Gavazzi, quasi 38 e nessuna voglia di smettere

26.07.2022
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A quasi 38 anni Francesco Gavazzi è uno dei “grandi vecchi” del ciclismo nostrano. Nell’ambiente circolano voci che lo vorrebbero pronto ad appendere la bici al chiodo, ma ce lo vedete il valtellinese chiudere la sua carriera così, quasi di soppiatto? Soprattutto ora che ha trovato un ruolo che lo diverte e gli ha restituito la passione? Già, il segreto è tutto lì e Gavazzi non ha alcuna intenzione di mollare.

Approdato alla Eolo Kometa nella scorsa stagione, il lombardo che compirà 38 anni il 1° agosto vuole proseguire un altro anno almeno, continuando in quel ruolo di “chioccia” per i più giovani che ha caratterizzato la prima parte di stagione.

«Io nel complesso – dice – sono soddisfatto di come sono andate le cose. Finora ho corso tanto, ben 59 giorni, ma mi sono trovato subito bene nel team e soprattutto ho trovato nel ruolo di regista in corsa la mia giusta collocazione, che mi ha dato una forte spinta a continuare».

Gavazzi Eolo 2022
Il lombardo attorniato dai compagni: il suo ruolo di regista in corsa è tangibile
Gavazzi Eolo 2022
Il lombardo attorniato dai compagni: il suo ruolo di regista in corsa è tangibile
Ti pesa il fatto di essere entrato nei primi 10 solo in una tappa al Giro di Turchia?

Non particolarmente, anche se certamente avrei voluto qualcosa di più dal Giro d’Italia. Mi sarebbe servita una condizione più brillante di quella che effettivamente avevo. Non sempre si ha quel che si vuole, io comunque ho anche provato a entrare in qualche fuga ma senza fortuna, d’altronde non è stato un Giro nel quale c’erano molte occasioni per centrare la fuga giusta, serviva anche tanta fortuna. Il mio ruolo principale era comunque sostenere Albanese e Fortunato, i nostri uomini di punta.

Parliamo allora dei tuoi compagni iniziando da Albanese…

E’ andato davvero forte in questa prima parte di stagione, anche all’italiano è mancato pochissimo che centrasse la fuga e poi se la sarebbe giocata per il titolo. L’unico problema di Vincenzo è che gli manca la vittoria che lo sbloccherebbe anche mentalmente. E’ giovane, ancora molto giovane anche se ormai ha messo da parte qualche anno di esperienze, io dico che uno così veloce come lui che tiene bene anche in salita non può non vincere.

Albanese terzo a Jesi alle spalle di Girmay e Van der Poel, eccolo dietro in pieno sprint
Albanese terzo a Jesi alle spalle di Girmay e Van der Poel, eccolo dietro in pieno sprint
Pensi sia solo questione di testa?

Più che altro di fortuna. In Slovenia ad esempio, è sempre stato nei primi 10, ma lì Pogacar faceva il bello e il cattivo tempo. Alla Vuelta Asturias è andato fortissimo nell’ultima tappa, peccato che Simon Yates avesse centrato la fuga. Serve solo l’occasione giusta, ma io dico che è questione di tempo se mantiene una forma simile. Basta una vittoria, poi sarà un altro corridore…

Veniamo a Fortunato, tutti lo attendevano al varco al Giro…

Io ho vissuto la sua avventura passo dopo passo e posso dire che non è andato male. Bisogna guardare l’andamento del suo Giro togliendosi dalla mente quel che aveva fatto lo scorso anno. Stavolta correva per la classifica e aveva gli occhi degli avversari puntati addosso e meno spazio a disposizione, eppure è stato comunque protagonista. Lorenzo è giovane, sta maturando e acquisendo consapevolezza del suo valore e delle sue possibilità. Ad Aprica era andato veramente forte, ma non era la giornata ideale per cogliere l’obiettivo. Diamogli tempo.

Per Gavazzi il Giro di Fortunato non è stato poi negativo: deve prendere confidenza con il nuovo ruolo
Per Gavazzi il Giro di Fortunato non è stato poi negativo: deve prendere confidenza con il nuovo ruolo
Proprio il tempo è un argomento centrale nel ciclismo attuale, oggi tutti cercano il talento precoce. Tu, in base alla tua esperienza, pensi sia giusto o sbagliato?

Non c’è una risposta netta. Io penso a 10 anni fa e ai corridori che passavano allora. Quelli di oggi, anche i ragazzi che arrivano direttamente dagli juniores sono più strutturati e pronti, di un livello più alto, anche più evoluti dei coetanei di allora. Il problema vero è a livello mentale, perché il mondo dei professionisti è tutt’altra cosa. Farli passare presto può anche andar bene, ma poi vanno saputi gestire, per non stressarli troppo e dargli il tempo di imparare.

Che cosa farà Gavazzi ora?

Continuerà ad allenarsi per farsi trovare pronto per fine agosto, quando avremo in programma una trasferta in Slovacchia e poi tutte le corse del calendario italiano. Io vorrei continuare anche perché il progetto della squadra mi piace e mi coinvolge. Il fisico e la testa ci sono, almeno un altro anno posso tirare avanti per aiutare il team dal di dentro.

Gavazzi giro 2022
Gavazzi ha provato qualche fuga nelle fasi iniziali delle tappe del Giro, ma senza troppa fortuna
Gavazzi giro 2022
Gavazzi ha provato qualche fuga nelle fasi iniziali delle tappe del Giro, ma senza troppa fortuna
Come giudichi nel complesso questa stagione del team?

Forse sono mancate un po’ di vittorie, ma la crescita è evidente e il progetto, come ampiamente sottolineato da Basso e Contador, non va visto relativamente al singolo anno, ma in prospettiva. E’ chiaro che un successo cambia il modo di vedere le cose, ma tutto sta funzionando e soprattutto la struttura è davvero solida, un esempio.

Proviamo ad andare in là con la mente: che cosa vorresti allora dai prossimi mesi, tra la fine del 2022 e la prossima stagione?

Non ho grosse aspettative, voglio far bene con il team e aiutare gli altri perché ogni vittoria di squadra sarà anche la mia vittoria. Certo, poi se riuscissi a centrare un successo di tappa al Giro d’Italia 2023 sarebbe davvero la ciliegina sulla torta…

Ritorno in Valtellina per altre quattro conquiste

30.06.2022
8 min
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Il viaggio in Valtellina prosegue e nostra guida d’eccezione è ancora Francesco Gavazzi, corridore di casa, maglia della Eolo-Kometa che a quest’area geografica è legata con corda doppia.

Nell’articolo precedente, ci siamo occupati di quattro salite importanti della Valtellina come Campo Moro, Passo San Marco, Passo dello Spluga e Mortirolo. Sia queste sia le prossime sono al centro di Enjoy Stelvio Valtellina 2022, un’operazione che in giorni prestabiliti prevede la chiusura dei passi al traffico, per lasciare via libera ai ciclisti. Perciò, dopo aver annotato che per ragioni di causa maggiore la chiusura dello Spluga per il 3 luglio è stata cancellata, oggi allarghiamo l’azione e ci occupiamo della scalata dei Laghi di Cancano, dello Stelvio, di Bormio 2000 e del Gavia.

Gavazzi, che in questi giorni è a riposo dopo il campionato italiano e tornerà in gruppo alla fine dell’estate, si rimbocca le maniche e inizia il racconto.

