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Cattaneo corridore top, con la benedizione di Remco

24.08.2023
5 min
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«Landa sa vincere grandi Giri con la sua squadra. Adesso ha 33 anni, penso che non sia troppo vecchio. E’ un buon acquisto che porta molta esperienza in una squadra giovane. Penso che sia stato la mossa migliore che Lefevere potesse fare quest’anno, ma mentirei se dicessi che non mi aspettavo un corridore in più, appena sotto il livello di Landa. Un corridore tra il livello di Van Wilder, Vervaecke e Cattaneo, ma è difficile trovare uomini in quella categoria, perché costano».

Commentando in un’intervista con Lanterne Rouge l’arrivo del corridore basco alla Soudal-Quick Step, Evenepoel ha messo Mattia Cattaneo sul piatto dei suoi corridori più fedeli e affidabili. Un’investitura importante per il bergamasco, che ha la stessa età di Landa, ma che ha passato gli ultimi quattro anni a costruirsi in una direzione ben precisa. Fortissimo a crono, finalmente sicuro di sé, con l’esperienza di undici anni di professionismo, il Cattaneo di oggi non ha niente a che vedere con il ragazzino intimidito dei primi tempi alla Lampre. Però le parole di Remco ci hanno incuriosito e abbiamo voluto commentarle con lo stesso Mattia, mentre chiudeva le valige per la Vuelta, che scatterà sabato da Barcellona con una cronometro a squadre.

In questi 4 anni con Lefevere, Cattaneo si è ricostruito e consolidato e ora è fra i migliori cronoman al mondo
In questi 4 anni con Lefevere, Cattaneo si è ricostruito e consolidato e ora è fra i migliori cronoman al mondo
Ti aspettavi certe parole da Evenepoel?

Credo c’entri il fatto di aver corso parecchio con lui nell’ultimo anno. So che si è trovato bene, nel senso che ha visto che mi muovo senza prendere troppi rischi. Mi ha aiutato l’esperienza. In più, aver fatto tante corse importanti con lui, restando sempre ad alto livello per il tipo di lavoro che serviva, mi ha portato a consolidarmi. Era quello che cercavo da tempo, il lavoro giusto per un corridore come me.

La prima svolta c’è stata quando passasti alla Androni, ma certo con la Quick Step c’è stato il vero salto di qualità, dalla crono alla salita. Si può parlare della vera maturazione?

Credo sia dovuto a come sono seguito, sia dal punto di vista della preparazione sia dal punto di vista dello studio di materiali. Parlo di cronometro e tutta una serie di cose che una squadra di livello top come questa può darti più dell’Androni. Attenzione, per me l’Androni è stata tutto, sarò per sempre grato. Però ci sono delle lacune tecniche e di budget impossibili da colmare rispetto a una squadra che ha 10 volte il budget. Preparazione, a seguire l’alimentazione, l’idratazione. Adesso il ciclismo è molto specifico e hai bisogno di una squadra che ti dia supporto da tutti i punti di vista.

Mattia Cattaneo, Gianni Savio, Mario Androni, Fausto Masnada
Per Cattaneo e Masnada, come per Scarponi prima di loro, l’Androni è stata il team del rilancio
Mattia Cattaneo, Gianni Savio, Mario Androni, Fausto Masnada
Per Cattaneo e Masnada, come per Scarponi prima di loro, l’Androni è stata il team del rilancio
Sei il Mattia che cercavi quando passasti professionista oppure hai cambiato strada? Passasti da vincente, cosa pensi guardando a quel ragazzo?

Onestamente, nonostante quando passai tutti pensassero che fossi il nuovo Nibali, io non ho mai pensato di poter arrivare a quel livello. Ho sempre pensato di essere un corridore come quello che sono per un capitano, in questo caso per Remco. Un compagno super importante fino a un determinato punto della corsa, perché madre natura mi ha fatto forte, non posso dire che sono scarso, però non sono al livello dei top 10 al mondo.

Quindi?

Se quando sono passato, mi aveste detto che sarei arrivato qui a fare questo tipo di lavoro, con questa costanza e comunque sempre ad alti livelli, avrei firmato subito. Lo sapete meglio di me quanto ci ho messo per riuscire a raggiungere questo equilibrio…

Per Cattaneo, la sicurezza di Remco alla sua ruota è data dalla capacità di muoversi senza troppi rischi
Per Cattaneo, la sicurezza di Remco alla sua ruota è data dalla capacità di muoversi senza troppi rischi
E’ difficile mantenerlo oppure adesso sai come si fa?

Secondo me, più che facile o difficile, adesso c’è il fatto di essere consapevole che una determinata cosa la posso fare. Quindi vado alla Vuelta, al Giro o in qualsiasi corsa, sapendo che quel tipo di lavoro lo posso fare tranquillamente. Logicamente devo stare bene, una volta potrà venire meglio e una volta meno bene a seconda della condizione, ma so quello che posso fare e il modo per farlo.

In che modo avere un capitano che a sua volta è capace di grandi risultati riesce a compattare la squadra attorno? Questa faccenda del Wolfpack fino a che punto è una cosa che esiste?

Io non sono uno che guarda tanto i social, però nei vari gruppi gli amici mi mandano quello che viene scritto su noi e la nostra squadra. Si dice che siamo una squadra scarsa, con corridori scarsi. “Dove volete andare con quella squadra? Remco si troverà da solo quando ci saranno trenta corridori…”. Eppure secondo me è in questi frangenti che si vede il famoso Wolfpack, che poi siamo noi. E’ vero, bisogna essere oggettivi, sulla carta siamo più deboli di altre squadre. Però credo che questa cosa del gruppo possa colmare il gap e noi ci puntiamo tanto, anche se dall’esterno può sembrare che non conti tanto.

Ai mondiali di Glasgow, Cattaneo ha corso il Team Mixed Relay e ha poi centrato l’8° posto nella crono
Ai mondiali di Glasgow, Cattaneo ha corso il Team Mixed Relay e ha poi centrato l’8° posto nella crono
In cosa può incidere?

Sul non doversi neanche voltare, perché sai chi c’è con te e che lavoro può fare. Magari ha un po’ meno gambe, però sei tranquillo e non diventi matto per cercarlo e alla fine ti ritrovi con più energie per quando serviranno davvero. Tante situazioni, frazioni di secondo che sono decisive non tanto sulle salite lunghe, ma per andarle a prendere in testa o nei finali della Vuelta che spesso sono nervosi e possono costare 15-20 secondi ogni volta senza che neanche te ne accorgi. Non c’è tanto da inventare. Stare davanti e avere le gambe per farlo. E noi questo sappiamo farlo bene.

