Le riflessioni di Puccio: come cambia il ruolo del gregario

05.11.2022
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Gregario. Una parola insita nella storia ultracentenaria del ciclismo. Un ruolo che è diventato un concetto, applicabile nella vita di tutti i giorni. Qualche giorno fa Fabio Felline aveva espresso una riflessione dietro la quale si nascondono mille pensieri: «Il mestiere di gregario è difficile da giudicare».

Matteo Trentin ci aveva messo del suo, sottolineando un aspetto importante che fa parte del ciclismo attuale: «Chi corre come leader fa una media di 60 giorni di gara all’anno, un gregario va dagli 80 ai 100». E’ una differenza profonda.

Il gregario di oggi non è più quello del secolo scorso, sono cambiate tantissime cose come è normale che sia, considerando che è il ciclismo, anzi è la società stessa che è profondamente mutata. Chi il mestiere del gregario lo conosce bene è Salvatore Puccio, che anzi è diventato un riferimento assoluto del ruolo, dopo tanti anni di militanza alla Ineos Grenadiers. Eppure la sua prima affermazione lascia un po’ interdetti: «E’ un ruolo che va a scomparire…».

Per Puccio il lavoro del gregario è soprattutto nelle fasi iniziali e centrali della corsa
Per Puccio il lavoro del gregario è soprattutto nelle fasi iniziali e centrali della corsa
Sembra difficile crederlo…

Diciamo che il ruolo del gregario emerge maggiormente nei grandi Giri, quando si lavora giorno dopo giorno. Nelle gare d’un giorno si viaggia subito ad alte velocità, così emergono figure diverse. D’altronde gregario è una parola che rappresenta una concezione generica, ogni corridore ormai interpreta un ruolo ben preciso in squadra. Molto poi dipende dall’impostazione della stessa.

Spiegati meglio…

In un team come il nostro, il lavoro del gregario resta fondamentale nel coprire il capitano, pilotarlo nelle varie posizioni del gruppo in base a quel che succede in corsa. L’obiettivo è fargli spendere il meno possibile mantenendolo nel vivo della corsa e questo costa un gran dispendio di energie. Ma quando ci sarà da “menar le mani”, il leader avrà il serbatoio pieno e interverranno in supporto altre figure, i luogotenenti ad esempio.

Puccio con Carapaz all’ultimo Giro. Il leader ha sempre bisogno di una presenza al fianco
Puccio con Carapaz all’ultimo Giro. Il leader ha sempre bisogno di una presenza al fianco
Secondo te il gregario è ancora una figura che i team cercano?

Sicuramente, ma ripeto: il termine ormai è un po’ troppo generico. I team dei velocisti cercano ad esempio “vagoni” per il treno dello sprinter e corridori che tengano il gruppo compatto, quelli che hanno uomini di classifica corridori che possano proteggerlo nelle varie situazioni. Chi ha uomini forti in montagna vuole gente o che possa dargli manforte quando la strada si rizza sotto le ruote o che possa gestire la corsa in pianura. In un modo o nell’altro, comunque le squadre hanno bisogno dei vari “tasselli” e nel ciclomercato si vede che sono anzi le figure principali a muoversi.

Il gregario gode di maggior libertà durante l’anno nella ricerca di soddisfazioni personali, rispetto a quanto avveniva ai tempi del tuo approdo fra i professionisti?

Mi è difficile rispondere. Io ho sempre corso in squadre con grandi capitani e di libertà ce n’è sempre stata assai poca. Si lavora tutti i giorni al loro servizio, si gode delle loro vittorie, in un certo senso di luce riflessa. Io ho capito ben presto che non avevo le qualità per emergere come protagonista assoluto, ma potevo fare una bella carriera al servizio degli altri e mi sono adattato.

Distribuire le borracce non è più molto usuale per i gregari, grazie alle feed zone moltiplicate
Distribuire le borracce non è più molto usuale per i gregari, grazie alle feed zone moltiplicate
Tocchiamo l’aspetto economico. Il ciclismo attuale è ben diverso da quello del secolo scorso e gli stipendi lo sono altrettanto. Una volta però c’era anche la voce legata ai premi. Come funziona al giorno d’oggi?

Molte squadre mettono tutti i premi conseguiti in un fondo che alla fine di ogni gara, in linea o a tappe, viene diviso fra tutti coloro che hanno partecipato. Alcuni team preferiscono assommare tutto fino a fine stagione, ma la maggior parte agisce nell’altro modo e lo ritengo più giusto. Va poi considerato che una parte, solitamente il 20 per cento, viene detratto e messo a disposizione dello staff, dai meccanici ai massaggiatori e così via. Condividere è importante al di là delle cifre, perché uno vince sempre grazie agli altri.

Un gregario di oggi è più o meno famoso rispetto a prima?

Sicuramente ha più visibilità, ma non tanto grazie ai social come si potrebbe pensare. Io credo che sia dovuto più alle dirette integrali dei canali televisivi: una volta ci si collegava solo per le fasi finali e lì emergevano sempre gli stessi. Ora c’è possibilità di vedere anche il lavoro delle fasi iniziali e centrali che per noi sono le più impegnative.

Immagine segnata dal tempo di un gregario storico: Italo Mazzacurati, spalla di Vittorio Adorni
Immagine segnata dal tempo di un gregario storico: Italo Mazzacurati, spalla di Vittorio Adorni
I giovani attuali che approccio hanno, vogliono tutti passare come leader o sanno adattarsi?

All’inizio tutti vogliono giocarsi le proprie carte, ma bisogna stare attenti: puoi anche ottenere buoni risultati, ma basta una stagione giù di tono e la quotazione scende. Se non sai adattarti, se non capisci presto quale potrebbe essere il tuo ruolo, questo mondo ti consuma e ti butta via. Chi riesce invece a rendersi utile magari non comparirà nella lista dei vincitori, ma avrà una carriera lunga e nel complesso ben remunerata. Certe volte, se l’orgoglio fa un passo indietro c’è tutto da guadagnarci.

«Ritirati e vai alla Vuelta». De Tier… batte Conca e Fabbro!

25.08.2022
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Non solo Matteo Fabbro e Filippo Conca hanno saputo all’ultimo minuto di dover prendere parte alla Vuelta, c’è chi è andato oltre. E non solo come tempistiche, ma anche per la modalità a dir poco rocambolesca con la quale è stato avvertito. Parliamo di Floris De Tier, corridore della Alpecin-Deceuninck.

De Tier lo ha saputo a 24 ore dal via… mentre era in corsa. «Mi hanno detto di ritirarmi a 20 chilometri dal termine della terza tappa del Giro di Danimarca», ha raccontato il corridore. Nella frase c’è tutta la sua “avventura”.

