. Lui era il responsabile di Look per i rapporti con la squadra. Adesso è il general manager. C’è stato sin da subito un rispetto totale dei ruoli. Il confronto, come dicevo prima, c’è stato con i vari distretti: direttori sportivi, gruppo performance, medici…

Ecco, gruppo performance: immaginiamo che molte cose cambieranno sotto questo aspetto. Di solito alla fine sono loro ritenuti i maggiori responsabili, è così?

Non li ritengo i maggiori responsabili, ma tra i responsabili sì. Come ho detto prima, la responsabilità è di tutti. Quali problematiche possono esserci? Penso, per esempio, al referente dei coach, Mattia Michelusi, che ha dovuto cambiare lingua. E già passare dall’italiano o dall’inglese al francese, magari all’inizio può essere un limite: certe cose possono non arrivare allo stesso modo. Si dice sempre che se il corridore non va, la responsabilità è del preparatore: non è così. Potrei dire che anche il direttore sportivo ci può mettere del suo.

Cioè?

Anche noi potevamo fare scelte diverse di calendario, più oculate, in base alla nostra rosa e al vero valore degli atleti. E qui do una frecciatina: abbiamo ritenuto leader gente che non sa neanche cosa significhi questa parola, sia dal punto di vista atletico che gestionale in corsa. Quanti punti avevamo previsto con queste persone che poi non sono arrivati? Tanti… Capite perché torno a dire che la responsabilità è di tutti?

Edoardo Zamperini, campione italiano U23 nel 2024 ha firmato un contratto biennale con la Cofidis (foto Tomasz Smietana)
Edoardo Zamperini, campione italiano U23 nel 2024 ha firmato un contratto biennale con la Cofidis (foto Tomasz Smietana)
Insomma, si va verso una nuova stagione con fiducia rinnovata ed errori da non ripetere. Però ci sono anche buone notizie: avete preso un italiano, Edoardo Zamperini. Cosa ci dici di lui? E’ giovane, ma oggi non è più ritenuto giovanissimo…

No, no, non scherziamo: Zamperini è un giovane. Questo è un aspetto del tutto soggettivo. C’è chi è maturo a 20 anni e chi forse non lo diventa mai, anche a 25. Devo ammettere che conosco molto poco Edoardo e non vedo l’ora di conoscerlo meglio.

Come è andata la trattativa?

E’ stato proposto a Jeune dal direttore sportivo dell’Arkea, Sebastien Hinault. A noi mancava una “bandierina italiana” da inserire in rosa e abbiamo colto l’occasione. Per quanto riguarda i numeri, i valori bisognerebbe chiedere a Michelusi, che sicuramente ora lo conosce più di me. Vorrei però sottolineare una cosa.

Prego…

Vorrei ringraziare la General Store-Essegibi, che nonostante lo avesse preso quando era rimasto senza squadra, è stata disponibile a cederlo quando è arrivata questa occasione. Rosola e il presidente Calosso sono stati dei veri signori: lo hanno lasciato andare quando hanno capito che poteva ambire a un livello superiore. Ci hanno detto: «Farebbe piacere anche a noi vederlo al Tour il prossimo anno».

Edoardo Zamperini, Arkea B&B Hotels (foto Instagram)

Zamperini in Cofidis: l’occasione arriva nell’anno più difficile

05.11.2025
5 min
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Dopo una lunga attesa il futuro di Edoardo Zamperini avrà ancora il suono della lingua francese, da qualche giorno è stato annunciato come trentesimo e ultimo innesto del Team Cofidis. La formazione che vede in ammiraglia Roberto Damiani e che dal 30 settembre scorso è guidata da Raphael Jeune ripartirà come professional per il prossimo triennio (2026-2028). Il campione italiano under 23 del 2024 ha trovato una sistemazione quasi in extremis, cosa non semplice a fronte della chiusura dell’Arkea B&B Hotels e del suo devo team per il quale ha corso nella passata stagione (in apertura foto Instagram/Edoardo Zamperini). 

«Ho passato gli ultimi giorni in montagna – racconta Zamperini – e da lunedì (il 3 novembre, ndr) sono tornato ad allenarmi. Sono fermo dal 5 ottobre scorso, quindi piano piano riparto per farmi trovare pronto fin da subito».

Edoardo Zamperini, Arkea B&B Hotels (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Edoardo Zamperini nel 2025 ha corso con il devo team dell’Arkea B&B Hotels (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Edoardo Zamperini, Arkea B&B Hotels (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Edoardo Zamperini nel 2025 ha corso con il devo team dell’Arkea B&B Hotels (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Che anno è stato quello con l’Arkea?

Fatto di alti e bassi, ma alla fine direi che si impara sempre qualcosa. Mentalmente è stata un’annata impegnativa, soprattutto negli ultimi mesi quando abbiamo avuto l’ufficialità per quanto riguarda la chiusura del team. Sono stato per tanto tempo alla ricerca di una squadra per la prossima stagione, cosa che mi ha logorato abbastanza dal punto di vista mentale. 

Quando hai iniziato a cercare?

Già a stagione in corso l’Arkea ci aveva dato il via libera per muoverci e trovare alternative. Il 2025 è stato un anno strano, tanti team hanno chiuso e ci sono state tante rivoluzioni date dalla fine del triennio che avrebbe rinnovato le licenze WorldTour.  

Una stagione non semplice, ti saresti mai aspettato di passare professionista?

Non proprio, tanto che prima della firma con la Cofidis arrivata la scorsa settimana, avevo già firmato con la General Store. Invece pochi giorni fa mi hanno chiamato dalla Cofidis per dirmi che avevano ancora tre posti a disposizione per il 2025 e avevano pensato a me. 

Edoardo Zamperini, Arkea B&B Hotels (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Il corridore veneto ha totalizzato 51 giorni di gara tra devo team, WorldTour e nazionale (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Edoardo Zamperini, Arkea B&B Hotels (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Il corridore veneto ha totalizzato 51 giorni di gara tra devo team, WorldTour e nazionale (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
In General Store cosa ti hanno detto?

Sono stati dei signori e per questo li ringrazio davvero. Si sono dimostrati una squadra capace di fare ciclismo per il bene degli atleti e non per tornaconto personale. 

Com’è nata l’opportunità in Cofidis?

Quando stavo cercando, a stagione ancora in corso, mi ero proposto. Avevo detto loro che se ci fosse stata l’occasione di lavorare insieme mi sarebbe piaciuto entrare a far parte di quella realtà. In questa esperienza in una squadra francese (Arkea B&B Hotels, ndr) mi sono trovato bene

Quale aspetto ti è piaciuto maggiormente?

Mi sono sentito come quando ero juniores o under 23 e correvo in squadre italiane, si è molto legati come in una famiglia. Qualsiasi persona lavora per il bene dei corridori, si vede che anche in Francia vivono il ciclismo con grande passione. 

Con la nazionale U23 di Amadori ha conquistato il suo unico successo stagionale, all’Orlen Nations Grand Prix (foto Tomasz Smietana)
Con la nazionale U23 di Amadori ha conquistato il suo unico successo stagionale, all’Orlen Nations Grand Prix (foto Tomasz Smietana)
Com’è stato il passaggio da una squadra di club al correre in un devo team?

Si fa sentire un po’ soprattutto dal punto di vista logistico e organizzativo. Ci sono tanti aspetti ai quali non ero abituato: viaggiare da solo, spostarmi per aeroporti e cose del genere… Ho avuto la fortuna di avere dei compagni di squadra italiani come Nicolas Milesi o quelli del WorldTour: Epis e Mozzato ai quali chiedere. 