Il ruolo di Leonardo Basso, un diesse già in corsa

19.08.2023
5 min
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Leonardo Basso, 29 anni, al suo secondo anno all’Astana Qazaqstan Team. Perché ci occupiamo di lui? Perché è la perfetta dimostrazione di come anche in questo ciclismo che va a velocità ipersoniche, dove tutto cambia dall’oggi al domani, si possa lavorare per trovare una propria dimensione e chissà, costruirsi anche un futuro remoto, quando la bici verrà appesa al classico chiodo.

Se chiedete risultati a Leonardo, per quest’anno non ce ne sono, o meglio i siti statistici vi diranno che di top 10 neanche l’ombra, ma i numeri non dicono sempre tutto. Perché dietro le vittorie e le soddisfazioni di altri, c’è il lavoro oscuro di gente come il veneto e c’è un esempio, neanche troppo lontano nel tempo, che lo dimostra.

Basso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricolore
Basso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricolore

«Avevo preparato con molta attenzione i campionati italiani – racconta Basso – andando al Tour de Suisse per rodare sempre più la gamba. Avevo compiti precisi, soprattutto dovevo lavorare nella prima parte della corsa per mettere le punte in condizione di dare tutto quando la gara si sarebbe decisa e la vittoria di Velasco è stata la vittoria di tutti noi, il premio per il buon lavoro svolto. Ho tirato per 100 chilometri, fino all’ultima risorsa di energia che avevo, ma alla fine ne è valsa la pena».

E dopo?

Ho tirato dritto verso le gare spagnole, continuando a fare il mio lavoro e vedendo che questo fruttava, ad esempio con la vittoria di Lutsenko al Circuito de Getxo. In totale fino a fine luglio ho fatto 48 giorni di corsa e se vado a vedere, avrò staccato dalla bici non più di 5 giorni.

Dopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributo
Dopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributo
La sensazione è che quello che ci troviamo di fronte sia un Basso diverso da quello che era alla Ineos…

E’ vero, sento dentro di me che qualcosa è cambiato. All’Astana mi trovo davvero bene, ho trovato la mia dimensione nel supporto ai compagni, nel lavorare per gli altri. Spesso chi entra in questo mondo ha un preconcetto nei confronti dei gregari, pensando che siano corridori che valgono meno e quindi sono relegati a ruoli di secondo piano. Quando ti ci trovi capisci quanto il discorso sia molto più complesso e quanto sia importante il lavoro svolto da altri per far vincere le punte del team. Il ciclismo è davvero un lavoro di squadra.

E’ vero, però ormai è opinione comune, quando un team del WT prende un giovane italiano, che questi vada a fare tappezzeria, a imparare sì il mestiere senza però poi avere occasioni per emergere…

Il ciclismo non è così. Entrare in una squadra è sempre uno stimolo e devi metterti in gioco con tutto te stesso, sta a te poi capire piano piano le tue possibilità, quel che puoi realmente dare. Se l’atleta c’è, viene fuori: è interesse del team che ciò avvenga. Ma è anche interesse personale quello di capire che cosa si può realisticamente fare e seguire quella strada. Io come detto ho trovato la mia dimensione e ci sto lavorando sopra.

Il corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel team
Il corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel team
Per completare il discorso, tu corri in una squadra kazaka che ha comunque una forte anima italiana, ma davvero nel WorldTour di oggi si guarda alla nazionalità di un corridore, privilegiando quello “di casa”?

Io non credo proprio, tutte le squadre sono delle multinazionali, che vogliono semplicemente emergere e vincere, se il campione è nazionale bene, se viene da fuori bene lo stesso. Che manchi un team italiano nella massima serie è fuori di dubbio, sarebbe comunque un canale privilegiato per far emergere i talenti italiani, ma se hanno qualità si metteranno in luce anche in team straniero. Però c’è dell’altro…

Cosa?

Non guardiamo sempre al discorso prettamente ciclistico. Approdare in un team di questo livello, soprattutto da giovani (io sono andato alla Trek a 21 anni) è un percorso di crescita anche personale. Impari nuove lingue, stabilisci obiettivi e priorità, insomma diventi uomo e in questa maturazione ci sta anche il trovare il proprio ruolo e svolgerlo sempre meglio.

Il veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambiente
Il veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambiente
E tu che obiettivi ti poni? Dalle tue parole, ma anche dal tuo modo di correre si prospetta un futuro in ammiraglia…

Ammetto che mi piacerebbe molto e mi ci sento portato, non so se al massimo livello o occupandomi dei giovani, ma si può fare molto avendo un approccio ampio al mestiere. Io però sono concentrato sull’oggi, mi piace rimanere in questa squadra, voglio continuare a lavorare e a contribuire ai suoi successi.

Ora che cosa ti attende?

Mi sto preparando per la lunga trasferta oltreoceano, con il Tour of Maryland e le due classiche canadesi del WorldTour. Quest’anno non ci saranno grandi Giri per me, ma come si vede le corse da fare non mancano…

Per Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergli
Per Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergli
Hai già molti più giorni in carniere rispetto allo scorso anno…

Il 2022 è stato davvero difficile ed essendo il primo anno all’Astana non nascondo che la cosa mi è pesata. Ho preso per due volte il Covid e la ripresa è stata ogni volta più complicata. Ho pagato fisicamente. Quest’anno è tutta un’altra storia, mi sento più solido, sotto ogni punto di vista e spero che questa progressione non si fermi.

Tratnik, una freccia in più per l’arco della Jumbo-Visma

26.01.2023
4 min
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La Jumbo-Visma ha vinto il ranking UCI 2022. E’ stata la miglior squadra, quella che ha raccolto più punti. Merito di un grande team, di atleti come Vingegaard, Van Aert, Roglic ma anche di tanti corridori che hanno permesso loro di poter primeggiare. Insomma, merito dei gregari. E proprio perché sanno bene che il ciclismo, checché se ne dica, è uno sport di squadra, ecco che ne hanno preso un altro di gregario, Jan Tratnik (in apertura foto Instagram Jumbo-Visma).

Lo sloveno viene dalla Bahrain-Victorious. E’ uno di quei corridori tosti. Forse in bici non è un “cigno”, ma di certo ci puoi contare. Tratnik sa vincere e sa far vincere. Porta punti e li fa fare. Un uomo così lo vorrebbero tutti.