Testa bassa e pedalare, anche nelle pianure ventose dell’Olanda De Tier si è subito messo a disposizione (immagine da Instagram)
Testa bassa e pedalare, anche nelle pianure ventose dell’Olanda De Tier si è subito messo a disposizione (immagine da Instagram)

Vuelta all’improvviso

Floris De Tier, 30 anni del Belgio, è uno di quei corridori che in carriera sono sempre stati vicini prima alle esigenze della squadra e poi alle proprie. I suoi numeri sono da scalatore (172 centimetri per 60 chili), ma non ha una caratteristica predominante. E per questo alla fine si ritrova quasi sempre ad aiutare.

In carriera non vanta nessuna vittoria, “solo” qualche piazzamento nei dieci. Ma se senza vittorie si entra nel novero delle WorldTour, come fu quando passò dalla Topsport Vlaanderen alla Lotto Nl Jumbo, qualcosa vuol dire. La Alpecin, per adesso, non è WT, ma poco ci manca.

E mettersi a disposizione è quel che è successo anche la scorsa settimana. De Tier, come detto, stava disputando il Giro di Danimarca, quando per radio ha ricevuto quell’ordine a dir poco singolare.

«Avevamo fatto circa 200 chilometri, quando ad una ventina di chilometri dalla fine della tappa – ha raccontato De Tier – ho visto passare Christophe Roodhooft (il diesse, ndr) con l’ammiraglia il quale mi ha urlato che dovevo fermarmi».

Sul momento Floris resta basito, non capisce. Il gruppo era in piena bagarre in vista della volata e così la conversazione è proseguita via radio.

«Mi hanno detto di fermarmi. Allora ho chiesto perché dovessi ritirarmi. Mi hanno risposto: “Dobbiamo portarti alla Vuelta”. Così quando siamo arrivati ai meno venti ho fermato la bici come mi avevano detto e sono tornato in hotel».

In Italia quest’anno Floris ha corso alla Coppi e Bartali e alla Strade Bianche, corsa che lo ha stregato e che ha chiuso al 12° posto
In Italia quest’anno Floris ha corso alla Coppi e Bartali e alla Strade Bianche, corsa che lo ha stregato e che ha chiuso al 12° posto

Dalla bici all’aereo

La squadra aveva individuato il punto più rapido per raggiungere l’albergo, dargli il tempo di cambiarsi e recarsi in Olanda. Qualche ora dopo, infatti, era in aeroporto.

«In realtà – ha detto De Tier a Het Nieuwsblad – è stata una corsa contro il tempo ma ho avuto qualche minuto anche per fare un massaggio». Floris ha poi mangiato qualcosa con la squadra che nel frattempo aveva finito la corsa e alle undici era in aeroporto. 

Tra una cosa e l’altra, De Tier si è aggregato alla formazione della Vuelta la mattina del via della cronosquadre, dopo una notte quasi insonne, tra il volo verso l’aeroporto di Amsterdam e il trasferimento verso il nuovo hotel. Non a caso sul palco della presentazione dei team la Alpecin contava sette atleti e non otto. L’ottavo, appunto, era in viaggio.

Il fiammingo ha corso anche con la Lotto Nl Jumbo. In salita se la cava bene
Il fiammingo ha corso anche con la Lotto Nl Jumbo. In salita se la cava bene

Quattro settimane

E così De Tier è alle prese con la sua quarta partecipazione alla Vuelta, unico grande Giro che sin qui ha disputato. Non solo si è ritrovato dalla bici all’aero, ma si è presentato alla partenza della crono con tre tappe in più! Tre tappe che chissà se, e quanto, si faranno sentire a fine Vuelta. Anche lui ha accennato che sarà curioso di vedere come andrà la “quarta settimana”.

Un avvicinamento così non è certo dei migliori. E infatti dopo qualche cambio nei primissimi chilometri della cronosquadre, De Tier si è staccato. E’ arrivato da solo incassando oltre 2′.

Si è staccato un po’ perché oggettivamente non era al meglio dopo una notte simile. Un po’ perché un esercizio tanto particolare come quello della cronosquadre non lo inventi da un’ora all’altra (non aveva fatto neanche una prova). E un po’ perché, da buon gregario, doveva iniziare a risparmiare in vista del giorno dopo.

Nella prima tappa in linea infatti si è sciroppato 50 chilometri in testa al gruppo per tenere la fuga nel mirino, pensando alla volata del suo compagno Tim Merlier.

«Ho tirato per 50 chilometri – ha detto De Tier – poi quando ho finito il mio lavoro mi sono spostato». E di nuovo ha continuato ad andare di conserva. Risultato: sul traguardo di Utrecht è arrivato ultimo a 11’12” da Sam Bennett.

De Tier in testa al gruppo durante la prima frazione del Giro di Danimarca: quel giorno ha tirato per circa 160 chilometri
De Tier in testa al gruppo durante la prima frazione del Giro di Danimarca: ha tirato per circa 160 chilometri

Gregario e signore

Questo richiamo in extremis la dice lunga su quanto sia impegnativo ed imprevedibile il ciclismo attuale.

Ma come, ci si chiede, ci sono squadre che hanno 25-31 corridori e ne devono richiamare uno che sta già correndo? A quanto pare è proprio così, specie a questo punto della stagione e specie con ancora il Covid a metterci lo zampino “accorciando le rose”. Anche se in questo caso non è stato il Covid a metterci lo zampino. 

De Tier infatti ha dovuto sostituire il compagno Oscar Riesebeek, caduto in allenamento il giovedì della vigilia mentre stava provando la cronosquadre.

«E’ il mio lavoro – ha detto sempre alla testata belga De Tier – anche in Danimarca nella prima tappa avrò tirato per 160 chilometri per Jasper Philipsen. Voglio fare di tutto per aiutare la squadra. La Vuelta è una buona occasione per me e cercherò di sfruttarla al meglio. Sono contento di essere qui adesso, era stata una delusione non esserci.

«Vedremo come andrà la corsa, saprò essere utile anche in montagna visto che supero bene le salite. Vedremo che ruolo mi darà la squadra».

Che ruolo gli darà non lo sappiamo. Sappiamo però che Floris De Tier è in scadenza di contratto e speriamo che questa rocambolesca storia gli garantirà il prolungamento.

Il Giro di Affini: un po’ gregario, un po’ battitore libero

04.06.2022
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La vittoria al Giro d’Italia ancora una volta l’ha sfiorata Edoardo Affini. Il gigante della Jumbo-Visma però è stato un bell’attore della corsa rosa. Si è visto spesso, ha lavorato per i compagni (forse sin troppo) e ci ha provato.

