Harelbeke 2009, lo squillo di Pozzato. Resterà l’ultimo tricolore?

24.03.2023
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Oggi con l’E3 Saxo Bank Classic si entra nel pieno della stagione delle classiche del Nord. Quella di Harelbeke, che ha cambiato nome molte volte piegandosi alle esigenze degli sponsor, è una corsa forse non così popolare da noi, ma in Belgio è molto amata: il “piccolo Fiandre”, così chiamato perché ricalca abbastanza fedelmente la struttura della Corsa dei Muri, ma con meno distanza e meno asperità.

Una corsa quella di Harelbeke (una delle pochissime sfuggite agli arpioni di Merckx…) che ha sorriso poche volte agli italiani, solamente 4: Bontempi nel 1988, Cipollini nel ’93, Pieri nel 2002 e Pozzato nel 2009. Filippo, oggi responsabile organizzativo con la PP Sport Events delle classiche venete di fine stagione, ricorda ancora molto bene quel giorno.

L’ultimo podio con Van Aert fra Laporte (decisivo per il suo successo) e Kung
L’ultimo podio con Van Aert insieme a Laporte, decisivo per il suo successo

«C’era un Boonen favoritissimo, voleva la quinta vittoria, partì sul penultimo muro a una ventina di chilometri dal traguardo. Io lo agganciai quasi subito, poi su di noi rientrò Iglinskiy. Ce la giocammo in volata, il belga era più veloce, ma io finsi di partire, lui si lanciò, io misi due denti in meno e lo recuperai abbastanza facilmente. Era più veloce, ma quello era il mio giorno».

Eri in una forma particolare?

Sì, quello fu un ottimo periodo. Vinsi 3 giorni dopo anche a La Panne, la prima tappa. Puntavo forte sul Giro delle Fiandre, ma la fuga di Devolder sconvolse i piani di tutti.

L’ultimo podio con un azzurro: 2015, Trentin chiude terzo dietro Thomas e Stybar
L’ultimo podio con un azzurro: 2015, Trentin chiude terzo dietro Thomas e Stybar
Che corsa è?

Non è così diversa dalla sua “sorella maggiore”, il tipo di strade è lo stesso come anche la struttura altimetrica, cambiano solo i numeri che sono un po’ inferiori. Non è un dato da poco perché proprio il fatto che ci siano meno chilometri da percorrere permette anche a corridori di seconda linea di stare davanti e giocare le proprie carte. Il Fiandre è talmente selettivo che ben difficilmente non lo vince un corridore dal pedigree affermato.

Come va interpretata?

Devi stare sempre sul chi vive, oggi molto più che ai miei tempi. Potrei dire che gli ultimi 70 chilometri sono quelli decisivi, nei quali devi stare sempre nelle prime 20 posizioni, ma a ben guardare nel ciclismo odierno è un’affermazione che lascia il tempo che trova. Siamo in presenza di campioni che sono abituati a sconvolgere la corsa anche molto prima. Non puoi mai adagiarti. Poi c’è anche altro a cui prestare attenzione.

Van Aert in testa a tirare nell’edizione dello scorso anno. Il belga era già stato secondo nel 2019
Van Aert in testa a tirare nell’edizione dello scorso anno. Il belga era già stato secondo nel 2019
Che cosa?

Il tempo. Può cambiare nel corso della giornata anche più volte. Il vento può essere a favore, ma in molti tratti ti colpisce trasversalmente e può causare ventagli. Sono davvero tante le cose a cui bisogna prestare attenzione.

E’ una corsa che può terminare con volate di gruppo, anche se ridotto o pensi che sia più portata a una soluzione di forza?

Normalmente sia è portati a pensare che sia una corsa per soluzioni molto ristrette. Alla fine ti ritrovi sempre un gruppetto ristretto che si gioca il successo, non più di 5-6 corridori. Bisogna essere veloci, questo sì, ma per rimanere davanti devi avere gamba, tanta gamba.

Van Der Poel si ripresenta in corsa dopo il trionfo di Via Roma. Ad Harelbeke è stato 3° nel 2021
Van Der Poel si ripresenta in corsa dopo il trionfo di Via Roma. Ad Harelbeke è stato 3° nel 2021
Ti aspetti una corsa che premi anche qualche corridore di secondo piano, ossia non appartenente a quella ristretta fascia dei “mammasantissima” in preparazione per il Fiandre?

Io a questa faccenda della preparazione non ci credo più. Ormai i vari Van Der Poel, Van Aert, Pogacar quando mettono il numero sulla schiena partono sempre per vincere. Non pensano a salvare le gambe, non pensano a quel che verrà dopo, se la giocano fino in fondo e oggi sarà ancora così. Inoltre credo che la Sanremo con il suo epilogo abbia dato quel pizzico di pepe in più.

Che cosa intendi?

Van Aert io credo che vorrà prendersi una rivincita immediata sull’olandese. Per me è il corridore più forte perché il più completo e quelle sono le sue strade. Quando serve c’è sempre, se non vince si piazza. Van Der Poel dalla sua ha il fatto che se decide di portare la stoccata molto spesso lo fa e trova il bersaglio. Tra questa gente e gli altri c’è una bella differenza, io credo che assisteremo a una grande gara e i nomi da tenere sul taccuino sono sempre gli stessi.

La mossa di Trentin. La Sanremo da un’altra ottica

23.03.2023
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Milano-Sanremo 2023, salita del Poggio. Il gruppo è in fila indiana con Wellens che sta facendo un lavoro enorme per Pogacar. Intorno alla decima piazza c’è Matteo Trentin, anche lui della Uae. Intorno alla metà l’ex campione europeo molla improvvisamente e chi era dietro di lui perde l’attimo. Si crea una frattura nella fila, dietro si tergiversa, davanti si scappa via. Pochissimi secondi dopo, Wellens si fa da parte e Pogacar porta il suo attacco, secco, al quale solo Van Der Poel, Van Aert e Ganna riescono a rispondere.

L’esito finale è ormai parte della storia, ma quell’azione è rimasta impressa nella mente, quasi fosse studiata nei particolari, quasi sia stata fatta prendendo dei riferimenti ai bordi della strada. A mente fredda abbiamo provato a ripercorrere quei momenti cruciali con lo stesso Trentin, partendo dalla domanda più spontanea dopo aver visto quanto è successo: ha mollato di proposito?

Trentin nella discesa della Cipressa. Fino al Poggio la sua Sanremo era stata secondo i piani, poi il ruolo è cambiato
Trentin nella discesa della Cipressa. Fino al Poggio la sua Sanremo era stata secondo i piani, poi il ruolo è cambiato

«Sì e no – risponde Matteo – nei propositi e nella tattica che avevamo messo in preventivo dovevo essere un paio di posizioni più avanti, ma avete visto quanto si è andati veloci… Il record della scalata è stato battuto dopo una trentina d’anni e questo dice tutto. La nostra strategia era comunque quella di creare un buco a un certo punto della corsa, il fatto che sia avvenuto in contemporanea con il passaggio di testimone fra Tim e Tadej non era proprio voluto con quella precisione».

L’idea era di creare scompiglio dietro per lasciare Tadej a lottare con pochi?

Se possibile, ma va detto che proprio la velocità estrema ha messo in croce tutti. Quando ho mollato, gli altri hanno perso tempo perché non ne avevano davvero per chiudere il buco e saltarmi non era semplice a quel punto.

Wellens tira a tutta, Pogacar è dietro. La lunga fila si spaccherà per la mossa di Trentin
Wellens tira a tutta, Pogacar è dietro. La lunga fila si spaccherà per la mossa di Trentin
Quando avevate stabilito la tattica di gara?

Ne avevamo parlato nella riunione della sera prima, ma un conto è discutere le tattiche a tavolino, un altro è verificare come va la gara. Con loro comunque ci siamo parlati sia al mattino che durante la corsa. La tattica ha funzionato bene, se poi VDP ha vinto è stato tutto merito suo.

Tu che ruolo avevi?