Occasione giallonera

Mentre era intento a farsi fare il calco del piede per le nuove scarpe Nimbl, Tratnik ci ha raccontato  del suo passaggio.

«Sono stato in contatto con diverse squadre – ci ha detto qualche tempo fa Tratnik – e vengo da una squadra importante come la Bahrain. Ma alla fine ho deciso per questo team perché penso sia il massimo in questo momento.

«Qui penso di poter ottenere il top dal punto di vista dei materiali, della preparazione… E così la scorsa estate, quando si fanno i contratti, c’è stata questa opportunità ho deciso di accettare».

A dispetto della sua statura, ma ormai conta poco vedendo Evenepoel, lo sloveno è un ottimo cronoman. E anche questo, ci aveva detto Mathieu Heijboer, responsabile della performance, aveva inciso sul suo passaggio. Poter disporre di un corridore così duttile è un’arma in più. Può essere utile in più occasioni.

Lo sloveno è un ottimo cronoman. Ha vinto quattro titoli nazionali contro il tempo
Lo sloveno è un ottimo cronoman. Ha vinto quattro titoli nazionali contro il tempo

Missione rosa

E infatti Tratnik è stato inserito nella missione Giro d’Italia, dove il leader sarà Roglic. Con così tanta crono, oltre al fatto che potrebbe cogliere un buon successo, magari Jan potrà essere utile al suo capitano e connazionale Primoz Roglic.

Potrà essere una pedina molto interessante per capire gli ultimi dettagli prima della prova del leader. Spesso infatti si fa fare al gregario la crono “a tutta” proprio per capire i punti critici e le condizioni del tracciato e riportare così info preziose per il leader. E se questo “gregario” è anche un cronoman tanto meglio. E ovviamente anche per tutto il resto: salita, pianura, il fatto che sono entrambi sloveni…

«Sono nel miglior team per quanto riguarda le crono – prosegue Tratnik – e penso di poter fare delle prove abbastanza buone. In questa squadra avrò bici, scarpe, materiale, tutto il meglio e per questo sono curioso di vedere come andrà. Il mio obiettivo è raggiungere il mio massimo».

Tratnik Giro 2020
L’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020. Tratnik vinse al termine di una lunga fuga
Tratnik Giro 2020
L’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020. Tratnik vinse al termine di una lunga fuga

Motivazione super

Ma come abbiamo detto all’inizio, un atleta come Tratnik non è solo un gregario. E’ vero che in certe squadre il “pedigree” si alza, ma se vinci quattro titoli nazionali a crono in uno stato in cui ci sono Pogacar, Roglic e Mohoric, se alzi le braccia in una tappa del Giro, non sei uno qualunque. 

«Dovrò aiutare e lo so bene – spiega Tratnik – ma penso anche che se ci sarà la possibilità potrò essere libero per cogliere dei risultati personali. 

«Sembro molto motivato? E’ vero, lo sono. So che non sono più giovane e forse proprio per questo sento di avere con questa nuova sfida la maggior motivazione della mia carriera.

«Mi piace molto la cura di tutti gli aspetti, come ho detto, dalla preparazione all’alimentazione. So che tanti altri ragazzi sarebbero voluti venire qui, proprio per l’organizzazione che c’è e per la possibilità che si ha di esprimersi al massimo. E per questo non vedo l’ora di scoprire come andranno le cose. Loro sanno bene cosa vogliono».

La squadra olandese rinforza così la sua rosa con un altro corridore di sostanza. E se Tratnik dovesse rivelarsi un nuovo Laporte ne vedremo delle belle.

Le riflessioni di Puccio: come cambia il ruolo del gregario

05.11.2022
5 min
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Gregario. Una parola insita nella storia ultracentenaria del ciclismo. Un ruolo che è diventato un concetto, applicabile nella vita di tutti i giorni. Qualche giorno fa Fabio Felline aveva espresso una riflessione dietro la quale si nascondono mille pensieri: «Il mestiere di gregario è difficile da giudicare».

Matteo Trentin ci aveva messo del suo, sottolineando un aspetto importante che fa parte del ciclismo attuale: «Chi corre come leader fa una media di 60 giorni di gara all’anno, un gregario va dagli 80 ai 100». E’ una differenza profonda.

Il gregario di oggi non è più quello del secolo scorso, sono cambiate tantissime cose come è normale che sia, considerando che è il ciclismo, anzi è la società stessa che è profondamente mutata. Chi il mestiere del gregario lo conosce bene è Salvatore Puccio, che anzi è diventato un riferimento assoluto del ruolo, dopo tanti anni di militanza alla Ineos Grenadiers. Eppure la sua prima affermazione lascia un po’ interdetti: «E’ un ruolo che va a scomparire…».

Per Puccio il lavoro del gregario è soprattutto nelle fasi iniziali e centrali della corsa
Per Puccio il lavoro del gregario è soprattutto nelle fasi iniziali e centrali della corsa
Sembra difficile crederlo…

Diciamo che il ruolo del gregario emerge maggiormente nei grandi Giri, quando si lavora giorno dopo giorno. Nelle gare d’un giorno si viaggia subito ad alte velocità, così emergono figure diverse. D’altronde gregario è una parola che rappresenta una concezione generica, ogni corridore ormai interpreta un ruolo ben preciso in squadra. Molto poi dipende dall’impostazione della stessa.

Spiegati meglio…

In un team come il nostro, il lavoro del gregario resta fondamentale nel coprire il capitano, pilotarlo nelle varie posizioni del gruppo in base a quel che succede in corsa. L’obiettivo è fargli spendere il meno possibile mantenendolo nel vivo della corsa e questo costa un gran dispendio di energie. Ma quando ci sarà da “menar le mani”, il leader avrà il serbatoio pieno e interverranno in supporto altre figure, i luogotenenti ad esempio.

Puccio con Carapaz all’ultimo Giro. Il leader ha sempre bisogno di una presenza al fianco
Puccio con Carapaz all’ultimo Giro. Il leader ha sempre bisogno di una presenza al fianco
Secondo te il gregario è ancora una figura che i team cercano?

Sicuramente, ma ripeto: il termine ormai è un po’ troppo generico. I team dei velocisti cercano ad esempio “vagoni” per il treno dello sprinter e corridori che tengano il gruppo compatto, quelli che hanno uomini di classifica corridori che possano proteggerlo nelle varie situazioni. Chi ha uomini forti in montagna vuole gente o che possa dargli manforte quando la strada si rizza sotto le ruote o che possa gestire la corsa in pianura. In un modo o nell’altro, comunque le squadre hanno bisogno dei vari “tasselli” e nel ciclomercato si vede che sono anzi le figure principali a muoversi.