Ma si sa, vincere non è facile. Con lui abbiamo parlato del suo Giro, del ruolo che ha avuto e di quello del gregario. E ne è emerso che il ciclismo, davvero è sempre più uno sport di squadra.

A Treviso Dries De Bondt batte Edoardo Affini
A Treviso Dries De Bondt batte Edoardo Affini
Edoardo, prima di tutto come va: recuperate le fatiche del Giro? Relax totale o sei uscito in bici?

Un po’ sono uscito, altrimenti per l’italiano sarebbe stato un bel problema. Da lunedì comunque si riprende a spingere. Era importante recuperare bene dopo un Giro così dispendioso. E consideriamo anche che io tiravo la carretta dalle classiche, ho corso fino alla Roubaix.

Il percorso della crono tricolore sembra essere anche piuttosto filante, quindi adatto a te…

Per ora sembra di sì, staremo a vedere. La prima parte tende a tirare leggermente, poi c’è uno strappo di un chilometro attorno al 6% e un ritorno che invece scende leggermente.

Veniamo al Giro e partiamo da una nostra curiosità. La sensazione è che a fine gara fossi parecchio più magro rispetto al via da Budapest. E’ così?

Un po’ sì, ma nulla di particolare. Siamo nell’ordine di un chilo in meno. Sono stato stabile per tutto il Giro. Qualche mattina pesavo un po’ di più, qualche mattina un po’ meno… ma tutto sommato ero lì. Forse mi avete visto “sfinato” perché ero sfinito!

A fine Giro, vedendolo quasi tutti i giorni, ci è sembrato molto più magro rispetto a Budapest. Invece Affini ha perso solo un chilo
A fine Giro, vedendolo quasi tutti i giorni, ci è sembrato molto più magro rispetto a Budapest. Invece Affini ha perso solo un chilo
Oggi non è più come una volta in cui si finiva un grande Giro con 2-4 chili in meno…

No, oggi si reintegra bene quanto si brucia e non si parte più in sovrappeso. Non puoi più permettertelo, tanto più in un Giro con un percorso del genere. Rischieresti di prendere un’imbarcata che diventa un calvario. Il nutrizionista ti fa recuperare al cento per cento.

Cosa ti è piaciuto e cosa non ti è piaciuto di questo tuo Giro?

Quello che mi piaciuto e non è piaciuto al tempo stesso è il secondo posto di Treviso. Bello giocarsela, meno il risultato. Mi è piaciuto fino alla volata. Avevo la possibilità di andare in fuga e ci sono riuscito. Fare secondo invece non mi è piaciuto.

Tu hai dato un grande contributo alla fuga…

Ma anche il belga, De Bondt, che poi ha vinto dava delle belle “trenate”. E infatti mi sono detto: occhio, che questo ha la gamba. Sapevo che ce la saremmo giocata noi due. Ma tutti e quattro devo dire che abbiamo tirato e ci siamo gestiti bene. Anche Gabburo. Lui ha tirato un po’ meno per ovvie ragione di fisico. Però è stato bravo perché faceva cambi più corti, ma in questo modo la velocità non scendeva. E non saltava i cambi.

Il mantovano (classe 1995) a Verona ha chiuso 12° a 1’30” da Sobrero
Il mantovano (classe 1995) a Verona ha chiuso 12° a 1’30” da Sobrero
A proposito di trenate e tirate, anche a Castelmonte eri all’attacco e sei stato il motore principale della fuga. Hai lavorato per Bouwman. Ma non era il caso di risparmiarsi in vista della crono di Verona, come ha fatto Sobrero?

Non era la crono per me. Io conosco bene la zona e le Torricelle. Sapevo quindi che avrei potuto provare a fare qualcosa, ma vincere sarebbe stato altamente improbabile. Ho preferito dare tutto per il mio compagno, che poi ha anche vinto. Mi sono risparmiato il giorno della Marmolada: lì ho fatto gruppetto e infatti non ho fatto una brutta crono. Ma un distacco di un minuto e mezzo non lo avrei recuperato neanche se fossi arrivato fresco a Verona.

Ti aspettavi la vittoria di Matteo?

Era “molto favorito”! Così come Arensman. E si sapeva anche che Van der Poel l’avrebbe fatta a blocco.

Sarebbe stato molto diverso il tuo Giro se Tom Dumoulin fosse stato in classifica?

Sicuramente sarebbe stata un’altra dinamica di corsa per noi della Jumbo-Visma. Già la sera dell’Etna (dove Dumoulin ha incassato un bel distacco, ndr) ci siamo fatti due conti e abbiamo visto che non potevamo lottare più per la classifica. A quel punto abbiamo cambiato strategia e siamo andati più all’attacco. Se Tom fosse rimasto in classifica avremmo dovuto fare un “lavoro sporco” per tenerlo coperto. Io avrei lavorato per lui nei tratti a me più congeniali. Avrei svolto un lavoro alla Puccio. Però non è andata male da quando abbiamo rivisto i piani. Abbiamo vinto due tappe, conquistato la maglia dei Gpm e raccolto diversi piazzamenti.

E tra questi due ruoli, attaccante-gregario e gregario che lotta per la maglia rosa quale ti sarebbe piaciuto di più?

Correndo in questo modo hai più chances personali e fa piacere, però è anche vero che quando lotti per la maglia rosa è sempre un’emozione. Hai voglia di lavorare per quell’obiettivo. E’ qualcosa che carica tutta la squadra.

Affini in testa verso Castelmonte per Bouwman (maglia blu alla sua sinistra). Anche verso Genova aveva aiutato Leemreize
Affini in testa verso Castelmonte per Bouwman (maglia blu alla sua sinistra). Anche verso Genova aveva aiutato Leemreize
C’è una tappa in cui avresti voluto essere protagonista, una che ti è rimasta sul groppone?

Non particolarmente. Le tappe in cui sapevamo che poteva arrivare la fuga abbiamo cercato di esserci. Forse quella di Cuneo. Ecco, lì non essere stato davanti mi è dispiaciuto. Magari il risultato non sarebbe cambiato, però si poteva provare a rovinare la festa ai velocisti, visto che i fuggitivi sono stati ripresi ai 600 metri.

Ormai, Edoardo, abbiamo visto che gli squadroni vanno in fuga col gregario. E tu lo sei stato in un paio di occasioni. E’ un limite per te? 

Dipende dal profilo della tappa. Verso Castelmonte era perfetto per noi della Jumbo avere un corridore come me che tirasse nella prima parte assicurando il successo della fuga, e uno come Bouwman per il finale più impegnativo. Anche Quick Step-Alpha Vinyl e Groupama-Fdj hanno ragionato così. Noi abbiamo tirato molto più degli altri nei primi 100 chilometri, ma così facendo abbiamo dato ai nostri compagni la possibilità di risparmiarsi un po’ e di giocarsela. Poi in corsa si parla. E se la tappa può essere adatta ad entrambi si punta su chi sta meglio. E’ un lavoro che ho svolto molto volentieri. Soprattutto quando finisce con la vittoria di un tuo compagno.

