Contini 1982

Contini, quel giorno a Liegi e le uscite con Saronni

13.01.2022
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Nell’era del ciclismo specialistico ci è tornato alla mente un personaggio degli anni Ottanta, un corridore che sapeva emergere ovunque, nelle classiche come nei grandi Giri, pur non essendo (e lui stesso non perde occasione per ripeterlo) un campione. I più anziani ricorderanno la figura di Silvano Contini (nella foto d’apertura ai mondiali 1982, il suo anno d’oro), colui che riaprì la storia della Liegi-Bastogne-Liegi come la “course des italiens”, prima dei successi a ripetizione di Argentin, Bartoli e Bettini con condimento di altre vittorie tricolori.

Contini chiuse la sua carriera del 1990, poi non se ne è saputo più nulla, nel senso che è uscito dal mondo delle due ruote. Nessun incarico neanche a livello locale, nessuna ospitata televisiva. E’ rientrato nei ranghi, ma la curiosità di sapere che fine ha fatto ci è rimasta.

Contini famiglia 2021
Contini con la famiglia: alla sua destra il figlio Moreno, al centro la figlia Romina e sua moglie Bibiana
Contini famiglia 2021
Silvano Contini con parte della famiglia: suo genero Marco, sua figlia Romina e la moglie Bibiana

Da allora Contini, oggi 63 enne, si è sempre dedicato alla falegnameria di famiglia: «Ero stanco di girare il mondo – racconta – il ciclismo si era allontanato dal mio modo di essere. Misi la bici in soffitta e ce l’ho tenuta per 25 anni, ogni tanto sentivo qualche collega dei tempi, guardavo le gare in Tv ma nient’altro. Poi pian piano è tornata la nostalgia e ho ripreso in mano la bici: nei fine settimana mi vedo con Saronni al negozio di Luigi Botteon (ex pro’ dal 1987 al 1991) e ci facciamo una pedalata tranquilla, chiacchierando sul passato e il presente».

Con Saronni è rimasta quest’amicizia salda e duratura, mentre in gara ve le davate di santa ragione…

Eravamo amici già allora, avevamo praticamente iniziato insieme, ci affrontavamo già da junior. Ma non eravamo la stessa cosa: lui era un fuoriclasse, che ha vinto dappertutto e trionfato in corse importantissime, io ero un buon corridore che si difendeva un po’ su ogni terreno e che alla fine ha portato a casa un buon numero di vittorie. Oltretutto con Beppe abbiamo condiviso un anno alla Del Tongo e due alla Malvor (dal 1987 al 1989, ndr) dove trovammo anche Giovanni Visentini.

Contini gara
Contini è nato nel 1958 a Leggiuno (VA). Pro’ dal 1978 al 1990, ha conquistato 48 vittorie in carriera
Contini gara
Contini è nato nel 1958 a Leggiuno (VA). Pro’ dal 1978 al 1090, ha conquistato 48 vittorie
Dicevi di aver ottenuto un buon numero di vittorie: 48 per la precisione, con la Liegi come perla ma anche altri importanti traguardi come Giro di Germania, Giro dei Paesi Baschi… Qual era la tua forza?

Mi sono sempre applicato con forza e dedizione, ero molto serio nella mia vita d’atleta, anche se negli ultimi anni uscirono fuori tante storielle sulla mia vita privata. Negli ultimi due anni ero meno concentrato, sentivo che quello non era più il mio ambiente e decisi di chiudere. Tecnicamente me la cavavo dappertutto, ma credo che sia stata la testa la mia arma in più.

Tu passasti professionista molto presto, a 19 anni.

In quel periodo accadde lo stesso proprio con Saronni e Visentini, ma rispetto a oggi c’è una differenza sostanziale: ci davano il tempo per crescere. Io nel 1978 passai grazie alla Bianchi, ma in quella squadra c’era gente come Gimondi, De Muynck che vinse il Giro d’Italia, Knudsen, Van Linden che era un grande velocista. Non mi chiedevano di vincere, solo di imparare, come fossi a scuola e di crescere per gradi. E’ stata la scelta giusta, da lì sono venuti i risultati. Oggi invece vedo che tutto è esasperato.

Contini De Wolf 1982
Una storica foto d’epoca, la volata vincente su Fons De Wolf: la Liegi torna a essere italiana dopo 17 anni
Contini De Wolf 1982
Una storica foto d’epoca, la volata vincente su Fons De Wolf: la Liegi torna a essere italiana dopo 17 anni
Quando si parla di te la mente torna a quel giorno di primavera del 1982, quando trionfasti a Liegi. Che cosa ti è rimasto nella memoria di quel giorno?

Tutto. Quando ripenso a quello sprint con De Wolf, a quella ruota davanti sulla linea del traguardo mi sembra di averla vista ieri, di aver provato ieri quell’immensa gioia derivata dalla constatazione che avevo vinto. Sapevo di star bene, venivo dalla mia unica partecipazione alla Parigi-Roubaix chiusa al 25° posto pur non essendo la mia gara. Per vincere però serve che tutto collimi alla perfezione e quel giorno tutto girò davvero per il verso giusto. Ero un corridore che negli arrivi ristretti poteva dire la sua. Mi era già capitato un arrivo a due al Lombardia 1979, ma allora avevo di fronte un certo Hinault

Quell’Hinault con il quale battagliasti a lungo al Giro del 1982, chiuso al terzo posto.

Io ho avuto a che fare con grandi campioni e un fuoriclasse assoluto, che è alla stregua dei Coppi e Merckx. Molti paragonano i campioni di oggi a quelli del passato, ma bisogna andarci piano con i paragoni, quelli erano uomini speciali. Pogacar è bravissimo, ma deve ancora far vedere e vincere tanto prima di poter essere inserito in quella categoria.