Dopo il Giro d’Italia e quello di Slovenia, Gavazzi ha corso l’italiano
Dopo il Giro d’Italia e quello di Slovenia, Gavazzi ha corso l’italiano

Laghi di Cancano

La salita parte a 1.341 metri sul mare e arriva a 1907. Sono 8,2 chilometri con dislivello di 566 metri e pendenza media del 6,9 per cento. Il ciclismo la scoprì prima con il Giro Donne e successivamente, nel 2020, con il Giro dei professionisti che si corse in ottobre. Tappa dello Stelvio, vittoria di Hindley su Geoghegan Hart e maglia rosa ancora al compagno Ackermann.

«Adesso è diventata famosa – sorride Gavazzi, che in Valtellina ci vive – mentre prima non la conosceva nessuno. E’ la meta classica di chi è a Livigno, ma anche a Bormio. Si può prendere da diversi punti, ma alla fine si ricongiungono tutti. Il bello è che vedi sempre le Torri di Fraele e per questo lo scenario è uno dei più belli. Fra le novità degli ultimi anni, che rendono questa strada ancora più gettonata, c’è la possibilità di arrivare in cima. Adesso si possono fare quei 2-3 chilometri lungo il lago con la strada risistemata e c’è anche il bar.

«Mi piace molto andare lassù. E’ impegnativa, ma te la godi. La strada è stretta ed è bello. La salita larga passa di meno, se penso ai drittoni dell’Alpe di Pampeago, mi viene male. La salita con tanti tornanti come Cancano ti offre più riferimenti e permette di prendere meglio il ritmo».

SOLO PER LE BICI

I Laghi di Cancano saranno dedicati alle bici il 23 luglio e il 2 settembre (ore 8,30-12,30 da Fior d’Alpe).

Lo Stelvio

Sua maestà lo Stelvio. Quota 2.758, il valico stradale più alto d’Europa. Finché i cugini francesi, convinti che la vita sia un fatto di misure, decisero di batterlo, costruendo una strada inutile in cima alla Bonette, che permise di salire fino a quota 2.802. In barba all’ambiente, all’ecologia e al buon senso.

Lo Stelvio ha tre versanti. Quello della Valtellina (da Bormio), quello iconico di Prato allo Stelvio e quello Svizzero, l’Umbrail, che si prende da Santa Maria e in passato era la… palestra dei test per Armstrong. Il versante di Bormio è quello che ha le gallerie in basso, i 30 tornanti e la celebre Cantoniera. Pendenza media del 7,6 per cento (massima 14), 21,5 interminabili chilometri e dislivello di 1.533 metri.

«Lo Stelvio – sorride Gavazzi – è lo Stelvio a prescindere dai versanti. Probabilmente quello di Prato è il più storico, ma da Bormio è più battuto dai corridori, è lunghissimo e devi prenderlo con una certa filosofia. Quando arrivi sopra i 2.000 metri, senti la mancanza di ossigeno. Negli ultimi 5-6 chilometri senti che sei limitato e non è una bella sensazione».

Sullo Stelvio, l’assenza di ossigeno si fa tangibile dopo la Cantoniera: non si arriva mai (foto Parco Nazionale dello Stelvio)
Sullo Stelvio, l’assenza di ossigeno si fa tangibile dopo la Cantoniera: non si arriva mai (foto Parco Nazionale dello Stelvio)

L’aria che manca

E’ una salita che ha fatto la storia del ciclismo, lanciando campioni verso la gloria e respingendone malamente altri. E l’alta quota è il fattore spesso discriminante, forse più delle pendenze.

«I corridori ne soffrono anche di più – spiega Gavazzi – perché siamo costretti ad andare forte, non puoi metterti di passo ad aspettare che finisca. Quando arrivi all’ultima Cantoniera, hai ancora un quarto d’ora di gara e ti sembra di non arrivare

«Ho fatto tanti ritiri pedalandoci sopra – prosegue – e il consiglio è di andare sempre tranquilli. E’ la salita che tutti vogliono fare. Fra giugno, luglio e agosto a qualunque ora incontri ciclisti anche non allenatissimi. Non è il Mortirolo che ti respinge con le pendenze: se anche non sei al top, ti metti con la santa pazienza e lo fai. Nei nostri giri, una delle distanze classiche è Livigno, Forcola, Stelvio, Bormio, Foscagno, Livigno. Vengono fuori 6 ore. In certi allenamenti puoi anche fare qualche lavoro, ma è allenante anche solo farlo in bici. Sono gli allenamenti migliori, quelli che preferisco. Meglio ancora se in compagnia».

SOLO PER LE BICI

Lo Stelvio sarà chiuso per Enjoy Stelvio Valtellina nei tre versanti sabato 3 settembre per la manifestazione Scalata Cima Coppi, 20ª edizione (8-16 da Bagni Vecchi, Trafoi, Santa Maria Val Mustair).

Lo Stelvio da Bormio ha 30 tornanti. Pendenza massima del 14 per cento (foto Parco Nazionale dello Stelvio)
Lo Stelvio da Bormio ha 30 tornanti. Pendenza massima del 14 per cento (foto Parco Nazionale dello Stelvio)

Bormio 2000

A Bormio 2000, Simoni urlò così forte che i suoi insulti all’indirizzo di Cunego coprirono persino la voce dello speaker. Era il Giro del 2004 e la corsa arrivò lassù, con vittoria del veronese in maglia rosa. Da allora non ci sono più stati arrivi, in cima a questa salita della Valtellina che parte dalla cittadina delle terme e in 9,8 chilometri arriva a quota 1.938 con una pendenza media del 7,5 per cento e tratti al 9.

«Non è lunga né impossibile – spiega Gavazzi – perché sono una decina di chilometri regolari. Ha tanti tornanti non stretti e arrivi dove iniziano le piste da sci. In cima c’è un cannone sparaneve utilizzato come fontana, una sorta di monumento agli sport invernali. E’ la salita ideale per fare i lavori, tanto che fra luglio e agosto vedi passare un sacco di pro’. La strada è bella, la pendenza regolare. Oltre ai lavori ci si fanno bene anche i test».

SOLO PER LE BICI

Bormio 2000 sarà riservata alle bici sabato 23 luglio (14-16,30 da località Eira).

Passo Gavia

Il Gavia è uno dei giganti della Valtellina su cui si è scritta la storia del ciclismo. Una volta, fino al 1995, non era nemmeno asfaltato del tutto e quella stradina era terreno di sfide mitiche. Il versante di Bormio misura 25,6 chilometri, che diventano 14 se si parte da Santa Caterina Valfurva. La quota di arrivo è di 2.621 metri, la pendenza media è del 5,5 per cento, ma non mancano i tratti a doppia cifra.

«Penso che con lo Stelvio e il Mortirolo – prosegue Gavazzi – il Gavia sia tra le salite più belle e storiche del ciclismo. A essere sincero, il versante di Bormio non l’ho mai fatto in corsa, si fa sempre da Ponte di Legno che è più dura e più lunga. Invece dalla parte di Bormio sono sempre sceso, mentre lo faccio spesso in allenamento. Soprattutto quando sono a Livigno o sullo Stelvio. E’ un po’ particolare, perché comunque tutti lo considerano da Santa Caterina Valfurva, ma arrivarci da Bormio è già una bella salita. Se però lo consideriamo da Santa Caterina, allora non è lungo, perché si parte già da 1.800 metri di altezza».