Il ciclismo ormai è uno sport di squadra…

Esatto. Vince uno, ma lavorano tutti. E la squadra, soprattutto adesso che si va sempre a tutta, è ancora più importante.

Troìa, una “rompighiaccio” per Pogacar e non solo

06.04.2022
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Un bestione di 191 centimetri per 80 chili. In pratica quando passa in testa Oliviero Troìa si sente lo spostamento d’aria! Nel suo caso, soprattutto se stai scortando Tadej Pogacar, è come stare a ruota di una rompighiaccio. O di una locomotiva, fate voi. E un “piccoletto” come Pogacar non prende aria. Poi sia chiaro. Non lavora solo per lo sloveno. Ha già aiutato a vincere McNulty, Trentin, Gaviria

Il corridore ligure della UAE Emirates è sempre più un uomo squadra. Lo abbiamo visto in prima linea all’Oman e anche in corse di primissimo piano come la Milano-Sanremo e il Giro delle Fiandre. Alla settima stagione da pro’, tutte in questa squadra, il suo ruolo è ben definito. E sì che il colpo vincente che aveva da dilettante ci sarebbe ancora…

Gigante prezioso

Oliviero non esce da un super periodo. A fine agosto si era rotto la clavicola (dopo che ne aveva rotta una anche a marzo) e stava lavorando ad un bel finale di stagione.

«In effetti – ci ha detto – quello appena passato è stato un anno un po’ sfortunato. Per fortuna che le cose stanno tornando come devono. La condizione è molto buona e abbiamo un leader molto forte».

Nei giorni del Fiandre, Oliviero chiaramente era vicino a Tadej. Il suo ruolo? Garantire una certa sicurezza in gruppo al leader sloveno, aprirgli la strada nei tratti in pavé e portarlo avanti.

«Dovevo proteggerlo e fargli spendere meno energie possibili, soprattutto nella prima parte della gara». Obiettivo raggiunto alla grande visto che era in testa a fare largo al suo capitano sin quasi al momento cruciale dell’attacco sul Kwaremont.

Uno così, con certe caratteristiche è perfetto per questo ruolo. Garantisce un certo riparo dall’aria. Se c’è da fare a spallate non si sposta così facilmente, ma al contrario può creare i suoi spazi. E se c’è da menare per tanti chilometri o da fare una sparata a 60 all’ora lui è presente. Alla Sanremo, per esempio, ha tirato fortissimo l’imbocco della Cipressa: attacco e prima parte di salita.

In Oman Oliviero ha lavorato per Gaviria e Rui Costa, leader rispettivamente per le volate e per la generale
In Oman Oliviero ha lavorato per Gaviria e Rui Costa, leader rispettivamente per le volate e per la generale

Motivazione massima 

Ma se oggi il livello medio di cui tanto si parla si è alzato, lo stesso discorso vale per i gregari. Per aiutare bisogna essere all’altezza. Magari qualche tempo fa un corridore con certi valori e certe caratteristiche avrebbe potuto essere un leader.

Troìa ci appare davvero tirato, determinato, concentrato.

«E’ vero – riprende – sono più magro dello scorso anno. Ho lavorato molto durante l’inverno e quest’anno sono arrivato alle corse con un’altra forma. Avendo un leader molto forte, mi sono dovuto anche adeguare».

«Con Pogacar in squadra le cose cambiano parecchio. Con un capitano come lui, che forse è il più forte al mondo c’è anche tutt’altra motivazione nel fare il gregario. Vai oltre il tuo 100%, dai di più di quel che hai».

Troìa tra le ammiraglie. Nonostante le radio e i tanti rifornimenti lungo la strada, il gregario ancora “scende” tra le macchine
Troìa tra le ammiraglie. Nonostante le radio e i tanti rifornimenti lungo la strada, il gregario ancora “scende” tra le macchine

E ora la Roubaix

Nel frattempo è arrivato anche un figlio e questo ha cambiato un po’ gli equilibri. Si dice che un corridore assesti la sua vita. Che sia ancora più vincolato da certi orari e che in “soldoni” possa fare ancora meglio la vita dell’atleta.

«Con un figlio è tutto più bello. Hai più motivazioni quando arrivi a casa. C’è lui che ti sorride e di conseguenza poi sei più spronato anche a fare il tuo lavoro. Non pensi ad altro: lavoro e famiglia».

Non si sa ancora se vedremo Troìa al Giro d’Italia. Ma una cosa è certa la sua campagna del Nord non è finita. Ci sono ancora due appuntamenti importanti da affrontare: la Scheldeprijs e la Parigi-Roubaix. Non ci sarà Pogacar, ma i leader non mancano alla UAE Emirates. Trentin è in ripresa e magari potrebbe essere la sua buona occasione per tornare ad annusare l’aria là davanti.

«Per ora – conclude Troìa – finisco con la Campagna del Nord, poi con la squadra valuteremo cosa fare. Dovrei disputare un grande Giro. Per ora non sono previsto per il Giro d’Italia, forse più per la Vuelta. Ma c’è tempo…».

Cosa serve per diventare un grande gregario? Marcato risponde

23.03.2022
5 min
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Il ciclismo è fatto di campioni che vincono le gare e dominano le grandi corse a tappe. Si parte in (quasi) duecento e uno solo vince: uno sport di squadra che vede la vittoria del singolo. Ci sono due ruoli nelle corse in bici, chi vince e chi lavora per far vincere (il gregario). Tutti vorrebbero appartenere alla prima categoria, ma non è possibile. Allora come si fa a ritagliarsi il proprio spazio rimanendo in questo mondo per tanti anni? Marcato ad esempio, che in apertura è in testa al gruppo sui Campi Elisi al Tour del 2020, c’è rimasto per 17 anni… 

Per Marcato nel 2022 è iniziata una nuova avventura, questa volta in ammiraglia, accanto a lui Oliviero Troia
Per Marcato nel 2022 è iniziata una nuova avventura, questa volta in ammiraglia, accanto a lui Oliviero Troia

Un ruolo quasi obbligato

«Gregari – inizia Marco – si diventa per spirito di adattamento, non per scelta. L’aspirazione di tutti è quella di vincere le corse, ma alzare le braccia sotto lo striscione d’arrivo è roba per pochi. Nei primi anni da professionista impari a capire quale può essere il tuo ruolo all’interno della squadra, giocandoti, com’è giusto, le tue opportunità».

