La vigilia del tappone forse faceva paura ed è stato così che il gruppo ha lasciato sganciare una fuga super numerosa, da cui a sua volta si sono avvantaggiati i cinque che si sono giocati la tappa. Che poi l’azione sia sembrata una svista più che un attacco non cambia il fatto che a Rivoli si siano trovati testa a testa Denz, Skujins e Berwick, mentre il tenace Tonelli è arrivato a 58 secondi, dopo aver chiesto al suo corpo più di quello che aveva sulla salita di Colle Braida.
Denz è stato tra i più attivi nel finale. E’ stato un suo scatto a tagliare fuori BerwickLa volata di Denz dopo la lunga fuga non ha lasciato scampo a Skujins. Terzo BerwickPer Denz si tratta del quinto Giro d’Italia. E’ nato nel 1994, è alto 1,83 per 71 chiliDenz è stato tra i più attivi nel finale. E’ stato un suo scatto a tagliare fuori BerwickLa volata di Denz dopo la lunga fuga non ha lasciato scampo a Skujins. Terzo BerwickPer Denz si tratta del quinto Giro d’Italia. E’ nato nel 1994, è alto 1,83 per 71 chili
Fra Denz e Gasparotto
Dopo aver vinto, Denz strillava come un bambino felice nel giorno della sua vittoria più bella. Il tedesco di Waldshut ha 29 anni, è professionista dal 2015 e prima di oggi aveva vinto soltanto tre corse. A Cesena aveva chiesto a Gasparotto di fare la crono a tutta, sentendo di avere le gambe giuste, ma il friulano gli aveva detto di no, immaginando le grandi fatiche che lo attendevano in aiuto di Vlasov e Kamna. Poi Vlasov si è fermato e chissà se il tecnico della Bora-Hansgrohe, ripensandoci, abbia vissuto quel «no» come un senso di colpa. Sta di fatto che la vittoria di Rivoli ha pareggiato il conto, ha dato ragione a Gasparotto e reso felice il tedescone.
«Non so cosa dire – ha detto Denz, che nel finale ha animato la fuga più degli altri – tutto questo è troppo grande per me e ne sono molto orgoglioso. Ho sempre avuto sfortuna, oggi è andata bene. Non dovevo esserci io nella fuga, sarebbe toccato a Konrad e Jungels, ma Bob ha detto che non si sentiva tanto bene e voleva salvarsi per domani. Quindi ho avuto il via libera.
«Sapevo che sarebbe stato difficile, perché la prima fuga era numerosa e la collaborazione era pessima. Ma improvvisamente si è creato un buco e ho tirato dritto. Sull’ultima salita ero al limite, ce l’ho fatta giusto ad arrivare in cima. Poi ogni cosa è andata al suo posto. Questa tappa rimarrà a lungo nella mia mente».
Tonelli è stato tra i più lesti a entrare nella fuga, ha ceduto all’ultimo chilometro del Colle BraidaBettiol si è visto partire davanti la fuga dei cinque che si è giocata la corsa. L’inseguimento è stato tardivoAnche Formolo, come Bettiol, si è lasciato scappare la fuga: aveva le gambe per stare coi primiTonelli è stato tra i più lesti a entrare nella fuga, ha ceduto all’ultimo chilometro del Colle BraidaBettiol si è visto partire davanti la fuga dei 5 che si è giocata la corsa. L’inseguimento è stato tardivoAnche Formolo, come Bettiol, si è lasciato scappare la fuga: aveva le gambe per stare coi primi
La sorpresa di Tonelli
Già, la fuga dei trenta da cui si sono sganciati i cinque… Stasera, fra gli altri, Bettiol, Formolo, Velasco e Oldani si mangeranno le mani per averli visti partire e aver litigato invece di unirsi e inseguirli. Non ha invece perso il treno Alessandro Tonelli, che quei 166 chilometri di fuga se li è sorseggiati fino all’ultima goccia.
«Mi sono staccato alla fine dell’ultima salita – ammette sfinito – purtroppo ho speso un po’ troppo nelle prime ore di gara, per entrare nella prima fuga numerosa e poi nel tratto in piana che abbiamo fatto veramente forte. Come sia nata la fuga dei cinque non l’ho capito bene neanche io. So solo che a un certo punto alla radio mi hanno detto di andare, perché si vede che c’era poca collaborazione davanti e nessuno voleva tirare. Si sono aperti, mi sembra che proprio Denz si è accorto di questo buco e ha fatto una tirata forte. A ruota c’era Skujins e poi io. Di colpo abbiamo accelerato a tutta e ci siamo sganciati in cinque, all’inizio c’era anche Battistella. E da lì abbiamo cominciato a guadagnare, grazie anche al lavoro dei miei compagni dietro e del compagno di Skujins che rompevano i cambi
«In salita ho provato ad andare col mio passo fino all’ultimo chilometro, poi gli altri hanno accelerato e non ho più avuto gambe per tenerli. Stasera l’imperativo è recuperare il più possibile, anche oggi abbiamo preso la nostra spruzzata di acqua e domani il meteo non sarà dei migliori…».