Sulla cima del Gavia, i laghetti e la neve compongono uno scenario da favola (foto Parco Nazionale dello Stelvio)
Sulla cima del Gavia, i laghetti e la neve compongono uno scenario da favola (foto Parco Nazionale dello Stelvio)

Fra cielo e terra

Sulla cima ci sono laghetti e un rifugio, che negli ultimi tempi è preso d’assalto da cicloturisti con pedalata assistita. Un’osservazione che ai puristi può far storcere il naso, ma che ha fatto esplodere il marketing del cicloturismo.

«E’ una salita dura e non costante – prosegue Gavazzi – una rampa poi spiana, una rampa dura e poi molla. Però è bella, perché sei in mezzo alle montagne. C’è poca vegetazione essendo in alto, quindi vedi tutte le vette che ti circondano. C’è il ghiacciaio che vedi sulla sinistra e poi il finale, la parte più facile, dove ci sono anche un paio di laghetti. E’ una bella salita proprio da godere, anche per i cicloamatori».

Il Giro d’Italia scala più spesso il Gavia dal versante bresciano, per scendere su Bormio e la Valtellina (foto Parco Nazionale dello Stelvio)
Il Giro d’Italia scala più spesso il Gavia dal versante bresciano, per scendere su Bormio e la Valtellina (foto Parco Nazionale dello Stelvio)

«E’ dura, ma non impossibile. Non è lunghissima – conclude Gavazzi – quindi alla fine tra tutte forse è quella dove ti puoi divertire un po’ di più. Se vuoi forzare, puoi farlo. Se vuoi andare con un bel passo, puoi farlo. E’ un’altra salita su cui trovi tantissimi appassionati che salgono. E in cima la sosta al Rifugio Bonetta è una tappa di rito, con la classica Coca e crostata, Coca e panino».

SOLO PER LE BICI

Il Gavia sarà riservato alle bici domenica 24 luglio (8,30-12,30 da Santa Caterina Valfurva e Sant’Apollonia), domenica 4 settembre agli stessi orari e dagli stessi punti.

Valtellina, i primi quattro giganti a ruota di Gavazzi

15.06.2022
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Quando fai il ciclista professionista e nasci in Valtellina, probabilmente non potresti accettare di pedalare sotto un cielo diverso. Si ha questa sensazione parlando con Francesco Gavazzi, pro’ dal 2007 e oggi alla Eolo-Kometa. Così dopo aver descritto Enjoy Stelvio Valtellina, con il corridore di Morbegno iniziamo un’ideale lunga… uscita sulle salite più rappresentative del progetto. Come abbiamo già raccontato, in alcuni giorni dell’estate, esse saranno chiuse, lasciando strada aperta alle bici…

«Sono belle strade – dice – con meno traffico rispetto a Bergamo e Como. Riesci ad allenarti bene e in sicurezza. Ci sono salite storiche che è un piacere fare e il cicloturismo sta letteralmente esplodendo. Non abbiamo soltanto salite. Infatti, parallele alla statale, ci sono stradine secondarie in pianura, per cui ci sono percorsi per tutti».

Gavazzi è in Slovenia per la prima tappa della corsa che rivedrà in gruppo Tadej Pogacar. Con lui buona parte del team che ha corso il Giro: Fortunato e Albanese, Rosa, Ravasi e il giovane Fancellu uscito bene dalla Adriatica Ionica Race.

Francesco Gavazzi è nato nel 1984 ed è professionista dal 2007
Francesco Gavazzi è nato nel 1984 ed è professionista dal 2007

Campo Moro, occhi e cuore

Cominciamo da qui, il Passo Campo Moro, affrontato pochi giorni fa dal Giro U23. La salita vera e propria inizia da Lanzada e da lì si sale per 15,1 chilometri. Quota di partenza 977 metri, arrivo a 1.990, per un dislivello di 1.013 metri e pendenza media del 6,7 per cento (massima del 7,8). 

«In realtà la salita inizia prima di Lanzada – dice Gavazzi – perché per il primo tratto si risale la Valmalenco che è pedalabile. Non è una salita che faccio spesso, ma per i suoi scenari è una di quelle che più ti resta dentro. Ci starebbe davvero bene un arrivo del Giro.

«A Lanzada si comincia a salire veramente e in alto si trova una serie di gallerie, poi un laghetto e uno scenario davvero bellissimo. Mi è capitata di rifarla qualche mese fa, dopo un bel pezzo che non andavo, e sono arrivato in cima dicendomi che avevo fatto bene ad andare.

«In alto c’è un piazzale, ai piedi della diga che chiude la valle, punto di ritrovo per gli escursionisti che lasciano l’auto e iniziano a camminare. La strada finisce lì – chiude Gavazzi – probabilmente ci sono sentieri adatti per la mountain bike, ma la bici da corsa si ferma a quel piazzale. Non c’è niente, solo una fantastica natura».

SOLO PER LE BICI

La salita di Campo Moro è stata già chiusa in favore delle bici il primo giugno e lo sarà ancora il 6 luglio (ore 8-12) e il 7 settembre (stesso orario).

La strada che arriva a Campo Moro finisce ai piedi della diga: panorama bellissimo (foto Valtellina Turismo)
La strada che arriva a Campo Moro finisce ai piedi della diga: panorama bellissimo (foto Valtellina Turismo)

Passo Spluga, tornanti in serie

Il Passo dello Spluga è lungo 30,1 chilometri, parte da quota 329 metri e arriva a 2.114 per un dislivello di 1.795 metri e pendenza media del 7,95 per cento (massima del 10,7).

Sullo Spluga, dal versante svizzero, il Giro passò lo scorso anno nella 20ª tappa. La salita su cui Caruso ringraziò Pello Bilbao per il gran lavoro e poi prese il largo verso la vittoria all’Alpe Motta. Il versante italiano fu invece proposto dal Giro d’Italia U23 del 2020, quando i corridori arrivarono a Monte Spluga, un paio di chilometri prima dello scollinamento, con vittoria di Pidcock.

«Il versante italiano – spiega Gavazzi – è lunghissimo. Il vero Spluga inizia da Campodolcino. Di recente è stata costruita una variante con meno curve, ma la salita classica ha tanti tornantini in pochi chilometri. Una salita che ti permette di goderti il panorama. Non ha tratti impossibili, ma passi lungo il lago, poi il paesino con le case di pietra. Dalla Svizzera è più breve perché inizia a 1.200 metri. Però quando arrivi al laghetto, con tutte le montagne attorno, sembra davvero di essere in un quadro».

SOLO PER LE BICI

Il Passo Spluga doveva essere riservato alle bici il prossimo 3 luglio, ma la manifestazione è stata annullata per cause di forza maggiore, lo sarà di nuovo il 4 settembre (ore 8-12).

Passo San Marco, la strada di casa

Il Passo San Marco parte proprio da Morbegno a quota 250 metri, è lungo 26,6 chilometri e scollina a 1.992 metri, per un dislivello di 1.742 metri. Pendenza media del 6,5 per cento, massima del 12.

«Il San Marco è la mia salita – Gavazzi si gasa – vivo praticamente ai suoi piedi, anche se sono originario di Talamona, e ne faccio un po’ ogni giorno.  E’ lunghissima e il Giro la fece una decina di anni fa, in una tappa che poi passava in provincia di Bergamo. E’ una salita vera. Inizialmente va su regolare, poi si stringe e per 3 chilometri va su al 10-12 per cento, poi si stabilizza. Io impiego un’ora 15′, per cui un amatore ci sta anche un’ora e mezza.