Il gregario gode di maggior libertà durante l’anno nella ricerca di soddisfazioni personali, rispetto a quanto avveniva ai tempi del tuo approdo fra i professionisti?

Mi è difficile rispondere. Io ho sempre corso in squadre con grandi capitani e di libertà ce n’è sempre stata assai poca. Si lavora tutti i giorni al loro servizio, si gode delle loro vittorie, in un certo senso di luce riflessa. Io ho capito ben presto che non avevo le qualità per emergere come protagonista assoluto, ma potevo fare una bella carriera al servizio degli altri e mi sono adattato.

Distribuire le borracce non è più molto usuale per i gregari, grazie alle feed zone moltiplicate
Distribuire le borracce non è più molto usuale per i gregari, grazie alle feed zone moltiplicate
Tocchiamo l’aspetto economico. Il ciclismo attuale è ben diverso da quello del secolo scorso e gli stipendi lo sono altrettanto. Una volta però c’era anche la voce legata ai premi. Come funziona al giorno d’oggi?

Molte squadre mettono tutti i premi conseguiti in un fondo che alla fine di ogni gara, in linea o a tappe, viene diviso fra tutti coloro che hanno partecipato. Alcuni team preferiscono assommare tutto fino a fine stagione, ma la maggior parte agisce nell’altro modo e lo ritengo più giusto. Va poi considerato che una parte, solitamente il 20 per cento, viene detratto e messo a disposizione dello staff, dai meccanici ai massaggiatori e così via. Condividere è importante al di là delle cifre, perché uno vince sempre grazie agli altri.

Un gregario di oggi è più o meno famoso rispetto a prima?

Sicuramente ha più visibilità, ma non tanto grazie ai social come si potrebbe pensare. Io credo che sia dovuto più alle dirette integrali dei canali televisivi: una volta ci si collegava solo per le fasi finali e lì emergevano sempre gli stessi. Ora c’è possibilità di vedere anche il lavoro delle fasi iniziali e centrali che per noi sono le più impegnative.

Immagine segnata dal tempo di un gregario storico: Italo Mazzacurati, spalla di Vittorio Adorni
Immagine segnata dal tempo di un gregario storico: Italo Mazzacurati, spalla di Vittorio Adorni
I giovani attuali che approccio hanno, vogliono tutti passare come leader o sanno adattarsi?

All’inizio tutti vogliono giocarsi le proprie carte, ma bisogna stare attenti: puoi anche ottenere buoni risultati, ma basta una stagione giù di tono e la quotazione scende. Se non sai adattarti, se non capisci presto quale potrebbe essere il tuo ruolo, questo mondo ti consuma e ti butta via. Chi riesce invece a rendersi utile magari non comparirà nella lista dei vincitori, ma avrà una carriera lunga e nel complesso ben remunerata. Certe volte, se l’orgoglio fa un passo indietro c’è tutto da guadagnarci.

«Ritirati e vai alla Vuelta». De Tier… batte Conca e Fabbro!

25.08.2022
5 min
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Non solo Matteo Fabbro e Filippo Conca hanno saputo all’ultimo minuto di dover prendere parte alla Vuelta, c’è chi è andato oltre. E non solo come tempistiche, ma anche per la modalità a dir poco rocambolesca con la quale è stato avvertito. Parliamo di Floris De Tier, corridore della Alpecin-Deceuninck.

De Tier lo ha saputo a 24 ore dal via… mentre era in corsa. «Mi hanno detto di ritirarmi a 20 chilometri dal termine della terza tappa del Giro di Danimarca», ha raccontato il corridore. Nella frase c’è tutta la sua “avventura”.

Testa bassa e pedalare, anche nelle pianure ventose dell’Olanda De Tier si è subito messo a disposizione (immagine da Instagram)
Testa bassa e pedalare, anche nelle pianure ventose dell’Olanda De Tier si è subito messo a disposizione (immagine da Instagram)

Vuelta all’improvviso

Floris De Tier, 30 anni del Belgio, è uno di quei corridori che in carriera sono sempre stati vicini prima alle esigenze della squadra e poi alle proprie. I suoi numeri sono da scalatore (172 centimetri per 60 chili), ma non ha una caratteristica predominante. E per questo alla fine si ritrova quasi sempre ad aiutare.

In carriera non vanta nessuna vittoria, “solo” qualche piazzamento nei dieci. Ma se senza vittorie si entra nel novero delle WorldTour, come fu quando passò dalla Topsport Vlaanderen alla Lotto Nl Jumbo, qualcosa vuol dire. La Alpecin, per adesso, non è WT, ma poco ci manca.

E mettersi a disposizione è quel che è successo anche la scorsa settimana. De Tier, come detto, stava disputando il Giro di Danimarca, quando per radio ha ricevuto quell’ordine a dir poco singolare.

«Avevamo fatto circa 200 chilometri, quando ad una ventina di chilometri dalla fine della tappa – ha raccontato De Tier – ho visto passare Christophe Roodhooft (il diesse, ndr) con l’ammiraglia il quale mi ha urlato che dovevo fermarmi».

Sul momento Floris resta basito, non capisce. Il gruppo era in piena bagarre in vista della volata e così la conversazione è proseguita via radio.

«Mi hanno detto di fermarmi. Allora ho chiesto perché dovessi ritirarmi. Mi hanno risposto: “Dobbiamo portarti alla Vuelta”. Così quando siamo arrivati ai meno venti ho fermato la bici come mi avevano detto e sono tornato in hotel».

In Italia quest’anno Floris ha corso alla Coppi e Bartali e alla Strade Bianche, corsa che lo ha stregato e che ha chiuso al 12° posto
In Italia quest’anno Floris ha corso alla Coppi e Bartali e alla Strade Bianche, corsa che lo ha stregato e che ha chiuso al 12° posto

Dalla bici all’aereo

La squadra aveva individuato il punto più rapido per raggiungere l’albergo, dargli il tempo di cambiarsi e recarsi in Olanda. Qualche ora dopo, infatti, era in aeroporto.

«In realtà – ha detto De Tier a Het Nieuwsblad – è stata una corsa contro il tempo ma ho avuto qualche minuto anche per fare un massaggio». Floris ha poi mangiato qualcosa con la squadra che nel frattempo aveva finito la corsa e alle undici era in aeroporto. 

