Andare forte ovunque (non) va sempre bene, vero “Ballero”?

31.05.2022
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Davide Ballerini è stato uno dei protagonisti “all round” di questo Giro d’Italia. E’ andato forte dappertutto. Dalla pianura al mare. Dall’Ungheria alle Dolomiti. Fu Mark Cavendish stesso a ringraziarlo pubblicamente sulle sponde del Lago Balaton per la quantità e la qualità del lavoro svolto ai fini del suo successo. E nel giorno del Passo Fedaia, era ancora davanti a spingere. 

A spingere anche se di certo quella della Marmolada non era la “sua” tappa. Sembrava quasi fosse un peccato sprecare quella buona condizione. Un peccato non sfruttare tutta quella gamba. E allora tanto valeva provarci, anche se sapeva che non ce l’avrebbe fatta.

Davide Ballerini (classe 1997) è alla terza stagione nella Quick Step-Alpha Vinyl
Davide Ballerini (classe 1997) è alla terza stagione nella Quick Step-Alpha Vinyl
Davide, come archivi il tuo Giro?

Mi dispiace di non aver vinto una tappa, questo è poco ma sicuro. Purtroppo ho passato la prima settimana e mezza con le gambe che non erano delle migliori. Le ho ritrovate verso la fine. Ma verso la fine le tappe erano veramente dure per me. Quindi – allarga le braccia – questo è quanto.

Nel giorno del Fedaia e anche verso Castelmonte hai fatto un super lavoro, col senno del poi sarebbe potuta andare diversamente spendendo meno?

Sì, potrebbe essere andata diversamente, ma io non starei a ripensarci troppo. Come ho detto, erano troppo dure per me tutte quelle salite, soprattutto l’ultima, il Fedaia, con le sue pendenze accentuate. Lì, il mio peso lo sento. Ho cercato di dare il massimo per Vansevenant, ma purtroppo lui non ha avuto una buona giornata. E’ andata così. L’importante è esserci, averci provato e aver avuto la gamba. E la stessa cosa vale con Mauro (Schmid, ndr), purtroppo questo è il ciclismo.

Quando vedi che riesci a fare delle ottime prestazione su percorsi che non sono i tuoi, cambia qualcosa nella tua testa? Si allarga lo spettro delle gare a te congeniali?

Dipende sempre da cosa prepari: una classica, una corsa in salita… Mi ricordo che l’anno scorso ad inizio stagione, quando pensavo alle classiche, ero sugli 80-81 chili, ma vincevo lo stesso. Sì, si può dire che sono aperto a molti tipi di percorso, ma non su quelli più specifici (tipo una tappa super piatta, o una di salita, ndr).

Nelle tappe finali Davide è andato in fuga in appoggio ai compagni, mostrandosi competitivo anche in salita. Alla sua ruota Vansevenant
Nelle tappe finali Davide è andato in fuga in appoggio ai compagni. Alla sua ruota Vansevenant
Appunto, vai bene ovunque…

Magari vado meglio in tappe un po’ mosse, però il problema è proprio questo: che vado forte un po’ ovunque. Per corridori come me, “mezzo e mezzo”, non è mai facile vincere. Se sei un velocista puro, dici: “okay, faccio la volata”. E nell’80-90% dei casi vinci e poi puoi recuperare. Se sei uno scalatore, se hai i watt giusti nelle gambe, prendi la salita, rispetti i tuoi parametri e sei certo di restare davanti. Uno come me invece deve cogliere l’attimo, deve stare bene al momento giusto e tutto è più complicato. Deve avere la giornata perfetta.

In effetti…

E anche nella fuga, devi avere la fortuna di trovare gli uomini giusti. Insomma non dipende del tutto da te. Non è facile.

Però in questi casi “ride” il team, che sa di avere l’uomo squadra perfetto…

Eh sì, la squadra ha sempre il jolly da giocarsi, ha la seconda carta, quella di riserva…

A Messina, senza Cav stanco per il forte ritmo sulle salite precedenti, Ballerini ha fatto la volata. Eccolo alla destra di Demare
A Messina, senza Cav stanco per il forte ritmo sulle salite precedenti, Ballerini ha fatto la volata. Eccolo alla destra di Demare

Specializzazione: bene o male?

Non sprizzava gioia il “Ballero” a Verona. Ed è comprensibile. Anche i percorsi, quando sono stati mossi forse restavano duri. Per uno come lui, la sola vera carta buona da spendere poteva essere nel giorno di Jesi, quando ha vinto Girmay. O Napoli, ma ci sta che un giorno non si riesca a prendere la fuga. O che, come ha detto lui stesso, nella prima parte di Giro non era brillante.

In ogni caso, parliamo di una tappa o due su 21. Sono i “problemi” del ciclismo moderno. Super specializzato.

Però è un peccato che un atleta come lui non abbia potuto avere più spazio. Davide si è mostrato generoso come pochi. E’ stato gregario anche nella fuga. E’ successo a Genova, a Castelmonte e sulla Marmolada. E negli altri giorni ha lavorato per Cav. Ha ragione lui, serve la giornata perfetta e soprattutto sapere cosa si sta preparando.

«Chi lo sa – conclude il “Ballero” – la ruota gira… L’importante è esserci… sempre».

Kamna decisivo. La mossa chirurgica di Gasparotto

29.05.2022
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Ieri a vincere non è stato solo Jai Hindley, che tra l’altro non ha vinto, bensì ha preso la maglia rosa, ma è stata la Bora-Hansgrohe. E più precisamente Enrico Gasparotto, il direttore sportivo di questo Giro d’Italia.

Ancora una tattica azzeccata da parte del tecnico friulano. Chiaro, ci vogliono sempre le gambe. Ma far coincidere buone gambe e buona tattica, è meno semplice di quel che possa sembrare.

Enrico Gasparotto (al centro) stava organizzando il ritorno a valle con l’elicottero. Era davvero tardi ormai sul Fedaia
Enrico Gasparotto (al centro) stava organizzando il ritorno a valle con l’elicottero. Era davvero tardi ormai sul Fedaia

Spazio alla Bahrain 

Sul Fedaia, sta per calare la sera. Mentre si dirige all’elicottero per tornare a valle con alcuni suoi ragazzi, rimasti a lungo al controllo antidoping, Gasparotto ci racconta della tattica della sua squadra.