«La sua caratteristica è che quando arrivi ai 3 chilometri dalla cima, succede come sullo Stelvio: vedi la cima e non arrivi mai. Un calvario, per fortuna almeno è riparata dal vento. Da noi in bassa valle è la salita più importante, quella della conquista. E’ un po’ un vanto. E se sei forte e vuoi allungare, allora puoi fare il giro largo, scendendo verso Bergamo, poi Lecco e su lungo il lago».

SOLO PER LE BICI

Il Passo San Marco, la salita di casa di Gavazzi, sarà chiusa al traffico sabato prossimo (18 giugno, ore 8-11,30), quindi allo stesso orario il 17 settembre.

Mortirolo, inferno o paradiso?

Il Mortirolo , quota 1.852 metri sul livello del mare, l’abbiamo tenuto per ultimo, giusto per ingolosire gli amanti delle salite. Ha più versanti, ognuno fatto a modo suo e scopriremo a breve che i corridori stanno alla larga in allenamento dai più duri, che sono invece… costretti a fare in corsa.

I fronti più pedalati sono quello di Mazzo, poi Tovo, Monno, Grosio e la Dritta Contador. Altri versanti vengono scoperti periodicamente, poiché la base del valico è immersa fra vigneti e frutteti, solcati da stradine che confluiscono nei rami principali.

«Per fortuna – sorride Gavazzi, come avendo schivato un pericolo – da casa mia sono 70-80 chilometri, per cui è fuori portata. Però quando sei in ritiro a Livigno, finisci con lo scalarlo spesso, ma il versante di Mazzo l’ho fatto solo in corsa. Di solito vado da Grosio, che almeno non è impossibile. Non è che da Mazzo non ti alleni, però è troppo duro. E poi rispetto alle altre salite della zona, non hai grossi panorami intorno, perché è tutto nel bosco. Lo fai perché è storico, ma immagina di pedalare con questa rampa tipo garage davanti agli occhi».

Per conquista e per orgoglio

Qui viene fuori la differenza fra chi la sfida se la cerca per dimostrare qualcosa, a se stesso o agli altri, e chi va in bici per mestiere e da certe… provocazioni può stare alla larga.

«E’ sicuramente così – ammette Gavazzi – per fare il Mortirolo bisogna essere bene allenati, motivati e avere i giusti rapporti. Sulla bici che ho a casa, ho il 39×25 e il 27 su un’altra ruota. Così sono al limite, un amatore deve usare il 36 o il 34 davanti. E’ lungo, non si fa velocità. Ci sono ciclisti come puntini a pochi metri uno dall’altro, ma quei pochi metri sono secondi e anche minuti.

«Il versante di Grosio è il più battuto. E’ una salita vera, vedi la valle, passi un paesino con la chiesetta. Anche noi cerchiamo salite nuove, ma è vero che per il tipo di lavori che dobbiamo fare, non abbiamo mai il tempo di guardarti intorno. E quando capita, perché magari stai facendo una distanza senza lavori specifici, è una sorpresa. Vedi cose che non pensavi ci fossero e capisci anche i cicloturisti che salgono lassù sgranando gli occhi. Il Mortirolo lo fai perché vuoi andarci in cima. Per avere la foto col cartello o per vedere il monumento a Pantani. E’ un pellegrinaggio da eroi, pedali e non vedi l’ora di arrivare in cima».

SOLO PER LE BICI

Il Mortirolo, meta super ambita, sarà chiuso per 2 ore il 24 luglio con formula “Only for the bravest”, solo per i più coraggiosi, dalle 14 alle 16,30. Poi di nuovo il primo settembre, dalle 8,30 alle 12,30.

Il ciclismo è esploso, anche sul Mortirolo si vedono sempre più famiglie (foto Parco Nazionale dello Stelvio)
Il ciclismo è esploso, anche sul Mortirolo si vedono sempre più famiglie (foto Parco Nazionale dello Stelvio)

E’ l’amore/odio fra il ciclista e la salita, il ciclista e la sua stessa bici. Quando la fatica è tanta, il primo istinto è di appenderla al chiodo o gettarla nel dirupo. Poi arrivi in cima, respiri, ti rendi conto di quello che hai fatto, ti senti importante, ti guardi intorno e si ripete il miracolo. In Valtellina accade in cima a ogni salita. Il paradiso per la bici non potrà mai diventare un inferno.

www.valtellina.it

www.enjoystelviopark.it

Caro Gavazzi, serve ancora il ruolo della chioccia?

08.03.2022
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Oggi i giovani, ma anche giovanissimi, corridori “sanno tutto” o così pensano. Di certo, su determinati argomenti, vedi alimentazione, utilizzo di certi strumenti, sono molto ferrati, ben più dei loro colleghi più esperti alla stessa età. Oggi fare la cosiddetta chioccia non è più facile per i veterani.

Ci si chiede perciò se questo ruolo possa essere ancora attuale. Uno dei più esperti in gruppo e per di più in una squadra, la Eolo-Kometa, dalla forte vocazione giovanile, è Francesco Gavazzi. Il lombardo va per i 38 anni (li farà ad agosto) ed è alla 16ª stagione da professionista. 

Un giovane Francesco Gavazzi tra Ballan (a sinistra) e Bruseghin (a destra), all’epoca due veterani vecchio stampo
Un giovane Francesco Gavazzi tra Ballan (a sinistra) e Bruseghin (a destra), all’epoca due veterani vecchio stampo
Francesco, tempo fa Ballan ci diceva che quando correva lui iniziavano ad arrivare in massa i potenziometri, che tutto era diverso. E che vede i ragazzini usare sin troppo bene questi strumenti…

Senza dubbio si nota una certa differenza di approccio. Io stesso negli anni all’Androni Giocattoli mi gestivo da solo. In Eolo-Kometa ho un preparatore, mi alleno solo con watt e tabelle. Tutto è scientifico.

Ballan parlava proprio dei primi preparatori moderni…

Ai tempi della Lampre si andava in ritiro a Donoratico, oggi chi andrebbe lì? Si andava da quelle parti perché a Castagneto Carducci c’era poi la prima corsa dell’anno, il Gp Donoratico appunto e io non ricordo se avessi i watt o meno, ma credo di no. Il preparatore c’era, ma non ti controllava in modo così preciso. Oggi sanno se hai fatto questo o quello. E non era scarsa professionalità, era semplicemente un modo diverso d’intendere il ciclismo.

E c’è un abisso?

Un cambio che rende i giovani già pronti a 20 anni. Noi avevamo tempi più lunghi per maturare. Oggi passano a 19-20 anni e sono pronti. Poi non so quanto faccia bene tutto ciò. Non so che carriera potranno avere. Magari a 30 anni sono ancora in attività, ma di testa? Di certo saranno più usurati. Io ne ho 37 e ho ancora voglia, non mi pesa fare il corridore. E’ un bello stress fare il corridore oggi tra preparazione, alimentazione…

In Spagna vicino a lui c’era Fortunato, ragazzo che sa ascoltare
In Spagna vicino a lui c’era Fortunato, ragazzo che sa ascoltare
E un Gavazzi della situazione può ancora dare consigli?

Secondo me, tutti gli estremi non vanno bene. Okay il potenziometro, ma le sensazioni restano importanti. Se devo fare quattro ore, mi sveglio e sono stanco, io faccio due ore tranquillo. Un ragazzo di oggi di certo quattro ne deve fare e quattro ne fa. E continua a stressare il suo fisico, col rischio di andare in overtraining. Vedo troppa matematica e poche sensazioni. Ci deve essere entusiasmo nel lavorare.