A livello atletico che anno è stato?

A colpo d’occhio è stato sicuramente con meno risultati dell’anno scorso. Però c’è da dire che ho affrontato un calendario ben più impegnativo. Nel 2024 avrò corso una quindicina di gare internazionali, quest’anno erano tutti appuntamenti di alto livello. Inoltre mi hanno portato tante volte a correre con la formazione WorldTour.

Cosa si prova a dire adesso che sono professionista?

Forse questa parola ha un po’ perso di valore negli anni perché c’è tanta confusione a riguardo. Ormai le continental possono partecipare alle gare 1.Pro oppure chi corre in un devo team viene visto come professionista o si sente di esserlo. Io in cuor mio sento di essere professionista finalmente ed è una gioia immensa. Un sogno che inseguo da diciassette anni, da quando ho iniziato ad andare in bici, da G1. 

Zamperini ha corso tanto anche con i professionisti, qui in azione al Gran Premio Miguel Indurain
Zamperini ha corso tanto anche con i professionisti, qui in azione al Gran Premio Miguel Indurain
Cosa ti ha insegnato questa stagione?

Le cose accadono quando meno te lo aspetti, se dovessi guardarmi indietro avrei scommesso che sarei riuscito a passare professionista a fine 2024 visti i risultati. Invece mi ritrovo a fare il salto ora, al termine di una stagione difficile nella quale ho capito l’importanza di tanti altri aspetti che sono importanti e vanno oltre la prestazione in bici.  

Ad esempio?

Dimostrarsi affidabile, sia per il team che per i compagni, serio e disponibile. Quest’anno in Arkea mi sono messo tante volte a disposizione della squadra e ho fatto vedere di essere una figura capace di fare determinati lavori. Mi ha fatto piacere il fatto che anche in Cofidis se ne siano accorti e mi abbiano dato una possibilità.

Tra l’urlo del vichingo e lo scivolone di Tadej, le parole di Damiani

16.07.2025
6 min
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Niente, un po’ di tranquillità in questo Tour de France non c’è… per fortuna! Per averla ci è servito il giorno di riposo. Solo che ha caricato talmente tanto i corridori che anche oggi ci hanno dato sotto e nel finale abbiamo vissuto emozioni a raffica. Lo sprint, l’inseguimento di Van der Poel, il manifestante pro-Palestina e soprattutto la caduta di Tadej Pogacar.

A Tolosa, perla del Sud della Francia, tra il Tarn e la Garonne, terra di ampie colture e paesini collinari, vince Jonas Abrahamsen, il vichingo della Uno-X Mobility. Rispetto a quando era giovane ha scelto la via della potenza: più peso, più muscoli, più forza. E’ partito al chilometro zero e alla fine ha battuto allo sprint uno degli ex compagni di fuga, Mauro Schmid. Il campione elvetico stasera rivedrà tante volte quello sprint nella sua testa. Non è partito lungo, ma lunghissimo. E per come ha tenuto, è facile aspettarsi che possa avere dei rimpianti.

Nella fuga di giornata anche Davide Ballerini, giusto nel mezzo fra fra Schmid e Abrahamsen poi secondo e primo
Nella fuga di giornata anche Davide Ballerini, giusto nel mezzo fra fra Schmid e Abrahamsen poi secondo e primo

Allarme rosso

Il mondo del ciclismo resta col fiato sospeso quando il gruppo transita ai 5,5 chilometri dall’arrivo. All’uscita di una veloce curva a sinistra, su uno stradone largo e pianeggiante, il drappello dei big si apre. Un piccolo rallentamento, ma tanto basta perché Pogacar incroci da dietro la ruota di un altro corridore, Tobias Halland Johannessen, e finisca a terra (qui il video). Forse anche Tadej, in virtù del rallentamento e prima di una nuova accelerazione, si stava guardando intorno.

Fatto sta che per qualche secondo il fiato si è fermato. Il Tour ha smesso di respirare. Scivolone sul fianco sinistro, marciapiede in vista, clavicola a terra e casco vicino al ciglio. Poi è lo stesso Pogacar che come un gatto si rialza e cerca di rimettere la catena che nel frattempo era caduta.

Tadej Pogacar un po’ preoccupato all’arrivo di Tolosa
Tadej Pogacar un po’ preoccupato all’arrivo di Tolosa

Il fair play

Tutti abbiamo pensato che i big accelerassero. In fondo, la caduta era stata innescata da un allungo nel drappello. Un attacco che andava immediatamente richiuso. E invece tutti fermi. Il re è scivolato. Ci tornano in mente le parole di Giovanni Ellena: «Lasciando la maglia gialla a Healy, Pogacar si è fatta amica la EF». Per la serie: ipse dixit.

«Sto abbastanza bene – ha detto Tadej subito dopo l’arrivo – Sono un po’ stupito da questa caduta ma è stato anche un giorno di vera guerra. Ho fatto questa caduta e cosa dire? Ringrazio il gruppo che ci ha aspettato, avrei potuto perdere un po’ di tempo, ma certo avrei dovuto spingere a fondo per cercare di rientrare. Grazie ragazzi per avermi atteso».

Pogacar sembra super tranquillo come sempre. Anche il manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti, ha tranquillizzato i tifosi. Ha parlato di escoriazioni alle classiche zone da ciclista, quindi: gomito, braccio e il “rosone” sull’anca.

Ancora Pogacar: «Vingegaard e Jorgenson volevano attaccare e hanno portato tutti al limite. C’è chi attacca e chi segue. Purtroppo un corridore per seguire ha deciso di andare da sinistra a destra. Mi ha tagliato completamente la strada, ho toccato la sua ruota e sono scivolato. Fortunatamente ho ancora un po’ di pelle! Mi sono spaventato quando ho visto che stavo andando a sbattere con la testa».

«Domani sarà un grande giorno – ha concluso – Vediamo come recupererò. Normalmente dopo la botta di una caduta non sei al top, ma domani voglio dare il mio meglio. Come squadra siamo pronti per la prossima tappa».

Roberto Damiani (classe 1959) è sull’ammiraglia della Cofidis dal 2018
Roberto Damiani (classe 1959) è sull’ammiraglia della Cofidis dal 2018

L’analisi di Damiani

Ma se questi sono i fatti, Roberto Damiani, direttore sportivo di lungo corso li commenta con noi. Entrare in certe dinamiche con chi certe cose le vive ogni giorno è davvero un valore aggiunto.

Roberto, un’altra tappa super movimentata. Milan ha detto che sembra ogni giorno una classica. Tu che ne dici?

Che Jonathan ha ragione! E ha detto anche un’altra cosa interessante: vivere il Tour da dentro è tutt’altra cosa rispetto a vederlo da fuori.

Veniamo al fatto del giorno: la caduta di Pogacar. Distrazione sua o taglio netto da parte del corridore della Uno-X?

No, no, che distrazione. E’ l’altro che gli ha tagliato la strada. C’è stato un attacco sulla destra e il gruppo si è spostato in quella direzione. Tadej non ha colpe, è un grave errore, non volontario, del corridore della Uno-X.

Pogacar ha detto di aver rischiato di sbattere la testa. Ma tutto sommato sta bene?

E ne aveva ben ragione. Gli effetti veri delle cadute li vedi 24-48 ore dopo. Però in effetti, a parte il rischio del bordo del marciapiede, si è trattato più di una scivolata che di una vera caduta. L’impatto, almeno da fuori, è sembrato meno “cattivo”.