Contini Bianchi 2021
Con Ferretti i “suoi ragazzi”: Pozzi, Vanotti, Baronchelli, Contini e a sinistra Prim
Contini Bianchi 2021
Con Ferretti i “suoi ragazzi”: Vanotti, Baronchelli, Contini e a sinistra Prim
C’è in vista un nuovo Contini?

E’ difficile da dire, giovani di valore ne abbiamo, il problema è che mancano le squadre. Ai miei tempi c’erano 8-10 team internazionali in Italia, i giovani avevano modo di poter passare e come detto essere lasciati crescere con calma, oggi il ciclismo ha costi enormi. Noi nel team eravamo al massimo in 15 corridori, ora ce ne sono 30 senza contare tutto il personale. Però un nome mi sento di farlo…

Chi?

Alessandro Covi, perché Saronni lo sta facendo crescere alla vecchia maniera, in un team di grandi corridori nel quale sta imparando. Beppe me ne dice un gran bene e penso che ci darà soddisfazioni quando sarà il momento giusto.

Thomas, Roglic e Pogacar: per Malori lo stesso schema

14.09.2021
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Il primo fu Geraint Thomas (foto di apertura), anche se probabilmente fu costretto a farlo per necessità. L’idea di questo approfondimento è venuta a Malori, per cercare di decifrare il modo di correre di Roglic e Pogacar. L’ex corridore emiliano infatti si è accorto che i due mettono in atto spesso lo stesso copione. Nelle frazioni nervose o alla fine di ogni tappa di montagna, sono in grado di imprimere terrificanti accelerazioni grazie alle quali vincono le corse e guadagnano secondi sui rivali.

«Se andate a riguardare le cronache del Tour de France del 2018 – ricorda Adriano – vi accorgerete che la tattica di Thomas era proprio la stessa. Guadagnava a cronometro, in salita resisteva al passo dei migliori. E poi negli ultimi 500 metri era in grado di cambiare ritmo e andava a prendersi i secondi di abbuono. I due sloveni in qualche modo hanno sviluppato le stesse doti. Unite però al fatto che in salita sono tra i più forti al mondo, è facile rendersi conto come mai siano pressoché imbattibili».

Nello scontro diretto, qui ai Paesi Baschi, se ne vedono delle belle. Chissà se il modo di correre di Thomas li ha ispirati
Nello scontro diretto, qui ai Paesi Baschi, se ne vedono delle belle. Chissà se il modo di correre di Thomas li ha ispirati

Tanto lavoro

Il motivo di interesse sta dunque nel capire se si tratti di doti innate o se, al contrario, i due campioni abbiano lavorato per affinare simili attitudini.

«Credo che ci sia dietro un grande lavoro – prosegue Malori – perché riuscire ad esprimere così tanta potenza dopo una corsa di sei ore non viene da sé, anche se probabilmente madre natura ci ha messo lo zampino. Immagino che anche quando sono a casa, dopo allenamenti duri e lunghi, possano fare sedute di esplosività proprio per sviluppare questa dote».

Pogacar a ruota

Quello che appare sicuramente singolare è proprio il fatto che la stessa dote e lo stesso modo di correre accomuni due corridori che provengono dallo stesso Paese, sia pure correndo in squadre diverse e con una sostanziale differenza di età.

«Thomas fu il primo – rilancia Malori – poi a questo tipo di tattica è arrivato Roglic, che se non altro per età ha raggiunto certi standard prima di Pogacar. Io credo che Tadej, che per sua stessa ammissione ha sempre preso Roglic come modello, si sia ispirato a lui anche per questo tipo di atteggiamento tattico. Sta di fatto che nell’ultimo Tour de France ha attuato la stessa tattica con Vingegaard e Carapaz. Mentre alla Vuelta, Roglic se ne è servito contro Mas».

Al Tour de France, Pogacar si è servito dello stesso schema per arginare Vingegaard e Carapaz
Al Tour de France, Pogacar si è servito dello stesso schema per arginare Vingegaard e Carapaz

Fieno in cascina

La singolare attitudine permette ai due campioni di arrivare agli scontri più importanti avendo accumulato già un piccolo vantaggio sui rivali. Questa dote infatti si rivela molto redditizia anche nelle tappe che si concludono su muri o che selezionano gruppetti grazie a tracciati molto nervosi.

«Uno scalatore puro – Malori allarga le braccia – non ha queste doti. Quei due sono l’esempio perfetto di corridori per le corse a tappe, che di anno in anno migliorano e lavorano per perfezionarsi sui fronti che gli hanno creato qualche problema. Migliorano le loro lacune. Tanto che è difficile immaginare come finirebbe fra loro in uno scontro al top. Difficile dire chi si ha il più forte. Penso che se Roglic non avesse avuto un crollo psicologico nel 2020, quel Tour lo avrebbe vinto lui. Pogacar non gli avrebbe mai dato un distacco così grande nella cronometro alla Planche des Belles Filles, perché Primoz in quella specialità vale molto più di ciò che mostrò quel giorno. Tokyo dice questo».

Contro Mas a Valdepenas de Jaen, alla Vuelta, Roglic ha giocato come il gatto col topo
Contro Mas a Valdepenas de Jaen, alla Vuelta, Roglic ha giocato come il gatto col topo

Senza limiti

Il problema semmai e che i due non si accontentano, per modo di dire, dei grandi Giri. Ed hanno esteso il loro dominio anche alle classiche più dure.

