Con Evans, 10 anni dopo il Tour. Amici, vino, ricordi e bici

25.07.2021
10 min
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Ieri, ma dieci anni fa, Cadel Evans vinceva il Tour de France. Lo aveva sfiorato. Nel 2007 e nel 2008 era arrivato secondo. Nel 2010 lo aveva finito correndo con un braccio rotto, perdendo per questo la maglia gialla. Il 2011 fu speciale, un otto volante. Sembrò colare a picco dopo la vittoria di Andy Schleck sul Galibier, ma nella crono di Grenoble, 24 ore prima della fine, mise nei pedali le delusioni degli anni precedenti e le fatiche di tutta la vita e volò a prendersi la maglia gialla.

«Secondo me avrebbe potuto vincere anche la crono – racconta John Lelangue, allora sull’ammiraglia della BMC – ma avrebbe rischiato di cadere. Arrivò 7 secondi dietro Martin, ma non gli dissi che era così vicino, altrimenti in discesa avrebbe provato a vincere rischiando però di perdere il Tour».

Saturnia, casa BMC

Ieri e oggi, dieci anni dopo, Cadel Evans ha raccolto a Saturnia i compagni di allora per festeggiare quella maglia gialla. Mancano soltanto Santaromita, Schar che è a Tokyo e Burghardt che sta per avere un bambino. Gli altri sono tutti qui, compresi John Lelangue (oggi team manager alla Lotto Soudal) e il massaggiatore di sempre David Bombeke. Hincapie è venuto apposta dagli Stati Uniti, Quinziato dalla Spagna. Tutti qui per stringersi attorno al capitano di allora, nel segno di un’amicizia che è ancora tutta qua.

Cadel è sempre Cadel. La differenza è qualche ruga in più sul volto e quel filo di barba che tutto sommato sa di vacanza. Si aggira per l’enorme hall del Resort delle Terme con i figli Aidan e Blake e la compagna Stefania (foto di apertura). Quando poi viene a sedersi, il suo tono di voce è lo stesso della prima volta, nel lontanissimo 2002 in cui perse la maglia rosa a Passo Coe. Il passare del tempo lo riconosci da questo e devi esserne grato.

Già passati 10 anni dal Tour…

Non mi ero reso conto fino ad adesso, ma davvero sono passati. Eppure che ogni volta che lo dico, tutti rispondono: «Già 10 anni?».

Il Tour cambia le cose?

Il Tour cambia la vita. Avevo già avuto delle vittorie che mi avevano cambiato la carriera, ma il Tour proprio mi ha cambiato la vita. Più del mondiale. Dalla mia prospettiva, il mondiale cambia la tua posizione nel mondo del ciclismo, ma il Tour de France cambia tutto. Lo hanno visto tutti, anche negli altri sport e in tanti mondi lontani. E’ una cosa enorme.

Da cosa si capiva che potesse essere la volta buona?

Per due volte ero stato secondo per meno di un minuto. Nel 2010 eravamo messi benissimo, ma ho avuto una piccola caduta, ho finito la tappa, ho preso la maglia gialla e ho scoperto di avere la frattura del braccio. Ero il leader e ho continuato, ma lo finii lontanissimo. Avevo due minuti di vantaggio su Contador, già lì senza la caduta mancava poco. Anche nel 2007 e nel 2008 con più fortuna potevo fare di più. Ero vicino, ma lontano.

Ci hai sempre creduto, però…

Ho continuato a credere in me stesso e ad insistere, anche se forse ormai la gente aveva dubbi. Io no li ho mai avuti, ma le squadre e il ciclismo in generale, in quel tempo lì… Sarei stato il più anziano vincitore del Tour nel dopoguerra, anche i numeri iniziavano a dire che diventava difficile. Ho continuato a insistere e poi avevo questa squadra dietro di me…

Ecco, la squadra: perché fu così magica quelle BMC?

Al primo incontro che feci con Jim Ochowitz, manager della squadra, abbiamo parlato, abbiamo messo in chiaro le cose che erano successe, perché non avessi vinto. Lui mi ascoltò e disse: «Tu hai bisogno di una squadra che creda in te». E io gli dissi di sì, che chiedevo solo quello e da lì abbiamo cominciato. E’ stata un’ottima opportunità per la mia carriera, la migliore visti i risultati.

Scegliesti tu gli uomini per quel Tour?

Lo facemmo insieme ai direttori sportivi. Sapevamo da prima chi meritava di andare. Una cosa bella che si era creata fra di noi è che nessuno era sotto pressione per dimostrare il suo valore, ma al contempo nessuno voleva essere l’anello debole della catena e tutti si impegnavano al massimo. Parlavo stamattina con Quinziato e quel venerdì di 10 anni fa, a tre giorni dalla fine, aveva il dubbio che saremmo riusciti a vincere il Tour. E me lo ha raccontato solo adesso, 10 anni dopo…

Fu un anno magico per tutti.