Solo una settimana fa era “preoccupato” perché il gruppo aveva scoperto troppo presto quanto fossero forti. «Speravo di nasconderlo più a lungo», ci aveva detto. 

Oggi aveva mandato davanti Lennard Kamna (in testa sul Fedaia nella foto di apertura). Un punto di appoggio a prescindere, una pedina usata in modo chirurgico nel finale. Mentre tutti gli altri facevano quadrato intorno all’australiano, proteggendolo persino con un uomo alla sua ruota. E procedevano senza spendere un briciolo di energia in più del necessario dopo il super lavoro verso Castelmonte.

Kamna in fuga: Gasparotto lo aveva pensato proprio per ritrovarselo davanti (e fresco) nel finale del Fedaia
Kamna in fuga: Gasparotto lo aveva pensato proprio per ritrovarselo davanti (e fresco) nel finale del Fedaia
Enrico, complimenti prima di tutto. Andiamo al sodo. Kamna in quella posizione, in quel punto del Fedaia, era studiato?

Diciamo che “Lenna” aveva sofferto un po’ negli ultimi giorni, quindi il fatto di averlo davanti nella fuga ci avrebbe protetto nel finale. E in modo specifico in quella parte lì, quella finale del Fedaia, dove normalmente tutti sono da soli. Se fosse rimasto in gruppo non avrebbe tenuto sin lì.

Quindi era voluta?

Sì, l’avevamo studiata. Ed è venuta fuori bene, no?

Parecchio! Vi aspettavate questo crollo di Carapaz?

Tutti (corridori e tecnici, ndr) ci avevano detto che Jai era quello più forte in questi giorni. Lo vedevano in gruppo e lo vedevamo anche noi. Però, sapete, un conto è dirlo e un conto è farlo.

Però verso la Marmolada ti sei preso le tue responsabilità, hai concretizzato questa superiorità decantata…

Ovviamente una salita come la Marmolada non lascia spazio a dubbi, visto quanto è dura. Credo che Hindley se la meriti proprio questa maglia. Perché è sempre stato molto calmo per tutto il Giro, non solo in corsa. Ed è stato sempre regolare nelle prestazioni. Non è mai andato sopra le righe. Molto “balance” in tutto. E credo che questo lo premi. Che poi è il segreto per vincere le grandi corse a tappe.

Hanno detto che Jai era il più forte. E allora perché non ha affondato il colpo già due giorni fa verso Castelmonte? Volevate conservare tutte le energie per il Fedaia?

La tattica della tappa friulana è andata diversamente rispetto al piano che avevamo. Speravamo che la Bahrain Victorious ci desse una mano, perché è una settimana che ci dicono che ci vogliono provare. E quindi abbiamo detto: okay, siccome si arriva tra l’altro in zone dove loro hanno delle sedi e magari sono anche motivati, facciamo qualcosa. «Dateci una mano». Glielo avevamo chiesto. Ma poi si sono tirati indietro. Evidentemente per loro è più importante la classifica a squadre o lottare per un piazzamento. A quel punto abbiamo puntato ad oggi (ieri, ndr), e Jai ha dimostrato di essere il più forte.

Kamna era entrato nella fuga di giornata. Dopo aver collaborato nelle prime fasi per prendere il largo aveva corso al risparmio
Kamna era entrato nella fuga di giornata. Dopo aver collaborato nelle prime fasi per prendere il largo aveva corso al risparmio
Saresti stato contento di arrivare alla crono con 3” di ritardo, come recitava la classifica prima del via da Belluno?

Sì, assolutamente. E non avremmo mai pensato di arrivare a Verona con quasi un minuto e mezzo di vantaggio. Però, scherzando, qualche giorno fa ho detto: tranquilli ragazzi, tanto sulla Marmolada guadagniamo due minuti e siamo a posto! Non sono due, è 1’25”, ma va bene!

Enrico, già questo inverno ci avevi detto: “Ma quale meteora, Hindley è forte davvero”. Come hai fatto ad inquadrare questo ragazzo in così pochi mesi dal tuo arrivo in Bora-Hansgrohe? Cosa ti ha colpito?

Perché per fare dei risultati del genere non sei un corridore banale. Jai aveva già fatto secondo al Giro e non lo fai per caso. Ha avuto una regolarità incredibile non solo in questo Giro, ma in tutto l’inverno, tra gare e preparazione. Ha fatto anche quinto alla Tirreno e questo premia.

I ragazzi sono tutti “innamorati” di te e di come li fai correre all’attacco…

Ah, ah – ride Gasparotto – non lo so! Loro sono contenti e sono contento anche io.

Un Covi enorme si prende il Fedaia e salva la UAE

28.05.2022
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«Forse è davvero il Karma – dice Covi sorridendo – nel 2019 quassù ebbi una bella delusione. Stavo lottando per il podio al Giro d’Italia U23 e non essendo uno scalatore, sarebbe stato un bel risultato. Invece dovetti arrendermi ai colombiani che quel giorno si presero tutto (Einer Rubio vinse la tappa, Mauricio Ardila il Giro, ndr). Oggi ancora qui sul Passo Fedaia ho provato la più grande gioia sportiva da quando corro».

Gran mal di gambe

Questo è un giorno che Alessandro non dimenticherà tanto facilmente. Nella tappa in cui Jai Hindley ha buttato giù Carapaz dalla testa della corsa, il piemontese (nato a Borgomanero, anche se vive a Taino, in provincia di Varese) del UAE Team Emirates è partito in fuga al terzo chilometro del Pordoi e ha realizzato un’impresa che in certi momenti è parsa disperata.

Lo ha fatto con la sfrontatezza che lo ha sempre accompagnato e negli ultimi mesi si sta trasformando in grande concretezza. Non ha perso una pedalata. A volte ha fatto fatica a trovare il rapporto e ce ne spiegherà il motivo. Ma soprattutto è riuscito a gestire la fatica e il mal di gambe senza dare troppo peso al ritorno di Novak, che per qualche chilometro è parso sul punto di riprenderlo.

Ai meno 3 dall’arrivo, il mal di gambe ha fatto temere a Covi che arrivassero i crampi
Ai meno 3 dall’arrivo, il mal di gambe ha fatto temere a Covi che arrivassero i crampi

«Era fondamentale essere in fuga – racconta – e già stamattina avevo pensato che se fossi riuscito a prenderla, non avrei potuto aspettare l’ultima salita. Era importante scollinare per primo dal Pordoi, fosse stato anche con 10 secondi. Poi mi sarei buttato in discesa e sarei arrivato ai piedi del Fedaia con un po’ di vantaggio. Mi sarebbe bastato un minuto, ci sono arrivato con 2’30” e un gran mal di gambe».