«Non è per caso – prosegue Malori – che siano proprio loro due gli ultimi due vincitori della Liegi, una classica che strizza l’occhio anche a corridori forti in salita. Non sono molti nella storia i corridori capaci di vincere i Giri e anche le classiche. Immagino quanto sia stato felice Alaphilippe di vederli arrivare nel suo terreno di caccia.

«Anche lui… sconfinò nel 2019. In quel Tour vinse la crono e arrivò a un passo dal bersaglio grosso correndo come loro. Fu un caso evidente di stato di grazia che non sai se tornerà, loro due invece sono così sempre. Hanno creato un dualismo che andrà avanti per anni e sono certo che Roglic starà già studiando il modo per migliorare ancora e sorprenderlo alla prossima sfida. Un dubbio? Quanta autonomia possano avere a quel livello. Il terzo incomodo? Potrebbe essere Bernal, anche se lo aspetto al confronto diretto. Vinse un Tour a dir poco singolare in cui tutti guardavano Thomas e la tappa regina fu tagliata. Poi ha vinto il Giro in cui i nostri due amici non c’erano, lottando più contro il mal di schiena che contro i rivali. Magari il prossimo Tour ci dirà qualcosa di più. Sono molto curioso…».

Editoriale / Perché niente Liegi per Moscon?

26.04.2021
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Gianni Moscon non è partito infine per la Liegi, come era nei programmi annunciati durante il Tour of the Alps, perché la scelta del team Ineos Grenadiers è stata mantenere in Belgio il gruppo che aveva già corso l’Amstel Gold Race e la Freccia Vallone.

Golas per Pidcock

Il discorso avrebbe avuto una logica inattaccabile se quel gruppo fosse rimasto identico, ma così non è stato. Infatti, dopo la caduta di Pidcock alla Freccia Vallone, lo squadrone britannico ha ritenuto meglio inserire Golas, sostituendo il potenziale vincitore con un gregario che aveva corso l’Amstel e non la Freccia, piuttosto che concedere una possibilità al trentino, che proprio nella corsa di casa aveva vinto due tappe.

Il forcing della Ineos sulla Redoute ha lanciato Carapaz
Il forcing della Ineos sulla Redoute ha lanciato Carapaz

Insolita scelta

A questo punto la riflessione riguarda la stessa permanenza di Moscon (in scadenza di contratto) nel team se, come sembra, la sua presenza al Tour of the Alps è stata quasi imposta da Tosatto. E’ evidente che la Liegi abbia un diverso peso specifico rispetto alle due tappe vinte da Moscon, è anche evidente che ragioniamo forse più da tifosi, ma è altrettanto vero che né Carapaz né Kwiatkowski dessero grandi garanzie di poter vincere in Belgio. Perché non portare Moscon?

Redoute di fuoco

Dal Trentino sono volati a Liegi Pozzovivo, Fabbro e pure Quintana: corridori che certo andavano molto meno di Moscon. E la Ineos, che ha fatto fuoco e fiamme sulla Redoute, si è ritrovata con Carapaz ripreso e poi espulso per posizione pericolosa in sella mentre era in fuga e Kwiatkowski undicesimo, senza aver mai dato la sensazione di poter lottare per un risultato migliore.

Tour of the Alps 2021, così Gianni Moscon a Innsbruck nella 1ª tappa
Tour of the Alps 2021, così Moscon a Innsbruck

Che cosa avrebbe potuto fare Moscon a Liegi? A detta di Garzelli, sarebbe stato un ottimo aiuto per il team, portando via magari una fuga per tenere coperti gli altri leader. Ora Gianni correrà al Giro d’Italia, sperando che il buon momento prosegua. Quanto al suo futuro e al futuro dei talenti italiani, l’ultimo passaggio rende evidente a cosa servirebbe un team italiano nel WorldTour. Secondo voi il tecnico italiano di una squadra italiana avrebbe mai lasciato fuori questo Moscon dalla Liegi?

La doppia fuga di Rota, signore della Redoute

26.04.2021
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Lorenzo Rota protagonista alla Liegi-Bastogne-Liegi. Il bergamasco dopo 12 minuti di gara era già in fuga (e non era il primo). E’ rientrato sui primi attaccanti con Laurens Huys, con il quale avrà a che fare parecchio, come vedremo. Il suo attacco è stato il solo tricolore che ieri abbia sventolato sulle Ardenne. A parte le trenate di Formolo nel finale.

Valerio Piva (62 anni) è il diesse della Intermaché-Wanty-Gobert
Valerio Piva (62 anni) è il diesse della Intermaché-Wanty-Gobert

Le punzecchiate di Piva

Nella colonna dei bus dopo l’arrivo raggiungiamo Valerio Piva, diesse della Intermarché-Wanty-Gobert, la squadra di Lorenzo. E ci complimentiamo per la bella corsa fatta, visto che in fuga c’era anche il compagno Loic Vliegen.

«Una corsa d’attacco? Questa è un po’ la filosofia che abbiamo adottato in questo momento – dice sereno, Piva – non abbiamo chiaramente dei corridori per giocarci qualcosa nel finale e quindi abbiamo dovuto anticipare. Lo abbiamo fatto nelle ultime tre corse e direi che ci è riuscito anche bene. Ci siamo messi in mostra e soprattutto è un modo per far crescere i ragazzi. Sono azioni che in questi contesti danno morale. 

E di Rota cosa dice il diesse? Glielo chiediamo…

«Io continuo a stimolarlo – spiega – perché Lorenzo è uno di quelli che è sempre un po’ pessimista e, sapete, bisogna tenerlo su. “Prova ad andare in fuga da lontano”, gli ho detto stamattina (ieri, per chi legge, ndr). E finalmente ci è riuscito. Anche se ha scollinato in testa sulla Redoute, non c’erano speranze di vincere, con questi top rider… Però sono azioni che fanno ben sperare. E magari possono essere la chiave di volta per prendere fiducia. Gli servirebbe un risultato».