«E’ un compito difficile quello del gregario, è molto apprezzato dalle squadre, ma meno dalla gente comune. I team, soprattutto quelli WorldTour, guardano al ranking. Di conseguenza sono molto legati alle vittorie, quindi o vinci o aiuti a far vincere».

Fin da under 23 è importanti imparare a correre in tutti i modi per sviluppare caratteristiche differenti
Fin da under 23 è importanti imparare a correre in tutti i modi per sviluppare caratteristiche differenti

Bisogna imparare da giovani

Ultimamente c’è una tendenza ad evitare questo ruolo, come a non volersi rassegnare ad una carriera differente da quella sognata. Così alcuni corridori inseguono per tanti, forse troppi anni il successo senza mai raggiungerlo e di conseguenza le opportunità finiscono, così come le loro carriere.

«Vero – risponde l’ex corridore della UAE Team Emirates– ma bisogna partire da prima, da quando si è dilettanti. Se uno corre in una squadra che lo coccola, lo porta sul palmo a giocarsi le gare, sempre coperto ed al sicuro, poi soffre enormemente il passaggio al professionismo. Sono pochi i corridori che passano giovani e sono già capitani. Si deve imparare a sacrificarsi e correre in tutte le situazioni già da under 23».

Quello del gregario è un ruolo importante, bisogna saper mettere gli interessi della squadra davanti ai propri
Il gregario saper mettere gli interessi della squadra davanti ai propri

Saper cambiare

«E’ chiaro che una volta capito che il tuo ruolo è quello del gregario, cambia anche la tua idea di ciclismo. Se prima eri abituato ad andare forte nel finale di corsa, ora devi specializzarti nel dare il massimo in altre situazioni. Finire la corsa diventa un di più (Formolo alla Sanremo, dopo il grande lavoro per Pogacar si è ritirato, ndr)».

E allora come cambia la mentalità e l’approccio all’allenamento? «Un esempio – riprende Marcato – è imparare a stare al vento, non ripararti ma riparare, pensare anche per gli altri. Se stai risalendo il gruppo e c’è uno spazio minuscolo, non ti ci fiondi dentro, ma aspetti un momento migliore. Devi pensare che hai un filo invisibile che ti unisce al tuo capitano e non devi farlo spezzare».

Il rapporto tra gregario e capitano si basa sulla fiducia, per questo Soler e Pogacar si sono trovati subito fianco a fianco
Il rapporto tra gregario e capitano si basa sulla fiducia, per questo Soler e Pogacar si sono trovati subito fianco a fianco

Tutti per uno e uno per tutti

Il rapporto tra leader e gregario è solido e molto delicato, si costruisce nel tempo e la fiducia è alla base di tutto.

«Fiducia è la parola fondamentale – dice – se non c’è quella, non si va da nessuna parte, ovviamente va costruita nel tempo. Il gregario, soprattutto quello di fiducia, deve imparare ad essere anche un po’ psicologo, saper spronare il capitano, motivarlo. Vi faccio l’esempio di Richeze e Gaviria. Fernando si fida ciecamente di Max. Se il primo si butta nel fuoco, il secondo lo segue a ruota. Questo vale anche per i corridori giovani, che sono forti ma inesperti. Per loro avere un compagno di cui fidarsi e che li guidi in tutte le fasi della corsa è fondamentale».

Grazie alla sua esperienza Marcato, già nelle ultime stagioni, ricopriva un ruolo da diesse in corsa
Grazie alla sua esperienza Marcato, già nelle ultime stagioni, ricopriva un ruolo da diesse in corsa

Da gregario a diesse

Si è notato, negli anni, come i grandi gregari siano poi diventati bravi diesse. Come se questo lavorare per gli altri li porti ad avere una naturale visione d’insieme.

«Sicuramente – conclude Marcato – uno che ha lavorato molto per gli altri è abituato a considerare la squadra come un insieme. Solo se hai provato certe cose in prima persona sai cosa vuol dire. Questo, una volta che ti siedi in ammiraglia, ti aiuta a sapere cosa stai chiedendo ai tuoi corridori».

Guarnieri, il ciclismo è come la vita: nessuno si salva da solo

29.11.2021
4 min
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C’è un tempo per fuggire e uno per restare, nella vita come nel ciclismo. E’ un istante, che in una tappa dura un millesimo di secondo a consentirti di vincere o perdere una corsa e in una carriera può essere un giorno, un episodio, una scelta sbagliata. Per Jacopo Guarnieri, 34enne della Groupama-Fdj, la scelta di smettere di fuggire e iniziare a restare è sopraggiunta in due momenti. Agli esordi da pro’, quando ha provato ad inserirsi in due fughe ma si è sentito «come Fantozzi alla Coppa Cobram». Poi quando ha provato a vestire i panni di velocista di punta di una squadra, ma ha capito che non avrebbe potuto primeggiare. E così, ha scelto di restare, accanto al proprio capitano, che da quattro anni si chiama Arnaud Demare.

Assieme a Marangoni

La sua trasformazione l’ha raccontata in una serata al Bikefellas di Bergamo dal titolo “L’insostenibile leggerezza della fuga” introdotto dalla redazione di Bidon che ha presentato il suo ultimo libro “Vie di fuga”. In una sorta di cronometro a coppie, con l’imprevedibile ex pro’ Alan Marangoni come spalla, Guarnieri ha raccontato dei suoi tentativi di fuga.

«La prima volta a De Panne. Correvo nella Liquigas – ha detto – e in fuga mi ci ero ritrovato, così dall’ammiraglia mi hanno preso a male parole, ordinandomi di tornare in gruppo per aiutare il nostro velocista, Chicchi. L’ho fatto, ma nel tirargli la volata ho tamponato Cavendish e abbattuto Leif Hoste, idolo di casa.

«Mi ero detto che in fuga non ci sarei più andato e invece l’ho rifatto qualche anno dopo, sempre in Belgio. Fu una fuga composta da corridori “pazzi” e infatti il gruppo ci riprese a 100 chilometri dall’arrivo. Lì, mi sono detto che il mio posto era rimanere in quel ventre materno che è il gruppo».

Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)
Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)

Aiutare chi è più forte

Giusto qualche volata in proprio per capire poi una cosa: «Il mio posto nel mondo – spiega – era aiutare chi era più forte di me. Arriva un punto nella carriera che devi decidere chi essere e cosa fare, serve grande onestà con se stessi. Ora, io rimpiango di non aver preso prima quella decisione, perché provo una grande emozione nell’aiutare Demare. Sono privilegiato perché sono il suo ultimo uomo, quello che lo vede più da vicino quando alza le braccia al cielo al traguardo e il primo a poterlo abbracciare». 