Sul limite dei crampi

Il Fedaia picchia sodo. Il giorno è fresco, la gente è assiepata e arroccata su un’allegria da Giro d’Italia che sa di ritorno alla normalità. Grigliata e birre, tante bici. Il popolo del ciclismo è una tribù variopinta e fantastica.

Covi ha fatto la discesa dipingendo curve con tratti d’autore. Ha mangiato. Ha mandato giù borracce. Ma quando la pendenza ha iniziato a incattivirsi, il vantaggio ha iniziato a scendere e da dietro è partito Novak come una contraddizione. Se hai Landa che lotta per la generale, perché non lo aspetti come ha fatto Kamna per Hindley?

Il gruppo giù dal Pordoi, tirato blandamente dal Team Bahrain: come hanno corso?
Il gruppo giù dal Pordoi, tirato blandamente dal Team Bahrain: come hanno corso?

«Come l’ho gestita mentalmente? Pensavo solo al mal di gambe – dice Covi – e a dare quel che mi rimaneva e che potevo fino alla riga. Ero sul limite dei crampi. Quelli erano l’unica cosa che non doveva venire. Per questo cercavo di cambiare il rapporto per tenere il ritmo e anche se sembravo andare a vuoto, credo di essere riuscito a tenere un bel ritmo. Se fosse arrivato Novak, avrei preso fiato e l’avrei battuto allo sprint. Oggi volevo vincere».

Almeno 10 Giri davanti

E così vendetta è fatta. Avevamo parlato con Covi, Formolo e Ulissi per sapere come avrebbero reagito all’uscita di scena di Almeida, fermato dal Covid. Avevano promesso che sarebbero andati in fuga e oggi nell’azione che ha deciso la tappa c’era anche il Formolo sornione, che finché ha avuto forza, gli ha guardato le spalle.

«L’uscita di scena di Almeida – ripete – è stato un colpo durissimo. Spesso guardiamo solo alla corsa, ma il rapporto fra compagni si costruisce prima e la corsa è la parte minore. Con Almeida ho fatto un training camp in cui progettavamo di vincere il Giro oppure andare sul podio. Nei giorni in cui c’è stato, ognuno di noi ha lavorato per lui in base alle sue caratteristiche. Io non avrei mai potuto scortarlo in salita, ma lui ogni sera ci ringraziava. Quando è andato via gli ho detto: “Siamo giovani, abbiamo davanti almeno altri 10 Giri d’Italia. Ti tocca ancora tanta fatica!”. Il ciclismo sta cambiando pelle. Sono stato contento di vedere Hindley in maglia rosa, perché è un bravo ragazzo e in gruppo si comporta sempre bene».

Cappellino e ciuffo, Alessandro Covi ha portato allegria sul Giro
Cappellino e ciuffo, Alessandro Covi ha portato allegria sul Giro

Sfrontato come Pierino

Il sorriso ce l’ha stampato sul volto e col ciuffo che fuoriesce dal cappellino, ha l’espressione di un Pierino al settimo cielo, che oggi ha centrato il sogno di sempre.

Sulla salita che rese grande Pantani consegnandolo alla storia del Giro d’Italia, Alessandro Covi si è ripreso con gli interessi quel che due anni fa gli tolsero i colombiani. Nella UAE di Pogacar e delle altre star, stravedono per lui e lui oggi ha salvato il bilancio del Giro dello squadrone che non aveva ancora stretto nulla fra le mani.

I suoi 23 anni sono un ottimo biglietto da visita. Non è scalatore, ma va forte in salita: l’anno scorso è stato terzo sullo Zoncolan e oggi ha domato il Fedaia. Vince quando ci sono gli strappi. Non cerchiamo eredi di chi non c’è più o il pelo nell’uovo. Teniamoci stretti la sua leggerezza e speriamo che torni a brillare presto. Intanto godiamoci la sua vittoria come le tre degli altri italiani che finora hanno firmato tappe in questo Giro d’Italia.

Ponomar: il Giro, la guerra, la crescita. Savio racconta

28.05.2022
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Andrii Ponomar è l’unico under 20 del Giro d’Italia. Anche quest’anno, come lo scorso, è il più giovane al via. La sua corsa rosa sta vivendo alla giornata. Qualche fuga, molte giornate lunghe sulle montagne ma soprattutto tanta esperienza in più.

Gianni Savio, team manager della Drone Hopper-Androni, sta cercando di metterlo nelle condizioni migliori per tutelare la sua crescita. E quest’anno ancora di più vista la particolare situazione in cui è coinvolto il giovane ucraino.

La sua città è Chernihiv, circa 150 chilometri a Nord di Kiev, che con la sua strenua resistenza di fatto ha bloccato la presa di Kiev stessa. Ma proprio per questo motivo adesso è quasi del tutto rasa al suolo. «Se fosse caduta Kiev – ci aveva detto Popovich – sarebbe stata la fine per l’Ucraina».

Andrii Ponomar con Gianni Savio. L’ucraino compirà 20 anni a settembre
Andrii Ponomar con Gianni Savio. L’ucraino compirà 20 anni a settembre

La guerra in testa

E con Savio partiamo proprio da qui.

«E’ difficile giudicare Andrii – spiega il manager piemontese – visto il conflitto fra Ucraina e Russia che lo ha preso molto. Sta vivendo una situazione molto difficile da cittadino e da figlio. Figlio di un militare che sta combattendo nel Donbass».

«Prima di partire per l’Ungheria gli abbiamo parlato e gli abbiamo chiesto se aveva intenzione di fare il Giro. Visto il momento poteva anche dire di no e non ci sarebbero stati problemi. Ma lui ci ha risposto che voleva esserci. 

«Però lo vedo, tante volte quando gli parlo ha un’espressione triste, quasi assente… ed è assolutamente comprensibile».

Ottima posizione a crono per Ponomar, che è stato anche campione nazionale juniores nel 2019
Ottima posizione a crono per Ponomar, che è stato anche campione nazionale juniores nel 2019

Passo dopo passo

Lo scorso anno Ponomar era partito per il Giro con la “condizionale”. E questa martingala era: se superi un certo livello di stanchezza torni a casa. Lo staff medico e Savio stesso lo monitoravano costantemente.