Bella la parola entusiasmo in questo contesto…

Noi vediamo i fenomeni oggi, Pogacar e pochissimi altri che possono fare imprese incredibili, però poi c’è il Van der Poel della situazione che al netto dei suoi problemi fisici poi sparisce. Alla fine il fisico ne paga le conseguenze, perché come dicevo si estremizza tutto.

Senza volerti dare del vecchio! Ma quando sei passato tu i potenziometri o certi metodi di allenamento non c’erano o stavano per arrivare come detto: ebbene, cosa potresti apportare in più ad un ragazzino di oggi che invece ci è cresciuto? Come si dice: un conto è imparare l’inglese da bambini e un conto è farlo a 30-40 anni…  

Ah, ah, ah… no, no sono vecchio! Ciclisticamente sono vecchio. Era un altro ciclismo. Quando ho iniziato nessuno metteva il casco in allenamento. Oggi senza casco non riuscirei ad uscire in bici. Già dieci anni fa le tattiche erano diverse, tutto si è stravolto. Però credo anche che l’esperienza conti ancora. 

In cosa?

Con l’esperienza sopperisci a quel che ti manca fisicamente. Capisci quando proprio non puoi mollare altrimenti è finita. E quando invece sai che puoi rilassarti un attimo perché in gruppo non succede niente. Oggi conta ancora di più forse l’esperienza. Oggi la bagarre scoppia spesso a metà corsa e magari vanno più forte lì che nel finale. La gestione in gara è importante dunque: come alimentarsi, come vestirsi…

Come vestirsi?

L’anno scorso nella tappa di Cortina che fu accorciata per neve, un mio compagno aveva la mantellina aperta in salita. Gli dissi di chiuderla, perché se si fosse congelato dopo 30 chilometri poi non si sarebbe più ripreso. Mi ha ascoltato.

Gavazzi è spesso il road capitan della Eolo. Eccolo alla radio
Gavazzi è spesso il road capitan della Eolo. Eccolo alla radio
Cosa ti capita di dire a questi ragazzi?

Spesso gli dico di mangiare quando si va molto piano all’inizio, perché poi anche se non ti viene fame la tappa “diventa più lunga” – Gavazzi fa una breve pausa – Poi vedo che tanti ex sono adesso dei direttori sportivi. Gaspa e Kreuziger mi hanno dato una bella mazzata!

E tu? Fino a quando vai avanti?

Vorrei non pensarci fino al Giro d’Italia, poi vedrò. Già due anni fa, a dicembre 2019, dissi di smettere. Non vorrei passare per quello che dice basta e poi continua.

Torniamo a noi. Cosa ti chiedono invece loro? Nella società di oggi spesso i ragazzi sono “sbruffoni”, pensano di sapere tutto. Ed è un discorso che non riguarda solo il ciclismo.

Devo dire che i miei giovani compagni sono tranquilli, educati ed umili. Più che altro in gruppo, quando poi ci sono tante continental (che ancora non ho capito se sono pro’ o dilettanti), c’è poco rispetto. Mi sembra lo scriveste voi parlando con Sagan. Anche Peter disse che c’era poco rispetto in gruppo. E ha ragione. Molti sono strafottenti.

Ma cosa significa poco rispetto in gruppo?

Che dopo cinque chilometri di gara c’è gente che lima come se si fosse all’arrivo. Quando vai dietro tra le ammiraglie li vedi a destra, a sinistra tra le macchine. E un po’ troppo un “morte tua, vita mia”. E non è bello. Io quando vedo un ostacolo lo segnalo. Una macchina al lato non la scarto all’ultimo istante. Sono quelle regole non scritte. Oggi gente di 19-20 anni fa delle corse importanti. Corse che si facevano a 23-24 anni e forse non hanno quella base d’insegnamento. Ci arrivavano con più esperienza.

«Però così mi sento il vecchio del gruppo – conclude scherzando Gavazzi – magari fra 10-15 anni quelli di adesso diranno le stesse cose».

Gavazzi non molla, ma che fatica ripartire a quest’età…

11.11.2021
6 min
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Mentre sono tutti tornati dalle ferie e trascinando le pedalate stanno riprendendo gli allenamenti, Francesco Gavazzi prepara la valigia per andare in vacanza. Domani. D’altra parte il valtellinese ha corso il Giro d’Italia Criterium a Dubai la settimana scorsa e un po’ di recupero prima di ripartire serve anche a lui.

«La cosa più importante a questo punto della storia – sorride – è staccare il meno possibile. Una volta facevo anche quattro settimane senza nemmeno guardarla, se lo facessi adesso mi riprenderei a luglio dell’anno prossimo. Ho corso l’ultima il 17 ottobre alla Veneto Classic, ho un po’ mollato, ma massimo due giorni di buco. Insomma, 3-4 uscite a settimana le ho sempre fatte. Poi dipende da quanta attività hai fatto durante la stagione. Ad esempio ripartire dopo il 2020 in cui abbiamo corso pochissimo è stato molto duro».

Ha corso fino alla Veneto Classic, poi ha partecipato al Giro d’Italia Criterium di Dubai. Qui con Sagan
Ha partecipato al Giro d’Italia Criterium di Dubai, qui a ruota di Sagan

Come Nibali

Gavazzi ha tre mesi più di Nibali e ha fatto sapere che la prossima potrebbe essere la sua ultima stagione. La curiosità a ben vedere è proprio quella di scoprire quanto sia difficile stare al passo coi più giovani.

«L’importante è correre, per me è più importante di allenarsi. E’ un fatto fisiologico – spiega – fino a 4-5 anni fa, le corse avevano uno schema preciso. Dopo un po’ di chilometri, magari anche 50 fatti a fiamma, andava via la fuga. A quel punto il gruppo si tranquillizzava e a fine corsa si andava di nuovo a tutta per giocarsi la gara. Oggi invece la fase di respiro dura sì e no mezz’ora. Si va più forte a metà corsa che alla fine, perché poi si vince con quello che ti è rimasto. E questo modo di fare è difficile allenarlo a casa. A meno che non fai come i belgi che in allenamento sono sempre in gara, ma ognuno ha le sue abitudini e deve farci i conti».

Brillantezza cercasi

Il tempo che passa non incide tanto sulla resistenza, quanto piuttosto sulla brillantezza e la facilità nel raggiungerla. Su questo c’è poco da fare se non rimboccarsi le maniche.

Le fasi centrali di corsa, dice Gavazzi, oggi sono molto più tirate dei finali
Le fasi centrali di corsa, dice Gavazzi, oggi sono molto più tirate dei finali

«Ricordo che una volta andavo in Australia a inizio stagione ed ero subito pronto, anche senza aver fatto chissà cosa. Magari adesso faccio le stesse ore, ma devo aumentare la qualità. Finché ero in Androni mi gestivo da solo, non avevo un preparatore. Invece alla Eolo-Kometa lavoro con Carlos Barredo, che ha corso fino a pochi anni fa, e ho fatto una quantità di lavori sulla brillantezza che non avevo mai visto in tutta la mia vita. Sono lavori che danno frutto, te ne accorgi subito».

Migliora il recupero

Sono temi di cui nelle squadre si parla, soprattutto se il tuo team manager si chiama Ivan Basso, è stato un… discreto corridore e ha ricordi piuttosto precisi di come si allenava.

