Un Giro d’Italia vinto insieme e tanti chilometri da fare uno a fianco all’altro per centrare nuovi obiettivi. Salvatore Puccio è uno dei gregari per eccellenza della Ineos Grenadiers e nel maggio 2021 ha aiutato il suo capitano Egan Bernal a conquistare la tanto bramata maglia rosa che è andata a fare compagnia alla gialla conquistata nel 2019.
Quest’anno, l’asso colombiano che va pazzo per l’Italia voleva tornare in Francia per provare a indossarla ancora una volta, ma il tremendo incidente di gennaio ha stravolto i suoi piani. Scongiurate conseguenze più gravi, Bernal ha ricominciato da capo e finalmente ad agosto è tornato a riattaccarsi il numero sulla maglia, partecipando al Giro di Danimarca.
La scorsa settimana, tra la Costa Azzurra e la Riviera dei Fiori, il trentatreenne siciliano ha riabbracciato l’amico Egan e ci siamo fatti raccontare come procede il recupero del talento sudamericano in vista del 2023.
Salvatore, innanzitutto come stai?
Questa settimana sono tornato un po’ a casa in Umbria e, oltre a pedalare, ho finalmente rivisto familiari e amici con un po’ più di calma. Sono ad Assisi dal 2012 e mi trovo bene qui. La stagione è quasi finita per me, faccio le ultime due gare la settimana prossima, Giro di Toscana e Coppa Sabatini, poi si pensa all’anno nuovo. Dovevo fare la Vuelta, ma poi la squadra ha optato per compagni più giovani: siamo tanti, in 32, ma era giusto questa volta che facessero un po’ di esperienza quelli che ne hanno meno.
La scorsa settimana hai pedalato con Egan Bernal. Come l’hai visto, dato che tanti tifosi non aspettano altro che tornare ad applaudirlo a bordo strada?
Dovevo uscire con lui da inizio luglio, perché dopo il campionato Italiano sono rimasto a Monaco quasi due mesi e mezzo. Non ci siamo beccati perché lui prima era in Andorra per un ritiro in altura, dopo ero alle gare io. Per cui gli ho scritto un giorno e siamo riusciti a organizzare. Io dovevo fare anche poco, ma quando lui mi ha scritto che voleva fare una bella distanza gli ho detto: «Dai, vengo».
Così il 1° settembre vi siete sciroppati 120 chilometri fianco a fianco con circa 1.600 metri di dislivello, sconfinando anche in Italia.
Sì c’era anche Brandon (Rivera, ndr), che è un altro ragazzo molto simpatico, per cui ci siamo divertiti. Mi faceva piacere rivedere Egan perché era da un annetto che non lo vedevo, pur sentendolo per telefono. Che dire, l’ho visto bene, poiché sappiamo tutti che l’infortunio è stato importante. Non è stato facile perché aveva tante ossa rotte e varie complicazioni, però in quella giornata l’ho trovato tranquillo e sono molto ottimista. Secondo me può tornare a grandi livelli. Ha talento, è giovane, secondo me può far bene. Anche Brandon si era rotto la clavicola a inizio anno, ma lui è tornato molto prima alle corse e abbiamo corso insieme il Tour of the Alps e qualche allenamento. Invece Egan era davvero da tanto che non lo vedevo e mi ha fatto piacere ritrovarlo in sella.
Cosa ci dici di Egan?
Non voglio essere di parte, ma io stravedo per lui. E’ uno di quei fenomeni a cui viene tutto facile. C’è chi si deve allenare come noi comuni mortali e poi c’è gente come Egan, Evenepoel o Pogacar, che hanno quel qualcosa in più. Sono nati per andare in bici e vincere.
Tu ne hai aiutati tanti a vincere, basta ricordare anche il Giro d’Italia con Chris Froome come accaduto con Egan. Che cosa scatta nella testa di un campione dopo una brutta caduta?
Egan l’ho visto molto motivato, con una gran voglia di tornare a correre su palcoscenici importanti. Fosse stato per lui, sarebbe rientrato anche qualche mese prima, solo che visto qualche problema al ginocchio, ci voleva l’okay dei dottori della squadra, per cui il debutto è slittato di una ventina di giorni. Lui si sentiva pronto, ha voglia di ritornare e lo vedi anche in allenamento.
Vi ha tirato il collo?