«Da questo punto di vista, un punto di vista più tecnico, sicuramente è cresciuto – riprende Savio – Ma i segnali positivi c’erano stati già l’anno scorso».

«Gli dissi proprio: “noi vorremmo portarti al Giro, perché è vero che sei giovanissimo, ma dagli esami e dai test fatti hai dei valori notevoli e sei già formato fisicamente”. A differenza di Umba per esempio che era ancora un “bambino”. Io però gli dissi che se si fosse trovato solo appena in difficoltà e se la sera al controllo del medico emergeva che non aveva recuperato, si sarebbe dovuto fermare».

«E così io tutti i giorni gli chiedevo: Adrii, come stai? E lui: bene. Andrii, come va? E lui: bene, bene… A forza di bene è arrivato a Milano».

«Con tutto questo discorso dove voglio arrivare: Andrii ha davvero un grande motore, ma il motore da solo non basta, devono esserci le altre componenti che possono permettergli di esprimersi al massimo».

Quest’anno Ponomar è arrivato al Giro con più giorni di corsa rispetto al 2021. Un segnale di crescita e di buona gestione del team
Quest’anno Ponomar è arrivato al Giro con più giorni di corsa rispetto al 2021. Un segnale di crescita e di buona gestione del team

Quanta strada

E per altri componenti Savio intende soprattutto quelle mentali, che adesso come abbiamo visto non può avere. Quelle che ti fanno essere concentrato in tutto e per tutto sulla corsa e sulla vita da atleta. Tattica in gara, attenzione, alimentazione…

Il campione ucraino però è migliorato. Fare il Giro d’Italia con la maglia di campione nazionale è un orgoglio doppio. La mattina sul palco del foglio firma è sempre applaudito e anche se lui non lo dà a vedere, questa empatia gli fa pacere».

 

«Quest’anno – riprende Savio – il Giro d’Italia è durissimo. Siamo praticamente all’ultima tappa, la crono nel suo caso quasi non la considero, e sin qui ha sempre tenuto bene. E’ vero che lo abbiamo visto poco protagonista, ma questo dipende a mio avviso da un aspetto psicologico».

Andrii ha un ottimo recupero e questo fa ben sperare per il futuro
Andrii ha un ottimo recupero e questo fa ben sperare per il futuro

Più magro

Prima Savio ha parlato di “altre componenti” che servono ai fini della prestazione. E nel caso di Ponomar non si può non parlare del peso. Peso, che almeno per adesso, non è il punto forte dell’ucraino. Lui è un vero passista con cavalli a non finire. Lo scorso anno aveva ancora il “coscione da bambinone”, adesso comincia a sfinarsi.

«E’ più magro sì, ma diciamo la verità non era impossibile esserlo – scherza Savio – l’anno scorso si era presentato in condizioni non al limite, fuori limite! Quest’anno va meglio. Ma non è ancora in peso forma. Può e deve calare.

«Io glielo dico, Adrii, guarda i grandi corridori come sono magri e poi tira le tue conclusioni. Sono tutti tirati come una corda di violino. E lui in questo caso, resta un po’ così. E’ il momento in cui vedi che si oscura un po’. E allora sì, glielo faccio notare, perché è anche il mio ruolo, ma non insisto, specie in questo particolare momento. Non è adesso che devo fargli pressione».

Il futuro ciclistico di Ponomar è senza dubbio dalla sua parte, speriamo lo sia anche il resto e che una volta sistemato tutto, questo ragazzo possa aprire definitivamente le ali.

Aleotti è giusto tirare e basta? «Per ora sì. C’è un Giro in ballo»

28.05.2022
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Giovanni Aleotti fa parte della banda Bora-Hansgrohe “2.0”, quella cioè presa in mano da Enrico Gasparotto. Il corridore emiliano è stato il primo a scardinare il Giro d’Italia. Lo ha fatto con un’azione micidiale nella tappa di Torino (foto in apertura), quella che ha rivoluzionato la classifica.

Però la situazione in classifica di questo Giro d’Italia in qualche modo ha “rallentato” il ragazzo per quel che riguarda le ambizioni personali. Giovanni si è dedicato in tutto e per tutto alla causa della squadra. Una squadra che dopo Sagan, ha cambiato, e sta cambiando, i suoi connotati. Adesso si punta alle corse a tappe.

Giovanni Aleotti (classe 1999) è alla seconda stagione da pro’
Giovanni Aleotti (classe 1999) è alla seconda stagione da pro’
Giovanni, con Gasparotto correte in modo diverso: cosa è cambiato?

Si va più all’attacco. Abbiamo cercato di essere sempre protagonisti in questo Giro, sia con le fughe, sia con le azioni a sorpresa come nella tappa di Torino. Dobbiamo supportare al meglio Jay Hindley fino alla fine.

Sino ad oggi il momento chiave del Giro è passato dalle tue gambe. A Torino hai firmato la fiammata che ha fatto saltare il banco…

Eh – ride – ma non sono stato solo io! L’avevamo studiata. Ci avevamo pensato, sapevamo che era una tappa complicata e che poteva succedere qualcosa. Siamo entrati nel circuito davanti e abbiamo capito che si poteva fare selezione anche in discesa. Abbiamo fatto corsa dura. Anche Kelderman è stato fantastico nel giro finale.

Però la vera selezione l’hai fatta tu: hai fatto 10′-15′ a tantissimi watt…

Ho seguito le indicazioni dei miei compagni dietro. Quando mi hanno detto che il gruppo si era spaccato, ho insistito a tutta. E è andata bene.

Cosa ti ha detto Gasparotto di quella tua azione?

Era contento. E’ lui che l’ha pensata. E lui che ci ha motivato e che ci credeva più di tutti.

Il corridore di Mirandola (Mo) è stato secondo al Tour de l’Avenir nel 2019, quando indossò anche la maglia gialla
Il corridore di Mirandola (Mo) è stato secondo al Tour de l’Avenir nel 2019, quando indossò anche la maglia gialla
Quindi tu sapevi che dovevi entrare in azione esattamente in quel punto e in quel modo?

Non in quel modo, non pensavamo di fare in discesa il grosso della selezione, ma sullo strappo dopo la discesa. Ma è venuta così… e siamo tutti contenti. Quando mi sono spostato ero stanco morto, ma gli altri compagni sono stati bravi a portarla a termine.