La tensione del gregario

Lo sguardo e la voce di Guarnieri, a questo punto, si incrinano, quasi commosso abbandona la goliardia che lo contraddistingue e che ha reso la serata frizzante come una volatona di gruppo, e veste i panni del gregario modello, quale è.

Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas
Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas

«Il gregario è il simbolo del ciclismo – osserva – al di là di ogni retorica. Gregario lo sei dal primo all’ultimo chilometro, ci sono momenti della corsa che dalla tv sembrano noiosi, ma in gruppo bisogna sempre sgomitare, la tensione è altissima. Penso a quando bisogna portare le borracce. In gruppo c’è una legge non scritta che quando si risale dalle ammiraglie dal rifornimento, si grida “service” e si ottiene una corsia preferenziale ai lati, ma mica sempre ti fanno passare. E se stai prendendo una salita e non riesci a servire il tuo capitano, hai perso».

Nessuno si salva da solo

Ma fare il gregario è molto di più, è anche convivere col proprio capitano fuori dalle corse, conoscersi, capire le difficoltà da uomo e da corridore e fare di tutto per porvi rimedio. Guarnieri è gregario anche sul divanetto del Bikefellas quando preferisce esaltare le doti umane di Demare, evidenziando come sia uno che ringrazia sempre e che si prende tutte le colpe quando le cose non vanno al meglio.

Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne
Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne

Oppure raccontando della sua ultima vittoria, quando fu proprio Marangoni – compagno di squadra alla Liquigas – ad aiutarlo più che nel sostenerlo in gara e raccogliergli «i copriscarpe che avevo deciso di togliermi in una giornata tremenda» standogli vicino in un periodo in cui i rapporti col team erano naufragati.

«Questo è lo spirito del gregario, questo è il ciclismo», che ci piace tanto perché è metafora della vita: nessuno si salva da solo.

Puccio, Pidcock, i gregari di una volta e quelli del futuro

19.09.2021
5 min
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Ricordate? Avevamo scritto che Tom Pidcock era rimasto stupito da Salvatore Puccio (entrambi nella foto di apertura) alla Vuelta. L’inglese era stato colpito dalla sua forza, dalla capacità di muoversi in corsa e di esserci sempre. Ce lo aveva detto Cioni.

Un corridore così merita solo e soltanto elogi. In pochissimi al mondo sanno fare il lavoro del gregario in questo modo. E alla Ineos Grenadiers lo sanno bene.

Salvatore Puccio in testa al gruppo per i suoi capitani. La sua continuità ha impressionato Pidcock
Salvatore Puccio in testa al gruppo per i suoi capitani. La sua continuità ha impressionato Pidcock
Salvatore, hai stregato Pidcock…

Sono ragazzi! Sono giovani e non conoscono bene ancora certi movimenti in gruppo. E magari si stupiscono. Per Tom poi era il primo grande Giro e non si corre come una classica. Serve anche il lavoro “sporco” che faccio io: tirare all’inizio, stare davanti per evitare pericoli e cadute, muoversi quando c’è vento…

Ma tu c’eri sempre. Forse è questo che lo ha colpito?

Per tanti giorni c’è stato il rischio del vento. Un lavoro infinito. Bisognava stare sempre danti per i capitani. In più Toma nelle prime tappe non stava bene. Veniva dal successo delle Olimpiadi, ci sta che avesse mollato un po’, e soffriva. Stava dietro e magari vedendo me che ero sempre davanti si chiedeva: ma questo come fa?

E cosa te ne pare di Pidcock?

È molto intelligente. Domanda, chiede sempre su ogni cosa. Nelle riunioni è “un perché” continuò. Perché questo? Perché quello? Vuole imparare. Pensate Che guarda i video su YouTube delle gare precedenti. Cerca di capire come si corre tra i ventagli, studia le cadute…

Fare il gregario è stata un’ottima esperienza per Pidcock, al suo primo grande Giro
Fare il gregario è stata un’ottima esperienza per Pidcock, al suo primo grande Giro
Forte! Un corridore così giovane e così importante che si informa fa piacere…

Ha capito subito che in un grande Giro bisogna evitare il più possibile i rischi. Perché basta un niente che perdi un podio podio o la vittoria.

E ha anche imparato? Gli è servita questa Vuelta?

Ha imparato, ha imparato… E andava anche forte! E questo un po’ mi ha sorpreso. Perché un giovane che arriva e non sta bene è difficile che riesca a ribaltare la situazione. Lui invece dopo le prime tappa andava forte davvero. Ma perché è un talento. E per Tom tutto è più semplice. Io invece soffro, cedetemi! Io ci arrivo con l’esperienza, conosco i tempi, vedo i movimenti. Pid compensa col talento.

Pidcock è un fenomeno okay, ma i giovani come lui sanno fare il gregario?

Eh – sospira Puccio – di sicuro hanno una mentalità diversa e più libertà di muoversi. Le medie così alte dipendono anche da questo. I giovani di oggi attaccano, vanno in fuga. Nelle ultime due stagioni il cambiamento è stato netto. Si sono viste medie assurde. Ma in un grande Giro serve anche lavoro come il mio, altrimenti la gara va a rotoli e a prendere 10’ distacco ci vuole un attimo. Alla fine tocca a noi gregari contenere fughe e distacchi, anche perché quando i più forti aprono il gas la gara è finita. E noi seconde linee restiamo fuori. Infatti se si va a vedere vincono sempre gli stessi.

Oggi il gregario alla Puccio è una categoria che si va a perdere? Perché di ragazzini disposti a questo lavoro di sacrificio non se ne vedono tantissimi…

Difficile da dire. Per fare il mio lavoro devi partire mentalizzato in un certo modo. Devi mettere da parte le ambizioni personali. E se ti stacchi non deve essere una delusione. Ma perché hai fatto il tuo lavoro. Loro magari la vedono come una sconfitta. E provano a salvare gamba per arrivare davanti il giorno dopo. Se quest’anno per due volte abbiamo fatto due ore a 53 di media, le tappe ignoranti come le chiamiamo noi, è perché qualcuno attacca e la maggior parte sono giovani.

A Pidcock quanto è servita questa esperienza da gregario allora?

Io credo tanto. Può capire che in squadra servono persone come me. E in futuro tutto ciò può tornargli utile dal punto di vista tattico.

Salvatore Puccio, Vieste, Giro d'Italia 2020
Al Giro 2020 per Puccio un giorno di licenza. Per lui un secondo posto a Vieste
Salvatore Puccio, Vieste, Giro d'Italia 2020
Al Giro 2020 per Puccio un giorno di licenza. Per lui un secondo posto a Vieste
Hai parlato di “mentalizzazione”, ma qui vediamo tanti ragazzini passare e spesso sono anche un po’ “montati dai procuratori”, dai team, dai social: secondo te accettano questo ruolo?