Nei programmi io ero una seconda opzione viste le caratteristiche della corsa e la mia conoscenza approfondita del tracciato visto che tante volte mi ci alleno. Per questo avrei dovuto essere 2-3 posti più avanti, il problema è stato che quando Wellens è partito, io ero ancora dietro e recuperare non è stato facile, con quella velocità non potevo salire ancora la fila.

Il momento decisivo: il belga si fa da parte e Pogacar attacca. Solo in 3 reggono il suo passo
Il momento decisivo: il belga si fa da parte e Pogacar attacca. Solo in 3 reggono il suo passo
L’impressione è stata quasi che aveste preso dei riferimenti lungo la strada…

Non è proprio così, quello puoi farlo più nelle classiche belghe dove le strade sono strette, sempre le stesse e fissi alcuni punti specifici nella memoria per muoverti. Anche il Poggio dà dei riferimenti, la mossa mia e di Wellens non erano concordate nella loro contemporaneità, ma Tim sapeva che doveva farsi da parte in quel punto perché è il più duro, quello giusto dove Pogacar poteva scattare e fare la differenza.

Riguardando il tutto a mente fredda, quanta delusione c’è?

Tanta, ma mitigata dal fatto che errori non ne abbiamo commessi, abbiamo fatto tutto quel che si doveva fare, Tadej è scattato nel punto giusto, sono stati bravi gli altri a tenerlo e Mathieu Van Der Poel ha fatto davvero una gran cosa. Scattare in faccia a Pogacar e staccarlo oltretutto su un punto dove non era mai scattato nessuno, perché non così duro, significa davvero aver fatto un capolavoro.

Il corridore di Borgo Valsugana con Wellens. La loro tattica sul Poggio era stata perfetta
Il corridore di Borgo Valsugana con Wellens. La loro tattica sul Poggio era stata perfetta
Tu come esci dalla Sanremo?

Con la consapevolezza che sono arrivato alla Classicissima con una condizione ancora non ottimale. Fino alla Cipressa ero andato bene, ma il Poggio mi ha dimostrato che mancava ancora qualcosina e d’altronde l’inizio stagione non era stato molto fortunato. Ora però sono in recupero, manca solo qualcosa e spero che in questi giorni arrivi in vista delle classiche.

Che sono un po’ il tuo cavallo di battaglia proprio a cominciare dalla Gand-Wevelgem…

E’ una corsa che conosco bene, ma anche le altre. La squadra è pienamente in palla, andiamo con grandi ambizioni, poi come detto è la corsa che dà il verdetto inappellabile.

Sprint, salita e intensità: la rotta di Trentin per il Nord

22.12.2022
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Trentin non farà il Giro, farà di certo le classiche del Nord su cui punta forte, ma non sa ancora se farà il Tour. E’ bastato collegare i puntini per trovare rispondenze fra le parole di Matteo (foto Fizza in apertura) e quelle di Bennati sul miglior modo per arrivare al mondiale di Glasgow.

«Il Tour non è ancora in programma – spiega Trentin, che a Glasgow nel 2018 vinse il campionato europeo – dipende da un po’ di cose. Vogliamo andare con la squadra più forte possibile per tornare a vincerlo, quindi bisogna mettere tutte le cose al loro posto. Il mondiale? Dalla cartina per adesso non si capisce molto. Ma se devo ricordare il percorso degli europei, dico che era super tecnico. Destra, sinistra e una valanga di curve e rilanci. In più, fu reso ancora più tecnico dal fatto che pioveva, cosa che da quelle parti succede abbastanza spesso anche d’estate. Quella sarà una variabile molto importante. Se il percorso è simile, vedrei corridori da classiche più che velocisti, specialmente in caso di pioggia. Il giorno che vinsi io, fu un tira e molla tutto il giorno e poi si staccò quel gruppetto e andammo via. Anche perché dietro gli altri erano già cotti».

Europei di Glasgow 2018, Trentin precede Van der Poel e Van Aert. Dietro Cimolai esulta
Europei di Glasgow 2018, Trentin precede Van der Poel e Van Aert. Dietro Cimolai esulta

Fiandre con Pogacar

Incontro nel ritiro del UAE Team Emirates con l’italiano che negli ultimi cinque anni è andato più vicino a vincere un mondiale e che a Wollongong è stato il regista in corsa nella prima nazionale di Bennati. Glasgow è un punto, ma prima c’è da pensare alle classiche e alla sua voglia di vincerle, che lo scorso anno si infranse sulla strada della Parigi-Nizza, con il trauma cranico che lo costrinse a fermarsi. La vittoria a Le Samyn era stata un bel lancio, invece si fermò tutto.

«Speriamo bene per quest’anno – dice facendo scongiuri – comincerò a Mallorca e vediamo di portare a casa qualcosa di decente. Al Fiandre avrò accanto Pogacar e sarà un vantaggio, ci sarà anche Wellens. Se guardate la Quick Step, la loro forza è avere più opzioni e la possibilità di far andare la corsa come vuoi tu. Io, dalla mia parte, lavoro per migliorare su quello che effettivamente si può ancora modificare».

Pogacar e Trentin durante il sopralluogo sul percorso dell’ultimo Fiandre
Pogacar e Trentin durante il sopralluogo sul percorso dell’ultimo Fiandre

Allenamenti mirati

L’osservazione di Pozzovivo per cui ogni anno che passa costringe tutti, anche i corridori più esperti, ad alzare il proprio livello, trova ancora una conferma.

«L’esperienza in questo aiuta – dice Trentin – perché non tutti hanno bisogno delle stesse cose. Per gli scalatori contano anche i 100 grammi di differenza, io invece ho bisogno di allenamenti sempre più mirati. Ormai si vanno a cercare anche gli sforzi di 30 secondi, per le corse in cui lo strappo dura quel tempo lì. Perciò ho aggiunto cose e cambiato le tempistiche del lavoro, in base agli obiettivi. Ho ripreso a lavorare bene sulle volate, tornando a un livello degno. Ma al contempo per certe classiche devo anche migliorare un po’ in salita. Non parliamo di allenamenti troppo lunghi, non ho mai fatto miliardi di ore. In proporzione ne faccio di più nei ritiri, anche perché se esci in gruppo è più facile aumentare il tempo di lavoro».

Il 2023 sarà la terza stagione di Trentin nel team di Gianetti
Il 2023 sarà la terza stagione di Trentin nel team di Gianetti

Tempo di sciare

Da oggi la preparazione di Trentin cambierà però faccia, come avevamo raccontato anche lo scorso anno. La famiglia lascerà Monaco per trasferirsi in Val di Fiemme e la bicicletta rimarrà in cantina.

«Dalla Spagna a Madonna di Campiglio – spiega Matteo – perché Claudia (sua moglie, ndr) farà la speaker alla Coppa del mondo di sci. Poi dal 23 si comincia con il fondo. In Val di Fiemme è più freddo che in Valsugana e non avendo più compagni di allenamento, mi sembra perfetto. Una volta, quando correvano ancora Moreno Moser e Quinziato, andavo con la macchina in Val d’Adige e da lì partivamo in bici. Poi loro hanno smesso e farmi un’ora di macchina per andare ad allenarmi da solo col freddo ha smesso di sembrarmi una buona idea, così sono passato al fondo, con i rulli per far girare ogni tanto le gambe.

«L’anno scorso ho fatto 11 uscite per un totale di 450 chilometri. La capacità aerobica aumenta e per la potenza vai in palestra. Diventa un allenamento strutturato. Mi sono consultato con un allenatore di fondo e ho inserito dei lavori che fanno anche loro. Se fai 50 chilometri, sono due ore di spinta continua. La bici la riprenderò a Monaco. Ma l’anno scorso arrivai al ritiro del 3 gennaio che non la toccavo dal 17 dicembre».