C’è soddisfazione a svolgere questo ruolo, o magari, vedendo che inizia a passare un po’ di tempo, vorresti più spazio? Magari pensare alla maglia bianca, visto che hai fatto secondo all’Avenir…

Penso che sia presto. Ma soprattutto anche io non mi ritengo decisamente un corridore da corse a tappe, almeno per ora. Credo di dover maturare ancora fisicamente.

Dunque va bene…

Sì, non penso che capiti tutti i giorni di trovarsi a lottare per un Giro d’Italia e di essere protagonista della squadra che se lo sta giocando. Adesso siamo concentrati su questo obiettivo.

Aleotti in salita deve crescere ancora, ma su quelle brevi si è mostrato molto competitivo
Aleotti in salita deve crescere ancora, ma su quelle brevi si è mostrato molto competitivo
Cosa ti piace, ammesso che ti piaccia, di questo vostro nuovo modo di correre?

Sicuramente mi sento più responsabilizzato. E questo mi piace. Ma anche il dover essere sempre nel vivo della corsa è stimolante. Non subiamo la corsa, ma la facciamo. 

Qual’è il ruolo specifico?

Varia di giorno in giorno. Soprattutto in questa fase ci sono uomini che devo stare vicino a Jay sulle salite finali e altri che invece devono lavorare prima. Quando si fa la selezione e restano in dieci io ancora non ci sono, non ho quel ritmo.

Tu Giovanni vai forte in salita, ma in questo specifico momento e con il tuo ruolo, sei più uomo da “pianura” o da salita?

Dipende da che salita. Su quelle lunghe posso anche starci ma, come ho detto, non quando avviene la grossa selezione. Penso di dover crescere in salita, ma c’è tempo.

Ieri, per esempio verso Castelmonte qual è stato il tuo ruolo?

Essendo stato al Cycling Team Friuli conoscevo un po’ le strade fino al confine sloveno. E sono stato spesso davanti. L’ingresso di Tarcento era un po’ insidioso e lo stesso un paio di discese dopo. Quindi ho dato qualche consiglio. Sono stato davanti fino al Kolovrat.

Ieri Giovanni Aleotti ha lavorato nella prima metà di tappa, poi ha risparmiato energie in vista di oggi
Ieri Giovanni Aleotti ha lavorato nella prima metà di tappa, poi ha risparmiato energie in vista di oggi
Avete tirato molto, qual era la tattica della Bora Hansgrohe?

Jay stava bene e oggi (ieri, ndr) volevamo stanare gli altri. Però ci aspettavamo un po’ di controllo, un po’ di azione anche da altre squadre come la Bahrain Victorious, ma alla fine non si sono mossi e non aveva senso continuare a spremere la squadra visto che domani (oggi, ndr) c’è un’altra opportunità.

Hai parlato della tappa della Marmolada: vi sta bene arrivare alla crono così o l’idea è di mettere un po’ di margine su Carapaz?

E’ un tappa durissima, la salita finale la conosco anche: chi avrà le gambe ci proverà. Anche Carapaz. Credo che nessuno dei due si senta sicuro della posizione che ha e tutti e due proveranno a staccare l’altro.

Per adesso ancora va bene ammirare Aleotti in questa veste, ma presto vorremo vederlo con più spazio per se stesso. Il discorso del giovane che tira per farsi le ossa va bene, ma entro certi limiti. Il rischio è di fossilizzarsi su quel ruolo e di perdere attitudine con la vittoria. 

Ma giustamente c’è una maglia rosa in ballo e ogni forza in squadra va ben ponderata. E Gasparotto lo sa bene.

L’ultima curva manda in pezzi i progetti di Vendrame

27.05.2022
5 min
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Una curva. L’ultima maledetta curva ha mandato all’aria i piani di Andrea Vendrame. Eravamo quasi certi che oggi Andrea sarebbe andato in fuga. Un corridore come lui, lo abbiamo imparato a conoscere, vuol lasciare il segno. Quantomeno vuol provarci.

Ma come? Sarebbe stato lecito chiedersi: Vendrame, che è quasi un velocista, vincente in una tappa di 3.600 metri di dislivello e per di più con arrivo in salita? La risposta è sì. E non sarebbe la prima volta che conquista tappe dure, ricordiamoci dello scorso anno a Bagno di Romagna.

Prima del Santuario di Castelmonte, in questo Giro d’Italia, si era buttato in due volate di gruppo e in un paio di fughe. Ma il veneto è particolare. Un corridore che riflette e che pondera bene ogni mossa. Una volta ci ha detto: «Il ciclismo è 80% testa e il resto gambe».

Dopo le primissime interviste, Andrea si raccoglie nei suoi pensieri
Dopo le primissime interviste, Andrea si raccoglie nei suoi pensieri

Castelmonte nel mirino

A Budapest, la sera della presentazione delle squadre ci aveva detto che avrebbe cerchiato di rosso, anche con l’aiuto del suo mental coach, due o tre tappe. 

«E questa era una di quelle», ha ribadito il corridore dell’Ag2R-Citroen dopo l’arrivo.

Oggi voleva andare in fuga e ci è andato.

«Sul Kolovrat – dice Andrea – ho cercato di mantenere il mio passo, non volevo fare fuori giri. Sapevo che potevo rientrare in discesa, dove vado bene. La tappa non ero venuto a vederla, ma me l’ero studiata bene».

E rientrando sui quattro al triplo della velocità, ci ha anche provato. Ha tirato dritto, come impone il manuale del buon ciclista.

Sul Kolovrat e verso Castelmonte il trevigiano si è gestito magistralmente
Sul Kolovrat e verso Castelmonte il trevigiano si è gestito magistralmente

Ostacolo salite

La scalata finale però è di nuovo un ostacolo enorme per Vendrame. Lui è sicuramente il più veloce, ma altrettanto sicuramente è il meno scalatore. Per sua fortuna gli altri quattro erano sfiniti.

Durante la scalata gli occhi di Vendrame sono incollati sull’asfalto e in particolare sull’ultima ruota di turno da seguire.

«Nella mia testa – racconta Andrea ora con le mani nella testa e ancora tremolante dalla “botta” di adrenalina – c’era di arrivare in volata. Di nuovo salivo col mio passo. Sapevo e speravo si controllassero. Anche perché quella era l’unica speranza per arrivare in volata. Le gambe erano buone. Sono contento di averci provato».