Ora che protocolli si avviano?

Le sue più che botte vere e proprie saranno bruciature, vista la dinamica della caduta. Però avrà fastidio nel letto, quando si rigirerà nella notte e il lenzuolo si appiccicherà. Ma in UAE Emirates sono attrezzati, come gli altri team del resto. Ecco, una cosa importante sarà la visita dell’osteopata.

La EF e Onley hanno corso da veri leader. Sarà interessante vedere come si comporteranno domani verso Hautacam
La EF e Onley hanno corso da veri leader. Sarà interessante vedere come si comporteranno domani verso Hautacam
Perché?

Perché prima di tutto controlla la postura di Tadej e poi verifica che le sue catene cinetiche non si siano modificate. Gli dà quella che in gergo chiamiamo “raddrizzata”.

Da diesse, raccontaci quei momenti nell’ammiraglia UAE…

Ti giochi il paradiso! Soprattutto quando hai l’uomo di classifica al Tour. Ogni piccola cosa può essere decisiva: una foratura, un cambio del meteo… Ma con altri corridori non è un problema, con il leader di classifica sì. Devi valutare ogni centimetro. Lo dico per esperienza, quando per due volte provai a vincere il Tour con Cadel Evans. Oggi poi non solo senti radio corsa, ma dall’ammiraglia vedi anche quello che succede. E consentitemi di ridire l’importanza delle radioline e dei due direttori in macchina.

Perché?

Con le radioline puoi avvertire subito la squadra, e in UAE sono stati velocissimi a prendere immediatamente la situazione in mano. E poi perché un diesse pensa ad avvicinarsi il più possibile a chi è caduto e l’altro intanto avverte che il leader è a terra e ferma tutti immediatamente o fa rallentare quelli dietro.

Discorso fair play: qual è la tua posizione? Giusto aspettare?

Sì, e mi fa piacere. Mi fa piacere per Pogacar e per il ciclismo. Mi è sembrato un atto più che dovuto.

Un affranto Mauro Schmid seduto sui gradini del bus della sua Jayco-AlUla (foto X – GreenEDGE Cycling)
Un affranto Mauro Schmid seduto sui gradini del bus della sua Jayco-AlUla (foto X – GreenEDGE Cycling)
Ma se fosse caduto Oscar Onley per esempio, lo avrebbero atteso?

Bella domanda. Qui entra in ballo il peso specifico dell’atleta nel gruppo. Io spero e penso di sì. Ma magari non subito. In fin dei conti conta anche l’aspetto visivo. E’ caduto il campione del mondo, o la maglia gialla: lo vedi prima. Nel caso di Onley, almeno all’inizio, per il gruppo era caduto uno della Picnic-PostNL. Se cadeva Hinault, Indurain o Nibali il gruppo reagiva diversamente.

Chiudiamo con la corsa. Schmid stasera ci ripenserà secondo te?

Sì, ha corso per perdere. Era più intento a non far rientrare Van der Poel che a battere Abrahamsen.

E questa preoccupazione era legittima?

Un podio al Tour va sempre bene, okay, però ci devi provare. Piuttosto avrei tirato meno. Anche perché con quella volata lunga ha mostrato che ne aveva. Mi è piaciuta invece la notizia che Van der Poel non sapesse ci fossero due atleti davanti. Se è vero che non aveva la radiolina, quando ha fatto quell’azione sull’ultima salita magari era concentrato e ci sta che non abbia visto i due in fuga. E in ammiraglia Alpecin-Deceuninck non potevano avvertirlo. Lui si è reso conto che ne aveva due davanti solo quando li ha visti a meno.

Una tappa con la Cofidis: emozioni dentro la corsa

28.05.2025
6 min
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BORMIO – Una giornata trascorsa nella seconda ammiraglia del Team Cofidis a respirare la corsa e sentirne le voci. Entrare nel vivo del Giro d’Italia è qualcosa di unico e in grado di regalare un punto di vista diverso alla corsa rosa. Il ritrovo con la formazione guidata da Roberto Damiani è nel piazzale che ospita i pullman alla partenza di San Michele all’Adige. La squadra francese non ha un uomo in classifica e in una frazione complicata ed esigente come la numero diciassette di questo Giro c’è un unico obiettivo: andare in fuga

Saliamo in macchina con Gorka Gerrikagoitia, diesse della Cofidis, che ci farà da sherpa sulle montagne che dal Trentino ci portano nel cuore delle montagne lombarde: a Bormio. 155 chilometri e due passi da far tremare le gambe: Tonale e Mortirolo

Eccoci alla partenza, a sinistra Gorka Gerrikagoitia, il diesse che ci ha accompagnato in questa giornata
Eccoci alla partenza, a sinistra Gorka Gerrikagoitia, il diesse che ci ha accompagnato in questa giornata

Ore 12,25: si parte

Chiudiamo la portiera e si entra in clima gara, la seconda ammiraglia anticipa la partenza e si va a posizionare al primo rifornimento. Si trova uno spazio tra le macchine di Alpecin-Deceuninck e quella della XDS Astana, i vincitori di ieri. La gara si accende presto e l’andatura del gruppo procede a scatti ci racconta la voce di radio corsa. L’uomo designato per entrare nella fuga del mattino è Stefano Oldani e la tattica è semplice: avvantaggiarsi per poi cercare di rimanere agganciati al gruppo della maglia rosa qualora dovesse rientrare. 

La maglia rossa e gialla del milanese si intravede sempre nel piccolo schermo dell’ammiraglia. Una volta superato il traguardo volante di Cles il gruppo in avanscoperta prende forma, Oldani c’è. Tra le portiere e i sedili carichi di ruote e borracce si sente la voce di Roberto Damiani, calma e serafica. Il diesse lo guida dandogli indicazioni continue: «Stai sulle ruote – si sente dal trasmettitore gracchiante – non ti devono vedere fino in cima al Tonale».

«La strada spiana ora – riprende poco dopo – mancano tre chilometri alla vetta».

«Vai regolare del tuo passo – gli consiglia quando Fortunato allunga – c’è anche il Mortirolo dopo». Intanto la zip della maglia rossa e gialla è spalancata. «Bene sei scollinato – ancora – è il momento di mettere in bocca qualcosa».

Il gruppetto

Alle spalle di Oldani c’è la macchina guidata da Damiani, come dicevamo, mentre noi con Gorka Gerrikagoitia e il massaggiatore Michael Mainguenaud siamo dietro al gruppetto. Già dai chilometri iniziali del Tonale si capisce che la giornata alle spalle dei primi sarà lunga. Ancor prima che parta la salita vera e il gruppetto dei velocisti prende forma. Dalla sua coda è un continuo avanti e indietro tra le ammiraglie. Ci sono da riempire le tasche e le gambe. Jonathan Lastra, Nicolas Debeaumarché, Jan Maas, Sylvain Moniquet e Anthony Perez vanno e vengono. C’è chi chiede un gel, una borraccia con cinquanta grammi di carboidrati (c’è scritto sul tappo) o delle barrette. 

Tonale alle spalle e ci si lancia in discesa, di chilometri davanti ce ne sono ancora novanta ma almeno i successivi venticinque non causeranno altro mal di gambe. Debeaumarché prende la mantellina troppo tardi e non riesce a chiuderla in tempo. Si prende qualche rischio e qualche parola di rimprovero da parte del diesse basco Gerrikagoitia. 