Dopo tanti anni si scioglie la coppia Belletti-Gavazzi: «Manuel non aveva più testa per continuare» (foto Instagram)
Dopo tanti anni si scioglie la coppia Belletti-Gavazzi (foto Instagram)

«Parlavo di calendario con Ivan – dice infatti Gavazzi – e gli dicevo che quando correva lui, poteva permettersi di allenarsi a casa per un mese e di essere competitivo al rientro. Magari faceva tanto dietro moto o allenamenti a ritmo gara, che ora almeno nel mio caso non servono più. I watt sono quelli, ma il diverso modo di correre ha scardinato tante abitudini. Le corse sono diventate imprevedibili, non si capisce più molto. Una qualità che non scade invece è il recupero, se ci sono gare di resistenza vado anche meglio. All’ultimo Giro d’Italia, i giovani della squadra facevano più fatica di me a recuperare».

Tranquillo col peso

Non cambia per fortuna la predisposizione a restare magri, che poggia però su sane abitudini, come quella di andare comunque a farsi delle lunghe camminate, e la pratica di altri sport.

«Per mia fortuna – dice – il peso non è un grosso problema. Metto su 2-3 chili e li butto giù senza diventare matto. Mentre in corsa, nonostante le tante teorie nuove, cerco di rimanere legato alla tradizione. Si è provato a puntare su un’alimentazione solo liquida, ma non mi ha dato vantaggi e ho preferito rimanere fedele alla solita linea. Per cui in gara si comincia con rifornimenti solidi e solo alla fine si prendono zuccheri con gel o borracce».

Francesco Gavazzi
All’Androni aveva perso gli stimoli, soprattutto dopo il 2020 del Covid e qualche tensione di troppo
Francesco Gavazzi
All’Androni aveva perso gli stimoli, soprattutto dopo il 2020 del Covid e qualche tensione di troppo

Il ruolo della testa

C’è però un fronte… caldo, di cui si è parlato anche questa settimana ed è la testa. La capacità di starci con la grinta e l’entusiasmo di sempre.

«La testa fa tanto – ammette – e io l‘entusiasmo l’ho ritrovato quest’anno. Senza quello, addio! Ho fatto magari più fatica di altri anni, ma la testa ha tenuto duro. Se invece hai problemi, ti stacchi. Non ho problemi a dire che in Androni avevo perso un po’ di allegria, invece quest’anno aver corso senza pressione ha cambiato le cose. Dovevo dare una mano ai compagni, ho fatto bene il mio lavoro e intanto ho scoperto che non andavo piano. Mi è venuto il morale. Così dopo il Giro ho parlato con Basso e gli ho detto che un altro anno lo avrei fatto.

Il secondo posto di Guardia Sanframondi al Giro d’Italia è stato uno dei lampi più belli di Gavazzi nel 2021
Il secondo posto di Guardia Sanframondi al Giro d’Italia è stato uno dei lampi più belli di Gavazzi nel 2021

«Quello che ti dà l’indicazione che è tempo di smettere? Il fatto che di colpo fai fatica ad allenarti e fare la vita. Ho visto Belletti, di cui sono amico. E quando mi ha detto che avrebbe mollato, gli ho fatto i complimenti: era la scelta giusta. Io invece mi sento ancora addosso l’entusiasmo e ho scelto di continuare. Al 98 per cento però sarà l’ultimo anno. Sapete anche da cosa si capisce? Dal fatto che quelli che correvano con me sono tutti in ammiraglia e in gruppo arrivano ragazzini che non so come si chiamano. E poi ho due bimbi a casa e forse è arrivato il momento di passare più tempo con loro…».

Un sacco di patate

Perciò adesso si va in vacanza, una settimana a Lanzarote senza allontanarsi troppo, visti il Covid e il fatto che è meglio per i bambini. E poi si tratterà di ripartire.

«Magari non avrò acciacchi alla ripresa – sorride – ma per i primi giorni mi sentirò un sacco di patate. Andrò in giro sentendomi inadeguato. Poi, dopo questa prima fase, il corpo si ricorderà di quello che ha sempre fatto e potremo cominciare sul serio».

Zanatta ci racconta l’esordio della Eolo-Kometa

21.07.2021
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L’Eolo-Kometa Cycling Team, squadra italiana pilotata da due grandi campioni del passato come lo spagnolo Alberto Contador e il nostro Ivan Basso, è riuscita a raccogliere importanti risultati al suo esordio nella categoria professional. Corridori giovani e corridori esperti all’interno di un gruppo che ha gettato delle solide basi per affrontare nel migliore dei modi la prima parte di stagione.

Per la Eolo-Kometa Cycling Team era il debutto tra i grandi
Per la Eolo-Kometa Cycling Team era il debutto tra i grandi

Voglia di crescere

«C’è tanta voglia di crescere – racconta Stefano Zanatta, direttore sportivo dell’Eolo-Kometa – a inizio stagione abbiamo dovuto adattarci un po’ per prendere le misure con i team più forti al mondo. Non è stato facile soprattutto dopo il periodo di chiusura forzata al quale abbiamo risposto con tre training camp che hanno gettato le basi del nostro inizio. Due ritiri di circa dieci giorni si sono svolti a Mallorca. Uno di essi a dicembre e l’altro a gennaio, dove tra l’altro avevamo intenzione di esordire con la Vuelta a la Comunitat Valenciana, cosa che non è stata possibile per via dell’annullamento della corsa.

«A seguito di questo imprevisto – continua Zanatta – abbiamo deciso con il team di fare ancora un altro ritiro a febbraio. Un ritiro nel quale i corridori hanno potuto lavorare intensamente sia con le bici da crono, che da strada. Abbiamo suddiviso il lavoro in base alle caratteristiche tecniche di ciascun corridore. Abbiamo dato importanza un po’ a tutto: volate, salita, pianura e lavoro di gruppo, come ad esempio le crono a squadre. Il nostro obiettivo è stato quello di lasciare un’impronta come una squadra organizzata».

Francesco Gavazzi, uomo squadra e punto di riferimento dell’Eolo
Francesco Gavazzi, uomo squadra e punto di riferimento dell’Eolo

L’avvicinamento al Giro

L’avvicinamento al Giro d’Italia è stato un vero e proprio lavoro di qualità per l’intero team. Durante il cammino la squadra si è resa protagonista in corse di rilievo come la Settimana Internazionale Coppi e Bartali e il Presidential Cycling Tour of Turkey.

«Il Giro d’Italia – riprende Zanatta – per noi è stato molto importante. Abbiamo raccolto i frutti di un lavoro svolto con impegno, cura e professionalità. La vittoria sullo Zoncolan con Lorenzo Fortunato è stata una bella sorpresa per tutti noi. Si vedeva anche nei giorni prima della vittoria che aveva le gambe per fare bene. E c’è riuscito».

Lorenzo Fortunato in azione sul Grappa, dove a vinto, alla Ionica-Adriatica Race
Lorenzo Fortunato in azione sul Grappa, dove a vinto, alla Ionica-Adriatica Race

Prossime corse in Francia

«Devo dire che ci aspettavamo qualcosa in più da Ravasi, che è stato comunque bravo in qualche frazione a restare con i primi in salita. Adesso tirando una riga usciamo da questa prima parte di stagione molto soddisfatti. Anche perché sempre lo stesso Fortunato ha vinto una tappa e la classifica finale dell’Adriatica-Ionica Race. Le prossime corse – continua Zanatta – ci vedranno protagonisti in Spagna e in Francia. Ad attenderci troveremo percorsi difficili come ad esempio il Tour de Limousin (17-20 agosto, ndr) dove servirà una buona preparazione per essere competitivi».