Il Gran San Bernardo “spuntato” non riduce l’impatto del tappone, che sarà durissimoE’ di martedì la notizia che il Giro non scalerà il Gran San Bernardo fino in cima, ma passerà nel tunnel (foto meteoweb)Il Gran San Bernardo “spuntato” non riduce l’impatto del tappone, che sarà durissimoE’ di martedì la notizia che il Giro non scalerà il Gran San Bernardo fino in cima, ma passerà nel tunnel (foto meteoweb)
La neve in Svizzera
Domani è il giorno del Gran San Bernardo, che sarebbe stato la Cima Coppi qualora si fosse scalato fino in cima. Ma così non sarà a causa della neve che gli svizzeri non hanno pulito del tutto.
«Sarà comunque fantastico – dice Steve Morabito, ex pro’ e direttore generale dell’organizzazione – avremmo sognato di fare il San Bernardo, con i corridori davanti ai muri di neve, ma la sicurezza viene prima di tutto e, sul versante svizzero la strada è ancora in parte innevata. E’ stato meglio non correre rischi. Vista la situazione, tutto quello che dovevamo fare era ufficializzare il Piano B, era già tutto pronto».
Così, invece di salire fino alla cima del passo a circa 2.500 metri, il gruppo salirà fino a quota 1.900 metri e da lì entrerà in Svizzera attraverso il tunnel.
Marcatura a uomo in salita fra gli uomini di classifica: qui la maglia rosa Thomas con CarusoPartita la fuga dei 30, il gruppo ha lasciato fare: la maglia rosa non era a rischioMarcatura a uomo in salita fra gli uomini di classifica: qui la maglia rosa Thomas con CarusoPartita la fuga dei 30, il gruppo ha lasciato fare: la maglia rosa non era a rischio
L’ironia di Thomas
Thomas in maglia rosa si guarda intorno e non si capisce se stia pedalando con la sensazione di potersela giocare o con la maglia rosa a orologeria. Il morale è buono, il tweet sul bagno dell’hotel della notte scorsa ha strappato il sorriso, ma in fondo parla di buon umore.
«La fuga di oggi – dice la maglia rosa – ci stava bene perché non comprendeva corridori con una grande classifica. Per noi è stata una buona giornata. Vedremo cosa accadrà domani, sarà il primo tappone alpino e il secondo giorno con delle salite lunghe dopo quello del Gran Sasso. Sarà un bel test. E’ una delle tre tappe più dure del Giro d’Italia, i ragazzi stanno bene. Il morale è alto. Sarebbe stato anche meglio se Tao non fosse caduto».
«Non so come sarà scritto l’articolo – dice subito Damiani, direttore sportivo della Cofidis – ma mi piacerebbe che non venisse visto come un giudizio nei confronti dei miei colleghi, ma proprio un mio pensiero sul fatto che va bene parlare dei campioni, ma anche i direttori sportivi hanno la loro importanza. Non mi va di fare quello che giudica o si permette di farlo, però quando mi hai mandato i nomi, la prima cosa che mi è saltata all’occhio è che, tranne due, gli altri sono stati miei corridori…».
Roberto Damiani guida la Cofidis dal 2018. Classe 1959, viene da CastellanzaRoberto Damiani guida la Cofidis dal 2018. Classe 1959, viene da Castellanza
Il ruolo del direttore
Tre giorni al via del Giro d’Italia. Si fa un gran parlare di capitani e gregari, ma poco dei loro tecnici. Eppure nell’elenco dei partenti ci sono anche loro e non sarà una presenza banale. Per questo ci siamo chiesti se sia giusto non considerarli oppure andarli a cercare solo dopo, a cose fatte, per farsi dire quanto sono stati bravi o per metterli sulla croce.