Intanto in testa alla corsa Oldani lotta per rimanere con i migliori
Intanto in testa alla corsa Oldani lotta per rimanere con i migliori

Mortirolo e attacchi

Il gruppo di testa attacca il Mortirolo, Oldani è ancora con i primi e la voce di Damiani torna a scandire la salita. Intanto alle spalle la Polti-VisitMalta fa il ritmo. «Così danno una grande mano alla EF Easy Post – commenta Gerrikagoitia – non capisco perché tirare ancora. Ormai la fuga è andata. Oggi Carapaz lo vedo bene, secondo me attacca ancora». 

Il segnale va e viene e la piccola televisione posizionata tra noi e il diesse basco ci mostra poche immagini. Nel frattempo il gruppetto, numeroso oggi, fa girare le gambe con la speranza che la salita finisca presto. Due corridori della Intermaché rientrano, sono Van Der Hoorn e Van Hoecke, per festeggiare il recupero si battono un pugno energico in segno di intesa. Dalla macchina escono altri gel e barrette e quando Carapaz attacca a pochi metri dal GPM dietro si intravede l’arco dei meno cinquanta chilometri all’arrivo. «La giornata è ancora lunga», si commenta in macchina. 

Per cinque dei sette corridori della Cofidis rimasti in gara questa tappa si prospetta lunga e difficile
Per cinque dei sette corridori della Cofidis rimasti in gara questa tappa si prospetta lunga e difficile

Del Toro o Carapaz?

La picchiata verso Sondalo e la Valtellina fanno tirare il fiato e riordinare le idee in coda al gruppo. Davanti iniziano i fuochi d’artificio. «Steinhauser – commenta Gerrikagoitia – è un buon alleato per Carapaz. Secondo me riprendono la fuga e va a vincere». Però la presenza di Pidcock porta la Q36.5 Pro Cycling a collaborare per chiudere il gap. Lo strappo de Le Motte viene preso di petto e Bardet dalla testa della corsa allunga. Su di lui si riportano Carapaz e Del Toro: la vittoria è un gioco a tre. 

Quando la maglia rosa allunga nell’ultimo chilometro il commento del nostro compagno di viaggio è un’espressione classica tra gli spagnoli: «Que ataque brutal!». «Questo è un bel colpo per Del Toro – commenta il diesse della Cofidis – un segnale importante per il morale. Ma la sfida è aperta».

Il messicano festeggia, a noi mancano ancora quindici chilometri all’arrivo e quando pensiamo che la condanna di chi corre alle spalle è di fare fatica e avere poco tempo per recuperare inizia anche a piovere. Nel nostro passaggio sulla salita de Le Motte il gruppetto si allunga e il numero 23 Simon Guglielmi perde le ruote. Lo passiamo, lui si accoda un attimo e poi ritrova la sua ammiraglia. Prima della deviazione verso l’arrivo supera la coda delle macchine e gira a sinistra verso il traguardo. Un cenno di ringraziamento a Gerrikagoitia e le strade si dividono

E’ stata una giornata lunga, finita ben dopo i primi ma allo stesso tempo ricca di emozioni. Vivere una tappa nel vivo della corsa e insieme agli ultimi ci ha ricordato che il Giro d’Italia è di tutti e non solo delle maglie colorate e degli sguardi pieni di energie. Tutti meritano rispetto e qualche parola e questo il popolo del ciclismo che è accorso numeroso sulle strade lo sa. L’entusiasmo non è mai mancato, nemmeno 37 minuti e 28 secondi dopo il passaggio Del Toro.

Campione o gregario, Damiani spiega la regola delle due W

22.02.2025
5 min
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Qualche giorno fa Finn Fisher-Black, il neozelandese della Red Bull protagonista di quest’inizio di stagione ha rilasciato una lunga intervista a Rouleur spiegando come il suo passaggio di squadra provenendo dalla UAE sia stato dettato dalla ricerca di spazio. Era stanco di essere considerato un gregario, voleva avere chance personali e, da quel che si è visto nelle prime corse, aveva anche le sue ragioni e soprattutto propellente nelle gambe…

Il cambio di squadra ha fatto bene a Finn Fisher-Black: titolo nazionale e 4 podi
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Le sue parole hanno però riproposto l’eterno tema delle ambizioni di un giovane: approdare in un team WorldTour è per tutti un traguardo, ma molti vorrebbero che fosse anche un inizio, invece spesso (soprattutto per i ragazzi italiani) c’è da fare i conti con la realtà, che spesso li confina in ruoli di secondo piano.

E’ un argomento con il quale Roberto Damiani, diesse della Cofidis, si è confrontato spesso: «Il tema è delicato e io lo affronterei ponendo innanzitutto una domanda: i giovani che approdano nelle WorldTour sono davvero tutti da WorldTour? Spesso purtroppo il valore dei corridori è gonfiato da vittorie giovanili che dicono molto poco e dalla pressione dei procuratori. Il circuito maggiore ha ormai un livello altissimo, anche coloro che sono “svezzati” da tempo faticano, anche perché non esistono più le corse di preparazione, ogni volta che metti il numero ti chiedono il risultato, l’11 deve girare, altro che storie…».

Lo sprint vincente di Valentin Ferron a La Marsellaise, primo acuto Cofidis nel 2025
Lo sprint vincente di Valentin Ferron a La Marsellaise, primo acuto Cofidis nel 2025
E’ un problema soprattutto per i più giovani che cercano spazio…

Sì, perché l’approccio può essere traumatico. Cominci a non fare i risultati che sognavi, ti trovi quasi impantanato, ti butti giù. Prima o poi questo mestiere ti pone davanti alla realtà e ti chiede di guardarti dentro. Chi lo fa, chi si rende conto del suo valore e capisce che può ritagliarsi un ruolo importante ha un futuro. Magari sarà un aiutante, un luogotenente, ma sarà per anni in questo mondo guadagnando bene. Chi non si rassegna ma non ottiene risultato, è destinato a scendere dal treno.

E’ un discorso che travalica l’aspetto prettamente sportivo…

Sì, perché bisogna ragionare con la testa, mettersi in gioco in una fetta importante della propria vita. Io dico sempre ai miei ragazzi, quando arrivano alle soglie del team, che devono provarci, ma se capisci che non hai le qualità per emergere, per fare il leader devi saperti adattare anche al ruolo del gregario.

Daniel Oss, a sinistra, con Sagan, un’accoppiata gregario-campione andata avanti per anni con grandi risultati
Daniel Oss, a sinistra, con Sagan, un’accoppiata gregario-campione andata avanti per anni con grandi risultati
Tu lavori in un team francese ma hai avuto e hai corridori italiani. Quanto pesa non avere una squadra nazionale nel WorldTour, per il movimento tricolore?

Tanto, è debilitante. Ogni squadra ha comunque, di base, una predilezione per i corridori di casa propria che viene dalla risonanza che le loro vittorie hanno nei mercati dove gli sponsor agiscono. Se si fanno scelte tattiche, la bandiera conta, una vittoria di un corridore straniero non può avere lo stesso peso di uno locale. Noi ad esempio abbiamo avuto un clamoroso ritorno d’immagine da La Marsellaise perché a vincere è stato Valentin Ferron. Ma era così anche da noi, ad esempio ai tempi della Liquigas. Lì c’era un corridore che ho sempre ammirato…

A chi ti riferisci?

