Viviani: «Cerco la vittoria, ma questi giovani vanno forte»

03.08.2022
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Ce lo aveva raccontato Jacopo Guarnieri alla partenza di Kielce, il Tour de Pologne è una corsa molto gettonata dai velocisti. Tra i tanti uomini veloci che ci sono qui in Polonia c’è anche Elia Viviani, alla sua prima stagione nella Ineos Grenadiers, con la quale aveva già corso in passato quando portava il nome di “Sky”.

Quando Elia scende dal pullman per parlare con noi sono passate da pochi minuti le dodici. Il sole splende alto nel cielo e inizia a fare un gran caldo. Ci saluta, chiede ai suoi meccanici le ultime informazioni per sapere se la bici è pronta, nello specifico si informa della pressione delle gomme. 

Elia Viviani e Richard Carapaz sono stati tra i corridori più ricercati dai media al Tour de Pologne
Elia Viviani e Richard Carapaz sono stati tra i corridori più ricercati dai media al Tour de Pologne

Le prime risposte

Viviani raccoglie grandi consensi ovunque vada, con un palmares come il suo è difficile passare inosservati. Mentre parliamo molte persone si avvicinano incuriosite e scattano foto, il veronese torna alle corse dopo un periodo di pausa. Le domande sono molte e le risposte piano piano arriveranno.

«Sto bene dai – ci dice coperto dai grandi occhiali scuri che non fanno percepire il suo sguardo – alle prime gare, dopo un periodo di altura c’è sempre da scoprire come si sta. Fino ad ora ci sono state due volate, la prima l’abbiamo fatta per Ethan Hayter, nella seconda mi sono lanciato io ma ho raccolto un settimo posto che non può accontentarmi.

«Però quando si rientra nella mischia è sempre così, qui ci sono tante squadre attrezzate per fare bene. Vedremo se ci saranno ancora una o due occasioni, sicuramente l’ultimo giorno con arrivo a Cracovia ci si riproverà».

Una delle due occasioni che diceva Elia si è presentata oggi. La quinta tappa di questo Tour de Pologne portava con sé alcune difficoltà che avrebbero potuto disarmare i velocisti, nonostante ciò il gruppo si è presentato compatto all’ultimo chilometro. Purtroppo per Viviani, una curva presa a tutta velocità ha causato una caduta a 700 metri dall’arrivo ed il veronese è rimasto intrappolato nelle retrovie.

Altura e pista

In questo periodo di metà stagione sono tanti i corridori che sono stati a preparare la seconda parte di stagione in altura. Cosa ha fatto il velocista veneto tra le vette delle montagne?

«Sono rimasto 15 giorni ed ho lavorato sulle volate – riprende Viviani – alla fine devo vincere quelle e lì mi concentro. Ho fatto 4 giorni di lavori specifici: due giorni solo volate e gli altri due su lunghe salite. Per il resto ho gestito un po’ i giorni lavorando sulla condizione in generale. L’altura da questo punto di vista dà sempre qualcosa in più.

«Sono sceso due giorni prima di venire qui, in quel breve periodo ho fatto qualche lavoro in pista giusto per velocizzare ed arrivare qui pronto».

Viviani accanto a Milan durante la prima tappa del Tour de Pologne, corsa in supporto a Hayter
Viviani durante la prima tappa del Tour de Pologne, corsa in supporto a Hayter

L’esclusione dal Giro

Avevamo lasciato Viviani escluso dal Giro, con il suo diesse Matteo Tosatto che ci aveva promesso che Elia sarebbe tornato forte ed affamato. Sulla professionalità dell’ex campione olimpico non si discute.

«Prima di fare il ritiro in altura ho corso tante gare di secondo livello (Giro di Ungheria, ZML Tour e Route d’Occitanie, ndr). Tanti piazzamenti nei cinque ma nessuna vittoria, quindi ovvio che la stia ricercando con tutto me stesso. L’avevo trovata all’inizio della stagione in Francia al Tour de la Provence e poi non l’ho più ritrovata».

«Da qui a fine stagione farò tante gare di un giorno, torna ad esserci Amburgo, che ho vinto nelle ultime tre edizioni e mi piacerebbe metterci un cerchio rosso. Poi Giro di Germania e Tour of Britain, sono tutte gare che servono per aggiungere qualche numero 1 alle statistiche».

La Ineos sempre più piena di campioni, sia per la classifica che per le volate, è difficile trovare spazio per un velocista puro come Elia
La Ineos sempre più piena di campioni, sia per la classifica che per le volate, è difficile trovare spazio per un velocista puro come Elia

Una stagione senza grandi giri

Per quest’anno Viviani guarderà le grandi corse a tappe da casa, non succedeva dal 2017, il suo ultimo anno in Sky. Una scelta dettata dal team e dalle sue esigenze, ma anche dalle poche vittorie trovate, come ha preso questa decisione Elia?

«Sono in un team dove sapevo che avrei avuto poco spazio per fare le grandi corse a tappe da protagonista – spiega Viviani – Anzi sarebbe stato difficile anche entrare nella selezione.

«La squadra punta molto alla classifica generale nelle corse a tappe ed è chiaro che concentrino le loro forze in quella direzione, non è un problema, la convocazione va meritata ed io non ho vinto quanto sperato».

«Per quanto riguarda le vittorie direi che è un mix di tanti fattori che mi tiene lontano dalla prima posizione, alla fine le volate son volate. Quando non vinci tanto vuol dire che qualcosa manca, a volte ero troppo dietro, altre non mi posizionavo bene. Bisogna ritrovare la fiducia. Che poi è il classico “una vittoria tira l’altra”».

Viviani Kooij 2022
Elia battuto da Kooij allo ZLM Tour, il velocista veronese ha visto da vicino la forza delle nuove generazioni
Viviani Kooij 2022
Elia battuto da Kooij allo ZLM Tour, il velocista veronese ha visto da vicino la forza delle nuove generazioni

Giovani alla riscossa

Viviani si è scontrato molto quest’anno con i giovani, e ne ha potuto vedere le qualità da vicino. Per fare un esempio: ha trovato sulla sua strada Olav Kooij, prima al ZML Tour, vinto proprio dal giovane olandese, e poi qui in Polonia.

«Sicuramente abbiamo avuto conferma anche a questo Tour de Pologne, dove il parterre dei velocisti è competitivo, hanno vinto i giovani. La prima tappa proprio Kooij e la seconda dal belga Thijssen, stanno arrivando. Probabilmente a livello internazionale Jakobsen e Kooij sono i velocisti più forti, Philipsen subito a ruota. In questa annata stanno dominando i giovani e si vede: a partire da Bennet, Cavendish e Ewan, non stiamo avendo una super stagione».

