L’espressione di Elia Viviani quando passa nella zona mista dice tutto. La sua Scheledeprijs non è andata come sperava. «Oggi era una giornata da bianco o nero. E’ stata da nero», commenta il veronese.
Se il vento che soffiava dal Mare del Nord in qualche modo aveva risparmiato la gara femminile, nel senso che non era stato fortissimo, non è stato così per quella maschile. La Scheldeprijs degli uomini infatti partiva proprio da uno di quei bracci di terra rubati al mare, addirittura in territorio olandese. Pale eoliche, prati infiniti, canali e navi portacontainer grandi come quella che si è incagliata recentemente nel canale di Suez, erano il contorno. E i pesi massimi del gruppo si fregavano le mani: tutto ciò era pane per i loro denti e per quelli dei velocisti.
Voglia sì, gambe no
Elia Viviani al mattino aveva detto chiaramente che era qui perché credeva nella vittoria, altrimenti neanche sarebbe partito da casa. Un ragionamento corretto, degno del campione qual è. Ma la sua determinazione non “ha fatto scopa” con le sue gambe.
Subito dopo il via il gruppo doveva affrontare il tunnel sotto il mare per raggiungere la penisola di Zuid-Beveland e da lì pedalare in direzione di Schoten. Il vento a quel punto sarebbe stato laterale. E presto è scoppiata la bagarre dei ventagli.
«Dopo 15 chilometri – racconta Elia – ero nel primo gruppo, ma quando poi si è rotto per una caduta ero nel secondo con Cavendish. Da lì sono saltato sul terzo. Non avevo una posizione buonissima. Ho preso una “frustata”, poi un’altra e alla terza sono saltato. Abbiamo inseguito tutto il giorno. Niente da fare. Peccato perché alla fine è andata anche bene con il meteo. E’ stata una gara asciutta, non ha piovuto, né nevicato. Il vento ha caratterizzato la corsa e i più forti erano davanti con diversi uomini. Soprattutto quelli del secondo gruppo, che sono poi riusciti ad agganciarsi».
Ventagli fatali
Elia ha il volto gonfio dal freddo, così come i suoi colleghi che sfilano alle sue spalle nella zona mista.
«Sensazioni? Bene, ma non benissimo altrimenti sarei rimasto con quelli davanti. Ero determinato però, ripeto, dal secondo ventaglio sono saltato sul terzo. La chiave è tutta lì. Quando succede così è perché le gambe non sono quelle che dovrebbero essere. La vittoria è arrivata, manca confermarsi: vincere, fare secondo o terzo. Quello che sta facendo Bennett, quello che ho fatto io nel 2018, 2019».
In queste situazioni il team conta moltissimo e saper correre con il vento ancora di più. E’ incredibile però. Si sa che certe gare e certe situazioni nascondono determinati trabocchetti, quello che ci si aspetta si verifica, eppure ogni volta ne esce una bolgia. E’ il fascino di queste gare.
«Quando poi davanti – riprende Viviani – ci sono cinque corridori della Bora-Hansgrohe e cinque della Deceuninck-Quick Step è ovvio che il nostro inseguimento è stato lungo. Una vera agonia. Alla fine ci abbiamo creduto gli ultimi tre giri, perché abbiamo visto che guadagnavamo, dai 2’30, siamo passati a 1’20”, però era tardi. E probabilmente con un gap i primi così stavano gestendo».
Viviani e il Giro
Ma come ogni campione che si rispetti, il corridore della Cofidis, già guarda avanti. Gli obiettivi futuri sono la benzina per rimettersi sotto. Il suo biennio con il team francese, almeno sin qui, non è stato fortunatissimo tra cadute e covid. E fa pensare che Elia dica che il Giro è il grande obiettivo della stagione.
«Adesso – conclude Viviani – riposo qualche giorno e poi inizio a pensare al Giro che sarà probabilmente l’appuntamento clou della stagione. La prossima settimana tornerò in pista, comincerò con dei blocchi di lavoro che serviranno per il Giro, ma anche per Tokyo. Il recupero mi servirà più la testa che per il fisico. E poi sotto a lavorare. In primis per il Giro».