Vendrame incredulo all’arrivo. Schmid lo ha buttato fuori strada (errore totale di traiettoria)
Vendrame incredulo all’arrivo. Schmid lo ha buttato fuori strada (errore totale di traiettoria)

La curva…

E alla fine ce la fa. Il suo progetto va (quasi) in porto. Supera Castelmonte. Agli 800 metri la salita è ormai un ricordo. La strada scende impercettibilmente in un punto. Dentro di lui aumenta la consapevolezza. E ancora prima che diminuisca la pendenza ha le mani basse. 

Adesso la distanza da quell’ultima ruota è ridotta all’osso. Non è più “defilato”. La curva a sinistra è forse anche più stretta che dei canonici novanta gradi.

«Sapevo – dice Vendrame – di essere il più veloce e sapevo che c’era questa curva. L’avevo visto anche stamattina prima del via su internet, con la squadra. Magari non pensavo così stretta».

«La mia idea era di prenderla all’esterno, in prima o seconda posizione per poter uscire più veloce. Quella per me era la traiettoria migliore per vincere. Ma purtroppo sono andati dritti e mi hanno costretto ad allargare (nella foto di apertura, ndr), come si è visto. Per me hanno giocato anche un po’ scorrettamente. Oggi tutti vogliono prenderle all’interno e… Cosa potevo fare se non frenare. Per fortuna che non c’erano le transenne, altrimenti ci saremmo fatti male». 

«Le volate a volte si vincono, a volte si perdono: è un jolly. Ed è andata così. Meglio un quinto posto che una caduta».

E i sogni infranti

Si frantumano a 70 metri dall’arrivo dunque i sogni di Vendrame. Sarà il suo percorso psicologico, sarà che magari Andrea è proprio così, ma cerca già di buttarsi alle spalle questo episodio. La delusione però suo volto c’è.

Tra l’altro non è la prima volta che vive una situazione simile. Già verso San Martino di Castrozza, al Giro del 2019, ruppe la catena nel finale quando stava per vincere.

«Una tappa persa al Giro fa male, però ci riproveremo. In qualche altro Giro o già al prossimo Tour de France, vedremo cosa deciderà la squadra».

Intanto, Antonello Orlando della Rai gli chiede se vuol andare al Processo alla Tappa. Andrea che era già pronto per scendere a valle con l’ormai immancabile fischietto per farsi spazio nel traffico, traduce la richiesta al suo addetto stampa, il quale gli dà l’okay.

Prima di partire, fa appena in tempo a prendere un sacchetto di caramelle gommose e a dirci: «Il Giro non è finito. Domani c’è un’altra tappa e si corre ancora in casa. Vediamo cosa si può fare».

Da Andorra, i consigli di Fabbro per la tappa di Castelmonte

27.05.2022
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Matteo Fabbro non è al Giro d’Italia a dar man forte a Hindley e compagni. Il friulano è in ritiro ad Andorra. Al Giro avrebbe voluto esserci. E avrebbe voluto esserci soprattutto oggi, nella frazione che arriva a Castelmonte. Ma vista la situazione già al Tour of the Alps ci aveva detto che non avrebbe avuto molto senso venire al Giro senza essere in forma.

«Ora – dice Fabbro – sono qui in altura. Rientrerò al Delfinato. Il Tour? Un’ipotesi più che un programma, per ora. Intanto pensiamo a rientrare in corsa al Delfinato, visto che la Grande Boucle quest’anno non è molto adatta alle mie caratteristiche, tra la partenza in Danimarca, il vento, la tappa in pavé. Le montagne ci sono, ma prima devi sopravvivere!

«L’idea normale è quella di fare la Vuelta».

Con Fabbro però andiamo alla scoperta della tappa numero 19 del Giro, la Marano Lagunare – Santuario di Castelmonte, frazione friulana (e un po’ slovena).

Matteo già ce ne aveva parlato questo inverno, ma adesso vogliamo ritornarci, per farci dare dare una sorta di “consigli” per entrare nei meandri tecnici della tappa e analizzarla con la classifica attuale.

Matteo Fabbro (classe 1995) dal ritiro in Andorra ci ha raccontato la tappa nel “suo” Friuli
Matteo Fabbro (classe 1995) dal ritiro in Andorra ci ha raccontato la tappa nel “suo” Friuli
Matteo, se fossi in Gasparotto, che consigli daresti ai tuoi ragazzi per affrontare questa tappa?

Bisognerebbe vedere come stanno. Sin qui hanno speso molto, vengono da tappe dure e li aspetta la Marmolada. Se avessimo avuto la maglia rosa avrei corso in difesa, altrimenti avrei cercato d’inventarmi qualcosa sul Kolovrat, che di certo resterà indigesto a qualcuno. E’ una salita micidiale.

Micidiale, addirittura?

Ha una pendenza media del 10%, ma bisogna considerare che in un tratto spiana un po’ e in un altro scende, quindi si significa che sei sempre sopra al 12% E chi ha la gamba lì va.

Che rapporti monteresti?

Un 36 davanti e un classico 11-30 al posteriore. Con quello vai dappertutto.

E che ruote sceglieresti: alte o a medio profilo?

Una ruota alta ti potrebbe agevolare nella prima parte che è piatta, quella a medio profilo ti potrebbe aiutare dopo, ma alla fine credo che opterei per una ruota da 50 milllimetri.

Per te questa frazione somiglia a quella di Torino? Lì c’erano molti saliscendi…

Da Villanova Grotte la strada diventa stretta e tortuosa e lo diventa già in salita, ma soprattutto dopo. Quindi potrebbero esserci degli attacchi in discesa. Ma dal Tanamea in poi non c’è più respiro. Da Caporetto inizia la salita più dura e poi ancora è tutto un vallonato. Nella prima parte di questo segmento vallonato è più discesa, poi per rientrare in Italia ci sono dei pezzi che salgono e scendono, in ogni caso bisogna pedalare. Difficile organizzare un inseguimento di squadra.

C’è spazio per attaccare dunque?

Sì, anche perché il tratto vallonato è nel bosco, è umido, è tortuoso. E se dovesse piovere sarebbe tutto più complicato.

Invece il finale?

Terminato questo tratto vallonato si arriva in pianura, ma saranno tre, quattro chilometri al massimo. Una svolta a sinistra e inizia la salita di Castelmonte. Però qui non è super necessario stare davanti. La salita infatti è larga. E’ una salita impegnativa, ma ben più pedalabile del Kolovrat.