Pidcock magari no. Lui è nato per vincere… Bernal, Van Aert, VdP loro hanno quel talento in più. Altri giovani, che non sono né carne e né pesce, invece dovrebbero impegnarsi nel loro ruolo migliore, che potrebbe essere il gregario. Tanto poi lo vedi subito se sei uno che vince o no. Se vuoi avere una carriera lunga dei specializzarti in qualche ruolo.

Chi è allora il nuovo Puccio?

Ce ne sono diversi. O meglio, qualcuno c’è, almeno dai 28 anni in su. Io ho 32 anni e non dico che il prossimo anno smetto, ma neanche voglio fare come Rebellin. E loro non devono arrivare a 30 anni per capire cosa fare. Alle squadre non interessa più chi fa settimo o ottavo. Vogliono vincere.

Ma quindi un nome secco per “l’erede” di Puccio?

Eh così non mi viene. Il problema è che i giovanissimi forti hanno altre idee. Magari direi Rodriguez. Lui anche è un vero talento, ma è un po’ diverso…

In effetti al Tour de l’Avenir oltre ad impressionarci per la sua forza ci ha dato questa idea di serietà e sobrietà…

Sì è serio e va forte con il vento, in salita, sa lavorare per gli altri. Siamo andati in Belgio e andava forte pure lì! Ed è uno scalatore…

Formolo, bene fare il gregario di lusso ma le classiche…

29.07.2021
4 min
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Il Tour de France è finito da un decina di giorni. E una corsa del genere porta con sé una bella coda di bilanci e valutazioni. Ma le Olimpiadi hanno troncato in modo netto la Grande Boucle. Noi però ci ritorniamo e lo facciamo con uno dei pochi italiani protagonisti in Francia, Davide Formolo. “Roccia” per la prima volta ha potuto svolgere il ruolo di gregario di lusso, visto che l’anno scorso era stato costretto al ritiro. Adesso il veronese è in vacanza. E’ a casa ma si sta riposando. Il goal di fine stagione è il Giro di Lombardia, ma ripartirà dal Giro di Germania a fine agosto (dal 26 al 29).

Con Pogacar una grande amicizia. Ecco l’abbraccio mentre tagliano il traguardo sui Campi Elisi
Con Pogacar una grande amicizia. Ecco l’abbraccio mentre tagliano il traguardo sui Campi Elisi
Davide, dicevamo per la prima volta finalmente hai potuto svolgere il ruolo di cui spesso abbiamo parlato: il gregario di lusso. Come è andata? Che impressioni hai avuto?

Per me è si tratta di una nuova dimensione. Bello. Ma quando hai un rapporto di amicizia con il tuo capitano ancor prima che un rapporto di lavoro tutto è più facile. Mi piace davvero molto. E’ un amico quello che fai vincere.

E sul piano tecnico? Parliamo dello stare in gruppo, del correre in un certo modo “con un occhio avanti e uno dietro”, cosa ci dici?

Sicuramente è stato diverso il modo di correre, rispetto a quando lo facevo per me. Io ho fatto anche il capitano nei grandi Giri e so cosa vuole il leader e così cerco di assecondarlo. Sì, si pedala anche con un occhio dietro: anche perché se resto davanti io e non c’è il mio capitano serve a poco. Io devo guardare anche per lui.

C’è stato un qualcosa più difficile del previsto?

Di difficile c’è stata la gestione dello stress nell’ultima settimana. Tutti ci davano già vincitori, ma ancora poteva succedere qualsiasi cosa: una caduta, un problema meccanico… e vanificare tutto. Sarebbe stato un vero peccato. Lì ammetto che è stato stressante, per me. Ero più teso per le tappe di pianura che per quelle di salita. Sapevamo che Pogacar in salita stava bene, che aveva le gambe, che era il più forte e anche in caso di un piccolo errore ci si poteva salvare.

Formolo e Rui Costa erano i registi in gara per la Uae. Lo si nota anche nella foto di apertura con Formolo che controlla
Formolo e Rui Costa erano i registi in gara per la Uae. Lo si nota anche nella foto di apertura con Formolo che controlla
E un qualcosa di più facile?

Bella domanda. La forza di Pogacar. Tutti sapevano che era il più forte, ma non totalmente di un altro livello.

Spesso la Uae (a volte anche in modo infondato come abbiamo scritto, ndr) è stata criticata: come avete vissuto certi giudizi?

Quando parti per vincere il Tour e hai il corridore più forte in squadra è quasi scontato che arrivino delle critiche. Siamo sempre rimasti concentrati sui noi stessi, sui nostri obiettivi e ognuno ha dato il 110%. E poi sapete…

Cosa?

Hirschi ha corso dieci giorni con una spalla lussata. Non è andato a casa, pensando che sarebbe migliorato nel corso delle tappe. Majka aveva due costole rotte. E’ vero siamo mancati un po’ nella tappa di Andorra, ma io nella seconda settimana sono stato male. Ho avuto la gastroenterite e ho preso degli antibiotici. E McNulty era caduto pochi giorni prima. Altri team sono stati sfortunati con i propri capitani nella prima settimana, noi lo siamo stati con i gregari. Alla fine però siamo sempre riusciti a fare la corsa che volevamo, a mettere il capitano nella posizione giusta quando voleva vincere o quando voleva prendere le salite in un certo modo.

Davide Formolo tira in salita: un gregario di lusso per lo sloveno
Davide Formolo tira in salita: un gregario di lusso per lo sloveno

Prima hai parlato di stress, della pressione che hai sentito nell’ultima settimana. E’ stato così anche per Pogacar?

Il bello di correre con Tadej è che lui lo stress non sa cosa sia. Al Tour o a “Poggio la Cavalla” non fa differenza dove siamo. E nelle riunioni lo ripetevamo sempre: ragazzi non dobbiamo dimostrare niente a nessuno. Lo facciamo perché lo vogliamo noi. Eravamo abbastanza spensierati.

Questo Tour cambierà qualcosa nel tuo futuro?

Come ho detto in passato, mi piacerebbe fare bene nelle classiche per ottenere qualche risultato personale e affiancare poi Tadej nei suoi obiettivi.

Ma Pogacar stesso non potrebbe essere un ostacolo per te? Magari lui può fagocitare tutto…

Noi siamo amici, sia noi due che con tutti gli altri. Da gennaio a luglio io e Pogacar, a parte la mia parentesi del Giro, siamo sempre stati insieme nei ritiri e nelle gare. Ho passato più tempo con lui e con i ragazzi che con la famiglia. Inoltre Tadej non cerca attenzioni personali e se può aiutare lo fa volentieri. Pensate che alla Sanremo mi fa: il prossimo anno Roccia, io meno forte sulla Cipressa e tu scatti sul Poggio.