Romele per Natale si regala uno stage con la UAE

20.12.2022
5 min
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Nella settimana che ci porta lentamente, ma freneticamente, verso Natale siamo tutti alla ricerca degli ultimi regali. Alessandro Romele, però, ha già aperto il suo: uno stage di una settimana con la UAE Emirates. Una nuova esperienza, tanto divertimento e molti consigli da chi ha vissuto gli stessi passaggi del corridore del Team Colpack-Ballan

«Dal caldo di Benidorm sono tornato al freddo italiano – racconta il corridore di Iseo – si stava meglio là, ma tornare a casa è sempre bello. L’aria si fa pungente e il clima non perdona, per fortuna i materiali si sono evoluti e non si soffre più di tanto».

Per Romele tanti chilometri al caldo della Costa Blanca
Per Romele tanti chilometri al caldo della Costa Blanca
Come è nata l’idea di fare questo stage?

Un mix di volontà comuni, tra la Colpack e la UAE Emirates. Loro visionano tanti ragazzi e noi ci godiamo una settimana con i grandi. 

Quanto è durata la tua esperienza?

Una settimana, dal 10 al 17 dicembre. Si tratta di un progetto che permette di arricchire il corridore e la persona. Dal primo punto di vista acquisisci un metodo nuovo e ti confronti con persone di grande esperienza. Dal secondo, invece, lo stesso confronto passa dalle storie e dalle esperienze che questi corridori hanno già fatto e sulle quali ti possono consigliare e suggerire. 

In che modo si è svolta la tua settimana?

Sono arrivato sabato abbastanza tardi, così domenica per non pesare troppo sul fisico ho fatto una prima sgambata. Nei giorni a seguire si è fatta la tripletta con un bel carico di ore e di chilometri. Avevo molta libertà dalla Colpack, si erano solo raccomandati di non spingere troppo. 

Per Covi un passato nella Colpack Ballan da under 23, un triennio fondamentale per maturare
Per Covi un passato nella Colpack Ballan da under 23, un triennio fondamentale per maturare
Come si svolgeva la giornata tipo?

Si partiva abbastanza presto, intorno alle 9, così da avere più tempo per altre attività nel pomeriggio: massaggi, presentazione dei materiali e interviste. 

Eravate divisi in gruppi di lavoro?

Sì, non ero l’unico stagista presente, c’era anche un altro ragazzo e quindi noi due eravamo sempre insieme. Generalmente venivano formati quattro gruppi da 6 corridori. Ho avuto la fortuna di pedalare con un po’ tutti. 

Il giorno più particolare?

Uno degli ultimi, venerdì, quando mi sono allenato con Pogacar. Sono finito in gruppo con lui e abbiamo fatto ben quattro ore con tanti chilometri. Eravamo di più rispetto ai soliti sei, anche perché con tanti chilometri da affrontare era necessario. Ci si dava un po’ di cambi in più. 

Romele è al secondo anno con la Colpack Ballan, il 2022 è stato ricco di sfortuna, ora cerca un riscatto (foto Facebook Colpack Ballan)
Romele è al secondo anno con la Colpack Ballan (foto Facebook Colpack Ballan)
Che sensazione dà pedalare accanto a un plurivincitore del Tour de France. 

E’ bellissimo! Ed è stato anche molto, ma molto divertente. Nel fare il nostro giro la squadra ha deciso di farci fare la classica pausa bar. Majka continuava a dirmi: «Mangia, mangia che sei giovane, non devi fare diete». Una volta ripartiti, per gli ultimi quaranta chilometri, hanno deciso di simulare la gara. Ragazzi che spettacolo, si scattavano in faccia l’uno con l’altro senza risparmiarsi nulla. 

Com’è stato resistere ad uno scatto di Pogacar?

Eh, ripartire così forte dopo la pausa bar è tosta. Non so come le mie gambe abbiano resistito – dice ridendo di gusto – direi che mi sono difeso bene. Non ho sfigurato, anche se non saprei dire a che percentuale di impegno fossero.

In questi giorni con chi hai parlato di più?

Con Ulissi, Covi e Trentin

Cosa ti hanno detto?

Ulissi mi ha dato l’impressione di essere molto serio e professionale, un corridore che ha fatto le cose per bene. Altrimenti non rimani per così tanto tempo a quel livello. Mi ha raccontato del suo primo anno da under 23, anche lui ha avuto delle difficoltà, ma la stagione successiva è riuscito a trovare il ritmo e andare forte. Ecco, direi che mi ha rincuorato vista la sfortuna che ho avuto nel 2022. 

Trentin è uno dei punti di riferimento per i giovani della UAE, qui con Ayuso al ritiro di Benidorm
Trentin è uno dei punti di riferimento per i giovani della UAE, qui con Ayuso al ritiro di Benidorm
Con Covi, anche lui in Colpack quando era under, di cosa hai parlato?

Abbiamo scoperto di avere molto in comune, il suo allenatore da junior è lo stesso che mi ha seguito quando ero al secondo anno della categoria. Anche lui mi ha raccomandato di non avere fretta. Mi ha spiegato che i primi due anni da under sono stati difficili e che il vero salto di qualità lo ha fatto al terzo. Meglio prendersi un anno in più da under 23 piuttosto che arrivare acerbo e faticare il triplo da professionista

E Trentin? Uno che con i giovani parla molto…

Anche con lui ho scoperto di avere una conoscenza in comune. Uno dei tanti osteopati che lo segue lavora anche con me. Siamo partiti da questo dettaglio per legare un po’ e parlare di tanti aspetti, anche tecnici. Lui, come Ulissi, mi ha dato l’impressione di essere un corridore davvero scrupoloso, che ha dato tanto per raggiungere tutti questi traguardi. 

Dal punto di vista dei materiali, della bici, ti han dato qualche consiglio?

Ho scambiato qualche battuta anche su questo argomento ovviamente. Dalla mia parte ho la fortuna di essere un “maniaco” della bici e quindi mi seguo molti tutorial e imparo di mio, sono uno curioso. Quando c’è stata la presentazione di Colnago, infatti, ero in prima fila, con le antenne dritte. 

La stessa opportunità che ha avuto Romele l’ha avuto anche Ayuso in precedenza
La stessa opportunità che ha avuto Romele l’ha avuto anche Ayuso in precedenza

Esperienze simili

L’interessante opportunità data da parte del team UAE a Romele è la stessa che fu data ad Ayuso quando lo spagnolo era in maglia Colpack. 

«Si tratta dello stesso progetto – racconta Gianluca Valoti – tra me e Matxin, Giannetti ed Agostini c’è un bel rapporto di amicizia e così ai ragazzi viene data questa occasione. Non è nulla di concreto o di certo, si tratta di un’esperienza per vedere come funziona il WorldTour. Lo stesso rapporto c’è anche con Bramati, infatti lo stesso Romele l’anno scorso, sempre a dicembre era andato a fare la stessa esperienza in QuickStep».

Mondiale d’agosto, si passa dal Tour? L’idea di Bennati

20.12.2022
4 min
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Il ritorno del mondiale ad agosto, com’era sempre stato fino al 1994, diventerà presto un argomento da sviscerare. Ce ne siamo accorti nei ritiri girati in questi giorni e negli incontri di cui continueremo a raccontarvi. Quale potrebbe essere il miglior avvicinamento alla sfida iridata?

Bennati, 42 anni, è il tecnico della nazionale dei pro’ da un anno. Glasgow sarà il suo secondo mondiale
Bennati, 42 anni, è il tecnico della nazionale dei pro’ da un anno. Glasgow sarà il suo secondo mondiale

L’esempio di Tokyo

Il ricordo va al 2021, quando le Olimpiadi di Tokyo si corsero appena sei giorni dopo l’ultima tappa del Tour e Carapaz si servì della corsa francese, chiusa al terzo posto, per vincere l’oro. Questa volta i mondiali si correranno due settimane dopo la tappa di Parigi: un periodo forse troppo lungo, che andrà gestito nel modo giusto. Per questo e con il pretesto degli auguri di Natale, abbiamo chiamato Daniele Bennati per conoscere il suo pensiero sull’argomento.