A Daniel Oss. Quand’era giovanissimo si era messo in evidenza come un grande specialista soprattutto per le classiche del nord, ma ha avuto l’intelligenza di comprendere che non sarebbe mai stato un leader e si è ritagliato uno spazio importante al fianco di Sagan, costruendosi così una carriera importante. Un altro esempio è Ulissi, che da parte sua è stato capace di ritagliarsi sempre le sue occasioni tanto da vincere ogni anno. Perché aveva saputo cogliere le opportunità, si era messo in mostra e chi dirigeva ha creduto in lui. Devi saper emergere, anche nelle condizioni più difficili e sperare che quei risultati solletichino l’attenzione di chi guida il team.

Per Pellizzari l’approdo nel WorldTour, ora però comincia tutto. Il team vuole risultati
Per Pellizzari l’approdo nel WorldTour, ora però comincia tutto. Il team vuole risultati
Quindi è più una responsabilità di chi guida o di chi corre?

Principalmente di quest’ultimo che deve fare i conti con se stesso e saper cogliere le occasioni, essere pronto per esse. Io apprezzo tantissimo il lavoro che fanno team come Polti e VF Bardiani, perché danno l’opportunità ai ragazzi di mettersi in mostra, ad esempio l’azione dei 3 VF a Maiorca è stata davvero importante. Se sai sfruttare l’opportunità cresci. Pellizzari ha saputo farlo, è approdato in un grande team, ora starà a lui sapergli ritagliare spazi anche lì.

Si parla spesso del gregario, ma ormai non ti pare un termine desueto?

Certamente il gregario non è più il portaborracce, ormai in squadra ci sono ruoli specializzati: chi per il treno delle volate, come per aiutare in salita e così via. Guardate che cosa fece Marco Velo da corridore, trasformandosi da luogotenente di Pantani in salita fino ad aiutante di Petacchi nelle volate, un doppio salto mortale. Oppure quel che ha fatto Bruseghin. Io dico sempre ai corridori, quando hanno ormai 2-3 stagioni alle spalle, che il tempo passa in fretta e il nostro mondo è regolato dalle due “W”: work o win ossia lavora o vinci.

Marco Velo davanti a Petacchi. Il cittì sii è completamente riciclato nella sua attività agonistica
Marco Velo davanti a Petacchi. Il cittì sii è completamente riciclato nella sua attività agonistica
Secondo te, quindi, anche la “preferenza nazionale” si può superare?

Se hai qualità, il team ha tutto l’interesse a investire su di te. Bernal ha vinto essendo un colombiano in un team britannico. Sta a te farti spazio, ma considera che comunque questo è un lavoro nel quale si vince di squadra. Ne ho conosciuti tanti che con i premi vinti dal compagno di squadra si sono fatti casa…

Damiani e il modello Cofidis: niente devo ma tanto scouting

26.01.2025
5 min
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Dall’esperienza di Nicolò Arrighetti e Diego Bracalente, stagisti alla Cofidis per una settimana, è nato lo spunto per chiamare Roberto Damiani. Il diesse del team francese è stato in Spagna a seguire il ritiro dei suoi ragazzi, al quale hanno partecipato anche i due giovani azzurri. Quando raggiungiamo Damiani al telefono ci accoglie con il suo tono gentile e disponibile, che invoglia a parlare e ascoltarlo.

«Stavo guardando gli spostamenti per il Giro d’Italia – racconta – più precisamente per arrivare in Albania. Arrivare a Durazzo non sarà semplice, bisogna viaggiare da Lille, dove partiranno i nostri mezzi pesanti (camion, pullman e ammiraglie, ndr) fino a Bari. Dalla Puglia si prende il traghetto e si attraversa l’Adriatico. Fare il giro dei Paesi dell’ex Jugoslavia diventava troppo complicato a causa delle dogane e dei controlli».

Dall’arrivo di Michelusi nello staff performance è iniziato un lavoro di osservazione e valutazione tra giovani
Dall’arrivo di Michelusi nello staff performance è iniziato un lavoro di osservazione e valutazione tra giovani

Un passo indietro

La stagione della Cofidis si sta costruendo man mano. Damiani dapprima farà un salto in Spagna per seguire la sua prima gara del calendario europeo, successivamente si sposterà in Francia per il Tour des Alpes Maritimes. Ma il grosso del suo calendario sarà in Italia, con Laigueglia, Strade Bianche, Sanremo. Concluderà la primavera con le gare del Nord: Harelbeke, Gand e Fiandre. 

«Tuttavia – riprende – per arrivare pronti a queste gare dovevamo passare prima dal secondo ritiro stagionale. Siamo stati in Spagna per un paio di settimane. Durante quei giorni abbiamo aperto le porte a qualche under 23, sette in totale, che si sono alternati all’interno del team».

Il lavoro di scouting ha già portato i suoi frutti, alla Cofidis per il 2025 è arrivato Clément Izquierdo dal team AVC Aix-En-Provence (foto Mathilde L’Azou)
Il lavoro di scouting ha già portato i suoi frutti, alla Cofidis per il 2025 è arrivato Clément Izquierdo dal team AVC Aix-En-Provence (foto Mathilde L’Azou)
Cosa vuol dire accogliere dei ragazzi under 23 da voi a gennaio. 

Si tratta di un lavoro di scouting che ha preso il via già nel 2024. Stavo leggendo poco fa il vostro articolo sui giovani della Mapei. La scelta di molte formazioni di creare un team di sviluppo ci ha portati a fare un’attività di ricerca tra gli under 23. Non c’è altra via di scelta. La scorsa stagione la Cofidis ha rivoluzionato il settore performance. E’ arrivato Mattia Michelusi, il quale ha iniziato a valutare, testare e capire i giovani. 

Molte squadre WorldTour fanno nascere i devo team, voi?

Molte formazioni dirigono parte del budget per creare squadre continental, ma non è un’idea che mi piace molto. In Francia i costi sono elevati e per fare una squadra devo serve più di un milione di euro. Io ho parlato con Cofidis e ho proposto loro un sistema alternativo. 

Portare gli under 23 al ritiro di gennaio è un modo per mostrare loro come lavora e come funziona un team WorldTour (foto Instagram)
Portare gli under 23 al ritiro di gennaio è un modo per mostrare loro come lavora e come funziona un team WorldTour (foto Instagram)
Ovvero?

Fare un lavoro di scouting europeo. Abbiamo preso i nove Paesi nei quali Cofidis è presente commercialmente. Ci siamo guardati in giro e a gennaio si sono selezionati i primi sette profili, li abbiamo scelti tra Francia, Italia, Belgio e Spagna. 

In questo modo cosa cambia?

Si lavora a stretto contatto con diverse realtà sulle quali si ha fiducia. Ad esempio Arrighetti arriva dalla Biesse Carrera. Io so che di Milesi e Nicoletti mi posso fidare, visto che nel 2024 abbiamo preso come stagista un loro corridore. Questo discorso vale anche per Bracalente. Con queste formazioni si instaura un rapporto di massima trasparenza e solidarietà.

Nel 2024 era toccato a Filip Gruszczynski, sempre della Biesse Carrera fare uno stage con la Cofidis (foto Instagram)
Nel 2024 era toccato a Filip Gruszczynski, sempre della Biesse Carrera fare uno stage con la Cofidis (foto Instagram)
E’ un modo anche per responsabilizzare le squadre.

Vero. In più loro possono affermare di avere un rapporto stretto con la Cofidis, il che permette di avere un maggiore appeal per i ragazzi under 23. E’ un titolo qualificante e che valorizza il lavoro di formazioni continental già esistenti. Inoltre creare una formazione development permette di tenere sotto controllo quei dieci o dodici ragazzi che si prendono. Mentre noi, collaborando con tante formazioni, abbiamo un bacino maggiore. Si parlava della squadra dei giovani della Mapei, voglio dire una cosa.