Un passaggio nei boschi delle Ardenne. Rota era al debutto alla Liegi
Un passaggio nei boschi delle Ardenne. Rota era al debutto alla Liegi

Rota in crescita

Mentre il meccanico, carica le bici sull’ammiraglia, Rota è intento a farsi la doccia. E’ chiamato ad un’altra fuga, quella verso l’aeroporto per rientrare in Italia. Quando scende dal bus è davvero stanco. Ha il trolley in mano, i capelli freschi di phone e lo sguardo di chi ha dato e speso tanto.

«Purtroppo – dice – in questo periodo sto avendo qualche problemino fisico e quindi la mia condizione non è al top. La squadra mi ha chiesto di provare ad andare in fuga e ci sono riuscito. Sicuramente stare in gruppo è un pochino diverso che stare in avanscoperta: vai un po’ più regolare e non hai grandi cambi di ritmo. Per me, che come ho detto, non ho una super condizione è stato meglio così.

«Sono soddisfatto. Ho faticato tanto, ma ho anche imparato tanto. Per me era la prima Liegi, così come è stata la prima Freccia. La squadra mi sta dando fiducia facendomi fare queste grandi corse e io cerco di fare il massimo. Sempre.

«Quello che dice Piva è vero. Mi abbatto un pochino facilmente ma è anche grazie a lui se sto tornando alla mia dimensione. Vengo da annate difficili, quindi anche mentalmente tante volte non sono così forte, però sono sulla strada giusta».

Rota (a destra) con il belga della Bingoal, Laurens Huys: sono in cima alla Redoute
Rota (a destra) con il belga Huys, in cima alla Redoute

Primo sulla Redoute

E allora tanto vale esaltare e prendere quel che di buono si è fatto. La Liegi è un monumento. Quassù è venerata. Correrla davanti non è per tutti e un traguardo Rota lo ha raggiunto: ha scollinato in testa sulla Redoute, la salita simbolo. Lo ha fatto in compagnia del belga Huys, che si stava dannando pur di passare lassù per primo. Se pensiamo che Gilbert, ieri dopo la corsa ha detto che il suo obiettivo era arrivare con il gruppo dei migliori almeno fino alla Redoute, si capisce che valore possa avere questo “piccolo” goal per Rota.

«Se ho sentito qualche brivido? I miei compagni sono belgi, quindi loro ci tengono in modo particolare, me l’hanno detto e raccontato un sacco di volte. Sono in Belgio da 15 giorni e parliamo di questa Redoute a pranzo e a cena! In effetti è stata una bella emozione. Non ho mai creduto, chiaramente, che potessimo arrivare ma magari con un pizzico di fortuna in più, si poteva rimanere con i primi fino all’imbocco dell’ultima salita. Ma sarebbe cambiato poco».

Tutta la Liegi in uno sprint. I tre del podio (più uno)

25.04.2021
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Una Liegi-Bastogne-Liegi da rivivere in un chilometro. L’ultimo. Lo sprint.  In palio un monumento per cinque corridori. Undici côtes, 4.500 metri di dislivello, 260 chilometri e le fiammate della Ineos Grenadiers hanno portato a questo finale.

Lo sprint a cinque. Tra Pogacar, Alaphilippe, Gaudu, Valverde e Woods
Liegi 2021
Pogacar vince la Liegi 2021 allo sprint al colpo di reni

Gaudu, Alaphilippe, Valverde, Woods e Pogacar all’improvviso smettono di collaborare. L’asfalto di Quai des Ardennes, il lungo Mosa che ospita l’arrivo, potrebbe essere tranquillamente il parquet di una pista. Ultime due curve a destra e 800 metri da fare a tutta.

Lo sprint di Pogacar

La Liegi probabilmente per lui vale come una tappa dei Paesi Baschi (con tutto il rispetto per la corsa spagnola, ndr). La pressione o la paura Pogacar non sa neanche dove siano di casa. In un modo o nell’altro all’ultimo chilometro si trova nella migliore posizione, l’ultima. 

L’abbraccio tra Formolo e Pogacar
L’abbraccio tra Formolo e Pogacar

I crampetti avvertiti all’uscita di Boncelles sembrano essere un ricordo. E poi la gamba è più fresca e tutto sommato c’è anche un bel po’ di voglia di riscatto: non aver fatto la Freccia scotta. Scotta perché sa che sta bene. 

Pogacar resta dietro. Quando lo sprint viene lanciato forse perde anche un metro, ma è normale. E’ l’effetto elastico, sono i tempi di reazione. Però prende anche meno aria e infatti risale, accorcia le distanze dal primo, ancora Valverde. Il drappello si apre a ventaglio e lui è il quinto che esce fuori ad un velocità altissima proprio sull’arrivo. Il colpo di reni in rimonta è magistrale.

«E’ incredibile – continua a ripetere Tadej dopo l’arrivo – non ci credo». Ogni tanto lancia degli urletti. Pochi secondi dopo arriva Formolo. Tadej gli dice: «Ho vinto!». I due si abbracciano. Lui ringrazia i compagni e alla fine Roccia gli fa: «Dai che stasera ci mangiamo un super hamburger».

Dopo l’arrivo, il suo capolavoro diventa ancora di più da manuale. Tadej infatti conferma che voleva controllare Alaphilippe, il più pericoloso e ci è riuscito restando ultimo. «Le gambe erano buone. Che dire: sto vivendo il sogno del ciclismo. Adesso un po’ di riposo in famiglia e poi penseremo al Tour de France».