«Il percorso del mondiale di Glasgow non è stato ancora ufficializzato – saluta il tecnico azzurro – e aspetto di vederlo, ma per quello che ho potuto capire su Strava, c’è un tratto in linea di 125 chilometri con una salita di 5 o 6 chilometri avvicinandosi al circuito. Questo invece è pieno di curve e continui rilanci e si farà per 10 volte. Serve gente capace di alzarsi sui pedali e uscire forte dalle curve. Ricorda un po’ il percorso degli europei vinti da Trentin. Ci sono strade larghe, che di colpo diventano molto strette. Per questo partecipare al Tour de France sarebbe l’avvicinamento migliore».

I tre del podio di Tokyo (Van Aert, Carapaz e Pogacar) arrivavano direttamente dal Tour de France
I tre del podio di Tokyo (Van Aert, Carapaz e Pogacar) uscivano dal Tour
Migliore non significa che sia l’unico…

Non è un avvicinamento obbligato. Chiaramente ci sono dei corridori italiani, che potrebbero essere interessati al mondiale e che probabilmente non andranno in Francia. Penso ad esempio a quelli della UAE Emirates. In certe squadre, il posto al Tour de France non è affatto scontato, avendo un uomo come Pogacar.

Si può fare in modo di orientare certe decisioni?

Non posso incidere più di tanto sui rapporti e sui programmi degli atleti. E’ sempre più difficile e non voglio mettermi di mezzo. Sicuramente posso parlare con i direttori sportivi, per cercare di capire quali programmi abbiano per i loro corridori. Ma anche i direttori sportivi alla fine devono rendere conto ai team manager. Certo però gli uomini interessati al mondiale potrebbero chiedere di inserire il Tour nel loro programma…

La corsa dei pro’ partirà da Edinburgo, arriverà a Glasgow e qui entrerà nel circuito
La corsa dei pro’ partirà da Edinburgo, arriverà a Glasgow e qui entrerà nel circuito
Cosa fare nelle due settimane fra Tour e mondiale?

Non c’è bisogno di fare chissà quali allenamenti, il Tour dà quello che serve. Solo che due settimane non sono un periodo breve, per cui l’opzione migliore è andare a San Sebastian che si corre dopo la prima settimana.

Esiste un’alternativa al Tour?

Chiaramente sì. Potrebbe essere correre il Giro d’Italia e poi immaginare di fare anche il Giro d’Austria (2-6 luglio, ndr) perché è una corsa a tappe di una settimana che finisce in un periodo tutto sommato funzionale alla preparazione del mondiale. Il discorso infatti sarà proprio inquadrare l’avvicinamento al mondiale di quelli che faranno il Giro. Potrebbero staccare completamente dopo l’ultima tappa e prevedere un periodo di altura in avvicinamento al Giro dell’Austria. Oppure potrebbero tenere duro fino ai campionati italiani, arrivandoci tramite il Giro di Svizzera o il Delfinato. E da lì potrebbero tirare dritto fino al mondiale. Si potrebbero anche fare Giro e Tour, ma ho qualche dubbio…

Nel 2018 a Glasgow Trentin vinse il campionato europeo battendo Van der Poel e Van Aert
Nel 2018 a Glasgow Trentin vinse il campionato europeo battendo Van der Poel e Van Aert
Come Dainese quest’anno?

Infatti pensavo proprio ad Alberto. Al Giro è andato fortissimo, tanto che ha vinto una tappa. Poi lo hanno mandato al Giro del Belgio e da lì è andato al Tour. Quando l’ho convocato all’europeo di Monaco, l’ho trovato piuttosto stanco e la sua stagione di fatto è finita lì. Forse il suo programma è stato un po’ troppo ambizioso.

Stradine strette, continui rilanci: non sembra il mondiale da velocisti di cui si parla…

La mia idea è che serviranno uomini da classiche…

Si parla di una distanza intorno ai 280 chilometri per un dislivello di quasi 3.200 metri. Ad agosto dovrebbe essere scongiurato il rischio della pioggia (anche se quando Trentin vinse il campionato europeo, l’acqua non mancò e il periodo era lo stesso), ma ugualmente i dieci giri del circuito di Glasgow e le loro curve potrebbero incidere sul risultato della corsa. Al momento si parla di velocisti, ma dovranno essere velocisti da Nord o da Tour de France. Più probabile l’arrivo dei soliti noti. Nel 2018, sul podio degli europei alle spalle di Trentin, finirono Van der Poel e Van Aert.

Beking, nella festa di Monaco, l’ultima vittoria di Gilbert

27.11.2022
8 min
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Philippe Gilbert che si allontana con i figli accanto – uno che porta il trofeo e l’altro con i fiori – è la sintesi perfetta della giornata e di una carriera eccezionale. Monaco, le quattro del pomeriggio lungo il Boulevard Albert 1er, davanti a yacht immensi e sguardi incuriositi, dove si è appena conclusa la gara dei professionisti a margine di un evento che, come nelle domeniche di paese, ha proposto chiacchiere e incontri. Ha vinto il belga della Lotto Soudal, all’ultima corsa. Mentre la carovana di Beking 2022 si disperde alla spicciolata, il belga firma autografi e concede gli ultimi sorrisi.

«Adesso finalmente – dice – mi rendo conto che è finita. Vivo a Monaco da 13 anni e chiudere qui resterà un bel souvenir. Avevo vinto già la prova cronometrata del mattino, ma vincere la kermesse con tutti i corridori che c’erano e il loro livello ha un sapore diverso. Ma al di là di questo, credo che Beking sia un bel progetto, per quello che vuole portare nella società. Il ciclismo professionistico qui non è famoso come in Belgio, dobbiamo fare in modo che lo diventi, affinché i bambini di oggi fra 15 anni possano essere i nuovi professionisti».

Alla partenza, immancabile, con Gilbert c’è il Principe Alberto di Monaco
Alla partenza, immancabile, con Gilbert c’è il Principe Alberto di Monaco

Il grande show

Se uno show come questo lo avessero organizzato in Italia, ci sarebbe stato il mondo. Ci sono quasi tutti i professionisti che qui risiedono e altri come Covi e Troia che sono venuti per partecipare. Poi ci sono tutti i team manager delle squadre WorldTour, perché l’UCI ha spostato qui il suo meeting annuale.

«E’ quella bella riunione che si fa sempre a novembre – scherza Brent Copeland della Bike Exchange-Jayco – quando hai chiuso il budget e loro fanno le sorprese di regolamenti cambiati e cose del genere».

Il manager sudafricano sorride rassegnato, ma è un fatto che a certe sorprese non corrispondano mai prese di posizioni di segno opposto da parte delle squadre. Sono arrivate così promozioni e retrocessioni e tutti quei cambiamenti di cui i corridori pagano il prezzo.

Szmyd per caso

A camminare sulla banchina c’è anche Sylwester Szmyd, preparatore della Bora-Hansgrohe, ma lui non è qui per la gara né per il meeting dell’UCI. 

«Abito là dietro – dice – vivevo qui da corridore e poi anche quando ho smesso. Guardate quanti campioni, davvero se lo avessero fatto in Toscana non ci sarebbe stato abbastanza spazio per il pubblico».

Ne approfittiamo per chiedergli di Giovanni Aleotti, sapendo che lo allena lui.

«Intanto prepariamo il debutto in Australia – dice – e poi speriamo di vederlo bene anche nelle classiche. Quest’anno è migliorato tanto, nonostante abbia avuto tanti stop. Al Sibiu Tour andava davvero fortissimo. Anche a Quebec. Gli ho detto di aspettare, perché quella è una corsa da un solo colpo. Invece si è messo a scattare e alla fine si è spento…».

Firma della maglia gialla per Pogacar, parso estremamente rilassato
Firma della maglia gialla per Pogacar, parso estremamente rilassato

Formolo e il trasloco

Pogacar è saltato fuori dal nulla assieme alla compagna. E’ tipo di poche parole. Sfila sorridendo con i bambini. Firma e posa, ma di base preferisce starsene per i fatti suoi.

«Stamattina è andato in bici – dice Formolo, raggiunto a Monaco dai suoceri – tanti si sono allenati e sono venuti fuori per il criterium».