Quel giorno lì abbiamo fatto un bel giro dalle parti di Baiardo e Perinaldo: borghi splendidi. Lui voleva fare un giro ancora più impegnativo col Col de Turini, ma quella mattina dava brutto tempo in Francia, quindi abbiamo optato per l’Italia. Dopo essere saliti in quei posti, siamo scesi da Dolceacqua e allungato un po’ sulla zona francese, per arrotondare sulle quattro ore e mezza.
Oramai quelle strade le conoscete tutte.
Sono dieci anni che sono lì, per cui sia la parte francese sia quella ligure la conosco come le mie tasche. La Francia ha un asfalto migliore, mentre in quella ligure è un po’ da rivedere, altrimenti i percorsi mi piacciono più in Liguria.
Hai rivisto l’Egan dei giorni migliori?
Abbiamo fatto un passo normale, senza lavori specifici, però lo vedi subito la differenza tra i campioni e i meno campioni: il talento è un’altra cosa.
Una sosta l’avete fatta?
In allenamenti così ci fermiamo sempre a metà per mangiare qualcosa, prendere un caffè o rilassarsi un attimo. Lui prende sempre il cappuccino, ne va matto. Poi parla bene la nostra lingua, è un italiano adottato ed è stato bello perché in quel giorno lì, in tanti l’hanno riconosciuto per strada. Anche a Verrandi, una salita un po’ sconosciuta dietro a Dolceacqua, un furgone con 3 operai l’ha acclamato. Gli ho detto: «Vedi, io vengo qui quasi tutti i giorni, ma riconoscono solo te!».
Vi siete sentiti spesso mentre era infortunato?
Lui parla bene italiano, quindi magari con noi ha un rapporto ancora più profondo, però in realtà è abbastanza socievole con tutti. Ha un bel carattere e penso che si veda bene anche dall’esterno.
Dunque, per i Grandi Giri del 2023 c’è anche lui nella sempre più fitta mischia o meglio procedere per gradi?
Io lo spero, perché sarebbe l’ideale per lo spettacolo e per chi segue il ciclismo anche in tv. Una bella sfida tra Vingegaard, Bernal e Pogacar penso che la sognino un po’ tutti: sono i tre più forti in salita. Ci sono poi anche altri talenti come Evenepoel, ma penso che loro tre abbiano dimostrato di avere quel qualcosa in più come scalatori, per cui sarebbe bello vederli battagliare al Giro o al Tour. Più atleti di alto livello ci sono e meglio è per il ciclismo e per chi lo ama. Dalle prime gare si vedrà subito se ha recuperato al meglio oppure no. Tra Tirreno e Parigi-Nizza avremo il polso della situazione: nel ciclismo non ti nascondi mai e devi subito dimostrare di poter stare coi migliori in salita, non esiste tatticismo, lo si è visto anche con Evenepoel sin dai primi giorni di Vuelta.
Tutti lo aspettano.
Egan se lo merita, è stato proprio sfortunato. A differenza di Chris (Froome, ndr), può recuperare molto più velocemente perché lui è giovane. L’età ha inciso tanto nel caso di Froome. Poi, mi ricordo ancora oggi che quando sono andato a trovarlo in ospedale non pensavo che tornasse a correre, lo dico in tutta franchezza. Solo i campioni di quel livello hanno la testa per rimettersi in sella.
Com’è Egan da capitano in corsa e che ricordi hai del Giro vinto insieme?
Lui è molto sicuro di sé e i giorni che stava bene ce lo diceva via radio. Quando senti il tuo capitano che ti dice: «Oggi sto bene», cerchi di dare ancora di più di quello che hai e ti carica a dismisura. Ci dava quel 20 per cento in più e l’ha dimostrando attaccando diverse volte al Giro. Un carattere diverso rispetto a Chris, che invece era più tattico e studiava maggiormente la corsa, passo per passo. Egan, invece, è istintivo: «Sto bene, attacco».
Sai già i tuoi piani in vista della nuova stagione?
Abbiamo un primo ritiro a metà ottobre a Nizza, dopodiché dei programmi di gara si parlerà a dicembre. Egan penso che lo vedrò prima, appena torno su a Monaco.
Obiettivi per il 2023?
Io di solito sono nel gruppo del Giro, visto che sono italiano e sono ormai tanti anni che lo faccio. Il Tour mi stuzzicava a inizio carriera, ma adesso non ci penso neanche più: è sempre stata una lotta continua da noi in squadra.