Edward Ravasi, ha corso un Giro d’Italia tra alti e bassi
Edward Ravasi, ha corso un Giro d’Italia tra alti e bassi

Gavazzi leader

Tanti corridori italiani compongono l’organico dell’Eolo-Kometa Cycling Team, alcuni esperti come Manuel Belletti e Francesco Gavazzi, quest’ultimo protagonista al Giro d’Italia dove ha conquistato un’ottima seconda posizione nella tappa di Guardia Sanframondi, vinta dal francese del team Cofidis, Victor Lafay. Mentre altri corridori più giovani crescono acquisendo esperienza.

«E’ un bel gruppo il nostro – conclude Zanatta – personalmente sono molto soddisfatto di Francesco Gavazzi che ha saputo essere un vero leader e un valido supporto per i ragazzi più giovani. Il ciclismo poi è uno sport duro, magari ti aspetti qualcosa in più dai corridori più esperti e invece a stupirti ci pensano quelli giovani a cui avresti dato più tempo per fare esperienza».

EDITORIALE / Coraggio Cicco, hai il Giro nelle gambe

17.05.2021
3 min
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Quel che manca semmai è il coraggio di sognare. Perché non dirlo chiaramente: Ciccone ha il Giro nelle gambe. Invece siamo così convinti di essere spacciati, che alla fine nemmeno ci proviamo più. Le parole dette ieri da Elisabetta Borgia potrebbero applicarsi anche al nostro ambiente.

«Ciascuno di noi è razionalità, emozione e comportamento. Le percentuali con cui questi tre fattori si mescolano dipendono da persona a persona. Se il nostro approccio con la vita è legato soltanto alla logica e tagliamo totalmente le emozioni, alla lunga avremo dei problemi. Idem per il contrario. Uno dei meccanismi più diffusi è quello della profezia che si autoavvera, la self fulfilling prophecy, per la quale le convinzioni che abbiamo determinano la realtà. Ci convinciamo così tanto che alla fine funziona. Una sorta di effetto placebo. E’ la fiducia in se stessi, il credere di poter dare una svolta alla propria vita, contrapposto all’atteggiamento di chi non ci crede».

Nibali è in crescita di condizione, potrebbe essere il miglior riferimento per Ciccone
Nibali è in crescita di condizione, potrebbe essere il miglior riferimento per Ciccone

Fiducia e cuore

La classifica del Giro è tutta lì. D’accordo, Bernal è un mostro e Remco promette di diventarlo. Noi abbiamo Ciccone, eppure continuiamo a etichettarlo come un peso piuma scriteriato, mentre a volte un abbraccio, qualche titolone e tifosi che urlano il tuo nome lungo le strade sono la spinta migliore. Il passaparola fa crescere la fiducia della gente, che arriva dritta al cuore. Non furono l’esaltazione, i titoloni e il coraggio le armi che per poco non portarono Chiappucci a vincere il Tour? Ma se parti già sconfitto, allora che cosa parti a fare?

Una scazzottata

Il Giro non è il Tour. Il Giro, al confronto di quel ring giallo e pieno di striscioni, è una scazzottata di strada, dove più che i massimi sistemi contano la rabbia e il coraggio. E Ciccone, di questo siamo certi, ne ha da vendere. Ieri Egan si è commosso raccontando i sacrifici fatti per arrivare sin qui, noi ci sentiamo di dire che la vita di Giulio degli ultimi due anni non sia stata più tenera, fra il cuore da mettere a posto, la malattia di sua madre e per ultimo il Covid. L’abruzzese non si piega, piuttosto si spezza. E’ vero che Bernal viene da una fame antica e non ha paura di sporcarsi le mani, ma perché non credere di potersela giocare?

Marco Pantani, Francesco Casagrande, Stefano Garzelli, Izoard, Giro d'Italia 2000
Garzelli vinse il Giro del 2000 anche grazie al riferimento in corsa di Marco Pantani
Marco Pantani, Francesco Casagrande, Stefano Garzelli, Izoard, Giro d'Italia 2000
Garzelli vinse il Giro del 2000 anche grazie al riferimento in corsa di Marco Pantani

Il ruolo di Nibali

Il Giro d’Italia è apertissimo e con le sue curve e le sue montagne, ha spesso mandato in crisi gli schemi perfetti. E se lo scorso anno il Team Ineos riuscì ad adattarsi grazie alla chiave di lettura offerta da Tosatto, siamo certi che Ciccone abbia in casa l’arma vincente. Colui che, finché le gambe glielo consentiranno, potrà dargli le indicazioni su come correre e quando affondare i denti. L’ago della bilancia di questo Giro sarà Vincenzo Nibali: il miglior navigatore in corsa per Ciccone, se riuscirà a svestire i panni del goleador ed entrare in quelli del regista. Anche Garzelli vinse un Giro d’Italia grazie alle sue doti e a quel giorno sull’Izoard in cui ebbe accanto il più grande di tutti. Si può fare. Noi vogliamo crederci, magari Cicco ci crede già dal primo giorno.

Gavazzi-Carboni, a un soffio dal paradiso

15.05.2021
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Passano a 8 secondi di distanza l’uno dell’altro. Gavazzi e Carboni, i due italiani nella fuga col francese, lo spagnolo, i due belgi, il tedesco e il colombiano. Gavazzi arriva secondo e un po’ viene da mangiarsi le dita. Carboni alla fine è quinto, dopo aver viaggiato per un po’ in testa alla corsa. Prendere la dannata fuga del giorno non è stato affatto facile. Quasi 60 chilometri di scatti e controscatti. Quasi si fosse alla fine del Giro e tutto il gruppo volesse in qualche modo lasciare il segno. Anche se mancano due settimane. E giornate come questa le sentiranno certamente nelle gambe.

Campenaerts non ha dato una grossa mano e Carboni si è ritrovato presto da solo
Campenaerts non ha dato una grossa mano e Carboni si è ritrovato presto da solo

Delusione 2020

Gavazzi parla poco. Gli ultimi mesi della sua carriera sono stati un toboga di cambi di direzione, delusioni e risalite. Lo incontrammo per caso, in un mattino al Giro d’Italia U23 sul lungolago di Colico, mentre faceva colazione. Una mattinata tersa e stupenda, che portava al Giro d’Italia cui Francesco avrebbe preso parte. Eppure la storia andò diversamente, la sua stagione si stava avviando a conclusione.

«Per certi aspetti non è mai iniziata – raccontò a fine anno a FIlippo Lorenzon – sono stato escluso dal Giro d’Italia diciamo per delle incomprensioni con il team…».

A salvarlo dal malumore è arrivato Ivan Basso, che aveva bisogno di mettere nella nascente Eolo-Kometa qualche nome di sostanza per fare da chioccia ai più giovani. Qualcuno capace di concretezza.

Lafay è andato, Carboni si volta e vede arrivare Gavazzi
Lafay è andato, Carboni si volta e vede arrivare Gavazzi

L’occasione della vita

«Purtroppo non è andata – dice oggi dopo un secondo posto che brucia, ma parla di un corridore ancora in palla – però a 36 anni essere qui a lottare per una vittoria è importante. Ci riproveremo ancora. Col senno di poi, magari era giusto seguire Lafay quando è partito. E’ andato forte anche lui, quindi complimenti. L’obiettivo della squadra da inizio Giro è vincere una tappa. Oggi mi si è presentata l’occasione della carriera. Una vittoria al Giro avrebbe ripagato i sacrifici di un’intera carriera. Sarebbe stata un’emozione grandissima. Già prendere la fuga è stata una grande cosa. Me la sono giocata fino alla fine. Purtroppo è venuto un secondo posto, come i tanti altri che ho avuto. Bisogna accettarlo e da domani ci riproveremo».