Alaphilippe deluso ma sportivo: «Onore a Pogacar»
Alaphilippe deluso ma sportivo: «Onore a Pogacar»

Alaphilippe pistard

Partiamo da lui. Al triangolo rosso è in testa. Posizione pericolosa, specie con questa andatura quasi da surplace. Il campione del mondo però è furbo. Si stringe alla transenna esterna e punta dritto, va largo e si crea lo spazio per mettersi in coda, dietro di lui un solo corridore. Indovinate quale?

Le gambe sono buone. Non tremano di paura. No, non è da Alaphilippe farsela sotto. E poi con quel gesto ha mostrato lucidità. Adesso non deve far altro che aspettare, aspettare e intuire un decimo prima colui che lancerà lo sprint. E’ in coda e può studiare bene gli avversari. Quel momento arriva. Si muove Valverde e ai 300 metri è il più lesto a rispondere. Spinge, risale, sorpassa… la Liegi è lì. Ma un’ombra lo affianca e al colpo di reni lo sorpassa. E’ secondo. Sbatte i pugni sul manubrio dopo essersi allontano dalle telecamere. Non ci sta. 

«Questa Liegi è la sua corsa stregata – dice una mezz’ora dopo il traguardo il suo diesse Davide Bramati – ma non state qui a farmi tirare fuori di nuovo questi pensieri», aggiunge sconsolato il Brama.

«Chapeau a loro – dice invece Alaphilippe – mi dispiace perché i ragazzi hanno fatto un grandissimo lavoro. Ma uno sprint dopo 260 chilometri si può perdere, sono le gambe che hanno fatto la differenza. Io ho spinto al massimo e ho pensato a fare il mio sprint. Alla fine le mie classiche delle Ardenne sono andate bene, ne ho vinta una e ho fatto un podio. Si è lanciato benissimo Pogacar, non credo di aver anticipato io».

Gaudu dopo l’arrivo non sta nella pelle. Per lui uno dei risultati più importanti da pro’
Gaudu non sta nella pelle. Per lui uno dei risultati più importanti

Un nuovo grande: Gaudu

David Gaudu aveva dato appuntamento ai grandi venerdì. Ci aveva detto che gli piacevano le classiche e che la Liegi era la sua preferita. Ci aveva detto anche che lavorava per il testa a testa con i big in salita. E non ha mancato il rendez-vous.

Alle 16,37 del giorno della Liberazione 2021, il corridore della Groupama-Fdj si è fatto trovare in cima alla Roche aux Faucons con i primi. Per scappare via e diventare definitivamente un big anche lui. Un altro della nuova generazione che avanza.

Nel chilometro finale lui sta nel mezzo. Alla radio gli dicono di controllare Alaphilippe. Ma non è facile. Diciamo la verità, certi sprint devi anche saperli affrontare. Però tutto sommato se ne resta buono dietro. Segue la “massa” e “scopre” di essere anche veloce. E di avere gambe

La mattina è stato l’unico a presentarsi in zona mista ben coperto, senza bici e con le scarpe da ginnastica. Mani incrociate dietro la schiena, faceva finta di essere tranquillo. Era invece serissimo. Ma un punto in più per lui, che ha tenuto botta alla pressione, e per essere stato puntuale!

Woods all’attacco, alla sua sinistra Valverde. Hanno concluso rispettivamente quinto e quarto
Woods all’attacco, alla sua sinistra Valverde. Hanno chiuso quinto e quarto

Onore a Valverde 

Ma anche se volevamo parlare solo dei protagonisti del podio, non possiamo non aggiungerne uno: il quarto, Alejandro Valverde.

Ecco il suo sprint. Il volpone s’incolla alla ruota del più veloce e pericoloso, Alaphilippe. Il problema è che quello è anche una faina, non solo il campione del mondo. Prende larga l’ultima curva e lo fa ritrovare in testa. Allora lo spagnolo fa una buona cosa, ma non la migliore: si mette su un lato, ma quello esterno. Il rettilineo finale infatti gira leggermente verso destra. In pratica difende il lato lungo. Chi lo passa sulla destra dovrà fare meno strada. Ma certo, valle a pensare queste cose dopo 260 chilometri.

Le gambe poi sono quelle che sono. Parte ai 300 metri, lo sprint non è quella di una volta, quindi tanto vale giocarsela lunga. Sogna per 150 metri, rema come un disperato per gli altri 150. Una medaglia di legno sì, ma piena di onore, di orgoglio e di rispetto.

Ragazzi, chapeau: 41 anni oggi. La Liegi gli ha anche cantato la canzoncina degli auguri prima del via. Unzue, team manager della Movistar, dopo l’arrivo, se ne sta da solo in un lato del bus a fare avanti e dietro. Se potesse gli toglierebbe dieci anni e gli rinnoverebbe il contratto per altrettanto tempo.

Percorso troppo duro e spettacolo bloccato?

25.04.2021
3 min
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Visto quanto detto ieri con Davide Arzeni, diesse della Valcar, e viste le voci dopo le ricognizione da parte delle atlete stesse, ci si aspettava una Liegi-Bastogne-Liegi decisamente più selettiva, con arrivi ben più scaglionati. Il percorso era duro, molto duro.

Ma come spesso accade nel ciclismo moderno, quando si è di fronte a tracciati sin troppo selettivi si rischia di avere l’effetto contrario: cioè bloccare la corsa e di conseguenza anche lo spettacolo. Con questo sia chiaro non vogliamo dire che le ragazze non si siano impegnate, ci mancherebbe. La selezione da dietro sulla côte finale dice tutto.

Allora ci si chiede: ma serve davvero indurire i tracciati? 