Tra una cosa e l’altra, De Tier si è aggregato alla formazione della Vuelta la mattina del via della cronosquadre, dopo una notte quasi insonne, tra il volo verso l’aeroporto di Amsterdam e il trasferimento verso il nuovo hotel. Non a caso sul palco della presentazione dei team la Alpecin contava sette atleti e non otto. L’ottavo, appunto, era in viaggio.

Il fiammingo ha corso anche con la Lotto Nl Jumbo. In salita se la cava bene
Il fiammingo ha corso anche con la Lotto Nl Jumbo. In salita se la cava bene

Quattro settimane

E così De Tier è alle prese con la sua quarta partecipazione alla Vuelta, unico grande Giro che sin qui ha disputato. Non solo si è ritrovato dalla bici all’aero, ma si è presentato alla partenza della crono con tre tappe in più! Tre tappe che chissà se, e quanto, si faranno sentire a fine Vuelta. Anche lui ha accennato che sarà curioso di vedere come andrà la “quarta settimana”.

Un avvicinamento così non è certo dei migliori. E infatti dopo qualche cambio nei primissimi chilometri della cronosquadre, De Tier si è staccato. E’ arrivato da solo incassando oltre 2′.

Si è staccato un po’ perché oggettivamente non era al meglio dopo una notte simile. Un po’ perché un esercizio tanto particolare come quello della cronosquadre non lo inventi da un’ora all’altra (non aveva fatto neanche una prova). E un po’ perché, da buon gregario, doveva iniziare a risparmiare in vista del giorno dopo.

Nella prima tappa in linea infatti si è sciroppato 50 chilometri in testa al gruppo per tenere la fuga nel mirino, pensando alla volata del suo compagno Tim Merlier.

«Ho tirato per 50 chilometri – ha detto De Tier – poi quando ho finito il mio lavoro mi sono spostato». E di nuovo ha continuato ad andare di conserva. Risultato: sul traguardo di Utrecht è arrivato ultimo a 11’12” da Sam Bennett.

De Tier in testa al gruppo durante la prima frazione del Giro di Danimarca: quel giorno ha tirato per circa 160 chilometri
De Tier in testa al gruppo durante la prima frazione del Giro di Danimarca: ha tirato per circa 160 chilometri

Gregario e signore

Questo richiamo in extremis la dice lunga su quanto sia impegnativo ed imprevedibile il ciclismo attuale.

Ma come, ci si chiede, ci sono squadre che hanno 25-31 corridori e ne devono richiamare uno che sta già correndo? A quanto pare è proprio così, specie a questo punto della stagione e specie con ancora il Covid a metterci lo zampino “accorciando le rose”. Anche se in questo caso non è stato il Covid a metterci lo zampino. 

De Tier infatti ha dovuto sostituire il compagno Oscar Riesebeek, caduto in allenamento il giovedì della vigilia mentre stava provando la cronosquadre.

«E’ il mio lavoro – ha detto sempre alla testata belga De Tier – anche in Danimarca nella prima tappa avrò tirato per 160 chilometri per Jasper Philipsen. Voglio fare di tutto per aiutare la squadra. La Vuelta è una buona occasione per me e cercherò di sfruttarla al meglio. Sono contento di essere qui adesso, era stata una delusione non esserci.

«Vedremo come andrà la corsa, saprò essere utile anche in montagna visto che supero bene le salite. Vedremo che ruolo mi darà la squadra».

Che ruolo gli darà non lo sappiamo. Sappiamo però che Floris De Tier è in scadenza di contratto e speriamo che questa rocambolesca storia gli garantirà il prolungamento.

Il Giro di Affini: un po’ gregario, un po’ battitore libero

04.06.2022
6 min
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La vittoria al Giro d’Italia ancora una volta l’ha sfiorata Edoardo Affini. Il gigante della Jumbo-Visma però è stato un bell’attore della corsa rosa. Si è visto spesso, ha lavorato per i compagni (forse sin troppo) e ci ha provato.

Ma si sa, vincere non è facile. Con lui abbiamo parlato del suo Giro, del ruolo che ha avuto e di quello del gregario. E ne è emerso che il ciclismo, davvero è sempre più uno sport di squadra.

A Treviso Dries De Bondt batte Edoardo Affini
A Treviso Dries De Bondt batte Edoardo Affini
Edoardo, prima di tutto come va: recuperate le fatiche del Giro? Relax totale o sei uscito in bici?

Un po’ sono uscito, altrimenti per l’italiano sarebbe stato un bel problema. Da lunedì comunque si riprende a spingere. Era importante recuperare bene dopo un Giro così dispendioso. E consideriamo anche che io tiravo la carretta dalle classiche, ho corso fino alla Roubaix.

Il percorso della crono tricolore sembra essere anche piuttosto filante, quindi adatto a te…

Per ora sembra di sì, staremo a vedere. La prima parte tende a tirare leggermente, poi c’è uno strappo di un chilometro attorno al 6% e un ritorno che invece scende leggermente.

Veniamo al Giro e partiamo da una nostra curiosità. La sensazione è che a fine gara fossi parecchio più magro rispetto al via da Budapest. E’ così?

Un po’ sì, ma nulla di particolare. Siamo nell’ordine di un chilo in meno. Sono stato stabile per tutto il Giro. Qualche mattina pesavo un po’ di più, qualche mattina un po’ meno… ma tutto sommato ero lì. Forse mi avete visto “sfinato” perché ero sfinito!

A fine Giro, vedendolo quasi tutti i giorni, ci è sembrato molto più magro rispetto a Budapest. Invece Affini ha perso solo un chilo
A fine Giro, vedendolo quasi tutti i giorni, ci è sembrato molto più magro rispetto a Budapest. Invece Affini ha perso solo un chilo
Oggi non è più come una volta in cui si finiva un grande Giro con 2-4 chili in meno…

No, oggi si reintegra bene quanto si brucia e non si parte più in sovrappeso. Non puoi più permettertelo, tanto più in un Giro con un percorso del genere. Rischieresti di prendere un’imbarcata che diventa un calvario. Il nutrizionista ti fa recuperare al cento per cento.

Cosa ti è piaciuto e cosa non ti è piaciuto di questo tuo Giro?

Quello che mi piaciuto e non è piaciuto al tempo stesso è il secondo posto di Treviso. Bello giocarsela, meno il risultato. Mi è piaciuto fino alla volata. Avevo la possibilità di andare in fuga e ci sono riuscito. Fare secondo invece non mi è piaciuto.