Sfogliando la rosa, abbiamo individuato i tecnici dei pretendenti più accreditati alla rosa e abbiamo proposto a Damiani di parlarci di loro. Anche lui farà parte della sfida e avrà degli obiettivi da raggiungere: la sua presenza in questo articolo serve a sottolineare una volta di più che in questo ciclismo tutto watt, grammi e angoli, c’è bisogno anche di una bella parte di cervello. E quello, nei momenti di massimo sforzo e stress estremo, si va a cercarlo sull’ammiraglia.
Engels ha vinto la Vuelta con Roglic, ma ha avuto sempre un rapporto faticoso con il Giro (foto Eurosport)Engels ha vinto la Vuelta con Roglic, ma ha avuto sempre un rapporto faticoso con il Giro (foto Eurosport)
Partiamo dall’estero. La Jumbo-Visma avrà Engels e Van Dongen, sono esperti di Tour, hanno vinto la Vuelta ma non il Giro.
La Jumbo mi sembra che abbia una gestione di gambe. Quando fanno la corsa, la fanno in maniera molto dritta. Sicuramente ci saranno degli input precisi a livello di ammiraglia, ma il grosso del lavoro viene incentrato sulla forza.
Viene in mente il Giro del 2016, quando Nibali attaccò sul Colle dell’Agnello e Kruijswijk in rosa, anziché ragionare e rimanere freddo, buttò via la vittoria.
Il fatto di saper gestire o meno il momento di difficoltà può essere uno dei punti deboli. Molto spesso nel calcio si dice che la miglior difesa è l’attacco. In questo caso, quando le cose non vanno come ti aspetti, il miglior attacco è la difesa. Difenderti bene ti mette in condizione di non farti mai trovare con il lato scoperto.
Tosatto ha vinto il Giro nel 2018 con Froome, nel 2020 con Geoghegan Hart, nel 2021 con Bernal. Qui con GannaTosatto ha vinto il Giro nel 2018 con Froome, nel 2020 con Geoghegan Hart, nel 2021 con Bernal. Qui con Ganna
Bramati, Tosatto e Gasparotto: tre direttori sportivi diversi, come furono anche tre atleti diversi…
Sono personalità completamente differenti, non a caso Tosatto e Bramati sono stati due ottimi gregari, mentre Gasparotto era un po’ più individualista e vincente. “Brama” e ormai anche “Toso” hanno un’ottima quantità di esperienza e mi sembra che tutti e due abbiano la qualità di prendersi le loro responsabilità quando c’è da decidere. E questo è importante nel gestire atleti di altissimo livello come quelli che hanno. Perché se non hai la stima e la loro fiducia, puoi avere tutte le radioline del mondo, ma il lavoro che hai fatto non viene fuori. Gasparotto si è trovato sull’ammiraglia di una squadra molto forte e ha vinto un ottimo Giro. Però ha una quantità di esperienza molto minore in termini, permettete il paragone, di ore di volo rispetto agli altri due.
Però è anche quello più capace di inventare, forse perché a sua volta sapeva farlo in bici?
Esatto, secondo me ha la grande capacità di uscire dagli schemi, come per esempio nella tappa di Torino dello scorso anno. Hanno fatto una cosa davvero importante, uscendo dallo schema che magari per tutti gli altri prevedeva di attendere l’ultimo giro. Hanno spaccato la corsa molto prima e devo dire che hanno avuto ragione, sfruttando la giusta percezione degli atleti che avevano in mano. Perché i tecnici hanno chiesto una tattica del genere, ma gli atleti l’hanno attuata molto bene. Hanno avuto anche tante gambe per fare un lavoro del genere, quindi in questo senso “Gaspa” ha più estro.
Enrico Gasparotto ha debuttato lo scorso anno sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe, portando a casa il Giro d’ItaliaGasparotto ha debuttato nel 2022 sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe, portando a casa il Giro
Negli ultimi anni Tosatto ha vinto il Giro per tre volte. Bramati non ancora, ma ha centrato per due volte il podio con Uran , Gasparotto ne ha vinto uno: secondo Damiani sono differenze che si sentono?
Sicuramente sono esperienze importanti. Come per i piloti sull’aereo, nei momenti in cui è dentro o fuori, quelli in cui devi decidere, sono esperienze che contano. Non si vive solo di quello che si è già fatto, mi rompe la retorica dell’esperienza degli anziani, però esserci passato ti aiuta a farlo ancora e meglio. Sai che per fare classifica in un grande Giro, non devi mollare un attimo per tre settimane. Ma proprio niente, nella gestione umana, se c’è una foratura, quando gli dai la borraccia, a che ora arrivi alla partenza… Tutto questo conta e Tosatto, pur nei meccanismi che hanno alla Ineos, ha dimostrato di essere bravo nella direzione sportiva.