Il veronese dice di aver firmato il contratto per il nuovo anno, anche se l’annuncio non è stato ancora fatto. Poi racconta di essere in pieno trasloco, perché l’appartamento in cui vivrà fino al 30 novembre è stato venduto.

Sagan con Ermanno Leonardi, Managing Director di Specialized Italia, sponsor dell’evento
Sagan con Ermanno Leonardi, Managing Director di Specialized Italia, sponsor dell’evento

I corridori sono mediamente tutti in affitto, solo pochi – Sagan fra loro – hanno scelto di comprare la casa in cui abitano. Peter è seduto su un cassone a parlare con Ermanno Leonardi di Specialized Italia e intanto con lo sguardo segue suo figlio Marlon che cammina accanto alla mamma. Nel corso della mattinata, Peter girava sul percorso portandolo sul tubo orizzontale.

Il ciclismo italiano

Pozzato ha corso al mattino nella prova a squadre fra corridori e amatori. Con lui dopo un po’ che si parla, il discorso finisce sul ciclismo italiano. Si ragiona di Giro U23 e Giro Donne, di Giro d’Italia e di Argentin e la sua posizione è la più interessante fra quelle sentite finora.

«Bisogna ripartire dai bambini – dice – copiare quello che hanno fatto nel tennis o in Francia col ciclismo. Il professionismo basta a se stesso, ma se vedo che a Vicenza gli juniores si sono dimezzati e al Sud non c’è più niente, comincio a preoccuparmi. Invece qui, al posto di fare sistema e unirsi, ognuno difende il proprio orto e pensa solo a fare la sua fortuna».

Alessandra Cappellotto, qui con Trentin, è a Monaco per il meeting Uci che si terrà lunedì e martedì
Alessandra Cappellotto, qui con Trentin, è a Monaco per il meeting Uci che si terrà lunedì e martedì

Uomini, non solo atleti

Accanto c’è Roman Kreuziger che riporta la sua esperienza in Repubblica Ceca, dove il numero di allievi e juniores nella sua Academy è in calo.

«Il bello – dice – è che bisogna discutere con i genitori per imporre che i ragazzi prima devono finire la scuola. Noi diamo bici, maglie, caschi… Diamo tutto, ma non vogliamo produrre solo degli atleti, vogliamo far crescere i ragazzi. Non voglio che fra cinque anni quegli stessi genitori vengano a dirmi che per colpa della bici i figli hanno smesso di studiare e adesso non sanno cosa fare».

Roglic e i bimbi

«Adesso smetteranno di chiederci quando ci sposiamo», sorride Elena Cecchini accanto a Elia Viviani. Accanto c’è Lizzie Deignan, con la figlia Orla attaccata alla gamba e l’ultimo arrivato Shea in braccio. Lei indossa già la tenuta della Trek-Segafredo, pronta a rientrare in gruppo.

E’ il giorno dei bambini. Un gruppo è arrivato da Forano, in provincia di Rieti. Altri sono figli di corridori e vivono qui. Scriccioli guerrieri, vestiti con le maglie dei corridori a frullare sui pedali su andature per loro forsennate.

«La prima cosa che bisogna insegnare ai bambini – dice Roglic – è il rispetto reciproco, poi c’è l’osservanza delle regole. Una giusta educazione è il solo modo perché diventino adulti consapevoli. Mi dispiace non correre, Beking è il modo migliore per unire la passione per la bici e l’impegno per gli altri».

Fra il pubblico, spinto sulla sedia da Manuel Quinziato, si riconosce anche Samuele Manfredi, che i suoi sogni di bambino ha dovuto rivederli e adesso ha scelto di dedicarsi alla hand bike, per dare sfogo a quella voglia di agonismo che l’incidente del 2018 gli ha portato via.

I due Principi

Il via alla gara dei pro’ ha voluto darlo ancora una volta il Principe Alberto, mentre in mattinata al villaggio di partenza si è fatta vedere sua sorella Stephanie, in jeans e un cappottino grigio. La sensazione è che Monaco apprezzi, ma non ami essere disturbata troppo.

La gente si è affacciata dalle balaustre, ha guardato e poi ha proseguito nella sua domenica calda in riva al mare che annuncia il Natale negli stand del villaggio in costruzione davanti al porto. Matteo Trentin saluta, a capo di un periodo che lo ha visto organizzatore al pari di sua moglie Claudia che ora dal palco ringrazia in francese e poi inglese.

A Beking, l’ultima gara da pro’ e ultima vittoria per Philippe Gilbert: una carriera straordinaria
A Beking, l’ultima gara da pro’ e ultima vittoria per Philippe Gilbert: una carriera straordinaria

Solidarietà e accorgimenti

Le iscrizioni degli amatori che al mattino hanno corso la prova a crono con i campioni saranno devolute per le due associazioni dichiarate alla partenza, per il resto si spera che gli sponsor coprano tutte le spese di un evento che ha ampi margini, ma forse potrebbe cercare una formula più incisiva. Splendido lo sforzo degli organizzatori, ma si può lavorare ancora (ad esempio) per coinvolgere il pubblico e portarlo tra gli stand della piccola fiera. I campioni non mancano: quelli a Monaco sono una garanzia.

«La mattina quando devo allenarmi – dice Battistella – basta mettersi sotto casa e aspettare il primo gruppetto che passa. Le strade sono spettacolari, la compagnia anche…».

BeKing: cuore e campioni, in soccorso dei bambini

24.11.2022
5 min
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Come fu che qualcuno per caso s’inventò BeKing, l’evento di beneficienza che si svolgerà domenica nel Principato di Monaco. Era uno di quei giorni lentissimi durante il lockdown, ma insieme un giorno speciale: la prima Pasqua senza corse. Rinchiusi nell’appartamento di Monaco in cui vivono da anni, Matteo Trentin e sua moglie Claudia Morandini guardavano i figli giocare. Giovanni e Jacopo, come tutti i bimbi del mondo, stavano perdendo due anni della loro vita, senza neppure poter vedere il sorriso degli amici, coperto dalle mascherine.

«E così – racconta lei – abbiamo fatto un brain storming in famiglia. Matteo ed io siamo una squadra che funziona e ci siamo messi a pensare al futuro. Volevamo fare qualcosa che coinvolgesse i corridori residenti a Monaco, per dare qualcosa ai bambini. L’idea c’era già, poi però il lockdown finì e uscimmo di casa.

«Con la mia società – prosegue Claudia – già collaboravo con Romy Gai (per anni dirigente della Juventus e ora Chief Business Officer della FIFA, ndr) e parlandoci gli dissi che avevamo questo progetto e che lo avremmo fatto magari negli anni successivi. E lui invece ci disse di farlo subito e ci diede il supporto organizzativo. Partiva tutto da valori nobili, potrebbe sembrare qualcosa di romantico. Invece nacque a casa nostra, davvero in un giorno per caso…».

Domenica alle 9 del mattino

L’evento si svolgerà domenica, dalle 9 fino alle 17. Il programma prevede una prova cicloturistica, quindi un giro dei bambini con i professionisti, il criterium dei campioni e una serie di test bike con bici elettriche e il supporto di alcuni sponsor.

La beneficienza avrà due destinatari. La Fondation Princesse Charlene de Monaco, che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli dell’acqua, insegnando ai bambini le misure di prevenzione e a nuotare per scongiurare gli annegamenti. E Fight Aids Monaco, fondata invece dalla Principessa Stephanie, che sostiene i malati di Hiv in Francia ma anche in Africa.

Claudia Morandini è la punta dell’iceberg dell’organizzazione e in queste ore si sta dedicando agli ultimi ritocchi.

L’anno scorso ci fu il pienone di corridori…

Rimanemmo colpiti. Vennero credendo a un’idea. Parlammo molto di “famiglia”, mostrando quel che si poteva fare semplicemente per amore dei bambini. Quest’anno la parola chiave potrebbe essere “team” grazie al coinvolgimento di varie squadre. Da quella degli atleti ai media, passando per gli sponsor e gli appassionati. C’è addirittura un pullman che parte da Forano in provincia di Rieti pieno di bimbi fra 5 e 12 anni. Il focus è “diamo un futuro alle nuove generazioni”, creando qualcosa per i bambini, affinché crescano in un ambiente di valori.