Quella di oggi è un’altra occasione sfumata per Viviani. Il quale, come detto anche a noi ha messo nel mirino la tappa di Cracovia, l’ultima occasione per non tornare a casa a mani vuote. Vincere aiuta a vincere – lo ha detto anche lui – ma prima bisogna trovare l’equazione giusta per tornare a superare per primo quella maledetta linea bianca.

Gambe e calma interiore: così Philipsen si è preso Parigi

27.07.2022
4 min
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L’unico che avrebbe potuto batterlo era Van Aert, lo aveva già fatto l’anno scorso. Non certo Jakobsen, sfinito e disperso nelle retrovie, senza Morkov a pilotarlo. Non sappiamo se Philipsen sapesse che la maglia verde avesse rinunciato alla volata, ma di certo quando si è voltato a sinistra sui Campi Elisi, ha capito che Groenewegen e Kristoff lo avrebbero affiancato solo dopo la riga. E si è reso anche conto di aver realizzato uno dei sogni di bambino.

Un anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vinto
Un anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vinto

Il sogno di bambino

Il belga della Alpecin-Deceuninck lo ha raccontato ieri ad Aalst (in apertura, fra Thomas e Lampaert, foto @belga), a margine del criterium cui erano stati invitati anche Vingegaard, Van Aert e Pogacar, che però hanno declinato l’invito.

«Non voglio parlare di vendetta – ha raccontato – ma solo di contrasto totale rispetto al 2021. Un anno fa sui Campi Elisi ho pianto, invece domenica ero la persona più felice al mondo. Nell’ultimo anno, è successo tutto molto rapidamente. Vincere la tappa di Parigi significa aver realizzato un sogno d’infanzia e quello di qualsiasi corridore. Parigi rimarrà sempre una tappa speciale, soprattutto quando sei un velocista. E’ la vittoria più bella della mia carriera e finire il Tour così è straordinario».

L’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordi
L’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordi

Vittoria scaccia stress

Per Philipsen, il Tour è stato un viaggio dentro se stesso. Non può essere altrimenti per un atleta che nelle tappe di montagna, soprattutto con il grande caldo e il ritmo indiavolato dei primi, è in lotta perenne con la tentazione di mollare tutto. Per questo la vittoria di Carcassonne era già stata la svolta mentale per arrivare a Parigi senza troppa tensione negativa.

«Per certe corse – ha spiegato dopo quel primo successo – c’è davvero bisogno di pace mentale. Nelle prime due settimane, non l’ho avuta. Nelle tappe sulle Alpi ho vagato senza una meta, solo per fare numero. Ma anche questo è stressante, perché sei sempre lì ad aspettare che arrivi un’altra possibilità. La vittoria mi ha dato la calma. L’obiettivo principale di vincere una tappa al Tour è stato spuntato. La pressione si è spenta. Anche se non ho lasciato andare del tutto le emozioni represse, ho percepito chiaro quel rilascio. Tutto quello che verrà d’ora in avanti sarà un bonus. Certo, se non vinco a Parigi, rimarrò deluso. Ma non come un anno fa, quando Parigi era anche l’ultima spiaggia».

La vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismo
La vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismo

Crono di recupero

Per questo in gruppo un po’ se lo aspettavano. La vittoria di Carcassonne aveva già dimostrato che Jasper avesse superato ottimamente la seconda settimana, con le Alpi e l’arrivo di Mende del giorno prima. C’era da capire come avrebbe digerito i Pirenei, tenendo conto che agli altri velocisti le cose non stessero andando probabilmente meglio. E che lui, per i 24 anni e i 75 chili (è alto 1,76), avesse doti di maggior recupero. Per questo la crono del giorno prima è stata un passaggio da affrontare con la giusta consapevolezza.

«Sulla bici da crono – ha detto la sera di Rocamadour – sei scomodo, quindi non sei molto rilassato. Per questo non si può dire che la crono sia un giorno di riposo. Dopo venti tappe, ogni sforzo sembra pesante. In più non volevo correre rischi. Non sono ancora caduto in questo Tour e volevo continuare così. Sono migliorato tappa dopo tappa e credo di avere ancora forza nelle gambe. Ho superato le tre settimane meglio degli ultimi anni e questo mi rassicura anche per il futuro».

Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)
Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)

«A Parigi – ha sorriso – conta solo la vittoria e non sarà certo facile. Ci sono molti corridori come Jakobsen, Ewan e Groenewegen che si sono trascinati attraverso le montagne e non vedono l’ora che arrivi domani. Anche se uno sprint dopo 21 giorni è ancora un’altra cosa. Nessuno sarà davvero molto fresco».

Il sogno è finito

E adesso che ha vinto a Parigi e il circuito di Alst su un fondo in ciottoli gli ha ricordato i Campi Elisi, Philipsen riparte ancor più convinto di poter salire al livello dei velocisti che ha sempre ammirato.

«Ho ricevuto tanti messaggi – dice – ma il più apprezzato è stato quello di Mark Cavendish, l’uomo che mi ha battuto a Carcassonne l’anno scorso. E’ bello sapere che qualcuno che ammiro può anche essere sinceramente felice per me. Mark è sempre stato un grande modello. Ed è ancora un grande gentiluomo. Vivo in un sogno da domenica. Tutto sembra magico. Peccato solo che il Tour de France sia finito».

Il silenzio di Cavendish, i brividi di Jakobsen. Le Tour toujours

03.07.2022
4 min
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Ci si sarebbe potuti aspettare un post di complimenti da Cavendish a Jakobsen, che però non è ancora arrivato, almeno non su Twitter o Instagram. Mark non ha preso affatto bene l’esclusione dal Tour, venuta dopo la vittoria dei campionati britannici e sul suo profilo Instagram il giorno in cui partiva il Tour ha pubblicato una foto che lo ritrae al lavoro sul tetto di casa (immagine in apertura), con un breve testo: «Handyman for hire», tuttofare a noleggio.

«Non so amico – gli ha risposto Mark Renshaw, suo ultimo uomo dei primi tempi e ora fra gli organizzatori dei mondiali di Wollongong – penso che ci sarebbero squadre che vorrebbero assumere un velocista in grado di vincere».

Dopo tutto quello che ha fatto per tornare alla Quick Step, Cavendish valuterà di lasciarla di nuovo? Jakobsen non ci pensa e tira dritto. Aspettava quel traguardo da 15 anni. E come dice Lefevere, chi vince ha sempre ragione.