Tu hai dato un grande contributo alla fuga…

Ma anche il belga, De Bondt, che poi ha vinto dava delle belle “trenate”. E infatti mi sono detto: occhio, che questo ha la gamba. Sapevo che ce la saremmo giocata noi due. Ma tutti e quattro devo dire che abbiamo tirato e ci siamo gestiti bene. Anche Gabburo. Lui ha tirato un po’ meno per ovvie ragione di fisico. Però è stato bravo perché faceva cambi più corti, ma in questo modo la velocità non scendeva. E non saltava i cambi.

Il mantovano (classe 1995) a Verona ha chiuso 12° a 1’30” da Sobrero
Il mantovano (classe 1995) a Verona ha chiuso 12° a 1’30” da Sobrero
A proposito di trenate e tirate, anche a Castelmonte eri all’attacco e sei stato il motore principale della fuga. Hai lavorato per Bouwman. Ma non era il caso di risparmiarsi in vista della crono di Verona, come ha fatto Sobrero?

Non era la crono per me. Io conosco bene la zona e le Torricelle. Sapevo quindi che avrei potuto provare a fare qualcosa, ma vincere sarebbe stato altamente improbabile. Ho preferito dare tutto per il mio compagno, che poi ha anche vinto. Mi sono risparmiato il giorno della Marmolada: lì ho fatto gruppetto e infatti non ho fatto una brutta crono. Ma un distacco di un minuto e mezzo non lo avrei recuperato neanche se fossi arrivato fresco a Verona.

Ti aspettavi la vittoria di Matteo?

Era “molto favorito”! Così come Arensman. E si sapeva anche che Van der Poel l’avrebbe fatta a blocco.

Sarebbe stato molto diverso il tuo Giro se Tom Dumoulin fosse stato in classifica?

Sicuramente sarebbe stata un’altra dinamica di corsa per noi della Jumbo-Visma. Già la sera dell’Etna (dove Dumoulin ha incassato un bel distacco, ndr) ci siamo fatti due conti e abbiamo visto che non potevamo lottare più per la classifica. A quel punto abbiamo cambiato strategia e siamo andati più all’attacco. Se Tom fosse rimasto in classifica avremmo dovuto fare un “lavoro sporco” per tenerlo coperto. Io avrei lavorato per lui nei tratti a me più congeniali. Avrei svolto un lavoro alla Puccio. Però non è andata male da quando abbiamo rivisto i piani. Abbiamo vinto due tappe, conquistato la maglia dei Gpm e raccolto diversi piazzamenti.

E tra questi due ruoli, attaccante-gregario e gregario che lotta per la maglia rosa quale ti sarebbe piaciuto di più?

Correndo in questo modo hai più chances personali e fa piacere, però è anche vero che quando lotti per la maglia rosa è sempre un’emozione. Hai voglia di lavorare per quell’obiettivo. E’ qualcosa che carica tutta la squadra.

Affini in testa verso Castelmonte per Bouwman (maglia blu alla sua sinistra). Anche verso Genova aveva aiutato Leemreize
Affini in testa verso Castelmonte per Bouwman (maglia blu alla sua sinistra). Anche verso Genova aveva aiutato Leemreize
C’è una tappa in cui avresti voluto essere protagonista, una che ti è rimasta sul groppone?

Non particolarmente. Le tappe in cui sapevamo che poteva arrivare la fuga abbiamo cercato di esserci. Forse quella di Cuneo. Ecco, lì non essere stato davanti mi è dispiaciuto. Magari il risultato non sarebbe cambiato, però si poteva provare a rovinare la festa ai velocisti, visto che i fuggitivi sono stati ripresi ai 600 metri.

Ormai, Edoardo, abbiamo visto che gli squadroni vanno in fuga col gregario. E tu lo sei stato in un paio di occasioni. E’ un limite per te? 

Dipende dal profilo della tappa. Verso Castelmonte era perfetto per noi della Jumbo avere un corridore come me che tirasse nella prima parte assicurando il successo della fuga, e uno come Bouwman per il finale più impegnativo. Anche Quick Step-Alpha Vinyl e Groupama-Fdj hanno ragionato così. Noi abbiamo tirato molto più degli altri nei primi 100 chilometri, ma così facendo abbiamo dato ai nostri compagni la possibilità di risparmiarsi un po’ e di giocarsela. Poi in corsa si parla. E se la tappa può essere adatta ad entrambi si punta su chi sta meglio. E’ un lavoro che ho svolto molto volentieri. Soprattutto quando finisce con la vittoria di un tuo compagno.

Il ciclismo ormai è uno sport di squadra…

Esatto. Vince uno, ma lavorano tutti. E la squadra, soprattutto adesso che si va sempre a tutta, è ancora più importante.

Troìa, una “rompighiaccio” per Pogacar e non solo

06.04.2022
4 min
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Un bestione di 191 centimetri per 80 chili. In pratica quando passa in testa Oliviero Troìa si sente lo spostamento d’aria! Nel suo caso, soprattutto se stai scortando Tadej Pogacar, è come stare a ruota di una rompighiaccio. O di una locomotiva, fate voi. E un “piccoletto” come Pogacar non prende aria. Poi sia chiaro. Non lavora solo per lo sloveno. Ha già aiutato a vincere McNulty, Trentin, Gaviria

Il corridore ligure della UAE Emirates è sempre più un uomo squadra. Lo abbiamo visto in prima linea all’Oman e anche in corse di primissimo piano come la Milano-Sanremo e il Giro delle Fiandre. Alla settima stagione da pro’, tutte in questa squadra, il suo ruolo è ben definito. E sì che il colpo vincente che aveva da dilettante ci sarebbe ancora…

Gigante prezioso

Oliviero non esce da un super periodo. A fine agosto si era rotto la clavicola (dopo che ne aveva rotta una anche a marzo) e stava lavorando ad un bel finale di stagione.

«In effetti – ci ha detto – quello appena passato è stato un anno un po’ sfortunato. Per fortuna che le cose stanno tornando come devono. La condizione è molto buona e abbiamo un leader molto forte».

Nei giorni del Fiandre, Oliviero chiaramente era vicino a Tadej. Il suo ruolo? Garantire una certa sicurezza in gruppo al leader sloveno, aprirgli la strada nei tratti in pavé e portarlo avanti.

«Dovevo proteggerlo e fargli spendere meno energie possibili, soprattutto nella prima parte della gara». Obiettivo raggiunto alla grande visto che era in testa a fare largo al suo capitano sin quasi al momento cruciale dell’attacco sul Kwaremont.