Nibali ha detto che nella frazione di Torino, anche per come è stata corsa, era difficile persino alimentarsi. Sarà così anche verso Castelmonte?

Non credo. Perché tra una salita ed un altra ci sono dei tratti rettilinei. Sono brevi, però hai spazio per mandare giù un boccone. E poi per il Kolovrat dovresti esserti alimentato prima. Da quel punto in poi mandi giù un gel che è ben più pratico.

Tornando sempre alla frazione di Torino, lì la tua Bora-Hansgrohe ha stravolto il Giro, sarà ancora così? Gasparotto s’inventerà qualcosa?

“Gaspa” ha portato una ventata di aria nuova e credo che serviva. Abbiamo iniziato a correre più all’attacco invece che subire la corsa. E per ora ha dato i suoi frutti. Kamna quando sta bene ha carta bianca e in fuga sbaglia poche volte. Kelderman anche nel giorno dell’Aprica è stato sfortunato: ha avuto dei problemi meccanici, e Hindley è lì. Vedremo cosa s’inventerà (ride, ndr).

E quindi si potrebbe arrivare tutti insieme ai piedi del santuario di Castelmonte?

Mi aspetto due corse, quella per la tappa e quella per la classifica. La tappa è divisa in due parti nette: i primi 75-80 chilometri che sono totalmente piatti, e i secondi 100, da Tarcento in poi, in cui non c’è più respiro. Quindi gli uomini di classifica che decideranno di attaccare devono essere consapevoli che il giorno dopo c’è la Marmolada.

Distacchi, tattiche, percorso: cause della volata mancata

26.05.2022
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Qualche polemica se la porterà dietro la Borgo Valsugana – Treviso. Quella che sulla carta doveva essere l’ultima chance per i velocisti è sfumata. Ha visto arrivare la fuga. Niente volata dunque per Cavendish, Demare e tutti gli altri.

E una volata, dopo tante salite, il pubblico l’avrebbe vista volentieri. Sono sempre belle “fiammate di adrenalina”. Senza nulla togliere ai quattro ragazzi della fuga, sia chiaro.

Da quel che si è visto, e parlando con i protagonisti nel dopo tappa, emergono tre questioni: chi doveva tirare, un presunto errore del cronometraggio e la genesi dei percorsi. 

In questi casi è un po’ come nella politica. Si cerca di scaricare il barile sul prossimo. La realtà è che è regnato il caos in gruppo e che i quattro fuggitivi hanno giocato molto bene le loro carte. 

Gaviria (a destra) discute con Dainese. Il padovano, quinto, ha vinto la volata del gruppo
Gaviria (a destra) discute con Dainese. Il padovano, quinto, ha vinto la volata del gruppo

Esplode la discussione

Dopo l’arrivo i velocisti avevano il dente avvelenato. Gaviria discuteva animatamente con Dainese. Mentre tornavano ai bus gli chiedeva perché anche lui non avesse messo più uomini a tirare. 

I Cofidis, che dovevano fare la volata con Cimolai, si sono persi sotto la strappata di Ca’ del Poggio. Chi si poteva aspettare un aiuto dalla Alpecin Fenix per uno sprint di Van der Poel, chiaramente è rimasto deluso in quanto davanti c’era De Bondt, che poi ha vinto.

Insomma una situazione che sembrava scontata, con la fuga destinata a perdersi, all’improvviso non lo è stata più. E poi i quattro davanti, lo ripetiamo, oltre che forti sono stati furbi.

Prima delle colline di Valdobbiadene non avevano spinto a tutta. Loro rallentavano e il gruppo anche. Erano tenuti a tiro. Questo gli ha consentito di preservare le energie per fare l’imboscata proprio laddove i velocisti avrebbero sofferto di più e le loro squadre non avrebbero potuto spingere a fondo.

Cavendish deluso dopo l’arrivo di Treviso
Cavendish deluso dopo l’arrivo di Treviso

Distacchi giusti?

Così sono usciti dal tratto ondulato con un bel vantaggio. E anche qui la questione è aperta. C’è una querelle sulla questione dei distacchi. Una querelle che ha imposto la brusca accelerata costata cara a Lopez, ma che ha fatto saltare i progetti delle squadre dei velocisti: prima forte, poi piano, poi fortissimo. E qualcuno si è perso.

«In cinque chilometri – dice Bramati, diesse della Quick Step – Alpha Vinyl di Cavendish – siamo passati da un minuto e venti secondi a due minuti, due minuti e mezzo, tre minuti. Stavamo tenendo tutto sotto controllo, ma a quel punto abbiamo dovuto spingere al massimo e siamo andati a tutta dopo Ca’ del Poggio.

«Poi okay l’errore, ma servivano le gambe. E i fuggitivi sono stati fortissimi». 

Dsm, Quick Step e Groupama nelle prime posizioni a tirare per ricucire sulla fuga
Dsm, Quick Step e Groupama nelle prime posizioni a tirare per ricucire sulla fuga

Le tattiche dei team

«Ognuno – riprende Bramati – fa la sua corsa. Se mi aspettavo di vedere più uomini di altre squadre? Io ho messo a tirare tutti gli uomini che potevano. Che gli altri si prendano le loro responsabilità, io mi sono preso le mie.

«Di certo, avrei preferito prenderli. Avrei preferito vedere una vera volata. E che vincesse il migliore. Spiace perché era l’ultima chance». 

Scotson alle prese con i suoi guai meccanici su Ca’ del Poggio
Scotson alle prese con i suoi guai meccanici su Ca’ del Poggio

Parola a Guarnieri

Un piccolo disguido sul distacco c’è stato effettivamente.

«Dopo Ca’ del Poggio – ammette Jacopo Guarnieri, compagno di squadra di Demare – all’improvviso ci hanno detto che i quattro avevano 3’30”, però è durato poco. Dopo un po’ ci hanno detto che il distacco era di 2’30”. Per me il problema non è stato questo.

«Per quel che riguarda le squadre, chi tirava e chi no – riprende il corridore della Groupama Fdj – credo si sia visto alla tv che mi sono incavolato sul ritmo non proprio alto di Rui Costa. Sicuramente qualche squadra poteva tirare di più. Noi comunque abbiamo già vinto tre tappe e abbiamo la maglia ciclamino».

«In discesa abbiamo perso sia Sinkeldam, rimasto dietro quando si è spezzato il gruppo, che Scotson, per un problema meccanico. Del nostro treno quindi ero rimasto solo io. Abbiamo fatto tirare Konovalovas (come a dire che da solo non poteva fare più di tanto, ndr).