Debutto al Tour e vittoria al primo sprint: Jakobsen non vuole sentire note stonate
Debutto al Tour e vittoria al primo sprint: Jakobsen non vuole sentire note stonate

Una storia speciale

«E’ sicuramente una storia speciale – ha detto Jakobsen a bassa voce nella conferenza stampa – potete quasi chiamarla una favola. Forse questo è il tempo dei ringraziamenti. Non dimenticherò mai come la mia fidanzata e i miei familiari mi portavano ogni volta avanti e indietro dall’ospedale. Poi la squadra: sapevano che la strada del ritorno sarebbe stata lunga, ma non hanno mai perso la fiducia in me. Mio padre e mio suocero, per ogni volta che guidano lo scooter durante i miei allenamenti. E i miei compagni. Stasera passerò stanza per stanza per ringraziarli. Sono la mia seconda famiglia. Anche quando riuscivo a malapena a camminare, hanno creduto in me».

Prima del Tour, la vittoria nell’ultima tappa al Giro del Belgio ha fatto capire che Jakobsen fosse in forma
Prima del Tour, la vittoria nell’ultima tappa al Giro del Belgio ha fatto capire che Jakobsen fosse in forma

Il miracolo di Cor, 85 anni

Pensando alla storia si ha ancora la pelle d’oca. La storia di quel ragazzo pieno di talento che stava per morire nella volata più veloce del mondo, a causa di una manovra bandita e transenne posticce.

«Dopo quel terribile incidente – ha ricostruito parlando con la stampa – mi hanno trasformato in una persona che poteva nuovamente vivere normalmente. Poi mi hanno trasformato di nuovo in un ciclista e ora sono di nuovo un velocista. Per questo devo dire grazie a Cor, il mio osteopata a casa. Non è riuscito a restituirmi i denti (ridendo, ndr), ma ha reso il mio corpo di nuovo elastico. L’impatto dell’incidente è stato così grande che alcuni muscoli hanno smesso di funzionare. Si è assicurato che fossero riattivati. Cor ha giocato un ruolo importante nel mio ritorno, anche se ha 85 anni».

Le gambe sono tornate quelle vincenti di prima, ma sul volto ci sono ancora i segni della caduta
Le gambe sono tornate quelle vincenti di prima, ma sul volto ci sono ancora i segni della caduta

Il mago dei massaggi

Ci vengono in soccorso i colleghi del fiammingo Het Nieuwsblad. Cor è Cor Van Wanrooij e non è estraneo all’ambiente sportivo olandese. Dicono che sia l’angelo custode dei motocrossisti, poiché pare che chiunque lo visiti dopo una frattura alla clavicola, dopo due giorni può agitare di nuovo le braccia. E tutto senza pagare conti esorbitanti. Secondo quanto riferito, Van Wanrooij farebbe tutto per amore dello sport. Qualcuno facendo ironia afferma che faccia miracoli e non sarà certo Jakobsen a dire che non è vero. «Cor sa esattamente cosa fa – spiega – e io gli sarò eternamente grato».

«Peccato aver perso la gialla di Lampaert – dice Lefevere – ma sono contentissimo per Jakobsen»
«Peccato aver perso la gialla di Lampaert – dice Lefevere – ma sono contentissimo per Jakobsen»

Chi vince ha ragione

La volata di ieri è stata un capolavoro di squadra, come abbiamo raccontato. Ma il debutto vincente del giovane olandese ha davvero il sapore di una nuova nascita. Come il ritorno di Pantani. Come si aspetta che accada con Bernal. Tanti sono tornati, non tutti sono tornati vincenti.

«Questa vittoria – dice Patrick Lefevere – dimostra che abbiamo fatto la scelta giusta nel credere in lui. Sto ancora tremando. Penso alla sua strada dalla Polonia due anni fa a questa vittoria in Danimarca, sono molto felice per lui. Abbiamo cominciato il Tour benissimo, segno che abbiamo scelto gli uomini giusti. Il vincitore ha sempre ragione. Peccato solo che Lampaert abbia perso la maglia gialla, ma va bene così».

Cavendish sotto scorta… anche nei tapponi

19.05.2022
4 min
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Non solo ieri in pianura, non solo nel vento, Mark Cavendish è supportato dai compagni anche nelle tappe di salita. E questo supporto ha anche una grande valenza psicologica. Il velocista sente la fiducia della squadra.

Ma in questa circostanza non vogliamo tanto parlare della fiducia, quanto del supporto tecnico e se vogliamo fisico, che la Quick Step – Alpha Vinyl offre al suo leader. Ne parliamo direttamente con Davide Bramati, diesse ormai storico alla corte di Lefevere.

Scherzando, si potrebbe dire che Cav sia scortato anche sul palco del foglio firma!
Scherzando, si potrebbe dire che Cav sia scortato anche sul palco del foglio firma!

Due uomini per Cav

Anche l’altro giorno, sull’arrivo del Blockhaus, Cav ha tagliato il traguardo scortato da due compagni. Sono arrivati proprio appaiati. Nessun altro team è stato così compatto nel vero senso della parola.

«Studio queste situazioni nelle quali Mark va in difficoltà o può andare in difficoltà – spiega Bramati – ma per fortuna negli ultimi giorni si è visto che il gruppetto è molto grande e questo semplifica le cose. Di certo Mark non può restare solo. Per questo gli metto sempre a disposizione almeno due uomini. Per adesso sono stati Bert Van Lerberghe e Pieter Serry (nella foto di apertura con l’inglese, ndr), doveva esserci anche Morkov ma lo abbiamo perso da qualche tappa. Ma in generale direi che la squadra si sta muovendo bene».

Verso il Blockhaus velocisti “tranquilli”: erano tanti, tutti insieme e con un ampio tempo massimo a disposizione
Verso il Blockhaus velocisti “tranquilli”: erano tanti, tutti insieme e con un ampio tempo massimo a disposizione

Se c’è subito salita

Portare un velocista all’arrivo in un tappone di montagna non è mai facile, soprattutto se in partenza c’è una salita, come è stata quella del Macerone domenica scorsa. Dare tutto per tenere è pericoloso, si rischia di andare subito in acido lattico e di accumulare minuti su minuti. 

«Cerchiamo di gestirci in base al percorso – spiega Bramati – per esempio, l’altro giorno sul Macerone sapevamo quanto potevamo perdere perché poi ci sarebbe stato dello spazio per rientrare. La squadra si è ben regolata senza spendere poi troppo».

«Ma come ho detto – continua – la fortuna è che non è stato il solo Mark a rimanere indietro. Oltre a lui c’erano anche Nizzolo, Ewan, Demare… tutti con i rispettivi gregari. Era un bel drappello e anche se il gruppo non si fosse “fermato” subito, ma più avanti, come nella tappa di Potenza, quando la fuga ha impiegato 75 chilometri per andare via, ci sarebbe stato tempo per rientrare prima del Passo Lanciano».