Era una squadra, per la fortuna del ciclismo, con un appassionato come Andy Rihs (il proprietario della Bmc, scomparso nel 2018, ndr) che investiva tanto. Devo ringraziarlo per l’opportunità che mi ha dato. Ma ribadisco questa cosa: nessuno voleva essere l’anello debole e questo ha creato la forza tra di noi. Avevamo avuto una bella stagione, dalla Tirreno al Romandia, solo il Delfinato così e così. Quella forza tra noi si è trasformata in una bella amicizia, tanto che siamo ancora qua, felicissimi.

Ricordi tutto di quel Tour?

L’ho raccontato così tante volte (ride, ndr) che purtroppo ho dimenticato poco. Ti metti lì, scrivi libri, vai su internet… Ricordo tutto molto bene. Nel mio Paese non si riesce a capire cosa fosse successo.

Che cosa?

Per il pubblico australiano è stato il successo sportivo più importante nella storia. Per questo le curiosità, le domande, le analisi… Io non sapevo neanche che tutta l’Australia guardasse la televisione e che tutti ancora oggi si ricordano dov’erano il giorno della cronometro di Grenoble. Una cosa incredibile. Hugh Jackman (l’interprpete di Wolverine, ndr) era lì sui Campi Elisi a guardare il podio. Un uomo di Hollywood, lì per me. Il primo ministro mi chiamava. Io non sapevo, ma l’Australia era dietro di me a seguirmi con speranza. Mai con pressione, ma sempre con speranza.

Un brindisi con Evans a metà percorso: occasione da non perdere
Un brindisi con Evans a metà percorso: occasione da non perdere
Ti manca tutto ciò? Ti è pesato smettere? 

Sinceramente sono tornato dal Tour 2012 e ho scoperto che stavo male. Sapevo di non poter rientrare a un buon livello, avrei dovuto faticare di più con meno possibilità. Lavori di più e non arrivi neanche e a un certo livello… Così ho pensato che ero via da casa da 17 anni per correre, facendo tanti sacrifici. Il mio obiettivo di carriera era dare tutto, ma per non avere rimorsi il giorno che fosse finita l’opportunità di essere ciclista.

Così è andata?

Nell’ultima corsa ho fatto la volata per il quinto posto. Era la mia corsa, la Cadel Evans Great Ocean Road. Ho passato il traguardo e ho detto: «Ho dato tutto». Avevo i crampi, avevo dato il massimo e per questo smettere non è stato troppo pesante. Sarò per sempre grato per la fortuna di aver fatto questa carriera, ma era arrivato il momento di dire basta. Sono quello che sono per il ciclismo. Mi ha dato l’opportunità di viaggiare, incontrare persone, esperienze sportive.

Come è nata l’idea di questa riunione?

All’inizio volevo farla nella mia corsa in Australia, ma negli ultimi mesi (sorride amaro, ndr) sono cambiate un po’ di cose per tutti. Allora ho cercato di fare qualcosa per ricordare. E’ nato da BMC Italia grazie a Orso Francardo, poi sono arrivati Andrea e Karin qui a Saturnia con Saturnia Bike. Non sono venuti tutti, ma ci siamo ritrovati come in un ritiro di squadra, ma su misura a come siamo adesso. Ieri abbiamo fatto una pedalata fra di noi, tranquilli. Sosta alla cantina, bicchiere di vino, spuntino, degustazione di cibo toscano. Ma anche con la voglia di essere insieme in bici, che è parte della nostra storia personale.

Vi siete sempre tenuti in contatto?

C’è sempre stato un bel rapporto fra quasi tutti i corridori. Ci frequentiamo, vado spesso da George (Hincapie, ndr) in vacanza con la famiglia. Morabito lo vedo spesso, facciamo insieme piccoli eventi in Svizzera. Poi sento spesso Brent (Bookwalter, ndr), Quinziato ogni tanto. 

Cosa ti pare del ciclismo di oggi?

Lo vedo da fuori. Ci sono novità interessanti, nuove corse. Su certe cose si sta reinventando. Però per quel che riguarda questi ultimi tempi con la pandemia, non invidio niente ai corridori. Uno stress incredibile. Il livello della preparazione dei corridori al Tour de France è pari a quella che una volta faceva il leader. L’ottavo della squadra è come il capitano di 10 anni fa, se non di più. I sacrifici sono sempre di più e magari anche per questo vengono fuori più giovani, che hanno l’entusiasmo di reggerli. Ogni periodo ha le sue caratteristiche e adesso sta cambiando, è una variazione continua.

Da sinistra, Bookwalter, Moinard, Evans, Hincapie, Quinziato, Morabito. Dietro Karin Bernardi, Gurayev e un assessore di Saturnia
Da sinistra, Bookwalter, Moinard, Evans, Hincapie, Quinziato, Morabito. Dietro Karin Bernardi, Gurayev e un assessore di Saturnia
Nel 2022 si farà nuovamente la tua corsa?

Speriamo, non vado in Australia da un anno e mezzo e con i vaccini non sono messi tanto bene. Dipende dalle decisioni del Governo, ma la voglia di farla c’è ancora. Sarebbe tornare alla normalità, come l’abbiamo conosciuta prima della pandemia.

Grazie Cadel.

Grazie a voi, speriamo di ricominciare a vederci più spesso.