Si parte battuti quando ci sono certi campioni e certe squadre al via?
Se devo partire rassegnato, sto a casa. Noi con la nostra piccola squadra abbiamo i nostri obiettivi e molto chiari. Chiaramente non di classifica generale, però abbiamo degli obiettivi intermedi. Diventa pesantissimo fare un Giro d’Italia senza un obiettivo. Mi successe con la Lotto nel 2009, l’anno di Menchov. Feci tre settimane a spaccarmi il fegato, finché alla fine scoppiò il bubbone, alzammo la voce e venne fuori a tappa vinta da Gilbert ad Anagni. Ma fu dura. Se vieni in un Giro d’Italia senza l’idea di avere degli obiettivi reali – Damiani su questo è netto – meglio che stai a casa.
Bramati guiderà Evenepoel, come già nel 2021. In precedenza ha centrato due podi con UranBramati guiderà Evenepoel, come già nel 2021. In precedenza ha centrato due podi con Uran
Credi che sia un Giro già scritto oppure si può uscire dalla morsa di Evenepoel e Roglic?
Può succedere di tutto, lo abbiamo già visto. Jumbo-Visma e Soudal-Quick Step sono dedicate a un uomo solo, che cosa succederebbe se il leader avesse un grosso problema? Si troverebbero senza il vero obiettivo, come è successo alla Uae al Liegi. Il numero uno può essere il più forte in assoluto, ma può anche incappare nel Giro peggiore della sua carriera, può avere un inconveniente di qualunque tipo, anche per un solo giorno. Niente è già scritto. E il lotto dei partenti è più ampio di quello che sembra. Almeida, per esempio. Finora ha mostrato delle fragilità psicologiche, ma è forte e lo guida Baldato, un altro grande tecnico italiano. Ripeto: niente è già scritto.
Tiene banco il tema della sicurezza e delle comunicazioni tra diesse e corridori una volta in corsa. Abbiamo sentito il parere di Sagan, e quello di Gasparotto riguardo i nuovi strumenti ed i metodi con i quali vengono utilizzati. Ma per quanto riguarda le radio, i corridori che cosa ne pensano?
Il tre volte campione del mondo aveva sottolineato come troppe comunicazioni distraggano il corridore ed allo stesso tempo creino un enorme stress in gruppo. Soprattutto tra i giovani che si ritrovano bombardati di informazioni e vengono così sopraffatti dal momento.
Pellizzari ha ricevuto tante indicazioni via radio nella tappa del Tour of the Alps con arrivo a PredazzoPellizzari ha ricevuto tante indicazioni via radio nella tappa del Tour of the Alps con arrivo a Predazzo
L’esempio Pellizzari
Al Tour of the Alps Giulio Pellizzari, sulle rampe di Passo Pramadiccio, mentre si lanciava alla ricerca della vittoria, continuava a ricevere incitamenti via radio. Ci siamo chiesti allora in che modo venga inserito questo strumento nella vita di un giovane corridore. Ne parliamo con Alessandro Iacchi, classe 1999 in forza al Team Corratec.
«Ho fatto in tempo ad utilizzare la radio sia con i professionisti che con gli under 23 – ci dice – la differenza si nota. Rispetto a quando non c’era, si è molto più sicuri in gruppo. Se viene unita alle nuove tecnologie (VeloViewer e ciclocomputer) facilita le comunicazioni. Il diesse ha modo di segnalare i pericoli nei punti cruciali e viceversa».
Gli strumenti sono super accurati, sul ciclocomputer si può caricare il percorso e leggere l’altimetriaGli strumenti sono super accurati, sul ciclocomputer si può caricare il percorso e leggere l’altimetria
In che modo si insegna ad un corridore giovane come utilizzare questo strumento?
Ti spiegano il funzionamento e come utilizzarlo per parlare. Dal punto di vista tecnico è estremamente facile, schiacci un bottone e sei in contatto con tutti: dai diesse ai tuoi compagni di squadra.
Come ti spiegano il funzionamento una volta che sei in corsa?
Logicamente mi viene da dire che ti insegnano ad utilizzarla nei momenti importanti della gara. Per quanto riguarda noi corridori, la si usa quando fori, devi andare a prendere l’acqua o devi metterti in comunicazione con un compagno o un diesse. Mi è successo qualche volta di bucare, l’ammiraglia non ti vede a bordo strada e tira dritto.