«In più Cavendish si è voluto conservare sia Ballerini che Van Lerbeghe. La UAE Emirates dava fiammate di tanto in tanto, così come i Cofidis».

«Sono scelte, non discuto sulle tattiche delle altre squadre, ma la caccia della fuga non poteva essere solo sulle nostre spalle. Abbiamo tirato, ma neanche potevamo portare tutto il gruppo in carrozza all’arrivo. Ripeto, sono scelte: se a qualcuno andava bene così… contenti loro. Di sicuro noi siamo contenti di quel che abbiamo fatto in questo Giro». 

Jacopo Guarnieri con il campione lituano e compagno di squadra, Ignatas Konovalovas
Jacopo Guarnieri con il campione lituano e compagno di squadra, Ignatas Konovalovas

Percorsi e velocisti

Ma prima di chiudere Jacopo Guarnieri, fa una disamina interessante: «Semmai la vera critica riguarda il percorso. Ci si lamenta che i velocisti vanno a casa durante il Giro. Che lo lasciano dopo dieci giorni o poco più. Però oggi, l’unica volata della settimana, era complicata da guadagnare».

«Con il muro di Ca’ del Poggio non potevamo permetterci di essere troppo vicini alla fuga perché non volevamo farci attaccare da altri. E il circuito era pericoloso e con tante curve. Si poteva fare di meglio… se davvero si voleva una frazione per velocisti. La volata non è arrivata… chapeau alla fuga».

Almeida, che peccato. La Colnago TT1 era pronta per Verona…

26.05.2022
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Doveva essere la bici con cui Almeida avrebbe ribaltato il verdetto delle montagne. Invece rimarrà sul camion del UAE Team Emirates. Oggi il portoghese ha annunciato il ritiro per la meno attesa positività al Covid. E la sua Colnago TT1 è tornata sul camion dei meccanici. Una vera arma contro le lancette, sviluppata con la collaborazione di tanti protagonisti: Colnago, Campagnolo e il Politecnico di Milano, università meneghina che è sempre di più un riferimento per il ciclismo dei pro’. Peccato…

La TT1 sembra nascondersi dietro la forcella
La TT1 sembra nascondersi dietro la forcella

La Colnago più costosa di sempre

«E’ difficile quantificare il costo di un progetto come la nostra TT1 – dice Manolo Bertocchi di Colnago – perché i processi di ricerca e sviluppo per un progetto come questo sono diversi, complicati e vedono tante forze in gioco. Fondamentale è stato anche l’apporto di Campagnolo. Alcuni corridori del Team UAE hanno iniziato a lavorare sulla bicicletta prima della fine del 2021 e anche nell’inverno il lavoro di sviluppo è stato intenso. Uno dei più attivi nello sviluppo è stato Mikel Bjerg. Oltre che essere un cronoman, è anche ingegnere».

La sensazione è che la TT1 è parte di un processo di innovazione dell’azienda, dove abbiamo visto la C68 e proprio la nuova bicicletta dedicata alle cronometro. Ci saranno altre novità in futuro? Siamo convinti che questo è solo l’inizio.

I test al Politecnico di Milano
I test al Politecnico di Milano

La TT1 di Almeida sotto la lente

Tutta in carbonio e con i freni a disco. Si parte dall’anteriore con una forcella con i foderi larghissimi, ma piatti nella sezione frontale. Rispetto alle bici da crono “tradizionali” ha il passaggio ruota più ampio, fattore che permette il passaggio di pneumatici panciuti: ci stanno comodi anche i tubeless da 28.

Noi l’abbiamo fotografata con una Bora Ultra WTO da 80 millimetri. Il manubrio full carbon è integrato e sviluppato in parallelo con la bicicletta. E’ alare con i due le due “corna arrotondate. Qui sono montate le leve dei freni e due “nuove scatolette” che sono i pulsanti aggiuntivi della trasmissione Campagnolo. E poi, osservando la bici frontalmente, la stessa sembra nascondersi dietro la forcella e il manubrio; la sezione centrale e il carro spariscono.

Le protesi con i terminali curvati

In questo caso le protesi non sono brandizzate, sono rialzate con le “torri” e gli appoggi dei gomiti sono paralleli proprio alle torri. Ci sono degli inserti CPC di Prologo, anche questi di nuova concezione.

Le prolunghe si “snodano” verso l’alto, sono in carbonio e hanno un volume maggiore verso la fine. Qui ci sono gli altri pulsanti della trasmissione.

Doppio profilato orizzontale

C’è la tubazione orizzontale con un ampio fazzoletto di rinforzo nella zona dello sterzo e che si collega all’obliquo. La vera particolarità è quella sorta di orizzontale aggiuntivo nella sezione mediana del telaio. Qui è integrata anche la borraccia, costruita con la tecnologia 3D e che è perfettamente integrata nel progetto. Dentro questa zona, sopra la scatola del movimento centrale è inserita la centralina della trasmissione SuperRecord.

Le calotte esterne del movimento centrale
Le calotte esterne del movimento centrale

I foderi obliqui non si innestano nel piantone, ma sono corti e uniscono i forcellini all’orizzontale aggiunto. Questa soluzione inoltre, permette di contenere l’affetto clessidra del carro, che si allarga solo per contenere il perno passante della ruota. C’è la pinna sopra la ruota, nei pressi di un nodo sella che segue la tangente obliqua.

Il seat-post è specifico e permette uno scarrellamento abbondante in senso orizzontale. La sella è la Prologo Dimension Tri CPC.

Il movimento centrale con le calotte esterne

La scatola del movimento centrale è stretta, se consideriamo i canoni più moderni, arrotondata e con le calotte esterne.

Power Meter SRM e due corone, la più grande da 56 denti, quella interna da 44, questa la configurazione che avrebbe utilizzato Almeida nella crono di Verona. Le pedivelle sono le classiche Campagnolo in carbonio, da 172,5 millimetri. Ci sono i pedali Look Blade Ceramic con molla di tensione da 20Nm. E ancora, la ruota posteriore lenticolare, nuova anche questa e tubeless (gommata Pirelli), un altro prodotto della generazione WTO Bora Ultra.

Per vedere la stessa bici lottare ai vertici di un grande Giro, ci sarà da aspettare il Tour. Per Pogacar ne hanno prodotta una identica…