In che modo BeKing può fare questo?

Non vuole essere un criterium come gli altri, ma un momento di formazione ed educazione. I pro’ sono i migliori ambassador di questi messaggi. Finora, grazie all’aiuto di At Communication, abbiamo diffuso i loro messaggi in tema di sicurezza e promozione del ciclismo. Loro davanti e noi a lavorare dietro. Ogni campione ha a cuore questi temi e la loro voce vale più di tutte.

Le strade del Principato di Monaco sono state e saranno riservate alle biciclette, per gara e test
Le strade del Principato di Monaco sono state e saranno riservate alle biciclette, per gara e test
Rispetto allo scorso anno sembra ci siano più sponsor: quel è il loro ruolo?

Sono sponsor legati al ciclismo. Marchi come Specialized, Sportful, Ekoi e Stromer ci hanno creduto dall’inizio e daranno la possibilità ai presenti di provare i loro prodotti. Nello specifico, proveremo bici elettriche, perché tutto questo deve avere una ricaduta sulla gente. Ormai per andare al lavoro uso solo la bici elettrica, col tacco o senza, con la borsa del computer o lo zainetto. Impiego la metà del tempo e lo scooter ormai lo uso solo per fare dietro motore per Matteo (ride, ndr). Anche quando porto Giovanni a scuola, usiamo la bici. Gli abbiamo insegnato a pedalare nel traffico e andiamo via sicuri. Non capisco più la gente che prende la macchina.

Quali sono i rapporti con i Principi?

La Principessa Stephanie probabilmente si farà vedere. Alberto è molto legato agli sportivi in genere e ai corridori in particolari. Fra gli sportivi residenti a Monaco, i ciclisti sono in sovrannumero. Ce ne sono 55 contro 12 piloti di Formula Uno e 3-4 piloti di Moto Gp. Diciamo che la famiglia Grimaldi apprezza quel che facciamo.

Il Principe Alberto di Monaco è una vecchia conoscenza del Tour: qui con Pogacar, Sagan e Froome
Il Principe Alberto di Monaco è una vecchia conoscenza del Tour: qui con Pogacar e Sagan
Si pensa già alla terza edizione?

E’ un piccolo evento, per ora si fa tutto la domenica. Non nascondo che ci piacerebbe fare anche un criterium per le donne, ce lo ha chiesto anche l’UCI che ha spostato a Monaco la propria riunione annuale. Ci sarà Lappartient. E’ tutto da costruire, per adesso cos’altro dire? Ci vediamo domenica…

Olivo: «Bene crescere, ma il futuro va preso al volo»

10.11.2022
6 min
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Bryan Olivo ha appena ripreso ad allenarsi. Fino a due anni fa, questo per lui era il momento più divertente della stagione. Il cross era casa sua, la maglia DP66 e la bici Giant. Nel 2021 ha conquistato la maglia tricolore juniores a Lecce battendo Masciarelli. Poi, passato su strada, ha preso la bici da cross e l’ha messa in garage. Il 2022 è stato la prima stagione da stradista a tempo pieno con il CT Friuli.

Olivo ha partecipato al Tour of Szeklerland e al Giro di Slovacchia, mentre si è ritirato dopo la seconda tappa del Giro del Friuli. I risultati migliori sono venuti nelle crono. Terzo ai tricolori, secondo a Ponsacco. Con la nazionale ha corso gli europei crono, strada e pista (in apertura la crono di Anadia, foto UEC). Bryan compirà vent’anni a gennaio.

Tricolore di cross juniores, Olivo ha mollato il fuoristrada lo scorso inverno (foto Alessio Pederiva)
Tricolore di cross juniores, Olivo ha mollato il fuoristrada lo scorso inverno (foto Alessio Pederiva)
Finite le vacanze?

Ho appena ripreso a fare qualcosa. Sono stato fermo dal 12 ottobre fino ad ora, ci voleva. La stagione sinceramente non l’ho neanche sentita più di tanto, nel senso che ho iniziato ad andare forte alla fine, quindi non mi è pesata particolarmente. Ogni tanto però un po’ di riposo ci vuole lo stesso e adesso sono carico per ricominciare.

Che cosa ti pare dunque del mondo della strada?

Mi piace. Se si vuole emergere e passare professionisti, bisogna andare forte su strada e io mi sono trovato bene. In Slovacchia ho corso tra i professionisti, mi piace il loro modo di correre. Fra gli under 23, soprattutto in Italia, si parte ad attaccare dall’inizio alla fine. Non c’è una tattica di corsa ragionata. Invece ho notato che all’estero le corse sono più pensate e io mi trovo meglio. C’è anche molto più lavoro di squadra e alla fine sembra un po’ di fare le grandi corse, per come le vedi in tivù.

Hai mantenuto la pista, giusto?

Ho fatto l’europeo under 23 ad Anadia, in Portogallo, nell’inseguimento individuale (nella gara in cui Manlio Moro ha conquistato il bronzo, Bryan è stato 10°, ndr). La pista dovrei tenerla, a meno di cose eclatanti. L’idea mia e penso anche dei miei preparatori e dei direttori sportivi è di rincominciare dalla base di fine anno in cui sono andato forte, poi migliorare. Durante la stagione ci saranno vari obiettivi di cui parleremo. Però, l’idea per il 2023 è di andar forte e iniziare a vincere.

Ancora al Tour of Szeklerland, in fuga nei boschi della Romania (foto Instagram)
Ancora al Tour of Szeklerland, in fuga nei boschi della Romania (foto Instagram)
I risultati migliori sono venuti nelle crono.

Vedendo da quest’anno, le cronometro sono veramente il mio punto forte. E’ una cosa su cui si può lavorare bene e magari togliersi anche qualche bella soddisfazione. Ho visto che contro il tempo posso dare il mio vero potenziale al 100 per cento. Ovviamente bisognerà vincere anche le gare su strada, però il mio punto forte adesso sono le cronometro. E’ qualcosa che sento mio. Quando salgo su quella bici mi sento un’altra persona e quindi mi piace veramente tanto.

Hai parlato di strada, vedendoti e ricordando le tue doti nel cross, un occhio alle strade del Nord si potrebbe dare, no?

Direi di sì. Alla fine ho visto che in salita dopo i 3 chilometri inizio a fare fatica, mentre sugli strappi e sui percorsi mossi posso farmi vedere. Le classiche del Nord potrebbero andar bene, però è tutto da sperimentare. L’anno scorso non ho potuto confrontarmi con quei percorsi, però l’idea è quella di puntare sulle classiche e sui percorsi vallonati.

Veniamo alla nota dolente: Trentin dice che rinunciare presto al cross per intestardirsi sulla strada è un errore.

La mia idea è che se vuoi passare professionista e nel cross non sei un fenomeno assoluto, è meglio che ti concentri sulla strada al 100 per cento, così magari hai una possibilità. Fare tutte e due le cose, magari non fatte bene, secondo me compromette la possibilità di andare avanti. Io almeno la penso così.

Al Tour of Szeklerland, riunione con i ds Boscolo e Baronti (foto CT Friuli)
Al Tour of Szeklerland, riunione con i ds Boscolo e Baronti (foto CT Friuli)
Quando sei arrivato a questa consapevolezza?

Ho sempre detto di essere amante del ciclocross e che non lo avrei mai lasciato. Però, nel momento in cui vai a ragionare bene su quali possono essere i pro e i contro, soprattutto nel cross fatto in Italia… In Belgio e Olanda, sono due cose diverse. Ugualmente, dove sono i corridori belgi e olandesi che fanno cross e vanno forte su strada? A parte quei due o tre fenomeni, intendo. Io parlo di livello under 23 e juniores. Se si guardano i risultati, non trovi nessuno che va forte su strada e fa cross.

In teoria, si fa multidisciplina non per vincere da junior o U23, ma per avere una formazione più completa da pro’.