Uno così, con certe caratteristiche è perfetto per questo ruolo. Garantisce un certo riparo dall’aria. Se c’è da fare a spallate non si sposta così facilmente, ma al contrario può creare i suoi spazi. E se c’è da menare per tanti chilometri o da fare una sparata a 60 all’ora lui è presente. Alla Sanremo, per esempio, ha tirato fortissimo l’imbocco della Cipressa: attacco e prima parte di salita.

In Oman Oliviero ha lavorato per Gaviria e Rui Costa, leader rispettivamente per le volate e per la generale
In Oman Oliviero ha lavorato per Gaviria e Rui Costa, leader rispettivamente per le volate e per la generale

Motivazione massima 

Ma se oggi il livello medio di cui tanto si parla si è alzato, lo stesso discorso vale per i gregari. Per aiutare bisogna essere all’altezza. Magari qualche tempo fa un corridore con certi valori e certe caratteristiche avrebbe potuto essere un leader.

Troìa ci appare davvero tirato, determinato, concentrato.

«E’ vero – riprende – sono più magro dello scorso anno. Ho lavorato molto durante l’inverno e quest’anno sono arrivato alle corse con un’altra forma. Avendo un leader molto forte, mi sono dovuto anche adeguare».

«Con Pogacar in squadra le cose cambiano parecchio. Con un capitano come lui, che forse è il più forte al mondo c’è anche tutt’altra motivazione nel fare il gregario. Vai oltre il tuo 100%, dai di più di quel che hai».

Troìa tra le ammiraglie. Nonostante le radio e i tanti rifornimenti lungo la strada, il gregario ancora “scende” tra le macchine
Troìa tra le ammiraglie. Nonostante le radio e i tanti rifornimenti lungo la strada, il gregario ancora “scende” tra le macchine

E ora la Roubaix

Nel frattempo è arrivato anche un figlio e questo ha cambiato un po’ gli equilibri. Si dice che un corridore assesti la sua vita. Che sia ancora più vincolato da certi orari e che in “soldoni” possa fare ancora meglio la vita dell’atleta.

«Con un figlio è tutto più bello. Hai più motivazioni quando arrivi a casa. C’è lui che ti sorride e di conseguenza poi sei più spronato anche a fare il tuo lavoro. Non pensi ad altro: lavoro e famiglia».

Non si sa ancora se vedremo Troìa al Giro d’Italia. Ma una cosa è certa la sua campagna del Nord non è finita. Ci sono ancora due appuntamenti importanti da affrontare: la Scheldeprijs e la Parigi-Roubaix. Non ci sarà Pogacar, ma i leader non mancano alla UAE Emirates. Trentin è in ripresa e magari potrebbe essere la sua buona occasione per tornare ad annusare l’aria là davanti.

«Per ora – conclude Troìa – finisco con la Campagna del Nord, poi con la squadra valuteremo cosa fare. Dovrei disputare un grande Giro. Per ora non sono previsto per il Giro d’Italia, forse più per la Vuelta. Ma c’è tempo…».

Cosa serve per diventare un grande gregario? Marcato risponde

23.03.2022
5 min
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Il ciclismo è fatto di campioni che vincono le gare e dominano le grandi corse a tappe. Si parte in (quasi) duecento e uno solo vince: uno sport di squadra che vede la vittoria del singolo. Ci sono due ruoli nelle corse in bici, chi vince e chi lavora per far vincere (il gregario). Tutti vorrebbero appartenere alla prima categoria, ma non è possibile. Allora come si fa a ritagliarsi il proprio spazio rimanendo in questo mondo per tanti anni? Marcato ad esempio, che in apertura è in testa al gruppo sui Campi Elisi al Tour del 2020, c’è rimasto per 17 anni… 

Per Marcato nel 2022 è iniziata una nuova avventura, questa volta in ammiraglia, accanto a lui Oliviero Troia
Per Marcato nel 2022 è iniziata una nuova avventura, questa volta in ammiraglia, accanto a lui Oliviero Troia

Un ruolo quasi obbligato

«Gregari – inizia Marco – si diventa per spirito di adattamento, non per scelta. L’aspirazione di tutti è quella di vincere le corse, ma alzare le braccia sotto lo striscione d’arrivo è roba per pochi. Nei primi anni da professionista impari a capire quale può essere il tuo ruolo all’interno della squadra, giocandoti, com’è giusto, le tue opportunità».

«E’ un compito difficile quello del gregario, è molto apprezzato dalle squadre, ma meno dalla gente comune. I team, soprattutto quelli WorldTour, guardano al ranking. Di conseguenza sono molto legati alle vittorie, quindi o vinci o aiuti a far vincere».

Fin da under 23 è importanti imparare a correre in tutti i modi per sviluppare caratteristiche differenti
Fin da under 23 è importanti imparare a correre in tutti i modi per sviluppare caratteristiche differenti

Bisogna imparare da giovani

Ultimamente c’è una tendenza ad evitare questo ruolo, come a non volersi rassegnare ad una carriera differente da quella sognata. Così alcuni corridori inseguono per tanti, forse troppi anni il successo senza mai raggiungerlo e di conseguenza le opportunità finiscono, così come le loro carriere.

«Vero – risponde l’ex corridore della UAE Team Emirates– ma bisogna partire da prima, da quando si è dilettanti. Se uno corre in una squadra che lo coccola, lo porta sul palmo a giocarsi le gare, sempre coperto ed al sicuro, poi soffre enormemente il passaggio al professionismo. Sono pochi i corridori che passano giovani e sono già capitani. Si deve imparare a sacrificarsi e correre in tutte le situazioni già da under 23».

Quello del gregario è un ruolo importante, bisogna saper mettere gli interessi della squadra davanti ai propri
Il gregario saper mettere gli interessi della squadra davanti ai propri

Saper cambiare

«E’ chiaro che una volta capito che il tuo ruolo è quello del gregario, cambia anche la tua idea di ciclismo. Se prima eri abituato ad andare forte nel finale di corsa, ora devi specializzarti nel dare il massimo in altre situazioni. Finire la corsa diventa un di più (Formolo alla Sanremo, dopo il grande lavoro per Pogacar si è ritirato, ndr)».

E allora come cambia la mentalità e l’approccio all’allenamento? «Un esempio – riprende Marcato – è imparare a stare al vento, non ripararti ma riparare, pensare anche per gli altri. Se stai risalendo il gruppo e c’è uno spazio minuscolo, non ti ci fiondi dentro, ma aspetti un momento migliore. Devi pensare che hai un filo invisibile che ti unisce al tuo capitano e non devi farlo spezzare».