Prego…

Io sono arrivato alla Mapei l’anno in cui nasceva questo progetto. Avevamo uno staff dedicato e un personale di riferimento. L’investimento economico non era stato di poco conto. Nel ciclismo moderno ci sono troppi venditori di sogni. I procuratori guardano al loro interesse e non a quello del ragazzo. Invece lavorare con i giovani deve essere un piacere. Portarli con noi in ritiro è stato bello, sia Bracalente che Arrighetti hanno toccato con mano una realtà differente. Sapete qual è la cosa che mi è piaciuta di più?

L’obiettivo di queste due settimane di stage svolte a gennaio è quello di trovare i tre stagisti da inserire nel 2025 (foto Instagram)
L’obiettivo di queste due settimane di stage svolte a gennaio è quello di trovare i tre stagisti da inserire nel 2025 (foto Instagram)
Dicci.

Vederli integrati nel gruppo. La sera giocavano a carte e parlavano con i professionisti. In bici si sono mostrati forti e preparati, ma la cosa che ho voluto dire loro è stata di non vivere quei cinque giorni come un test continuo. Non è da una mancata risposta a uno scatto in un ritiro di gennaio che si decide il loro futuro. Volevo che si accorgessero del fatto che si fa sempre ciclismo, cambia la cornice ma il quadro no. 

Però cercate comunque delle risposte? 

Questo è chiaro. Alla fine non nascondo che da questi sette ragazzi vogliamo tirare fuori quelli che saranno gli stagisti che verranno a correre con noi a fine anno. 

I tuoi corridori che hanno detto?

Mi è piaciuta molto una battuta di Thomas che parlando mi ha detto, riferito ad Arrighetti: «Chi è quello? Mentre facevamo la simulazione di corsa mi ha messo alla prova». Mi ha reso felice perché vuol dire che i ragazzi si sono sentiti liberi di muoversi e di fare come se fossero con i loro coetanei. Questo è sicuramente un aspetto positivo.

Thomas, la fuga giusta. E su Pogacar, Damiani si schiera

08.05.2024
6 min
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«Ragazzi – dice Damiani durante la riunione del mattino – guardate l’altimetria della tappa. Non è scritto da nessuna parte che si debba arrivare in volata».

Ben Thomas sta osservando proprio il profilo della Genova-Lucca e annuisce. Sul pullman della Cofidis si ragiona ad alta voce. Non hanno un velocista all’altezza di Milan e degli altri, perciò ogni tappa vagamente mossa può offrire il pretesto per un attacco. E quando i corridori scendono per andare alla partenza, hanno fatto loro un concetto espresso dal direttore sportivo lombardo. Il ciclismo non è matematica: se sei un velocista buonino, ma evidentemente battuto, devi provare a fare qualcosa di diverso. Sei corridori su otto della squadra francese andranno in fuga e la strategia paga. A 28 anni compiuti, Benjamin Thomas ha vinto la tappa, cogliendo la vittoria più bella su strada. Su pista invece il francese è una star e di questo si accorge Valgren, quando lo vede sprintare da seduto come nella volata finale di una madison».

«Prima è andato in fuga Getschke – racconta Damiani, che questa squadra l’ha assortita proprio per attaccare – però l’hanno ripreso. Sapevano che se ci fossero stati altri attacchi, avrebbero dovuto seguirli. Invece la seconda volta è stato proprio Benjamin ad attaccare. Aveva bisogno di ritrovarsi, anche mentalmente. L’anno scorso ha avuto una stagione abbastanza dura, soprattutto verso la fine tra pista e strada. Invece un paio di giorni fa dopo la tappa mi ha detto: “Lo sai che oggi mi sono proprio divertito?”. E io gli ho risposto che quello era un segnale incredibilmente bello e l’ho detto anche in riunione».

La Alpecin è la squadra che più ha lavorato nell’inseguimento, le altre sono mancate
La Alpecin è la squadra che più ha lavorato nell’inseguimento, le altre sono mancate

Chi vince non sbaglia

L’altimetria parlava del Passo del Bracco e di Montemagno a ridosso del finale, ma è palese che fra le squadre dei velocisti qualcuno abbia preso una cantonata. Soltanto la Alpecin-Deceuninck ha provato a lavorare di squadra e Damiani torna sul discorso ripartendo da un concetto appena esposto nell’intervista flash della RAI dopo l’arrivo.

«Chi vince ha fatto tutto bene, chi perde ha fatto degli errori. Qui al Giro – spiega Damiani – ci sono 3-4 squadre con dei velocisti che possono vincere tutti i giorni. Ma secondo me una aspetta sempre un po’ di più l’altra. Oggi, come dicevamo, la Alpecin si è spesa di più, poi la Soudal e la Lidl-Trek, ma hanno messo un solo uomo e solo quando si sono resi conto che la fuga gli stava facendo le scarpe. Avevamo studiato bene gli ultimi 5 chilometri per entrare in città, con il pezzettino di pavé, la curva a sinistra e la curva destra. In quei tratti sicuramente è più vantaggiosa la situazione di chi è in fuga e poi erano dei bei pedalatori. Quando c’è una fuga, devi valutare anche chi c’è dentro».

Pietrobon ha collaborato per buona parte della fuga, poi ha tentato il colpaccio nel finale
Pietrobon ha collaborato per buona parte della fuga, poi ha tentato il colpaccio nel finale

L’effetto domino

Per la Cofidis la ruota è girata e adesso si attende l’effetto domino che nel Tour dello scorso anno mise le ali ai piedi a tutti i ragazzi del team. Per cui alla vittoria di Lafay fece seguito a breve quella di Izagirre.

«Certo che si riprova – sorride Damiani – assolutamente, però con la serenità di avere già una vittoria in tasca. La vittoria di Ben sarà una bella spinta, perché è uno dei leader della squadra. In ogni meeting, lui entra con personalità, con estrema educazione, però tira fuori quello che ha in testa. E’ uno che studia molto i finali, è un bell’uomo squadra, non solo quello che ascolta in silenzio. Sul pullman è uno di quelli che aveva valutato meglio la tappa. Perciò è stato lui a proporre di mettere un corridore vicino ad Aniołkowski per salvare il velocista e poi tutti all’attacco, mentre gli altri sei avrebbero provato».

Dopo l’arrivo, Thomas sfinito dalla fatica e dall’emozione
Dopo l’arrivo, Thomas sfinito dalla fatica e dall’emozione

Il fantasma di Carcassonne

Thomas arriva dopo i tanti rituali del dopo tappa. Dopo l’arrivo si è seduto per terra, ancora incredulo. Quando sono arrivati i compagni lo hanno sollevato di peso per abbracciarlo come si deve.

«Vivo in Italia da sette anni – dice – e sono felice di aver ottenuto la mia prima grande vittoria su strada qui. Onestamente, mi ero segnato alcune tappe in cui attaccare, ma non questa. Ho seguito il mio istinto e ho chiesto in gruppo se qualcuno voleva seguire la mia azione. Valgren era pronto, così come Paleni. Abbiamo interpretato l’azione come fosse un inseguimento a squadre su pista, ci siamo dati cambi regolari, ma non credevo che ce l’avremmo fatta. Quando siamo entrati nel ciottolato a 3 chilometri dall’arrivo, ho pensato che avremmo potuto giocarci la vittoria. Nel ciclismo mi piace giocare, altrimenti avrei già smesso. All’arrivo il mio gesto era un omaggio alla canzone ‘Zitti e buoni’ dei Maneskin. E’ il primo successo stagionale del mio team, è stato bello vederli tutti felici all’arrivo».