Diciamo però che adesso il ciclismo sta portando in una direzione in cui se non vai forte subito, non passerai mai più. Vediamo sempre più juniores che passano direttamente professionisti e under 23 che fanno sempre più fatica. Probabilmente è il movimento che ti porta ad andar forte da junior.

Secondo te, Buratti che non passa è un’occasione mancata o un anno in più gli farà bene? 

Non lo so, è una domanda cui non vorrei rispondere.

Al Giro del Friuli doveva lavorare per Buratti, ma il 2° giorno si è fermato per problemi fisici (foto Instagram)
Al Giro del Friuli doveva lavorare per Buratti, ma il 2° giorno si è fermato per problemi fisici (foto Instagram)
Seguendo il tuo ragionamento, sembra quasi che ci sia un solo treno…

Se hai il contratto in mano, un anno in più non fa niente, però se non hai il contratto in mano, ovviamente non passare è un’occasione sprecata. Dipende da che punto di vista lo vedi. Se gli fai fare il quarto anno e non hai il contratto, magari non hai motivazioni. Se invece ce l’hai già, un anno in più non cambia niente, perché sai che alla fine passerai.

Se adesso venisse qualcuno e ti offrisse di passare subito, dopo che hai detto di dover ancora crescere, cosa faresti?

Non posso mica non accettare, no? Sarebbe un’occasione. E’ come dire che il treno passa una volta e poi magari non passa più. Sono d’accordo che sia necessario crescere, però fai che durante quest’anno per crescere ti succede qualcosa, anche solo per pura sfortuna? Dopo come fai?

Allo stesso modo, metti che vai di là, non sei pronto e smetti di correre?

Certo, sono punti di vista alla fine. Però è giusto che un corridore deve crescere prima di passare, questo voglio dirlo.

Bryan Olivo, Daniele Pontoni, 2018
Pontoni con Olivo: il cittì è stato il suo primo mentore nel cross e ha sperato di poterlo rivedere nella specialità (foto Billiani)
Bryan Olivo, Daniele Pontoni, 2018
Pontoni con Olivo: il cittì è stato il suo mentore nel cross (foto Billiani)
Come riprende la preparazione adesso?

Con un po’ di palestra, soprattutto quella. Un paio di ore in bici 2-3 volte alla settimana e poi si aumenterà sempre di più. Per due settimane ancora da soli, poi ci troveremo quasi ogni sabato e domenica insieme in casetta. Qua la mattina e la sera fa freddo, ma durante il giorno si sta ancora bene. E’ perfetto per andare in bici all’orda di pranzo. Che di questi tempi non guasta. 

Juniores e U23, siamo fermi! Bragato va giù duro…

03.11.2022
10 min
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Non si possono prendere a paragone Pogacar, Evenepoel, Ayuso e Vingegaard. Ma alle loro spalle non ci sono italiani e soprattutto italiani giovani in arrivo dagli juniores e gli under 23. Nibali ha chiuso il Giro al quarto posto a 38 anni. Colbrelli ha vinto la Roubaix a 31. Dove sono i nostri ragazzi? Ieri un corridore ci ha detto che se ne parla tanto e alla fine non si capisce più niente, eppure nei giorni scorsi Ulissi e poi Trentin hanno tirato fuori argomenti decisamente concreti. E noi con questi abbiamo bussato alla porta di Diego Bragato, che ha da poco concluso con Salvoldi delle batterie di test sugli juniores ed è responsabile della performance alla Scuola Tecnici, che ha recentemente preso il posto del Centro Studi.

Questo pezzo sarà lungo da leggere, ma il ragionamento non fa una grinza. Può essere il punto di inizio per il cambiamento. Se a qualcuno, soprattutto nelle squadre juniores e U23, sta a cuore la salute del nostro ciclismo.

Bragato sostiene Viviani al via dell’eliminazione che vedrà Elia campione del mondo anche nel 2022
Bragato sostiene Viviani al via dell’eliminazione che vedrà Elia campione del mondo anche nel 2022
Non hai la sensazione che si punti ad alzare troppo il livello della prestazione degli juniores, lasciandogli pochi margini per quando passano di categoria?

Come sempre non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma di certo c’è troppa enfasi sulla categoria juniores. Enfasi legata ai volumi, al simulare quello che fa il professionista, invece di costruire una formazione a lungo termine. Purtroppo il nostro movimento spinge per la ricerca del risultato da junior, piuttosto che per la costruzione di un atleta che avrà risultati dopo 5-6 anni.

All’estero fanno più corse a tappe e meno gare di un giorno…

Noi siamo l’ultima fra le Nazioni di alto livello che corre ancora per le gare della domenica. Quindi a vari livelli, non solo negli juniores ma anche molto negli under 23, lo schema è sempre quello. Corsa la domenica. Lunedì, recupero. Martedì, un po’ di lavoro di forza. Mercoledì, distanza. Giovedì, un po’ di lavoro easy. Venerdì, velocizzazione. Sabato, recupero. Domenica, gara. E cosi per tutto l’anno, aspettandoci una condizione che porti a vincere più gare possibili. Ma questo ciclismo non esiste più. Le altre Nazioni hanno ridotto di molto il numero di gare durante l’anno, a vari livelli: da junior in su. E insegnano agli atleti a costruire la prestazione in funzione di un obiettivo.

Per Herzog, 30 giorni di corsa nel 2022 e la vittoria del mondiale juniores, a capo di un avvicinamento mirato
Per Herzog, 30 giorni di corsa nel 2022 e la vittoria del mondiale juniores, a capo di un avvicinamento mirato
Da noi invece?

I nostri ragazzi crescono come si faceva una volta. Trovano la condizione con le gare, quindi continuando a correre, hanno dei risultati a livello giovanile, ma non imparano ad allenarsi. Così arrivano in un mondo professionistico in cui giustamente, come descrive Trentin, ormai non puoi più sfruttare le gare per allenarti, perché devi arrivarci già in condizione. E noi non siamo capaci, né fisicamente né mentalmente. Fisicamente magari i preparatori possono anche aiutarci, ma mentalmente è un’altra cosa.

In che senso?

I nostri ragazzi non sono pronti ad allenarsi per arrivare pronti alle gare, perché nessuno glielo insegna. Gli insegniamo solo a correre. Ad andare in fuga e non tirare e aspettare la volata. Invece il ciclismo non è più questo.

Trentin ha parlato anche di volumi di lavoro a suo avviso eccessivi…

Spesso è così, il problema è che anche tra gli allievi si allenano quasi come dilettanti. Fanno volumi di lavoro più grandi degli juniores. Poi da juniores si allenano come gli under 23 o gli elite. E quando sono under 23 non hanno più margini. Purtroppo è così. Si predilige la quantità piuttosto che la qualità del lavoro. E la multidisciplinarità, come giustamente dice Trentin e come dimostra la pista, è un modo per preservare le qualità a discapito della quantità. La quantità si può mettere anche dopo. La qualità, invece se non viene preservata, poi non la ripeschi più.

Vittoria al Gp FWR Baron per la Work Service, una delle squadre plurivittoriose (photors.it)
Vittoria al Gp FWR Baron per la Work Service, una delle squadre plurivittoriose (photors.it)
E che cosa succede?

Abbiamo degli atleti che diventano degli ottimi gregari, cioè persone in grado di subire un carico a lungo termine per tanto tempo, ma non di imporre il proprio ritmo. Purtroppo diventano, tra virgolette, dei soldati. Gente che ha gran volume sulle spalle, ma non fa la differenza.

A livello di comunicazione con le società si può far qualcosa? 

In realtà sono parecchi anni che nei corsi di formazione, il Centro Studi prima e la Scuola Tecnici adesso continua a battere su questi messaggi. Cioè sul preservare il talento, ridurre i volumi in generale, intesi come chilometri e ore fini a se stessi, puntando invece sulla qualità. Ma sembra che questo messaggio non passi o meglio non passa in toto. Ci sono delle squadre che hanno cambiato ritmo, bisogna dirlo. E se le squadre estere ritengono i nostri juniores appetibili è perché comunque vedono che in determinati ambienti si inizia a lavorare nel modo giusto, quindi quello bisogna riconoscerlo.