Il rapporto tra gregario e capitano si basa sulla fiducia, per questo Soler e Pogacar si sono trovati subito fianco a fianco
Il rapporto tra gregario e capitano si basa sulla fiducia, per questo Soler e Pogacar si sono trovati subito fianco a fianco

Tutti per uno e uno per tutti

Il rapporto tra leader e gregario è solido e molto delicato, si costruisce nel tempo e la fiducia è alla base di tutto.

«Fiducia è la parola fondamentale – dice – se non c’è quella, non si va da nessuna parte, ovviamente va costruita nel tempo. Il gregario, soprattutto quello di fiducia, deve imparare ad essere anche un po’ psicologo, saper spronare il capitano, motivarlo. Vi faccio l’esempio di Richeze e Gaviria. Fernando si fida ciecamente di Max. Se il primo si butta nel fuoco, il secondo lo segue a ruota. Questo vale anche per i corridori giovani, che sono forti ma inesperti. Per loro avere un compagno di cui fidarsi e che li guidi in tutte le fasi della corsa è fondamentale».

Grazie alla sua esperienza Marcato, già nelle ultime stagioni, ricopriva un ruolo da diesse in corsa
Grazie alla sua esperienza Marcato, già nelle ultime stagioni, ricopriva un ruolo da diesse in corsa

Da gregario a diesse

Si è notato, negli anni, come i grandi gregari siano poi diventati bravi diesse. Come se questo lavorare per gli altri li porti ad avere una naturale visione d’insieme.

«Sicuramente – conclude Marcato – uno che ha lavorato molto per gli altri è abituato a considerare la squadra come un insieme. Solo se hai provato certe cose in prima persona sai cosa vuol dire. Questo, una volta che ti siedi in ammiraglia, ti aiuta a sapere cosa stai chiedendo ai tuoi corridori».

Guarnieri, il ciclismo è come la vita: nessuno si salva da solo

29.11.2021
4 min
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C’è un tempo per fuggire e uno per restare, nella vita come nel ciclismo. E’ un istante, che in una tappa dura un millesimo di secondo a consentirti di vincere o perdere una corsa e in una carriera può essere un giorno, un episodio, una scelta sbagliata. Per Jacopo Guarnieri, 34enne della Groupama-Fdj, la scelta di smettere di fuggire e iniziare a restare è sopraggiunta in due momenti. Agli esordi da pro’, quando ha provato ad inserirsi in due fughe ma si è sentito «come Fantozzi alla Coppa Cobram». Poi quando ha provato a vestire i panni di velocista di punta di una squadra, ma ha capito che non avrebbe potuto primeggiare. E così, ha scelto di restare, accanto al proprio capitano, che da quattro anni si chiama Arnaud Demare.

Assieme a Marangoni

La sua trasformazione l’ha raccontata in una serata al Bikefellas di Bergamo dal titolo “L’insostenibile leggerezza della fuga” introdotto dalla redazione di Bidon che ha presentato il suo ultimo libro “Vie di fuga”. In una sorta di cronometro a coppie, con l’imprevedibile ex pro’ Alan Marangoni come spalla, Guarnieri ha raccontato dei suoi tentativi di fuga.

«La prima volta a De Panne. Correvo nella Liquigas – ha detto – e in fuga mi ci ero ritrovato, così dall’ammiraglia mi hanno preso a male parole, ordinandomi di tornare in gruppo per aiutare il nostro velocista, Chicchi. L’ho fatto, ma nel tirargli la volata ho tamponato Cavendish e abbattuto Leif Hoste, idolo di casa.

«Mi ero detto che in fuga non ci sarei più andato e invece l’ho rifatto qualche anno dopo, sempre in Belgio. Fu una fuga composta da corridori “pazzi” e infatti il gruppo ci riprese a 100 chilometri dall’arrivo. Lì, mi sono detto che il mio posto era rimanere in quel ventre materno che è il gruppo».

Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)
Fra Demare e Guarnieri c’è ormai un grandissimo rapporto di stima iniziato nel 2017 (foto Instagram)

Aiutare chi è più forte

Giusto qualche volata in proprio per capire poi una cosa: «Il mio posto nel mondo – spiega – era aiutare chi era più forte di me. Arriva un punto nella carriera che devi decidere chi essere e cosa fare, serve grande onestà con se stessi. Ora, io rimpiango di non aver preso prima quella decisione, perché provo una grande emozione nell’aiutare Demare. Sono privilegiato perché sono il suo ultimo uomo, quello che lo vede più da vicino quando alza le braccia al cielo al traguardo e il primo a poterlo abbracciare». 

La tensione del gregario

Lo sguardo e la voce di Guarnieri, a questo punto, si incrinano, quasi commosso abbandona la goliardia che lo contraddistingue e che ha reso la serata frizzante come una volatona di gruppo, e veste i panni del gregario modello, quale è.

Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas
Guarnieri e Marangoni sono amici dagli anni assieme alla Liquigas

«Il gregario è il simbolo del ciclismo – osserva – al di là di ogni retorica. Gregario lo sei dal primo all’ultimo chilometro, ci sono momenti della corsa che dalla tv sembrano noiosi, ma in gruppo bisogna sempre sgomitare, la tensione è altissima. Penso a quando bisogna portare le borracce. In gruppo c’è una legge non scritta che quando si risale dalle ammiraglie dal rifornimento, si grida “service” e si ottiene una corsia preferenziale ai lati, ma mica sempre ti fanno passare. E se stai prendendo una salita e non riesci a servire il tuo capitano, hai perso».

Nessuno si salva da solo

Ma fare il gregario è molto di più, è anche convivere col proprio capitano fuori dalle corse, conoscersi, capire le difficoltà da uomo e da corridore e fare di tutto per porvi rimedio. Guarnieri è gregario anche sul divanetto del Bikefellas quando preferisce esaltare le doti umane di Demare, evidenziando come sia uno che ringrazia sempre e che si prende tutte le colpe quando le cose non vanno al meglio.

Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne
Sono passati 10 anni esatti, dal 31 marzo 2011, dall’ultima vittoria di Guarnieri a La Panne

Oppure raccontando della sua ultima vittoria, quando fu proprio Marangoni – compagno di squadra alla Liquigas – ad aiutarlo più che nel sostenerlo in gara e raccogliergli «i copriscarpe che avevo deciso di togliermi in una giornata tremenda» standogli vicino in un periodo in cui i rapporti col team erano naufragati.

«Questo è lo spirito del gregario, questo è il ciclismo», che ci piace tanto perché è metafora della vita: nessuno si salva da solo.