Tu hai corso anche senza radio, il modo di interpretare la gara cambia…
Assolutamente. La radio riduce i tempi di comunicazione, e di conseguenza aumenta la sicurezza. Non serve andare ogni volta alla macchina per avere un’informazione e in questo modo si riduce il via vai nel gruppo.
Alessandro Iacchi compirà 24 anni il 26 maggio. E’ alto 1,70, pesa 59 chili ed è pro’ dal 2020Alessandro Iacchi compirà 24 anni il 26 maggio. E’ alto 1,70, pesa 59 chili ed è pro’ dal 2020
Però aumenta il nervosismo.
Questo succede perché alcuni diesse la utilizzano in modo sbagliato a mio modo di vedere. Con gli strumenti che abbiamo possiamo vedere tutto in tempo reale, i ciclomputer ci dicono quanto è lunga una salita e quale sia la pendenza media. Ci avvertono anche quando ci sono delle curve pericolose.
I ciclocomputer di ora ti segnalano ogni minimo dettaglio del percorso…
Vero. Non servono comunicazioni tecniche, diciamo che è sufficiente ricordare che sta per iniziare una salita. Poi il resto lo vediamo da noi.
Qual è il modo sbagliato di utilizzare la radio?
Quando la corsa diventa una radiocronaca, ogni minuto hai una voce in testa che ti dice qualcosa. Alla fine diventa fastidioso, soprattutto quando cerchi di concentrarti, che sia in volata o nel leggere il momento giusto della gara. Se il diesse mi parla tutto il tempo, si rischia che la sua voce diventi un brusio di sottofondo e, che tu voglia o meno, non lo ascolti più.
Fanno eccezione gli eccessi di comunicazione quando si sta raggiungendo un’impresa. Qui Baldato e Marcato dietro Pogacar al Fiandre (immagine Velon)Fanno eccezione gli eccessi quando si sta raggiungendo un’impresa. Qui Baldato e Marcato dietro Pogacar al Fiandre (immagine Velon)
Qual è secondo te il modo corretto?
Nei momenti concitati della corsa, come quando si forma la fuga, dall’ammiraglia ci dicono subito chi è nel gruppo davanti. In questo modo si possono aggiustare le tattiche in corsa, lì la comunicazione è fondamentale. Un altro esempio è quando il massaggiatore si trova al rifornimento ed inizia a piovere. Lui può avvisare che è cambiato il meteo e noi corridori ci regoliamo di conseguenza.
Per i giovani allora la radio diventa quasi stressante?
Come detto, dipende da come la si usa dalla macchina. A me troppe comunicazioni non piacciono, altri invece le preferiscono. Però mi sento di dire che a volte è importante ascoltare il gruppo e i suoi rumori.
Non senza sorpresa, la mattina del via della Parigi-Roubaix, a Compiegne ci siamo ritrovati di fronte Enrico Gasparotto. La sorpresa era reciproca, nel senso che anche il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe non si aspettava di essere lì. Lo avevamo lasciato in ritiro al seguito della squadra.
Enrico era “teso”, ma anche incuriosito dal suo debutto assoluto nell’Inferno del Nord. Non aveva mai fatto neanche da corridore la corsa del pavè.
Enrico Gasparotto (classe 1982) non aveva mai preso parte alla Roubaix in 17 anni da pro’Enrico Gasparotto (classe 1982) non aveva mai preso parte alla Roubaix in 17 anni da pro’
Insomma, Enrico, come è andato questo battesimo di fuoco?
Dico che c’è il ciclismo e c’è la Roubaix. E’ uno sport a parte. Era la prima volta che salivo sul pavé francese. Avevo fatto tutte, ma proprio tutte, le classiche del Belgio, ma mai la Roubaix, né avevo saggiato il pavé francese. E ora posso dire che è un livello di tutt’altra difficoltà, più duro, più complicato… E adesso ho un rispetto infinito per chi finisce questa corsa e ancora di più per chi va forte.
In realtà, non avevi fatto neanche la ricognizione…
No, ero in altura col gruppo Giro a Sierra Nevada. E poiché il Giro d’Italia per noi è un obiettivo primario, mi hanno detto di restare lassù con i ragazzi fino all’ultimo. Mi hanno avvertito il martedì prima della corsa, ma sono rimasto lì fino al venerdì. «Vieni a Roubaix per guidare», mi hanno detto. In pratica ho toccato il pavé per la prima volta direttamente in corsa.
E come è andato questo ingresso?
Dopo le prime “botte” ho chiesto subito: «Quanti settori mancano?». E poi sapendo che quello messo peggio di tutti era il Carrefour de l’Arbre ho chiesto: «Quanto manca al Carrefour?».