Come leggi il fatto che alcuni vadano all’estero?

Fa specie il fatto che li vengono a prendere da juniores, probabilmente per… salvarli dalla nostra categoria under 23, dove invece alcune squadre ancora lavorano per vincere la gara della domenica, invece di costruire un atleta pronto a maturare per diventare un valido professionista.

Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Secondo te la svolta continental cambia un po’ gli atteggiamenti, oppure si chiamano continental ma fanno le stesse cose di prima?

Io ho paura che continuino a fare le stesse cose. A meno che non riesca a tornare in Italia una squadra di riferimento che detti le regole, perché questi atleti possono essere appetibili per loro. Sennò rischiamo di aver semplicemente cambiato l’etichetta, ma di lavorare come prima. Non a caso, me lo insegna chi ha la memoria storica migliore della mia, atleti come Nibali, lo stesso Viviani, Caruso, Guarnieri, Bettiol, Cimolai e Bennati, che adesso è cittì della nazionale, sono tutti ragazzi venuti fuori dall’ultima scuola italiana, che era la Liquigas. Poi abbiamo avuto ben poco. C’è Ganna, ma lui è un fenomeno a parte con caratteristiche completamente diverse. Gli ultimi atleti di un certo livello, soprattutto per le gare a tappe, venivano fuori da una squadra che gli ha dato il tempo, come giustamente diceva Ulissi, di crescere da capitani, non di crescere da gregari. Moscon e company sono andati nelle squadre dove vengono pagati parecchio, dove devi rendere per quello che la squadra ti dice. Così crescono per aiutare gli altri. Quindi sviluppano le abilità e la mentalità da gregario e non da capitano che dovrà emergere.

Se sei forte non emergi lo stesso? Oppure il problema è di mentalità?

Secondo me il problema non è tanto fisico, perché gli atleti ce li abbiamo. E’ proprio mentale. Crescere con la mentalità di costruirsi, di essere responsabile della propria prestazione in funzione di un obiettivo e non in funzione di un valore medio che ti garantisca di essere un buon atleta tutto l’anno. Costruire un obiettivo e vincerlo. Come Van Aert. Va bene che lui è un fenomeno fisicamente, ma anche di testa è uno che sa puntare un obiettivo, arrivare pronto a qualsiasi gara decida. Non è mica così facile, già Van der Poel lo soffre un po’ di più. Invece Van Aert è una macchina, veramente una macchina. E noi dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a essere responsabili della loro performance, ascoltarsi e costruirla in funzione di un obiettivo. Non semplicemente a vincere più gare possibili durante l’anno.

Il Piva Junior è una delle classiche per juniores, vinto quest’anno da Scalco, passato in Bardiani (photors.it)
Il Piva Junior è una delle classiche per juniores, vinto quest’anno da Scalco, passato in Bardiani (photors.it)
Tanti sono passati, hanno vinto e hanno smesso presto. Vedi i corridori del 1990…

Ci sono situazioni diverse, perché io vedo dei ragazzi che da under 23 sono seguiti in tutto e per tutto, anche troppo e più dei professionisti. Vanno forte, poi passano e non hanno più chi li porta ad allenarsi ogni giorno e gli dice di svegliarsi, di stare attento a cosa mangiano. Da pro’ devono essere responsabili di se stessi. Solo che non sono in grado perché non nessuno l’ha mai insegnato. E quindi per un anno o due vivono di rendita e poi spariscono. Quello che hai fatto per un po’ ti resta , ma se poi non continui ad allenarlo, sparisce e loro cambiano completamente tipologia  di atleta.

Hai parlato di situazioni diverse…

Sì, ci sono anche quelli che da under 23 lavorano troppo, fanno volumi enormi e vincono perché si allenano molto più degli altri. Poi quando passano professionisti e trovano quelli che si allenano come loro, si appiattiscono.

Nei test che fate è possibile valutare il tipo di attività che gli viene proposta?

Quando facciamo i test degli juniores, vediamo che atleti interessanti ce ne sono. Però guardandoli anno per anno, monitorandoli da junior di primo e secondo anno e poi da under 23, vediamo che spesso i valori di forza, quelli che fanno la differenza nel ciclismo moderno, vengono appiattiti. Dico spesso e non sempre, perché alcuni lavorano bene. Gli altri, ragazzi e ragazze, vanno a fare solo volumi, solo chilometri e ore.

L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
E cosa succede?

Non fanno più lavori di qualità e quindi si vede che diventano meno forti. Si abbassano proprio a livello di forza. Magari sono in grado di fare 3-5 ore. Vincono le gare juniores perché sono abituati a distanze superiori, ma poi quando passano ed è ora di fare la differenza su uno strappo o su una serie di muri, non ne hanno più. Passano dai 1.600 watt che facevano in volata da juniores ai 1.300 che fanno da under 23, che è quindi la differenza tra vincere una volata e tirarla.

Come se ne esce?

Bisogna tornare a rendere i ragazzi responsabili della loro performance, legandosi anche alle sensazioni. E’ fondamentale. Il misuratore di potenza serve a noi preparatori per avere un occhio in più, ma loro devono capire quando stanno bene, quando stanno male, quali sono le cose che li portano in condizione. Quali sono le strategie per mantenere la condizione e capire che durante l’anno ci sono dei periodi di picco, periodi di lavoro, periodo di scarico. Questo bisogna insegnargli, altrimenti fanno stagioni intere a cercare più vittorie possibili. E pensano che più vincono e più possono passare under. Oppure la nazionale li convoca per i mondiali, perché hanno vinto 20 corse.

I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
E al mondiale come vai?

Quando uno vince 20 gare in un anno, al mondiale non sarà mai al 110 per cento. Vai a scontrarti con Nazioni che prendono un gruppo di atleti e lo preparano in funzione del mondiale e quindi quel giorno andranno forte, perché hanno lavorato sull’obiettivo. Noi non abbiamo questa mentalità, ma lavoriamo in funzione della domenica. Di vincere più gare possibili…

Ai tempi di Fusi, questo gruppo di lavoro che limitava anche l’attività di club esisteva: può essere un aspetto da rivalutare?

Può essere un buon modo di tutelarli ed è quello che abbiamo fatto in questi anni con il gruppo pista under ed elite e qualcosina anche con gli juniores. Il fatto di iniziare a dare la mentalità del lavoro in funzione di qualcosa, quindi con dei richiami continuativi in settimana e con gare a tappe messe nei posti giusti che servono per determinati aspetti. Questo è un lavoro che con quel gruppo abbiamo fatto. Tuttavia, con la realtà ciclistica che abbiamo a livello nazionale, non è facile perché gli interessi delle squadre sono importanti. Ma penso anche che ormai stia diventando un’esigenza e che non possiamo più nasconderci. Dobbiamo assolutamente riprendere in mano questa situazione.

Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Come se ne esce secondo Bragato?

Sarebbe importante secondo me che ci fosse un collegamento tra squadre. Dagli junior agli under, fino ad arrivare alle squadre pro’. Servirebbe un collegamento serio, con un responsabile che segua il percorso degli atleti e sappia quando un ragazzo è pronto per passare. In questo modo, l’obiettivo degli juniores non sarà vincere tante gare, ma essere pronti per la squadra pro’. Il ragazzo viene tutelato e non ha più il bisogno di vincerne 20 a stagione per essere sicuro di passare, ma può prendersi il tempo di crescere, di sbagliare e provare a lavorare in funzione di quello che diventerà poi come atleta. Che questo sia un percorso creato da una nazionale o dai vivai in collegamento con le squadre, purché sia un collegamento solido e continuo e non per interesse stagionale, può essere la svolta.

Questa potrebbe essere la chiave anche per trattenere i nostri in Italia…

Il fatto che gli altri vengano a prendere i corridori italiani è perché non sono stupidi. I nostri sono forti, lo sanno tutti che sono forti. Ma se li prendono da junior è per tutelarli il prima possibile. Perché ovviamente qualcosa noi sbagliamo. E loro se ne sono accorti