Che cosa direbbe il mondo del ciclismo professionistico se adottasse un sistema almeno simile a quello del draft dell’Nba? Servirebbe a mettere ordine nell’ingaggio dei giovani (diciamo fino ai 23 anni) per le squadre WorldTour, ma il discorso è decisamente complesso, vediamo di affrontarlo per tappe.
Abbiamo già avuto modo di chiarire come il ciclismo professionistico stia vivendo una profonda “crisi di crescita”. Lo sport delle due ruote diventa sempre più un richiamo per le grandi industrie, gli ingaggi crescono a dismisura e le squadre puntano ad accaparrarsi prima possibile ogni talento, vero o presunto che sia. Il rischio è di bruciarli, questi talenti, in nome del “tutto e subito”, ma non solo.
Un calmiere
Stiamo assistendo sempre più all’allargamento della forbice fra chi ha tanti euro a disposizione e domina il mercato e chi fa fatica a sopravvivere, senza dimenticare che il WorldTour non è un sistema chiuso come quello dell’Nba cestistica, formato da 30 franchigie (sempre quelle, che non retrocedono mai, se non per fallimento), ma dietro ci sono vari altri livelli di attività, dalle professional alle continental.
Il sistema di scelte dell’Nba è come principio piuttosto semplice: i primi 14 posti sono riservati alle squadre che non hanno avuto accesso ai playoff dell’anno precedente. I loro posti vengono sorteggiati tramite una lotteria. Saranno loro a scegliere i migliori talenti, in modo da poter nel tempo avere una valida chance di crescita di livello qualitativo (sapendo naturalmente abbinare a questo una valida opera di mercato). Le altre 16 squadre, le qualificate, vengono messe in graduatoria, dalla peggiore alla migliore, in base al rapporto vittorie/sconfitte nella regular season.
A tempo determinato
Dopo le prime 30 chiamate si ricomincia, ma qui le posizioni possono variare perché sono oggetto di contrattazione tra le franchigie, che inseriscono le scelte negli scambi fra giocatori. Guardando la storia dei “draft” che nel 2022 festeggeranno i 75 anni, si nota che il principio della ricerca del miglior equilibrio è stato salvaguardato, anche se alla lunga è chiaro che ci sono team più consolidati nella conquista dell’anello e altri molto meno. E’ sempre il dio denaro a comandare…
Come applicare tutto ciò al ciclismo? Innanzitutto si potrebbe partire da un rapporto vittorie/gare disputate, magari dando alle varie prove valori diversi in base alla loro importanza. Il corridore dovrebbe approdare al team che lo ha “chiamato” con un contratto almeno biennale per chi è all’ultima stagione U23, aumentando la durata in base alla più giovane età, ma lasciando aperta la porta a un “escape clause” pagando al team precedente un prezzo prestabilito.
La Nba e il “salary cap”
Teoricamente il sistema potrebbe anche funzionare, ma manca un fattore fondamentale: ogni team del WorldTour dovrebbe agire dovendo sottostare a un tetto salariale, il classico “salary cap”. Nella Nba ogni franchigia ha un limite di budget da utilizzare per gli stipendi, entro il quale dovrà gestire i contratti del suo team, dal grande campione all’ultimo degli ingaggiati. Valutando il ciclismo odierno, questo sarebbe probabilmente il boccone più difficile da far digerire ai vari team del WorldTour, considerando i contratti in essere per i vari Pogacar o Van Der Poel… Nel calcio ci hanno provato, ma senza grandi risultati. Si potrebbe forse ragionare, se non sul monte degli stipendi, sul monte dei punteggi Uci degli atleti tesserati?