Intervenire sui tratti in pavè era davvero complicato. Qui Marco Haller con una ruota bucataIntervenire sui tratti in pavè era davvero complicato. Qui Marco Haller con una ruota bucata
Un bello stress…
Mentre andavamo verso il primo settore, ho fatto mille domande. Ho chiesto molti consigli, anche per la guida, per la macchina. Molti team hanno cambiato le ammiraglie, prendendo modelli più alti, noi invece abbiamo solo inserito la placca di ferro sotto la scocca per proteggere il motore e alcune parti meccaniche. E dovevo stare attento. Era un’auto abbastanza pesante: tre persone (Gasparotto, il primo diesse e il meccanico, ndr), ruote, bici, frigo pieni di borracce… Abbiamo cercato di togliere peso eliminando qualche attrezzo e altre cosine, ma era davvero poca roba.
Come si guida sul pavè?
Con tanti sobbalzi! Al primo settore riesci a stare sulla sinistra, poi però i corridori iniziano a staccarsi e quindi vai a destra. Chiaramente serve attenzione, molta attenzione. Io per esempio della corsa non ho visto nulla, ero concentratissimo a guardare la strada e gli specchietti. Solo negli ultimi 10 chilometri, quando il pavé era finito ho dato un paio di occhiate alla tv. Ma in Francia è pieno di quei dissuasori di velocità: ne ho preso uno e per poco dal tetto non perdo una bici!
Un bel jolly!
Devo dire che è stata un’esperienza davvero speciale e sono contento di averla fatta. Marco Haller prima del via, mi ha detto: «Gaspa è più sicuro correrla che guidarci dentro».
In seguito alla grande caduta avvenuta ad Arenberg, Gasparotto e la sua ammiraglia sono stai fermi 5′. Poi un vero show per recuperare In seguito alla grande caduta avvenuta ad Arenberg, Gasparotto e la sua ammiraglia sono stai fermi 5′. Poi un vero show per recuperare
E tu che cosa ne pensi?
Adesso dico che preferisco guidare! Anche perché col mio peso avrei fatto molta fatica. Ma lo dico adesso, a 41 anni. A 25 se mi avessero detto: «Fai la Roubaix», sarei stato contento. E sarebbe stato giusto così. Ma sono orgoglioso di averla fatta… E di aver riportato intera all’arrivo proprio quella ammiraglia che guidavo.
Perché “proprio quella”?
Perché so che l’ha presa il nostro team manager, Ralph Denk. La sera prima mi ha detto: «Gaspa, attento che quella è l’ammiraglia che avevi al Giro sulla Marmolada, quando Jay (Hindley, ndr) ha preso la maglia rosa. Quella verrà a casa mia per ricordo». Insomma, una pressione in più!
Passiamo ad aspetti più tecnici. E’ tanto diverso che guidare in altre corse?
Parecchio diverso. Quasi tutti i team hanno molto personale a terra con ruote, borracce e qualche altra cosa, ma la bici per regolamento non può essere fornita da terra: solo l’ammiraglia può. E così nel convoglio delle auto spesso vedevo le seconde ammiraglie dei team che puntavano alla vittoria che ci sorpassavano o che ripassavamo noi.E noi eravamo la vettura numero 13.
Sul pavé le ammiraglie restano alle spalle dei corridori. La rimonta avviene su asfalto a velocità al limite…Tanto caos e “delicatezza” di guida dell’ammiraglia nei settori sulle pietre, quanto si spingeva forte su asfaltoI corridori hanno chiara la successione dei settori, la corsa delle auto alle loro spalle è altrettanto selvaggiaSul pavé le ammiraglie restano alle spalle dei corridori. La rimonta avviene su asfalto a velocità al limite…Tanto caos e “delicatezza” di guida dell’ammiraglia nei settori sulle pietre, quanto si spingeva forte su asfaltoI corridori hanno chiara la successione dei settori, la corsa delle auto alle loro spalle è altrettanto selvaggia
E la giuria lascia correre?
La giuria non vede tutto. Impossibile. Non ci sono abbastanza occhi. E questo in parte succede anche al Fiandre.
Come si fa nel caso un atleta chiami l’ammiraglia?
Non è facile. O li trovi fermi a bordo strada o li raggiungi fuori dal settore di pavè. E infatti su asfalto devi guidare un po’ come un killer. Per esempio ad Arenberg siamo stati fermi 5 minuti, ma 5 minuti veri, e quando siamo usciti siamo andati a più di 100 all’ora per recuperare.