«E poi potrà sembrare un paradosso, ma in salita il velocista in linea di massima cerca di risparmiarsi. Anche io quando ero corridore, ricordo che si andava regolari in salita e poi si spingeva forte in discesa e in pianura. In questo modo si restava tutti insieme. E più il gruppetto è grande e più c’è poi la possibilità di fare velocità, girando tutti insieme e restando così nel tempo massimo».

«A proposito… Nelle prime frazioni di montagna – continua Davide – eravamo abbastanza tranquilli visto che era ampio: 45′ una volta e quasi un’ora la seconda. Ci si stava dentro “bene”. Sul Blockhaus potevamo anche andare più piano (quel giorno lo hanno rispettato per 13′, nonostante Cavendish e compagni abbiano incassato 42′, ndr). 

«E poi tutto è sempre sotto controllo. Le nostre macchine che sono a bordo strada prendono i distacchi e noi di continuo facciamo i nostri calcoli. Questo ci consente di regolarci sul ritmo».

L’inglese in verde, scortato da tanti compagni sulle montagne del Tour 2021: operazione riuscita
L’inglese in verde, scortato da tanti compagni sulle montagne del Tour 2021: operazione riuscita

Maglia ciclamino?

Durante l’ultimo Tour de France avevamo visto la Quick Step fare quadrato attorno a Cavendish. In quel caso c’era da portare a Parigi la maglia verde della classifica a punti. Un onore, ma anche un “fardello” in più.

«Adesso arrivano tante tappe dure – continua Bramati – il caldo penso si farà sentire e se sarà così anche sulle salite lunghe sarà tosta per tutti. Specie se le temperature, come sembra, dovessero aumentare ancora.

«Per la maglia a punti il gap è ancora ampio. Noi per adesso pensiamo alle tappe che ci possono vedere protagonisti e non ci guardiamo. Mark può vincere ancora. Alla seconda vittoria di Demare c’è stato uno sbandamento nelle posizioni di testa e questo non ha consentito a Bert di fare il suo lavoro e Morkov è dovuto rimontare da dietro. Nonostante ciò Mark ha fatto terzo. Cavendish però, maglia ciclamino o no, è qui per arrivare arrivare a Verona».

E Bramati e la Quick Step Alpha Vinyl faranno di tutto per portarlo nell’Arena.

Da Marco a Mark. Cittì Villa e la grandezza di Cavendish

11.05.2022
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Mark Cavendish è un veterano. Talmente veterano che ha corso anche con Marco Villa. Okay, non volevamo dire che il cittì fosse vecchio, ma volevamo far capire da quanto tempo l’inglese sia in gruppo. Su strada e su pista.

Con Villa, parliamo di Cav e di questo ragazzino che 17 anni fa, ancora prima di essere pro’, è arrivato all’improvviso sul parquet e che domenica scorsa ha vinto la sua sedicesima tappa al Giro d’Italia e la numero 160 in carriera (su strada). E chissà che oggi verso Messina, non possa ritoccare questi numeri.

Marco Villa, ora cittì azzurro, per un breve periodo della sua carriera ha incontrato da corridore Mark Cavendish
Marco Villa, ora cittì azzurro, per un breve periodo della sua carriera ha incontrato da corridore Mark Cavendish
Marco, vi siete incontrati tu e Cavendish…

Eh sì. Io ero alla fine e lui all’inizio della carriera. E adesso continuo ad incontrarlo da tecnico.

Il Villa corridore che ricordo ha di Cav?

Che era veloce! Si è visto subito. Era veloce, ma aveva anche doti di resistenza. E la T-Mobile ci vide lungo a prenderlo subito. Era un ragazzino.

Quando facevate spalla a spalla aveva timore reverenziale o non faceva sconti a nessuno?

Non era timido. Cavendish si sapeva difendere, aveva un carattere forte e si muoveva bene. E infatti poi la carriera che ha fatto dice tutto. Ha vinto mondiali su pista e su strada (Copenaghen 2011, nella foto di apertura, ndr), ha il record di tappe vinte al Tour de France. Mi dispiace per quei due o tre anni nei quali sembrava che nessuno lo volesse. Mi è sembrato un po’ irrispettoso. Ma col suo carattere ha saputo tenere duro. Mi colpì una cosa di lui.

Cosa?

Nel 2016 vinse quattro tappe al Tour avendo fatto la preparazione per la pista. Poi è andato a Rio e se non trovava un super Viviani avrebbe vinto le Olimpiadi. Finite le Olimpiadi recupera, va al mondiale e se non incontra sulla sua strada un certo Sagan vince anche il mondiale. “Questo” quando va forte fa fatica a fare secondo.

Nel 2007 Cavendish passò alla T-Mobile, non aveva neanche 22 anni
Nel 2007 Cavendish passò alla T-Mobile, non aveva neanche 22 anni
Qual è il primo ricordo che hai di lui? L’aneddoto…

Che mi sono ritrovato all’improvviso questi inglesi in pista che andavano forte. Hanno iniziato a vincere tutto e Mark ne faceva parte, con la differenza che lui andava forte anche su strada.

Ti aspettavi di vederlo ancora là davanti l’altro giorno?

Sì – risponde secco Villa – e poi lui è un vero maestro ormai di quel tipo di volate. Si porta in testa e nessuno lo affianca. Ha un sistema diverso rispetto agli altri sprinter. Al netto, chiaramente, dell’eccellente lavoro di Morkov e dei suoi compagni. Cav parte lungo e nessuno lo rimonta.

Sistema diverso: spiegaci meglio…

Non ho i suoi dati, ma per me è diverso da quel che ho visto. Gli altri velocisti partono al 100% e cercano di andare più avanti possibile. Mark invece per me parte all’80% e fa una progressione continua. Una progressione che inganna chi sta a ruota. Chi gli è dietro pensa di saltarlo, ma poi quando lo affianca prende aria e li resta mentre lui continua ad accelerare. Ed è in questo che è diverso dagli altri velocisti. Gli altri partono forte: se tengono, bene, se invece calano vengono saltati.

Cavendish faceva parte dell’infornata di Wiggins (a sinistra) su pista. Eccoli, iridati madison nel 2016 a Londra
Cavendish faceva parte dell’infornata di Wiggins (a sinistra) su pista. Eccoli, iridati madison nel 2016 a Londra
Eppure nel rettilineo di domenica scorsa, ad un certo punto sembrava fosse troppo lungo, che potesse essere saltato…

Quando lui parte sa bene dove sta la linea di arrivo e fa di tutto per arrivarci al 100%. Poche volte sbaglia.

E della sua posizione cosa ci dici? Lui fu un “rivoluzionario” in tal senso. Magari anche “bruttino” a vedersi col sedere in alto e le spalle schiacciate sul manubrio, ma di certo efficace.