Tatiana Guderzo (36 anni) appena dopo la Liegi
Tatiana Guderzo (36 anni) appena dopo la Liegi

Parola alla Guderzo

Più o meno della nostra opinione è Tatiana Guderzo.

«Continuare a rendere sempre più dure gare che già di per sé sono impegnative non sempre significa avere una maggiore performance degli atleti – spiega la portacolori della Alé Btc Ljubljana – o comunque sia garanzia di attacchi da lontano. A volte si rischia di intimorire l’atleta e le squadre. A cosa è servito aggiungere la penultima côte? Io non l’avrei messa proprio. Oggi abbiamo avuto bel tempo, e nonostante tutto quando siamo partite c’erano 3-4 gradi, ma se avesse piovuto cosa sarebbe venuto fuori? La Liegi è garanzia di durezza, di grande gara perché serviva indurirla? Dunque può succedere anche questo: che si blocchi un po’ la gara.

«E’ pur vero che il livello si è alzato molto e questo può rendere la gara anche più anomala per noi donne. Bisogna considerare infatti che ormai molte squadre hanno le seconde punte che potrebbero essere capitane in altri team e ci sta che la gara sia più controllata».

Vediamo tra poco cosa succederà tra gli uomini. Magari per loro che hanno più “cavalli” questo percorso più duro sarà più adatto. E assisteremo ad una gara più spettacolare.

Il premio della Liegi Bastogne Liegi, una delle cinque classiche monumento
Il premio della Liegi Bastogne Liegi, una delle cinque classiche monumento

Godersi ogni gara

La Guderzo però non è arrabbiata. Parla con serenità e spiega le cose con lucidità ed esperienza. Mentre cerca di recuperare, ma anche lei non sembra stanchissima, Tatiana sorseggia un po’ d’acqua. Ha ancora i gambali addosso. Come lei in molte non si sono spogliate e in effetti anche se c’è il sole, l’aria è molto più rigida rispetto ai giorni scorsi.

«Per quel che mi riguarda, non sono ancora soddisfatta di me. Non sono riuscita a stare con le prime sulla penultima côte. La gamba però sta crescendo e questo è importante. Adesso si torna a casa, ma giusto due giorni perché poi si riparte per il Lussemburgo. Altri due giorni a casa e altra partenza per la Spagna. Mi aspetta un bel mesetto insomma. Ma sì dai, mi godo tutte le gare che arrivano fino a fine carriera!».

Ultimi dettagli e temi tattici, tutto pronto per la Liegi

24.04.2021
5 min
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Liegi si prepara ad andare a dormire aspettando la sua amata corsa. La più antica tra le classiche per questo Doyenne, decana (prima edizione nel 1892) si terrà anche stavolta nonostante il Covid.

Era già stato un miracolo che si fosse riusciti a salvare l’edizione 2020, quando la seconda ondata stava tornando in modo gigante, ma qui ci tengono troppo a questo evento. In qualsiasi luogo siamo andati: supermercato, benzinaio, fast food… parlando o vedendoci con il pass al collo sapevano esattamente della corsa.

Van Avermaet con il casco dorato in ricognizione ieri (foto Instagram)
Van Avermaet con il casco dorato in ricognizione ieri (foto Instagram)

Parla Van Avermaet

In questa giornata di vigilia tutto sembra più calmo da una parte, più frenetico da altre. Se i super big hanno parlato ieri, oggi è toccato ad un corridore che poi non è affatto piccolo (in ogni senso), Greg Van Avermaet. E le sue parole sono state importanti, perché di base incarnano il discorso che circola tra i team e gli esperti. «Chi aspetta la Roche aux Faucons ha perso», queste in estrema sintesi le parole del campione olimpico in carica.

Che poi rispecchia quel che ci ha raccontato Bartoli parlando della Freccia Vallone. Se si arriva tutti insieme sotto al Muro di Huy ci sono due o tre persone che possono vincere. Tutti gli altri no.

«Ci sono due corridori – ha detto Van Avermaet – Alaphilippe e Roglic, che stanno dimostrando di essere i più forti. Se aspettiamo la Roche aux Faucons abbiamo perso, perché Roglic attaccherà e solo due o tre corridori potranno seguirlo: Alaphilippe di sicuro e forse Valverde o Schachmann. La nostra unica opzione è “aprire” la gara, attaccare da lontano. Se un corridore arriva con 30” ai piedi della La Roche-aux-Faucons, allora può anche sperare, ma non sarà facile».

Disamina perfetta. Ma si riuscirà poi a far saltare il banco da lontano? Deceuninck-Quick Step e Jumbo Visma, le squadre dei due favoriti, hanno dei leader ben designati e uomini molto forti. Per assurdo potrebbero anche allearsi per buona parte della gara e in quel caso non ce ne sarebbe per nessuno. 

La riunione dei diesse nel lussuoso palazzo della Provincia di Liegi, ex sede vescovile
La riunione dei diesse nel lussuoso palazzo della Provincia di Liegi, ex sede vescovile

Vigilia sigillata

Mentre i ragionamenti tattici vanno avanti, come detto ci si prepara. E se per i corridori è una giornata tranquilla, per tutti gli altri no. Bisogna cambiare gli adesivi sulle macchine, togliere quelli della Freccia e mettere quelli della Liegi. C’è la riunione dei direttori sportivi, i meccanici sistemano le ultime cose sulle fuoriserie dei campioni e anche Shimano tira a lucido le trenta bici del servizio corsa che mette a disposizione.

I corridori hanno fatto una semplice sgambata e restano chiusi nelle loro stanze di hotel, tanto più con il Covid. In alcuni alberghi, gli spazi delle squadre sono stati addirittura transennati.

