Anche Pozzato si tiene strette le impennate di Van der Poel

03.06.2022
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Ha vinto, ha perso, ha attaccato e si è staccato. E soprattutto ha impennato. Mathieu Van der Poel ha lasciato il segno in questo suo Giro d’Italia. A volte, diciamo pure spesso, i suoi attacchi sono stati sconsiderati e così abbiamo voluto porre a giudizio questo suo modo di fare a Filippo Pozzato.

Anche Pippo era un cacciatore di classiche come Van der Poel e magari può cogliere meglio il suo modo di fare in una grande corsa a tappe.

Se avesse vinto il tappone di Lavarone VdP avrebbe messo nel sacco un’altra impresa folle
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Il Giro come test?

Da un punto di vista tecnico, noi abbiamo interpretato questo modo di correre anche come un test. Pensiamo alla fuga verso Lavarone, per esempio.

In fin dei conti, è vero che l’asso della Alpecin-Fenix aveva già preso parte lo scorso anno al Tour, ma sapeva anche che si sarebbe fermato (come è stato) dopo una decina di frazioni. Di fatto questo era il suo primo grande Giro. E tutti quegli attacchi magari gli sono serviti per conoscere meglio il suo fisico: spingerlo al limite, vedere come reagisce, come recupera.

Forse sarà anche stato così, oppure la motivazione è più semplice. Parola dunque a Pozzato.

Pozzato ha presentato il Giro del Veneto che organizza con il suo gruppo, PP Sport Event (foto Instagram – Pocisofficial)
Pozzato ha presentato il Giro del Veneto che organizza con il suo gruppo, PP Sport Event (foto Instagram – Pocisofficial)
Filippo, ti è piaciuto Van der Poel in questo Giro?

Molto direi. Lo ha interpretato in modo spettacolare. Questo suo correre senza un senso piace alla gente. A volte gli va bene, a volte gli va male. Poi lo sapete, a me piacciono questi personaggi, sono una figata! Mi ricorda il Peter Sagan di 5-6 anni fa. Sarebbe stato bello vederli insieme entrambi al massimo. Hanno caratteristiche simili nel modo di correre. Un modo che cattura il pubblico.

Un Pozzato, anche lui cacciatore di classiche, però non avrebbe corso così? Spesso, VdP ha sprecato energie e avrebbe potuto finalizzare di più…

Intanto io non avevo la gamba di Van der Poel e questo per forza di cose mi faceva correre con più testa, al risparmio. Con la sua gamba ti diverti! No, non credo che siamo paragonabili. A livello di logica, non avrebbe avuto molto senso, ma Van der Poel sa cosa sia la logica? Intendo in senso buono.

Okay, correre così è bello, piace alla gente, però qualche vittoria sulla coscienza ce l’ha. A Napoli per esempio ha commesso un grande errore…

Però quel giorno in fuga c’era tanta gente e alcuni team avevano più corridori. In questo modo hanno fatto gioco di squadra. E poi bisogna essere in corsa, nelle gambe dell’atleta, per capire certe cose fino in fondo. Sì, al Giro ha buttato tante tappe, però con questo suo modo di correre ha anche vinto tante corse in modo inaspettato. Ripeto, è il bello di questo corridore.

Però quando ha usato la testa è andato a segno. Pensiamo alla prima tappa in Ungheria…

Perché lì non doveva sbagliare: c’era la maglia rosa in ballo. In quell’occasione ha fatto i suoi calcoli, servivano testa e intelligenza. E quando serve, lui le usa. 

Durante il Giro, parlando con gli altri corridori ci dicevano che Mathieu è così: lui in bici si diverte. Lo vedevano. Anche per te è così?

Sì. Con la sua gamba è così. Però non è qualcosa per tutti. I corridori hanno ragione sicuramente. Atleti come Mathieu si divertono e fanno spettacolo. Se fanno spettacolo si divertono. E quando smettono di divertirsi, calano anche nella prestazione. E non lanciano più il cappello all’aria.

Il pubblico italiano ha abbracciato Van der Poel, anche per questi suoi folli attacchi
Il pubblico italiano ha abbracciato Van der Poel, anche per questi suoi folli attacchi
Quindi, Filippo, queste impennate ce le teniamo strette?

Ma sì! Ha iniziato Sagan e bene così. Abbiamo bisogno di personaggi del genere. Dobbiamo avvicinare i giovani. Dobbiamo far passare il messaggio che il ciclismo è uno sport figo, che ti aiuta a vivere bene. Non è solo quello eroico e duro, quello dei sacrifici, delle rinunce. Il ciclismo è il ragazzo, è il manager che la sera a fine giornata si ritrova al bar con gli amici per un aperitivo e poi parte con la luce sulla bici per una girata col buio. Va a divertirsi. 

Un punto di vista che rompe con il passato…

Far fatica non è brutto. Andare in bici non è una condanna. Lo dico sempre ai ragazzi del mio staff: rivolgiamoci ad un target dai 25 ai 50 anni. Facciamo vedere a questa grossa fetta di pubblico quanto sia figo andare in bici. La bici non è solo sofferenza. L’idolo dei ragazzini non deve essere Cristiano Ronaldo, deve essere un Van der Poel, un Sagan. Nel ciclismo la prestazione resta centrale, non è un gioco, ma uno sport. Il sacrificio resta alla base per raggiungere i risultati sportivi, dico solo che però non deve essere visto come una condanna.

Bisogna cambiare anche il modo di comunicare…

Anche voi giornalisti. Apriamoci, facciamoci vedere anche nella vita normale. Io 12 anni fa prendevo le multe dalle mie squadre perché utilizzavo i social, adesso è scritto nei contratti dei corridori. E’ così che fai vedere e che nasce un idolo.