Era la posizione degli inglesi. Loro sui marginal gain ci avevano lavorato subito e li limavano tutti. Cav fu tra i primi ad adottare questa posizione e a portarla anche su strada e di conseguenza anche gli altri si sono dovuti adattare. Anche Elia ci lavorò molto. Ci lavorò sulla posizione per l’omnium, per il giro lanciato… fino a portarla su strada.

L’altro giorno, come detto, sembrava avere una cadenza altissima, quasi che s’imballasse: oggi si tende ad utilizzare rapporti più lunghi, questo vale anche per lui? O Cav è rimasto fedele al 53?

No, di sicuro aveva il rapporto che serviva. Tanto più che è in quella squadra (la Quick Step-Alpha Vinyl). Se il rettilineo finale tirava a scendere, loro lo sapevano e lui aveva il rapporto adeguato. No, no… non si torna indietro, non si tratta di avere rapporti lunghi o corti, ma di avere quelli giusti.

Nel 2016 altro poker al Tour, un vero capolavoro per come si era preparato secondo Villa. Da notare la posizione schiacciata
Nel 2016 altro poker al Tour, un vero capolavoro per come si era preparato secondo Villa. Da notare la posizione schiacciata
Cosa ti piace di lui, Marco?

Bah – ci pensa un po’ Villa – la sua carriera. L’aver vinto su strada e su pista, quel record al Tour… Lo conosco bene, è un amico. Magari definirlo mito è fuori luogo, ma di certo con quel che ha fatto ci va vicino. Senza dubbio è uno dei più forti di questa era moderna. E poi, ragazzi, sembrava finito e l’anno scorso si è portato a casa tutti quei successi dalla Francia.

Però conta molto anche la squadra. E per uno come lui conta anche per le salite, per arrivare allo sprint o per portare a casa la maglia verde (o della classifica a punti)…

La squadra è super importante per tutti i velocisti, non solo per Mark. Senza parlare del treno, tante volte la sola scia dell’ammiraglia non basta. Magari avere due compagni vicino ti aiuta a non staccarti, riprendi la salita successiva col primo gruppo e puoi arrivare meglio nel tempo massimo. E questo vale ancora di più quando le salite sono all’inizio. E lui lo sa bene, tanto è vero che quando ha capito che in Sky si puntava solo alle classifiche generali, ha cercato spazio altrove, nonostante fosse inglese e affezionatissimo a quel gruppo.

Mononucleosi, infezione e recupero: Besnati spiega…

10.05.2022
5 min
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Cavendish un paio di anni fa, il caso più eclatante. Masnada e Paternoster negli ultimi tempi. Sono solo tre dei tanti nomi che sono andati incontro alla mononucleosi e che hanno visto i loro programmi stagionali stracciati e accantonati per colpa di questa malattia. Nel caso di Cannonball il virus Epstein Barr lo ha tenuto fuori dalle corse per più di un anno. Fausto Masnada ha dovuto dare forfait al Giro d’Italia a pochi giorni dalla partenza dopo aver avuto anche il Covid a inizio stagione. Per lui la stagione era iniziata bene con l’ottima prestazione, con vittoria di tappa e secondo posto in generale, al Tour of Oman (foto in apertura). Letizia Paternoster dopo la maglia iridata a Roubaix e un buon avvio di stagione, si è fermata per lo stesso motivo.

Situazioni differenti, tutte conseguenti alla stessa malattia infettiva che, seppur non grave, porta ad uno stop obbligato non sempre facile da interpretare. Nel caso di Fausto i primi sintomi li ha riscontrati sul Teide quando la stanchezza era anormale e la sensazione di fiacchezza ricorrente. La comunicazione della malattia è avvenuta a metà aprile e pochi giorni fa ha rivelato buone sensazioni relative ad allenamenti da cinque ore. Letizia ha comunicato sui social l’infezione da mononucleosi il 30 aprile e ieri ha pubblicato una storia in sella, durante un allenamento. 

E’ normale chiedersi quali siano i tempi di recupero standard per poter ritornare in bici e se il caso di Cavendish sia isolato o al contrario un monito per chi non aspetta abbastanza per iniziare ad allenarsi. Domande e supposizioni che abbiamo posto al dottor Massimo Besnati, medico della nazionale italiana. 

Letizia Paternoster ha comunicato di aver contratto la mononucleosi con un post sui social
Letizia Paternoster ha comunicato di aver contratto la mononucleosi con un post sui social
Come si riconosce l’infezione da mononucleosi?

La sindrome causata dal virus dura circa tre settimane, in cui può verificarsi con differenti sintomi come ingrossamento di ghiandole, della milza, stanchezza e linfonodi del collo che si gonfiano. Quando è passata questa fase, c’è quella dell’affaticamento cronico, dovuta al virus che lavora ancora nella milza e nel fegato e che può dare questo disturbo. 

La stanchezza è uno dei sintomi più riconoscibili negli sportivi?

Si. L’evenienza purtroppo più frequente è la sindrome dell’affaticamento cronico. Purtroppo per questi due atleti (Masnada e Paternoster, ndr) come per altri che la contraggono, può essere una complicazione. Il problema è che gli atleti pensano che sia tutto a posto e riprendono a fare i loro normali allenamenti e gare. Il virus però è ancora presente. Anche se gli esami del sangue sembrano non sempre alterati. 

Come si capisce quando è il momento giusto per riprendere gli allenamenti?

Per controllare gli andamenti della malattia si fanno ricerche virali. E’ un segno ovviamente. Quando i valori tornano nella normalità bisogna riprendere molto gradualmente ad allenarsi. 

Questo virus ha penalizzato le stagioni 2017 e 2018 di Cavendish
Questo virus ha penalizzato le stagioni 2017 e 2018 di Cavendish
Quali sono le incognite di un ritorno in sella anticipato?

Il grosso, grossissimo problema è proprio questo. Si innesta questa sindrome da affaticamento cronico e si rimanda per un tempo indeterminato. Bisogna stare fermi. C’è un’evenienza nella popolazione normale. Ma le persone normali fanno un lavoro normale, si sentono stanche e riescono ad avere una ripresa diciamo naturale dal virus. L’atleta no, se riprende troppo presto, sta male, si ferma ancora. Si rischia di andare avanti mesi. É meglio perdere due o tre mesi subito che un intero anno. 

Qualche settimana di stop totale riduce danni esponenziali nei mesi successivi…

Prima ci si accorge, prima ci si ferma. Non ci sono medicinali efficaci da prendere. Se non l’attenzione nell’alimentazione. Non sovraccaricare fegato e altri organi. Non esiste una vera e propria terapia. Bisogna assolutamente fermarsi. E’ difficile farlo capire agli sportivi. 