Anche la presentazione dei team è stata programmata per domattina, come visto già al Giro delle Fiandre. E’ stata persino diramata la scaletta con la quale le 25 squadre si dovranno presentare al foglio firma: dovranno arrivare con intervalli di due, tre fino a cinque minuti a seconda dei loro leader.

Intanto i meccanici lavorano sulle bici. Bellissimo e hi-tech il motorhome della Movistar
Intanto i meccanici lavorano sulle bici. Bellissimo e hi-tech il motorhome della Movistar

E la Liegi delle donne?

In tutto ciò non va dimenticata la Liegi delle donne. E ci si chiede se il discorso fatto da Van Avermaet possa valere anche per loro. La gara femminile partirà presto (alle 8,40) da Bastogne. E si annuncia molto dura. Se si dovesse arrivare sotto alla Roche aux Faucons, la Van der Breggen avrebbe messo una gigantesca ipoteca sulla vittoria finale.

Ne parliamo con Davide Arzeni, della Valcar, quando esce dalla riunione dei diesse dal Palazzo dei Vescovi di Liegi. Stavolta il “Capo” è anche super partes, visto che domani la sua squadra non parte per favorita.

«Siamo qui – dice Arzeni – per fare esperienza. C’è Alice Arzuffi che ritorna dal cross e deve trovare il ritmo su strada, e ci sono delle giovani che spero possano imparare molto. Le mie atlete stanno lavorando tanto sulla pista, visto che in quattro possono aspirare ai Giochi di Tokyo, pertanto non è certo quello della Liegi il nostro percorso, ma venderemo cara la pelle».

Arzeni, all’uscita dalla riunione dei diesse, scherza con un numero avanzato
Arzeni, all’uscita dalla riunione dei diesse, scherza con un numero avanzato

Arzeni replica a Van Avermaet

«Credo che quello che ha detto Van Avermaet possa valere anche per le donne – riprende Arzeni – ma credo anche ci sarà più selezione. L’anno scorso la Vos attaccò da lontano, poi vinse la Deignan e venne fuori una corsa dura. Abbiamo fatto la ricognizione l’altro giorno e per me quest’anno sarà ancora più dura. La cote du Rosier è una salita vera, di 5 chilometri, che va oltre i 500 metri. Quindi non so quanto arriveranno unite sotto all’ultima salita. Anche perché poi ci sono atlete che non hanno un grande spunto veloce e cercheranno di attaccare prima. Io spero si arrivi in tante all’ultima cote, magari c’è anche qualcuna delle mie, e proveremo a dare fastidio! 

«Piuttosto – conclude il diesse – è stata interessante la tattica di corsa della Trek-Segafredo alla Freccia Vallone. Secondo me ha corso benissimo per cercare di mettere in difficoltà la Van der Breggen e c’era riuscita. Se non fosse caduta la Winder non so come sarebbe finita. Ha fatto un bel podio con la Longo Borghini. Magari sotto alla Roche attacca proprio Elisa! Io tifo per le italiane».

Però, Gaudu! Ragiona da vero leader…

24.04.2021
4 min
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Ma insomma, questo David Gaudu cosa vuole? Il giovane francese della Groupama-Fdj ormai è una presenza costante nell’elite del ciclismo mondiale. Vince alla Vuelta, si porta a casa una gara ad inizio anno e si permette persino di battere Primoz Roglic in salita al Giro dei Paesi Baschi. E l‘altro giorno, alla Freccia Vallone, ha messo tutta la squadra a tirare per chiudere sulla fuga.

Gaudu ha vinto l’Ardèche Classic ad inizio stagione
Gaudu ha vinto l’Ardèche Classic ad inizio stagione

Liegi first

Di questo ragazzo avevamo già parlato qualche mese fa, quando si pensava potesse venire al Giro d’Italia. Invece in questi giorni tra le Ardenne il bretone ha svelato i suoi piani.

«Sarò al Tour de France, però prima di guardare ad altri obiettivi c’è la Liegi». Gaudu, forse spinto anche dai suoi addetti stampa, riporta il discorso sulle Ardenne.

«La Liegi è la classica più dura e per questo mi piace molto, per me è la più bella fra le corse di un giorno. Fa paura solo a parlarne. Le sue salite sono mitiche. Ho già fatto sesto (avvenne nel 2019, ndr) su questo percorso e quest’anno vorrei fare ancora meglio. Credo ci sarà più movimento, rispetto alla Freccia. Sarà importantissimo correre davanti, soprattutto quando si arriverà ai piedi della Roche-aux-Faucons. Anche perché se si resta dietro in quel punto è molto facile finire fuori dai giochi».

David (in blu) nella ricognizione per la Liegi. Curiosità: aveva ancora il numero della Freccia
David (in blu) nella ricognizione per la Liegi. Curiosità: aveva ancora il numero della Freccia

Sarà capitano al Tour

Gaudu, complici anche le disastrose condizioni di Pinot, è sempre più la punta della squadra di Marc Madiot: ci sono lui per i grandi Giri e Demare per le volate. Anche per questo ormai è blindata la sua partecipazione al Tour. Squadra francese, con corridore francese non può non presentarsi col “vestito migliore” alla Grande Boucle. 

Eppure quando a David gli si prospetta il “ruolo” da corridore da corse a tappe non fa i salti di gioia. E’ un’etichetta che non vuole o che preferisce rimandare.

«A me piacciono le corse di un giorno, ne ho anche vinta una ad inizio stagione, l’Ardèche Classic, mentre non ho ancora vinto una corsa a tappe, neanche di una settimana tra i pro’. Certo, ho ancora difficoltà ad approcciarmi alle corse di un giorno, ma vedo che miglioro. All’Amstel ho chiuso 34°, alla Freccia 7°».