I graffi di Gatto, capitano e gregario

24.10.2020
5 min
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Qualche giorno fa Oscar Gatto ha chiuso la sua carriera. Il corridore veneto ha disputato le ultime gare in Belgio. E proprio lassù ha preso la decisione: basta con il ciclismo.

Oscar appende la bici al chiodo dopo 14 anni di professionismo. Corridore molto veloce e uomo squadra, capitano e gregario. Ma quando ha avuto le sue possibilità se le è giocate alla grande.

Il feeling perduto

«Ad un tratto – racconta Gatto – ho sentito dentro di me che mancava qualcosa per correre in bici. Ho capito che era il momento di dire basta. Io non faccio mai le cose a caso. Ci pensavo già da un po’, ma alla fine la decisione l’ho presa la settimana scorsa. Un altro anno lo avrei potuto fare di sicuro. Ma il feeling con la bici, con gli allenamenti, con la corsa non c’era più».

Oscar Gatto (35 anni) sui muri del Fiandre
Gatto (35 anni) sui muri del Fiandre

Tra i primissimi a chiamare Oscar sono stati Luca Scinto e Angelo Citracca, coloro che hanno vissuto forse il miglior Gatto della carriera. Un rapporto verace, spontaneo il loro. Anche noi assistemmo a quelle trasferte in Belgio. E la battuta nel clan di Citracca era sempre pronta. 

«Devo dire che loro due mi hanno chiamato subito, ma lo hanno fatto in tanti. Anche il mio massaggiatore da dilettante, Raniero Gradi».

Un ragazzino grintoso

Primi passi nel professionismo sul finire del 2006, quando esordì nel Gp Beghelli. Oscar arrivò nel drappello di testa. L’anno dopo passò alla Gerolsteiner, prima di approdare alla corte di Scinto, all’epoca Isd Cycling Team. WolrdTour, Professional, ancora WorldTour. Il ragazzo diventa uomo. Si sposa, diventa papà…

«In tanti anni il ciclismo mi ha insegnato molto. Sono pronto a pedalare anche nella vita. Si dice sempre che se hai fatto il ciclista non sai fare nulla. Penso che la bici t’insegni a stringere i denti. E questa cosa te la ritrovi anche dopo. La fatica non si fa solo in sella.

«Ho girato il mondo. Ho imparato a vedere le cose sotto più punti di vista e non solo dal nostro mondo. Viaggiare ti dà prospettive più ampie. E ho imparato anche a conoscere le persone più a fondo, di alcuni ti puoi fidare e di altri no».

Il ragazzo di Montebelluna era senza dubbio un uomo veloce, però se la cavava quando le strade erano ondulate o c’erano momenti difficili. Strappi, vento e pavé. Se la cavava per lui e per i suoi capitani. Non è un caso che i suoi ricordi più belli siano legati a queste situazioni.

Giro 2011, Oscar alza le braccia davanti a Contador
Giro 2011, Oscar alza le braccia davanti a Contador

La perla di Tropea

Il clou è certamente quella mitica tappa del Giro d’Italia 2011. Si andava da Sapri a Tropea, 217 chilometri sotto il sole e i colori del Sud. Mare ed entroterra si alternavano senza sosta. La star del Giro era un certo Alberto Contador e in rosa c’era Peter Weening.

«E’ ancora è un’emozione quella tappa per me. Ricordo la scarica di adrenalina mentre taglio la linea d’arrivo. A metà corsa vado in ammiraglia e sparo anche due cavolate con Scinto. Gli dico: “Pitone (il soprannome del ds toscano, ndr), sull’ultima salita stacco tutti e arrivo solo”. Mi guarda ridendo e io stesso me ne vado sorridendo. Fatto sta che prendo lo strappo finale davanti. E non fu neanche così difficile quella “limata”. Sapete, la giornata perfetta. Mi alzo, scatto forte e vado. Solo ad un certo punto ho avuto paura. Fu l’unico momento duro della giornata. Vedo la sagoma di uno che mi insegue. Solo dopo ho saputo che era Contador».

Vincere davanti al Pistolero esaltò quella vittoria, che fu un vero capolavoro tecnico, tattico e atletico. La presa della salita, i tempi e la forza dello scatto furono perfetti.

Con Luca Scinto un rapporto di amicizia…
Con Scinto un rapporto di amicizia…

Quella volta da capitano

Il Nord è la seconda casa di Oscar. Con il Belgio ha sempre avuto un grande feeling. Tante volte è stato respinto, ma tante altre gli è andata bene, come alla Dwars door Vlaanderen 2013, importante classica.

«Era un giorno freddissimo – ricorda il corridore della Bora Hansgrohe – a tratti nevicava. Più andavamo avanti e più la gente si staccava. Io ero lì e stavo bene. Ai meno tre, parte Thomas Voekler e tra me e me dico: è andata. Poi Ian Stannard inizia a tirare sempre di più. Voekler sta quasi per arrivare e così penso: parto lungo, perso per perso… E invece la gamba rispondeva bene, spingevo forte e vinsi.

«Alla fine di quella stagione litigai anche con Scinto, perché avrei cambiato squadra. Poi le cose negli anni le abbiamo sistemate benone».

Sagan lo ha voluto con sé anche alla Bora-Hansgrohe
Sagan lo ha voluto con sé anche alla Bora-Hansgrohe

Quella volta da gregario

«Un altro ricordo a cui sono legatissimo – racconta Oscar – è la vittoria di Peter Sagan al Giro delle Fiandre. Correvo con lui alla Tinkoff. Quel giorno avevamo anticipato. Ad una trentina di chilometri ci riprendono. Peter si avvicina a me e mi fa: come stai? Io: bene. E lui: okay, proviamo una volta per uno. Allora io gli feci: Peter aspetta, il mio bene è diverso dal tuo! Così mi disse di tirare. Poco dopo partì come un fulmine. Lo seguì Kwiatkowsy, che lo aveva battuto pochi giorni prima ad Harelbeke. Però Sagan lo staccò. Per radio sentivo il vantaggio che aumentava e fu bellissimo. Io ero pronto a chiudere, ma mi godevo lo spettacolo di Peter. All’arrivo lui mi ringraziò subito e il suo abbraccio fu sincero. La sera dovevo rientrare, ma non presi quell’aereo. Restammo tutti insieme a fare festa nel mitico Park Hotel di Kortrijk».

E adesso? Adesso Oscar si godrà la famiglia. Ha in serbo diversi progetti, tutti fuori dal mondo del ciclismo. Prima però vuole fermarsi un po’, rilassarsi e schiarirsi le idee. In fin dei conti la sua volata l’ha appena finita.