Ci sono effetti invalidanti per l’atleta?

Invalidanti direi di no. Il virus c’è sempre, non è esclusa una ricaduta, magari anche a distanza di anni. Anche nella popolazione questa ricaduta ci può essere. Una cosa che può incidere è la riduzione della massa grassa. Negli atleti è molto importante. La riduzione della massa grassa richiede la riduzione delle calorie degli zuccheri e di determinati microelelemti. Questi non favoriscono un recupero ideale della forma. 

Masnada ha dovuto rinunciare alla partecipazione al Giro d’Italia a causa della mononucleosi
Masnada ha dovuto rinunciare alla partecipazione al Giro d’Italia a causa della mononucleosi
L’alimentazione diventa determinante quindi…

La maggior parte dei nostri ormoni viene prodotta a partire dal colesterolo, quindi a partire dai grassi. Se riduciamo tantissimo la massa grassa, diminuiscono il colesterolo e quindi gli ormoni. C’è quindi un’ulteriore fatica nella ripresa. La massa grassa va bene controllarla, ma entro certi limiti. Soprattutto in fase di convalescenza non bisogna trascurarla. Non vuol dire che bisogna mettere su cinque chili di peso. Bensì creare una sorta di riserva, di cuscino, per combattere il virus sì. 

Ci sono medicinali o terapie per questa infezione?

Gli antivirali non vengono usati. Si è aperta una nuova frontiera di terapie, ma per il momento non vengono usate su larga scala. Non è una malattia messa tra le categorie in primo piano. Negli sportivi può essere penalizzante per molto tempo in quanto sono soggetti a rischio. Cavendish ne è un esempio. 

L’aspetto psicologico è importante?

Conta tantissimo. Uno pensa di stare bene, riprende gli allenamenti, dopo una settimana è di nuovo a terra. Psicologicamente può essere devastante. Sta nel merito del medico, allenatore, preparatore, dire che bisogna fermarsi e avere pazienza. Se non si aspetta è una malattia che non lascia in pace. Fermarsi non vuol dire scendere dalla bici e andare a correre. Vuol dire stop! 

Balatonfured: Cav esulta, ma il numero lo fa Ballerini

08.05.2022
6 min
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«L’uomo del giorno è Davide Ballerini», ha detto Mark Cavendish al microfono di Stefano Rizzato della Rai, appena terminata la corsa. Per l’ex iridato è la vittoria numero sedici al Giro d’Italia, la prima dopo nove anni. Sul velocissimo rettilineo di Balatonfured infila Demare e Gaviria, grazie ad un lavoro da manuale di Davide Ballerini, che spiana lo sprint a Cav stesso e ai suoi compagni del treno.

Giornata strana oggi, la terza ed ultima in Ungheria. La fuga va via subito. Di nuovo Bais e Taliani ad animarla e con loro stavolta c’è Rivi. Non c’è battaglia. Il gruppo ragiona sin troppo, sapendo che si arriverà in volata e li lasciano andare alla prima occasione.

Calma apparente

Però non è una frazione facile. Ed è anche beffarda. Quasi “pianura francese”, si potrebbe dire, con tanti saliscendi, vento in qualche punto e un lungo preludio al caos esplosivo dei venti chilometri finali.

Ma solo l’elicottero, ancor più della linea d’arrivo può descrivere la portata della volata di questo pomeriggio al Giro. Nel chilometro finale c’è stato un continuo rimescolamento delle carte.

In questo rimescolamento che vi dicevamo, la Quick Step – Alpha Vinyl e Cavendish sono stati gli unici a mantenere la barra dritta, merito appunto soprattutto di Davide Ballerini.

Il comasco entra in scena a 1.500 metri dall’arrivo. In quel momento il gruppo è aperto in due. Due treni sui lati della strada. Davide porta fuori al centro quello della Quick Step. Lo fa con una potenza straordinaria. Tanto da farlo sembrare facile.

«Ci voleva per Cavendish e per noi – commenta a caldo Ballerini – Sono stato bravo? Beh, ho fatto quello dovevo fare. Sono davvero felice perché se un compagno come Cav dice queste cose è perché è soddisfatto di come ho lavorato, è consapevole di ciò che ho fatto e ancora di più è consapevole della propria condizione.

«Sì, ci serviva proprio questa vittoria. Serve per il momento e per il resto del Giro. E si vedrà quel che potremmo fare quando rientreremo in Italia».

La grinta di Davide Ballerini, oggi decisivo per Cavendish
La grinta di Davide Ballerini, oggi decisivo per Cavendish

L’uomo del giorno

Ballerini racconta poi di come si sia arrivati ad un lancio pressoché perfetto dello sprint. Uno sprint che Bramati e i suoi ragazzi avevano ben in mente. E che di fatto è partito in modo definitivo prima del Gpm vinto da Eenkhoorn, anche se magari non si vedeva.

«Abbiamo organizzato un grande treno. Eravamo tutti lì nello stesso momento – riprende Ballerini – Per fortuna che ho trovato spazio per passare appena prima della rotonda a un chilometro e mezzo dall’arrivo (fortuna? Aveva un velocità altissima, ndr). Non so a quanto andassi, ma credo oltre i 60 all’ora perché giravo bene il 54×11».

«Però noi quattro (Cavendish, Ballerini, Morkov e Van Lerberghe, ndr) ci tenevamo sott’occhio. Ci vedevamo e sapevamo che saremmo stati noi gli uomini decisivi. E in questo caso l’unione fa la forza. Dopo che mi sono spostato, nel caos, ho cercato di guardare la volata dal tabellone, ma non ho fatto in tempo. Poi quando ero ai 100 metri, per radio ho sentito che hanno iniziato ad esultare e ho capito che Cav aveva vinto. Però un po’ lo vedevo che era davanti».

Ballerini ha davvero finito da poco la tappa. E’ vero, è stato lui l’uomo del giorno. Tornando al discorso dell’elicottero si è vista nettamente la sua progressione e come la sua manovra di fatto abbia disegnato tutta la volata.

«Forse non mi rendo conto. Sto ancora cercando di rivederla. Però come ho detto è stata un bella giornata. E poi stranamente oggi Mark era tranquillo. Di solito quando sta bene e vuol vincere è sempre nervoso. Invece in gruppo nei momenti in cui siamo andati piano, abbiamo chiacchierato, abbiamo riso. Questo vuol dire che è sereno perché non è mai facile sbloccarsi nei grandi Giri».

Mareczko gamba e rimpianti

Ma per un Cavendish che alza le braccia al cielo c’è chi invece si porta dietro qualche rimpianto. Non tanto per non aver vinto, ma per non essere riuscito ad esprimere tutto il proprio potenziale.