Ben vive a Desenzano con la compagna Martina Alzini. Proprio di recente li avevamo incontrati perché raccontassero la bici Look del team e ci avevano dato l’idea di una coppia davvero spensierata nella condivisione della comune passione per il ciclismo. Martina è passata a salutarlo al via da Novara, con sui padre e sua nonna, mentre oggi non c’era.

Questa volta la UAE Emirates si è disinteressata della fuga e dell’inseguimento
Questa volta la UAE Emirates si è disinteressata della fuga e dell’inseguimento

Benedetto sia Pogacar

Il Giro riparte domani per la tappa sugli sterrati di Rapolano che potrebbe mettere nuovamente le ali ai piedi di Pogacar. Sul suo allungo nel finale di Fossano si è detto tanto, i social sono impazziti. Eppure su questo Damiani ha una posizione a parte.

«Se Pogacar si sente di fare così – dice Damiani – non saranno le critiche a fermarlo. Da direttore sportivo non gli direi mai di attaccare in un arrivo come quello di Fossano, però probabilmente lui segue molto l’istinto e sono convinto che, se uno ha una buona condizione, non è la menata di Fossano che gli fa perdere il Giro. Poi ci saranno i soliti benpensanti, che conoscono tutto il ciclismo. E se per caso vince il Giro e fa secondo al Tour, diranno che è stato per lo scatto di Fossano. Io non sono qui per vincere il Giro, ma le tappe. La penserei allo stesso modo se oggi fosse uscito dal gruppo e avesse ripreso Thomas vincendo al posto suo? Non l’ha fatto e nemmeno a Fossano è uscito per andare a prendere una fuga. E’ partito seguendo un attacco, è diverso.

Oggi Pogacar ha lasciato fare: sta già pensando agli sterrati di Rapolano?
Oggi Pogacar ha lasciato fare: sta già pensando agli sterrati di Rapolano?

Come Bocca di Rosa

«Non sarei stato felice – conclude Damiani – se oggi avesse messo la sua squadra a chiudere sulla fuga, in una tappa per velocisti. Invece in maniera intelligente ha lasciato spazio, pensando forse a domani, ma certo anche alla crono e a Prati di Tivo. A me sinceramente non pare che faccia niente di disdicevole. E’ un campione, uno che quando sente il profumo di vittoria va a cercarla, bello che sia così. Abbiamo martellato per anni tutti quei campioni calcolatori che facevano solo il Giro o solo il Tour e adesso ce la prendiamo con questo che vince le classiche e poi viene a vincere il Giro? Chapeau a lui. Sinceramente non lo conosco, probabilmente gli ho detto tre volte ciao, però tanto di cappello. Quando sento queste cose, mi sembra di sentire la canzone Bocca di Rosa di De André. Sul fatto che è bello e vince, mentre agli altri non restano che i commenti. E’ meglio un Giro con lui da solo oppure un Giro di piccoli calibri che se le danno fra loro?».

Damiani prepara una Cofidis d’assalto

30.04.2024
4 min
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Non solo Tadej Pogacar, il Giro d’Italia è anche quello di chi va a caccia di tappe. Di chi magari fa divertire il pubblico tutti i giorni. Il Team Cofidis potrebbe ricoprire questo ruolo. A guidarla sarà, come succede da ormai sette anni, Roberto Damiani.

E’ lui che ci presenta la “squadra rosa”. Damiani ci dice chi può fare bene e chi invece è chiamato a fare esperienza del suo team. Team che lo scorso anno alla fine si comportò benone, specie con Thomas Champion, spesso in fuga e vero lottatore. A Roma il tecnico ci disse: «Ce ne fossero di corridori coraggiosi come Thomas».

Roberto Damiani (classe 1959) in ammiraglia lo scorso anno a Roma
Roberto Damiani (classe 1959) in ammiraglia lo scorso anno a Roma
Roberto, che Team Cofidis vedremo?

Direi una squadra simile a quella della passata stagione, ma con un velocista che, forse, sta un po’ meglio, anche se quello che avevamo l’anno passato era un nome di qualità, Simone Consonni. Il velocista in questione è Stanislaw Aniolkowski. Un buon corridore che arriva bene al Giro.

E poi c’è Stefano Oldani, il capitano. Al Giro ha già colpito…

Stefano ha avuto tanti acciacchi ad inizio stagione e in questa squadra da combattimento per tutti i giorni ci sta bene. Tanto più che non abbiamo un vero uomo per la classifica. Questi ultimi tra l’altro hanno dimostrato di andare davvero forte e non mi riferisco solo a Pogacar.

Oldani in azione. Stefano ha vinto al Giro nel 2022. Alla Cofidis avrà più spazio
Oldani in azione. Stefano ha vinto al Giro nel 2022. Alla Cofidis avrà più spazio
A chi altro ti riferisci?

Dico in generale. Penso a Geraint Thomas per esempio. Lui è un grande professionista, ha preparato bene il suo Giro e in generale si sa preparare bene. Ha puntato tutto sulla corsa rosa. Poi dico che già Oropa può fare subito la differenza e bisognerà vedere se Pogacar prenderà subito la maglia rosa ed eventualmente se la sua squadra la vorrà tenere, perché questo di conseguenza inciderà anche sulla corsa e per squadre come noi.

Cioè?

Se Pogacar decide di perderla e la maglia rosa va ad un team che al contrario la vuole difendere, magari ci sono più difficoltà per le fughe di andare in porto.

Torniamo ad Oldani, dicevamo dei suoi problemi…

Adesso li ha risolti. In questi pochi mesi che lavoro con lui ho trovato un professionista esemplare, un ragazzo che s’impegna per se stesso e che sa mettersi a disposizione della squadra. Diciamo che ho fiducia in quel che potrà fare.

Benjamin Thomas torna al Giro dopo 4 anni. E’ un altro pistard che ha preferito la corsa rosa al Tour in vista delle Olimpiadi
Benjamin Thomas torna al Giro dopo 4 anni. E’ un altro pistard che ha preferito la corsa rosa al Tour in vista delle Olimpiadi
Oldani è capitano: è un leader? Si sente un leader?

Non è ancora un leader. Per essere leader servono anche i risultati. Poi come persona direi che può esserlo. Si mette in gioco. Al Romandia è andato per il team, per esempio.

A Vendrame, per esempio, i diesse hanno chiesto le sue intenzioni per questa o quella tappa, tu con Oldani sei andato a vedere qualche tappa? Ne avete cerchiata qualcuna di rosso?

Non di persona. Tra l’altro con la tecnologia che abbiamo oggi si riesce a capire tanto: mappe, altimetrie, pendenze… Poi è mancato il tempo materiale, tanto più che con i problemi avuti abbiamo cambiato i programmi in corso d’opera e lo abbiamo mandato al Romandia. Credo che le prime due tappe siano un po’ complicate, la terza è in volata, ma già dalla quarta un buon Stefano Oldani può giocarsela.