Gavazzi ha iniziato la risalita forse troppo tardi, la rimonta si è fermata a 36″ dal successo
Gavazzi ha iniziato la risalita forse troppo tardi, la rimonta si è fermata a 36″ dal successo

La va o la spacca

Carboni lo sentiamo che sta mangiando sul pullman dopo la tappa. I commentatori in tivù, soprattutto Garzelli, hanno detto che forse il suo errore è stato voler seguire Campenaerts, che lo ha mandato fuori giri troppo presto.

«In realtà – spiega lui – l’ho seguito perché è un super passista e speravo che mi avrebbe portato ai piedi della salita con un buon margine. Però dopo i primi due cambi, mi sono accorto che remava e non andava avanti. Ma a quel punto ero partito e ho tirato dritto. Oggi tutta la squadra doveva provare e aver preso la fuga giusta era un bel modo per ricambiare i compagni che hanno attaccato nei giorni scorsi. Sinceramente non sentivo bene la radio, quindi non sapevo che Lafay stesse arrivando. O la va o la spacca. Oggi mi hanno spaccato, la prossima volta magari va bene a me».

Un’altra rincorsa

La sua stagione di fatto è cominciata a febbraio, dato che per tutto gennaio c’è stato a fargli compagnia il Covid. Il Tour of the Alps è stato un boccone laborioso da mandare giù, ma adesso le gambe girano per il verso giusto e se l’allergia gli darà tregua, proverà di nuovo.

«La squadra sta correndo bene – dice – e probabilmente nel finale ho pagato gli sforzi fatti per entrare in fuga. Non succede sempre che 3/4 di gruppo vogliano entrare in fuga. Oggi erano tutti lì. Io sto bene, ci rivedremo ancora…».

Francesco Gavazzi

Gavazzi: la Eolo, la chioccia e i “sassolini”…

05.12.2020
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Francesco Gavazzi viaggia spedito verso la sua 15ª stagione da professionista. L’ormai ex atleta dell’Androni Giocattoli fa parte della schiera dei corridori che andranno a costituire la Eolo-Kometa, la cui stagione prenderà il via ufficialmente domani, in quel di Oliva, sulle coste valenciane.

Come il suo nuovo compagno, Luca Wackermann, anche Francesco non ha ancora fatto la valigia per il ritiro spagnolo, ma di certo il suo bagaglio è pieno di speranze e anche di qualche “sassolino”.

Poche gare nel 2020

Gavazzi però viene da un’annata non particolarmente brillante nella quale si è visto poco. E la sua stagione si è conclusa anzitempo.

«Conclusa? Direi che per certi aspetti non è mai iniziata! Poi sono stato escluso dal Giro d’Italia diciamo per delle incomprensioni con il team. Si dice per scarsa condizione? Io rispondo che siamo stati l’unica squadra che dopo il lockdown ha fatto solo il calendario italiano e solo corse di un giorno. Io dalla ripresa ne ho fatte sette. Difficile trovare la condizione così. Parlo per me, ma credo anche per chi è stato escluso. Ognuno poi ha fatto le sue scelte».

L’ultima corsa di Gavazzi è stata il Memorial Pantani il 30 agosto. A quel punto il lombardo ha continuato ad allenarsi per tutto settembre. Perché okay staccare prima, ma farlo ad agosto per di più senza aver corso poteva essere rischioso, specie per chi, come lui, non è più un ragazzino.

Francesco Gavazzi
Francesco Gavazzi alla Sanremo. In tutto il 2020 per lui solo 14 giorni di corsa
Francesco Gavazzi
Francesco Gavazzi alla Sanremo 2020

Poche gare nel 2020

«Questo però – racconta Gavazzi – devo dire che mi ha dato nuovi stimoli. Sapete, quando Ivan Basso mi è venuto a parlare mi ha chiesto se avessi ancora voglia di correre. Domanda legittima per chi come me ha 36 anni. E magari un anno fa avrei anche risposto di no. Invece questa stagione così particolare ha fatto scattare una molla. Allenarmi non mi costa nulla. Se prima di uscire dicessi: uffa “devo” andare in bici, che scatole… Quello sì, sarebbe un campanello d’allarme. Ma non è così, la mia vita mi piace. Voglio dimostrare che posso ancora far bene. E magari togliermi anche… qualche sassolino».

In qualche modo il lockdown ha proposto una sorta di “finestra” sul futuro che ha mostrato a Gavazzi la sua vita senza bici. E allora il sentimento e la passione per questo sport-lavoro sono tornate a divampare in lui.

Chioccia Gavazzi

Ma che ruolo avrà nella Kometa? Come detto, Francesco ha 36 anni, l’età media della nuova squadra è di circa 26,5 anni per corridore: dieci anni in più sono molti. Vista l’evoluzione del ciclismo, il lombardo è passato almeno attraverso tre “ere”. Quella post doping di uno sport che cercava (riuscendoci) credibilità, quella dei grandi nomi (Cancellara, Contador, Nibali, Evans, Boonen, Froome) e quella attuale delle frecce giovanissime e dei dettagli. Ne avrà di che raccontare.

«Basso – riprende Gavazzi – cercava un corridore di esperienza. Il suo progetto, che è davvero importante e mira a crescere, mi è piaciuto molto e ho accettato. Se dovessimo riuscire a fare il Giro al primo anno da Professional sarebbe un gran colpo. Conosco molti dei corridori che ci sono. Ravasi è un giovane bravo davvero. Forse è stato schiacciato dal WorldTour dove non ha trovato il giusto spazio, qui invece potrà fare bene. Albanese da dilettante era molto forte e può tornare ad esprimersi. Pacioni, ragazzi, è veloce. Wackermann quest’anno è andato forte. E poi c’è Manuel (Belletti, ndr): lui non ha bisogno di presentazioni».

Francesco Gavazzi
Francesco al bivacco Bottani, quota 2.400 metri, in Valtellina
Francesco Gavazzi
Francesco al bivacco Bottani, quota 2.400 metri, in Valtellina

Partenza sprint

Non tutti i mali vengono per nuocere, si dice. L’aver finito prima la stagione consente a Gavazzi di arrivare in buona condizione al ritiro con la Eolo-Kometa.

«Vero. Ad ottobre mi sono rilassato e al tempo stesso tenuto in forma con qualche camminata in montagna. Poi, ho iniziato il 1° novembre e tra palestra e bici magari sono un po’ più avanti rispetto al solito. Il che va bene perché nel ciclismo di oggi devi per forza essere pronto ad ogni gara e se parti forte è più facile mantenere la condizione. Anche mentalmente riprendi fiducia. A parte quei super big che puntano a quei determinati appuntamenti, non è più come una volta che vai forte due mesi l’anno».

La nuova bici (tra l’altro un vero mostro, la Aurum), i nuovi compagni, il nuovo staff lo attendono. Ultima stagione o no, di certo gli stimoli non mancano. Avere un ruolo determinato non è cosa da poco. Aiuta a perseguire gli obiettivi, traccia la strada. Sta a Gavazzi percorrerla nel miglior modo.