Jakub Mareczko e Biniam Girmay ne sanno qualcosa. L’italiano più dell’eritreo. Entrambi infatti, più volte sono stati costretti a smettere di pedalare chiusi com’erano. Girmay anche per sue scelte di traiettoria, Jakub invece perché era stretto alle transenne: risalendo da dietro non aveva spazio. Ciò nonostante ha rimontato in modo feroce.

«Sono contrariato – ammette con tono deluso Mareczko – abbiamo lavorato tutto il giorno con un uomo là davanti, poi anche la Quick Step ci ha dato una mano. E avevamo lavorato bene anche nel finale. Eravamo tutti in testa al gruppo. Van der Poel doveva tirarmi la volata, ma all’ultima rotonda qualcuno mi ha buttato fuori. Così ho perso le ruote di Mathieu e sono stato costretto a risalire».

Un vero peccato per “Kuba”. In effetti la Alpecin-Fenix era la squadra più numerosa. Il  suo treno era composto da ben sette uomini a due chilometri dalla fine e Jakub aveva un apripista d’eccezione, VdP appunto. Uno che quasi avrebbe potuto vincerla questa volata.

«Sì – riprende  Mareczko – i programmi erano che Mathieu mi tirasse lo sprint e così sarà anche nei giorni a venire. Le volate le faccio io. Mi dispiace perché stavo bene. La gamba c’è, ma ritrovarsi indietro ai 900 metri e risalire significa buttare tutto all’aria».

Ancora un bagno di folla per la corsa rosa. Si chiude così una bella tre giorni in Ungheria
Ancora un bagno di folla per la corsa rosa. Si chiude così una bella tre giorni in Ungheria

Ciao Ungheria

Il Giro d’Italia saluta così l’Ungheria. A parte l’interpretazione della corsa di oggi, un po’ troppo razionale e per questo lasciva, nel complesso si riparte con un gran bell’inizio: tre vincitori di spessore, tre gare adrenaliniche e, lo diciamo di nuovo, un super bagno di folla.

Speriamo che da martedì ci sia lo stesso entusiasmo anche sulle nostre strade.

E adesso sotto con l’Etna.

Cavendish 2022

Cavendish e il Giro, un amore con qualche spina

08.05.2022
5 min
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Oggi sarà volata e fra quelli da guardare, occhio al numero 171. Per Mark Cavendish, questo è il sesto Giro d’Italia, mancava da ben 9 anni. E’ chiaro, la sua carriera è legata più al Tour de France, a quel record di successi – 34 – condiviso con Merckx e conquistato lo scorso anno in maniera anche rocambolesca, visto che inizialmente quel Tour non doveva neanche correrlo. Eppure anche in Italia il velocista dell’Isola di Man ha scritto pagine importanti. Infatti ha un curriculum di 15 vittorie condite da una maglia di vincitore della classifica a punti. E chi lo conosce bene sa che ogni sua conquista non è mai qualcosa di comune.

Il suo esordio, Cavendish lo ha fatto nel 2008. Era al secondo anno da professionista e stava mettendo in pratica quanto imparato su pista, dove insieme a Bradley Wiggins formava la coppia regina delle madison, con due titoli mondiali già in tasca. Il Giro di quell’anno, dal punto di vista delle volate, è caratterizzato dalle sfide con Daniele Bennati, di 5 anni più grande e decisamente più sgrezzato per quegli sprint di gruppo che in certi momenti sembrano simili alle “Royal Rumble” del wrestling, ammucchiate nelle quali bisogna saper anche lavorare di gomito.

Cavendish Rosa
Il mannese ha vestito per tre volte la maglia rosa, all’esordio della corsa nel 2009, nel 2011 e 2013
Cavendish Rosa
Il mannese ha vestito per tre volte la maglia rosa, all’esordio della corsa nel 2009, nel 2011 e 2013

Che battaglie con Bennati…

Cavendish vince abbastanza presto, nella quarta tappa a Catanzaro, battendo il tedesco Forster e l’attuale cittì azzurro, dopo una caduta ai 200 metri che ha coinvolto in molti (e quella delle cadute altrui sarà una costante nella sua storia). Dei velocisti si ritorna a parlare alla dodicesima tappa, con arrivo a Carpi. Qui Bennati e il britannico danno vita a una sfida epica, bellissima, che non si risolve sul traguardo ma solo dopo lunghissimi minuti davanti al fotofinish, per capire chi dei due abbia vinto. La spunta Bennati e quel responso resta in gola a Cavendish per un giorno intero. Verso Cittadella, Cavendish ripensa spesso a quell’esito. Nello sprint stavolta il suo treno della High Road lavora bene tenendolo coperto. Bennati ha scelto un’altra traiettoria, il britannico lo rimonta e vince nettamente.

Cavendish 2013
Cavendish in rosa sul podio con la piccola Delilah Grace, nata nel 2012
Cavendish 2013
Cavendish in rosa sul podio con la piccola Delilah Grace, nata nel 2012

Prima rosa a Lido di Venezia

Due tappe al Giro, ben 4 al Tour, nel 2009 il britannico sceglie la stessa strategia. Per andare alla Grande Boucle si passa ancora dall’Italia, ma stavolta con l’obiettivo di conquistare la maglia rosa, dopo che in primavera si è portato via la Classicissima. A Lido di Venezia la cronosquadre vede il Team Columbia-High Road fare il miglior tempo. Cavendish passa per primo sotto il traguardo, così la maglia è sua.

Nelle prime due tappe però le sue polveri sembrano bagnate, mentre Alessandro Petacchi è in grande spolvero e vince due volte. Nella prima, a Trieste, Mark mastica amaro perché ci aveva creduto. Nella seconda resta indietro per una caduta a 10 chilometri dalla conclusione che spezza il gruppo e perde così la rosa.

Potrebbe sembrare un Giro maledetto. Non è così: col passare delle tappe la condizione cresce, vince a Milano dopo la contestazione del gruppo per l’eccessiva pericolosità del circuito scelto, poi replica ad Arenzano con Petacchi terzo, che protesta per alcune irregolarità e infine vince anche a Firenze. In maniera molto netta.

Petacchi Parma 2011
La volata della discordia a Parma nel 2011: vince Petacchi e Mark ha subito qualcosa da dirgli…
Petacchi Parma 2011
La volata della discordia a Parma nel 2011: vince Petacchi e Mark ha subito qualcosa da dirgli…

Fiera rivalità con Petacchi

Nel 2011 torna per la terza volta e la sua squadra rivince la crono. Questa volta però è Marco Pinotti a passare per primo e prendersi la rosa. Il giorno dopo, Mark punta al successo per conquistare la maglia, ma lo sprint di Parma è appannaggio di Petacchi. Grazie agli abbuoni, Cavendish conquista il simbolo del primato, ma questo non attutisce la sua rabbia.