Sinceramente quando parla con tanta enfasi delle sue attitudini alle gare di un giorno ci crediamo sì, ma fino ad un certo punto. Gaudu ha vinto il Tour de l’Avenir nel 2016, non una corsetta qualsiasi. E aveva conquistato anche la Corsa della Pace, altra pietra miliare dei dilettanti. E infatti lui stesso, forse perché si è reso conto di aver “esagerato”, poi ricorda che comunque si sente portato anche per quel tipo di gare.

Gaudu in fuga con Roglic nella 6ª tappa dei Baschi, vinta dal francese
Gaudu in fuga con Roglic nella 6ª tappa dei Baschi, vinta dal francese

Ragiona da grande

Però è bello che un corridore giovane che ancora non dà garanzie di vittoria ci voglia provare, che metta la squadra a tirare e che il team creda in lui ugualmente: è così che si cresce. Sono prove di fiducia, di responsabilità, di pressioni da saper gestire.

L’azione della Groupama-Fdj non è passata inosservata ai colleghi francesi ad Huy. Persino lo speaker della gara in attesa dell’ultimo passaggio aveva sottolineato questa cosa.

«Ho voluto provare – spiega Gaudu – per vedere cosa succedeva. Volevo prendere il Muro davanti e tutto sommato ci sono riuscito. Poi nel finale ero a ruota di Alaphilippe, ma sono rimasto un po’ chiuso. Negli ultimi 350 metri le gambe mi andavano a fuoco (foto in apertura, ndr). Non sarebbe cambiato molto, avrei potuto fare poco meglio. Spero che il lavoro fatto alla Freccia possa essere utile per la Liegi. Come detto, è una corsa più dura, meno esplosiva e per me che ho meno watt di loro è meglio».

Gli chiediamo allora se si sente pronto per il testa a testa con i big, in fin dei conti al Giro dei Paesi Baschi ha battuto un certo Roglic.

«Cerco sempre di migliorarmi – ha concluso Gaudu – e quello è l’obiettivo, ma non si possono fare paragoni tra quella tappa, la Freccia e la Liegi. Quella era una gara all’interno di una corsa a tappe e su una salita molto più lunga di queste delle Ardenne. Qui devi aspettare fino all’ultimo prima di muoverti».

Bettini: «E’ora di tornare a vincere la Doyenne»

12.03.2021
3 min
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C’è un fattore che caratterizza la Liegi-Bastogne-Liegi e che inorgoglisce particolarmente Paolo Bettini quando si ritorna a parlare di quella classica che, fra le tante che il Grillo ha vinto, più ha identificato la sua carriera.

«La Doyenne è, insieme al Lombardia che però arriva a fine stagione – spiega il toscano, in apertura sul traguardo del 2002 – l’unica classica che davvero mette a confronto gli specialisti delle corse d’un giorno con quelli che vanno a caccia dei grandi Giri. E’ come un terreno di battaglia diverso, aperto a tutti, quel giorno ci si confronta per capire davvero chi è il più forte. Lo dice la storia, vedi Nibali che è giunto secondo o Basso che insieme a me si giocava la vittoria. E’ una sfida affascinante quanto poche altre».

Nibali è andato vicino alla Liegi del 2012, ma fu beffato da Iglinskiy
Nibali è andato vicino alla Liegi del 2012, ma fu beffato da Iglinskiy
L’hai vinta nel 2000 e 2002: che cosa serve per emergere alla Liegi?

Deve essere il giusto connubio fra fisico e mente, come d’altronde in tutte le competizioni ciclistiche. Chi vince riesce sempre a farlo perché mette d’accordo queste due componenti. Sicuramente la Liegi è una gara completa, che va saputa interpretare.

Tatticamente è diversa dalle altre classiche?

Diciamo che è più strutturata, più definita nella sua trama, difficilmente esula dal copione stabilito alla vigilia. Sai che le prime parti della gara sono di assestamento, chi attacca all’inizio non ha speranze. La gara si accende dopo La Roche aux Faucons e la Redoute, che viene prima, dà sempre verdetti che poi, anche se non sono definitivi, hanno comunque un peso importante sul suo esito finale. Per questo servono grande condizione e testa, devi essere attento nelle fasi decisive e avere le gambe per recitare il tuo ruolo.

E’ una corsa per scalatori?

Per certi versi sì. Se si pensa che il suo dislivello totale supera i 5.000 metri, siamo in presenza di qualcosa che somiglia moltissimo a una grande tappa alpina. Per questo chi è specialista delle grandi corse a tappe qui può fare il colpaccio e Roglic lo scorso anno lo ha dimostrato. Non basta però andar bene in salita, devi essere esplosivo. Io non avrei mai potuto primeggiare sullo Stelvio o sul Pordoi, ma in quel tipo di corse mi trovavo a mio agio…

Anche Formolo è arrivato secondo a Liegi: nel 2019, dietro Fuglsang
Anche Formolo è arrivato secondo a Liegi: nel 2019, dietro Fuglsang
Chi identifichi come corridore italiano adatto alla Doyenne?

Il primo nome che mi viene in mente è sempre lo stesso: Vincenzo Nibali, a dispetto dell’anagrafe è proprio l’uomo fatto su misura per la Liegi, poi non so se quest’anno la correrà, ma è davvero incredibile che un corridore simile non sia nell’albo d’oro della Doyenne. In alternativa mi viene in mente Davide Formolo, che su quelle strade ha già dimostrato di poter far molto bene, proprio perché incarna le caratteristiche giuste, sia tecniche che tattiche, per emergere e finalmente tornare a far sventolare il tricolore a Liegi.