Alla fine una bella esperienza, un’esperienza che ti ha arricchito: si percepisce anche dal tuo tono…
Sì, sì vero. Mi è piaciuto. Ho visto la Roubaix e adesso capisco perché è considerata in questo modo: bellissima. Prima del via che c’è un po’ di stress, ma poi le cose le fai. Di certo devi avere un po’ di abilità nella guida e ti deve piacere.
Gasparotto già al lavoro con la Bora. Ha tirato una riga e fatto la somma delle esperienze e ora si propone come un “nuovo Gaspa”. Che ha tanto da dire
Non vogliamo tirare in ballo l’opera di Orwell e nemmeno i reality show. Dalla recente intervista che abbiamo fatto con Peter Sagan, alla vigilia del Fiandre, ammettiamo che il pensiero è subito piombato in questo contesto di controllo. «Fino a poco tempo fa – ha detto lo slovacco – facevamo le riunioni prima della gara con una mappa e con un pennarello si segnavano i 4-5 punti da ricordare. La grande differenza l’ha fatta VeloViewer. Adesso ogni direttore sportivo può usare lo zoom e vedere dove sono i corridori, capire il vento e i punti pericolosi o stretti».
Ed ecco il nostro approfondimento di oggi, tirato in causa proprio da Peter. Che cos’è VeloViewer e come funziona? Per farlo siamo saliti virtualmente sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe assieme ad Enrico Gasparotto.
Enrico Gasparotto diesse della Bora-Hansgrohe, utilizza VeloViews in corsa e prima della garaEnrico Gasparotto diesse della Bora-Hansgrohe, utilizza VeloViews in corsa e prima della gara
Un software
VeloViewer è un software, che lavora con il supporto e la sinergia di Strava per l’elaborazione dei dati relativi al percorso di una gara o allenamento che sia. Basta avere un profilo appunto del social arancione per scaricare un’ampia serie di dati che vanno a snocciolare ogni singolo dettaglio. Nelle mani di un corridore o amatore curioso, è una piattaforma che aiuta ad approfondire ogni sforzo metro per metro. Nella mani di un diesse diventa la trasformazione virtuale del famoso “Garibaldi”. Con la differenza che l’interazione diventa sempre più immediata con i corridori e con la corsa.
In quanti utilizzano VeloViewer?
Noi come squadra lo abbiamo, ma credo che l’80 per cento delle squadre del gruppo lo utilizzino. C’è qualche squadra che usa altri software, ma che dà le stesse informazioni. Diciamo che è un metodo utilizzato dal 100 per cento delle squadre e delle auto della carovana.
Spiegaci in due parole che cos’è VeloViewer…
E’ un software che, grazie al Gpx che gli organizzatori delle corse condividono con le squadre, fa vedere il percorso e tutte le altimetrie metro per metro. Una funzione che è già presente sui dispositivi che noi tutti abbiamo come Garmin Connect. Su VeloViewer c’è una funzione live che noi in macchina utilizziamo per monitorare dove passiamo. Il percorso già fatto si colora di nero mentre quello da fare viene colorato con tutte le gradazioni che simboleggiano le varie intensità di ascesa e discesa.
I percorsi caricati in Gpx vengono elaborati e analizzati in ogni dettaglioI percorsi caricati in Gpx vengono elaborati e analizzati in ogni dettaglio
Sagan ha detto che ogni direttore può vedere dove sono i corridori e segnalare ogni cosa…
Capisco Peter. Anche io ho corso in un periodo dove non c’erano tutti questi software e c’erano sicuramente meno informazioni via radio. Questo è un dato oggettivo, valido. Sul fatto che noi vediamo loro dove siano, non è del tutto reale. Noi non abbiamo su VeloViewer l’esatta posizione dei ragazzi, però ti da un’infinità di informazioni sul percorso.
E’ un mezzo che aiuta più voi che i corridori…
Sì assolutamente. Io credo in realtà che il lavoro di preparazione del direttore sportivo della corsa che si va ad affrontare sia molto più facile. Una volta si usavano i roadbook e i “Garibaldi” delle varie corse. Oggi abbiamo un software che ci da molte più informazioni e più precise, che coprono ogni metro della corsa.
Quanto aiuta il gruppo invece?
Quando sei in corsa, non vedi quanto è stretta la strada. Non si vede se una curva è pericolosa oppure no. Lì sta al diesse in fase di preparazione saper utilizzare al meglio questo software per capire che strade sono. Nella fase di preparazione c’è una funzione che utilizza streetview e ti dice quindi se una curva è pericolosa oppure no. Ma non nella modalità live dove si vedono solo colori e distanze.
