L’ultima arrivata in ordine di tempo è ancora da annunciare e allora ci saranno altri corridori ad indossare i caschi Ekoi, come pure la Arkea-Samsic, la Cofidis e la Lotto Soudal prima di loro. Per il marchio francese che ha sede a Frejus, classicissima sede della Roc d’Azur, la scalata delle posizioni del gruppo prosegue. E non si tratta solo di puntare a squadre e campioni: il material Ekoi sponsorizza anche l’Academy di Michele Bartoli e quella di Kreuziger in Repubblica Ceca. Caschi, occhiali, abbigliamento e scarpe: vestiti dalla testa ai piedi. Il responsabile delle sponsorizzazioni si chiama Pietro Cicoria, è italianissimo e dal prossimo anno sarà Executive Manager.
«Siamo attenti a ogni innovazione – spiega a margine di Beking, l’evento di Monaco – in termini di design e tecnologia. Abbiamo tanti progetti, come gli occhiali fotocromatici elettronici, senza batteria. Oppure il sistema Koroyd di sicurezza per i caschi e la possibilità di personalizzarli con ogni grafica».
Ci sono tanti marchi, come si fa a scalare la piramide?
Creando prodotti belli, sicuri per gli standard che ci chiedono i corridori e gli utilizzatori in genere e con il miglior rapporto possibile fra qualità e prezzo. Per quest’ultimo punto, abbiamo eliminato la rete vendita dal 2010, per cui si fa tutto attraverso il sito e la vendita diretta.
I corridori quale ruolo hanno?
Sono tester e ogni prodotto che viene messo in vendita è passato per i loro test e il loro feedback. Ragazzi come Quintana, Barguil e Guillaume Martin sono i più meticolosi. Caleb Ewan è super attento all’aerodinamica. Poi ci sono i nostri ambassador, uno di questi è Aru. Fabio ha vinto la Vuelta del 2015 con i nostri occhiali, ci conosciamo da tanto. Gli atleti che smettono di correre continuano a fare sviluppo del prodotto con la loro esperienza. Quello che ha la storia più lunga con Ekoi è Gilbert. Lo abbiamo sempre seguito, sponsorizzando la Quick Step e poi la Lotto.
Fabio Aru, l’Academy di Bartoli: quanto conta il mercato italiano?
E’ il più importante dopo la Francia, con caschi, occhiali e abbigliamento. L’Italia per noi è anche un sito produttivo, soprattutto per l’alta gamma dell’abbigliamento. Stiamo puntando forte a una dimensione internazionale. Al momento il 55 per cento della produzione è destinato all’export. In Europa siamo forti in Francia, Italia, Spagna e Germania, mentre presto apriremo a Canada e Australia.
Che cos’è il sistema Koroyd?
E’ il nome di un’azienda di Monaco, che ha brevettato un sistema del 30 per cento più sicuro rispetto alle solite scocche in polistirolo. Lo integreremo alle gamme di caschi su strada e lo abbiamo già fatto usare alla Lotto Soudal nella tappa di Tignes all’ultimo Tour. I nostri caschi superano tutti i test di sicurezza europei, ma essendo venduti anche negli USA, affrontano anche le loro specifiche. Standard diversi, che comunque ci permettono di avere prodotti sicurissimi.
Quanti caschi si danno a una squadra?
Di solito 7-8 caschi ciascuno. Deve essercene uno per ogni bus, uno a casa, uno per correre. Poi un casco crono a testa e per alcuni quello normale e quello aerodinamico, che sviluppiamo nella galleria del vento di Magny Cours. Per soddisfare tutte le morfologie di corridori, abbiamo quattro diverse forme di caschi da crono. Lo sviluppo aerodinamico si deve molto anche agli atleti del triathlon.
In che modo?
Sono super attenti alla posizione e ai materiali. Grazie al triathlon abbiamo introdotto fibre in grafene, che permettono la distribuzione della temperatura corporea, oppure il tessuto Outlast che termoregola la temperatura corporea e si può usare in ogni situazione. E’ un prodotto sviluppato dalla Nasa e questa è la parte più stimolante: cercare di adattare le nuove tecnologie al ciclismo.
Stesso studio per gli occhiali?
L’occhiale da corridore deve impedire il male agli occhi anche se lo indossi per 5-6 ore. Quindi abbiamo lenti ad alta definizione intercambiabili. Ogni modello ha il suo astuccio che contiene anche una lente fotocromatica e una antipioggia, che si cambiano molto facilmente.
Ultima domanda: come arriva un ragazzo pugliese in un ruolo così importante e con questo accento francese?
Correvo in bici, ma non ero un campione, anche se qualche volta mi è capitato di incrociare Pozzovivo. Per anni ho lavorato nel management di hotel di lusso, finché ho incontrato Jean Christophe Rattel, il fondatore di Ekoi. E da allora è stato tutto molto veloce. Dal marketing alle squadre e dal prossimo anno cambierò ancora. Ho preso l’accento, sembro un francese che parla italiano, ma sono italiano al 100 per cento.