«Non ce l’ho con Alessandro – afferma ai microfoni – ma con gli organizzatori e la giuria che mi hanno trattato ingiustamente. Alessandro ha cambiato direzione, era chiaro».

Lo spezzino è laconico: «Questa faccenda offusca la sua maglia» e la chiude qui. La polemica si stempera di fronte a vicende ben più drammatiche: il giorno dopo è quello della triste fine di Weylandt.

Cavendish Teramo 2011
Cavendish in trionfo a Teramo nel 2011: è la tappa numero 6 nella collezione
Cavendish Teramo 2011
Cavendish in trionfo a Teramo nel 2011: è la tappa numero 6 nella collezione

Cavendish vince di nuovo a Teramo, 10ª tappa, battendo Ventoso e Petacchi. Due giorni dopo a Ravenna, 12ª tappa, c’è una caduta enorme che lancia verso il traguardo solo 15 corridori. Il britannico batte Appollonio e nuovamente Petacchi che ha provato ad anticiparlo, poi si ritiene soddisfatto e il giorno dopo decide di non partire.

Quindici successi. Per ora…

Nel 2012 vince subito a Herning: quell’anno si parte dalla Danimarca, dove pochi mesi prima Cavendish ha vinto il mondiale. Trionfare con la maglia iridata indosso fa sempre un certo effetto. Replica a Fano, ancora davanti all’australiano Goss come in terra danese e infine a Cervere su Kristoff. Perde la tappa e le staffe contro Guardini a Vedelago. Lotta per portare a casa la classifica a punti, ma perde alla penultima tappa, a favore dello spagnolo Joaquim Rodriguez che così si consola per la maglia rosa andata al canadese Hesjedal per una manciata di secondi.

Giro d’Italia 2012, Cavendish vince a Herning precedendo Matthew Goss
Giro d’Italia 2012, Cavendish vince a Herning precedendo Matthew Goss

L’anno dopo è l’ultimo per Mark in Italia, prima di oggi. E il britannico fa bottino ricco. Vince subito a Napoli e conquista la maglia rosa, curiosamente ancora con una caduta a 2 chilometri dalla conclusione e il gruppo di testa ridotto a 15 uomini. Ribatte Viviani a Margherita di Savoia, poi trionfa a Treviso su Bouhanni, a Cherasco su Nizzolo, a Brescia su Modolo (tutti corridori in attività, qualcosa vorrà pur dire…) e questa volta la maglia ciclamino della classifica a punti non gliela porta via nessuno. L’elenco è completo? Con Cavendish non si può mai dire…

Un grande Cavendish, lasciato a casa. Giusto o sbagliato?

17.03.2022
4 min
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Una palla di cannone sfreccia su Corso Francia a Rivoli. Mark Cavendish aggiunge un’altra gemma alla sua già ricca collezione e peraltro si tratta della classica più antica che esista: la Milano-Torino. 

Una corsa che fino allo scorso autunno eravamo abituati a seguire come antipasto del Lombardia e con la tremenda doppia scalata a Superga, mentre ora è un discorso per velocisti ed è un avvicinamento alla Milano-Sanremo.

E’ il 2009, sul traguardo della Classicissima, Cavendish batte così Haussler
E’ il 2009, sul traguardo della Classicissima, Cavendish batte così Haussler

Sanremo proibita

Eppure il vincitore non sarà al via della Classicissima di sabato, come ufficializzato dalla Quick-Step Alpha Vinyl proprio ieri, con un tempismo che non ha fatto proprio felice lo stesso Cavendish.

«Dovete chiederlo alla squadra perché non ci sarò, nessuno me ne ha parlato», ha dichiarato Cannonball dopo essere sceso dal podio a chi gli chiedeva se la rinuncia delle ultime ore di Julian Alaphilippe a causa della bronchite non potesse aprire qualche spiraglio.

«L’ho già vinta (nel 2009, ndr) e mi sarebbe piaciuto rifarla, ma non ne so nulla». La squadra belga ha deciso di puntare tutto su Fabio Jakobsen e sull’ulteriore domanda riguardo alla Sanremo, viene chiesto di tornare all’attualità

Cavendish al via dopo una Tirreno opaca, sapendo di non andare alla Sanremo
Cavendish al via dopo una Tirreno opaca, sapendo di non andare alla Sanremo

Gigante Morkov

Il pensiero di Mark è tutto per la terza vittoria stagionale, ottenuta bruciando il redivivo francese Nacer Bouhanni (secondo) e il norvegese Alexander Kristoff (terzo), mentre Peter Sagan ha chiuso soltanto quinto.

Una volata regale per l’asso britannico che, dopo aver mancato il successo alla Tirreno-Adriatico, l’ha trovato oggi grazie all’inesauribile Michael Morkov, che gli ha tirato uno sprint perfetto.

«Non è importante soltanto per me – risponde Cavendish, incoronando il danese – ma per chiunque abbia mai corso con lui. Sai che con lui hai le migliori chances di arrivare davanti se ti pilota. Di dieci sprint, probabilmente ne vinci nove. Sono stato fortunato che sia venuto apposta qui per guidarmi a questo successo».

Al rientro dopo il Covid anche Vincenzo Nibali, acclamato dal pubblico
Al rientro dopo il Covid anche Vincenzo Nibali, acclamato dal pubblico

Una squadra compatta

Anche se il trentaseienne dell’Isola di Man precisa: «In un contesto così però non basta soltanto avere Mike, ma ci vuole tutta una squadra forte a sostegno e io per fortuna ce l’ho avuta. Avendo Mike a disposizione, sapevo di avere una grande opportunità, però tutti i ragazzi sono stati fantastici. Cattaneo, Devenyns, Vervaeke, poi Cavagna che è davvero una macchina.

«Infine Mike, che era tranquillo e stava ancora accelerando quando ho lasciato la sua ruota. Avrei potuto persino aspettare ancora un attimo, ma ero molto nervoso per andare a prendermi questa vittoria. Pensare che lui ha trovato ancora la forza di incitarmi mentre lo sorpassavo».

Passione infinita

E Cavendish ha terminato il lavoro alla grande, pur continuando a spartire i meriti coi compagni: «Si vede anche da come domina Fabio (Jakobsen, ndr) che dietro c’è una grande squadra che ci rende il lavoro molto più semplice allo sprint». 

Centocinquantanove i successi in carriera per l’eterno sprinter che sembra non voler fermarsi mai: «Non sono qui per i numeri. Sono soltanto statistiche e io non corro per quelle, ma col cuore. Adoro correre ed è tutto quello che conta per me». Non vederlo sabato a giocarsi le sue carte sarà davvero un peccato.