Simon Geschke (classe 1986) quello che si appresta ad affrontare sarà il suo 19° grande Giro
Simon Geschke (classe 1986) quello che si appresta ad affrontare sarà il suo 19° grande Giro
E poi ci sono gli altri. Partiamo da Champion…

E’ al Giro per andare in fuga e cercare una vittoria di tappa. L’anno scorso, tappa dopo tappa emerse per un po’ anche l’idea di fare classifica: direi di no. Direi che deve andare in fuga con l’idea e la consapevolezza che stavolta può andare davvero all’arrivo. Insomma le sue non saranno fughe per la tv.

Andiamo avanti: in questa squadra di attaccanti, c’è Simon Geschke…

Il mio vecchietto e me lo tengo stretto! Lui resta un “cagnaccio”. Ha una grande esperienza e una forte motivazione, visto che questo sarà il suo ultimo grande Giro in carriera. Io gli dò fiducia. A proposito – riprende Damiani dopo una breve pausa – volete un nome?

Vai!

Nicolas Debeaumarché. E’ un buon nome per le fughe. E’ al suo primo grande Giro e un po’ come Champion lotterà per le tappe. Ecco, lui potrebbe essere una bella sorpresa.

EDITORIALE / Si poteva evitare lo scempio della Freccia Vallone?

22.04.2024
5 min
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LIEGI (Belgio) – La settimana scorsa eravamo sparsi in ogni angolo d’Europa, la qual cosa ci riempie di orgoglio. Alberto Fossati, appena tornato da un viaggio in Spagna con Ridley, è quello che come meteo se l’è passata meglio. Simone Carpanini e Gabriele Bonetti erano al Tour of the Alps e si sono presi la loro dose di neve e pioggia. Stefano Masi all’Eroica Juniores ha visto l’annullamento di una tappa per la grandine. Infine il sottoscritto, tra Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, ha vissuto una settimana d’inverno in Belgio. In attesa di fare ritorno in Italia, è venuto perciò spontaneo fare una riflessione sul diverso trattamento che le condizioni meteo avverse hanno avuto nelle tre corse in questione.

Eroica Juniores, tappa annullata

In Toscana, vuoi un mezzo sciopero (tutto da capire) dei corridori e vuoi qualche indicazione imprecisa, la Giuria ha ritenuto di annullare la terza tappa, data la presenza di grandine sulla strada, che rendeva impraticabile la discesa finale su Montevarchi. Si poteva passare? Decisione presa e palla al centro: ha vinto l’interesse dei corridori. Se non lo avete ancora fatto, potete leggere tutto nell’articolo di Stefano Masi.

«Probabilmente – ha detto il direttore di corsa Paolo Maraffon – si sarebbe potuto fare l’arrivo in cima a Monte Luco. Solo che a Levane, dove c’è stata l’effettiva neutralizzazione, i corridori sono andati dritti alle macchine. Quindi alla fine la decisione è stata quella di non ripartire, i ragazzi hanno praticamente fatto sciopero. Per carità, tutto legittimo, anche perché avevo quattro ragazzi in macchina e tutti tremavano dal freddo. Uno di loro lo abbiamo dovuto accompagnare in due tenendolo per le braccia».

Eroica Juniores, terza tappa annullata. Un corridore intirizzito cerca di riscaldarsi
Eroica Juniores, terza tappa annullata. Un corridore intirizzito cerca di riscaldarsi

Tour of the Alps, freddo sopportabile

Al Tour of the Alps, i corridori hanno preso freddo, ma evidentemente non c’erano le condizioni per applicare il protocollo sulle avverse condizioni meteo.

«Abbiamo trovato neve guidando sul Brennero per rientrare in Italia – spiega Simone Carpanini – mai sulla corsa. L’unica tappa un po’ al limite è stata la terza, quella di Schwaz, in cui è andato in fuga Ganna e che alla fine ha vinto Lopez su Pellizzari. Era una tappa di 124 chilometri, il freddo c’era, ma soprattutto perché i corridori non se lo aspettavano ad aprile. Alcuni sono andati in fuga per scaldarsi, ma niente di troppo estremo. Ricordo che nei giorni successivi ne ho parlato con Pellizzari, mi sembra, e mi diceva che erano stati fortunati a non avere avuto le stesse condizioni della Freccia Vallone. Le immagini di Skjelmose semi assiderato li hanno colpiti parecchio».

Terza tappa del Tour of the Alps: Pellizzari si congratula con Lopez, dopo la sfida sotto la pioggia gelida
Terza tappa del Tour of the Alps: Pellizzari si congratula con Lopez, dopo la sfida sotto la pioggia gelida

Il caso Freccia Vallone

Già, che cosa è successo alla Freccia Vallone? Le previsioni meteo, che ormai non sbagliano un colpo, dicevano che intorno all’ora di pranzo su Huy si sarebbe abbattuta una sorta di tormenta di ghiaccio. Per questo motivo, Roberto Damiani che rappresentava i gruppi sportivi, ha proposto alla Giuria di valutare la riduzione di un giro: arrivo sul terzo Muro d’Huy, anziché sul quarto. La risposta è stata: «Vediamo» e non lasciava presagire niente di buono. Come spesso accade, nulla ha detto invece Staf Scheirlinckx, rappresentante del CPA per il Belgio.

Quando all’ora di pranzo sulla corsa si è abbattuta la nevicata mista a grandine, con temperatura di due gradi, dalle auto della Giuria non è arrivato alcun cenno. Risultato finale: chi si era coperto alla partenza, sudando come in sauna per le prime due ore di corsa, è riuscito a fare la corsa. Gli altri hanno patito una gelata che non dimenticheranno e che ha condizionato il resto della loro settimana. In ogni caso, la Freccia si è conclusa con 44 corridori all’arrivo, 129 ritirati e 2 che non sono partiti.

Dopo l’arrivo, la rivalsa di alcuni team manager e direttori sportivi si è abbattuta sul loro rappresentante: Roberto Damiani. Il quale ha fatto presente di aver segnalato la cosa per tempo e di aver offerto anche una via d’uscita. Annullare un giro a Huy non avrebbe falsato la corsa: «Ma andava fatto subito – dice Damiani – prima che Kragh Andersen andasse in fuga».

Interlocutori diversi

Qualcuno ha scritto sui social che se i corridori si lamentano per queste condizioni, forse hanno sbagliato mestiere. Altri hanno fatto notare che quando Hinault vinse la Liegi nel 1980, finirono la corsa solo 21 dei 174 corridori partiti.

Tutto si può fare e dire. «Non c’è buono o cattivo tempo – diceva da buon militare Baden Powell, fondatore degli scout – ma solo buono o cattivo equipaggiamento». Alla Freccia alcuni hanno sbagliato materiali e altri no, ma c’erano tutte le condizioni per ridurre la prova. Al Giro del 2020 ridussero una tappa solo perché pioveva forte e non era neanche freddo. Si possono fare tutte le congetture che si vogliono e applicare le proprie convinzioni e spesso le frustrazioni alle vite degli altri.

Quello che tuttavia traspare da questi tre casi (forse due, ritenendo che al Tour of the Alps non si sono raggiunte condizioni estreme) è che la vera differenza la fa il potere dell’organizzatore. Perché una Giuria si sente in diritto di fermare una gara juniores organizzata da Giancarlo Brocci, mentre un’altra si volta dall’altra parte quando davanti ha il Tour de France?

Il prossimo anno, andando al via della Freccia Vallone, avremmo tutti ricordato la saggezza dei giudici e celebrato un vincitore comunque degno dell’evento. In cima al Muro d’Huy, che fossero 197 o 168 chilometri (la distanza con un giro in meno), avrebbe comunque vinto un grande corridore.