Qui due pagine di esempio di funzioni attive sulla piattaformaQui due pagine di esempio di funzioni attive sulla piattaforma
Riguardo alla posizione in corsa, questo softaware può generare più stress?
Ripeto, capisco Peter. Se utilizzi bene questo software si hanno veramente un sacco di informazioni in più. Poi è chiaro, un direttore che fa il Fiandre da dieci anni e si prepara facendo ricognizioni, con un approccio diciamo old-school, sa esattamente quando è pericoloso e quando no. Credo che lo stress in corsa sia dovuto al ciclismo che stiamo vivendo e non a VeloViewer. Di sicuro non aiuta a ridurlo, su questo posso dare ragione a Peter. Però non lo amplifica.
Questa piattaforma può aiutare in ottica sicurezza?
Da un certo punto di vista sì. Così come le radio. Ho letto molto bene l’intervista che avete fatto a Peter. Anche io mi sono preso a cuore la situazione che è successa al Fiandre. Se tu fai un utilizzo sbagliato, le radioline diventano causa. Ma sta nel buon senso di tutti il saper utilizzare questi mezzi. E’ chiaro che io posso avvisare i corridori per dirgli tutte le rotonde che vedo, per esempio in VeloViewer nella funzione live si vedono questo tipo di particolari. Ha senso però avvisare i corridori che ci sono 10 rotonde? No, perché non so dove sono e magari l’hanno già fatta. Se io ho l’auto numero 20, il gruppo è un chilometro avanti a me. Il live prende la tua posizione non la loro. Sta quindi al direttore dire ai corridori i punti dove è necessario veramente intervenire.
Filip Maciejuk al Fiandre nel tentativo di superare il gruppo per stare davanti causa la caduta del gruppoFilip Maciejuk al Fiandre nel tentativo di superare il gruppo per stare davanti causa la caduta del gruppo
Errare è umano…
E devo dire che l’ho provato io in prima persona, che nonostante stimi la distanza e provi a prevedere, capiti di segnalare ostacoli o pericoli già passati. Tante volte è meglio avvisare con molto anticipo, che al tale chilometro ci sarà un punto in cui aumentare l’attenzione e sei sicuro che capiscano il messaggio e non si confondano.
Un utilizzo a cascata nel ciclismo giovanile come lo vedi?
Se chiedete a me, a livello giovanile stiamo vivendo una separazione troppo grande. Io sono un po’ troppo di parte. Non sarei nemmeno favorevole al passaggio da juniores al professionismo WorldTour. Ha funzionato in alcuni casi con Pozzato o Remco oggi, però non è per tutti. Ci sono giovani che hanno bisogno di tempo. Quindi tornando alla domanda, un software del genere è eccessivo. A dirla tutta per me lo è già anche nel mondo U23.
Come per ogni cosa è il come viene utilizzato il mezzo che genera caos non viceversa…
Io credo che l’esagerazione faccia sempre male. Il giusto equilibrio e il buon senso sono la chiave di tutto e anche di questi mezzi.
Enrico Gasparotto in ammiraglia sulle strade delle Ardenne e del Limburgo che l'hanno reso grande. Le emozioni sul Cauberg. I consigli per Vlasov e Aleotti
Per tanti anni compagni di avventura lungo le strade di tutto il mondo e non importava se vestissero la sua stessa maglia a o quella di qualche strada rivale. Poi referenti durante la sua avventura alla guida della nazionale, per capire condizioni e stati d’animo dei corridori da convocare. La lunga parabola di Paolo Bettininel mondo delle due ruote ha sempre avuto a che fare con gente come Gasparotto, Pellizotti, Bramati, Tosatto. Rivali? Qualche volta. Amici? Sempre.
Oggi l’olimpionico toscano li guarda dall’esterno, protagonisti sulle loro ammiraglie del WorldTour, impegnati senza sosta in un calendario frenetico e rivede in tanti loro comportamenti i compagni di mille corse, quelle che hanno insegnato loro il mestiere. Perché in fin dei conti non sono mai cambiati.
Gasparotto e Bettini, mai compagni di team ma grandi amici e anche vicini di casa…Gasparotto e Bettini, mai compagni di team ma grandi amici e anche vicini di casa…
Gasparotto, schivo ma serissimo
Gasparotto oggi è una colonna portante della Bora Hansgrohe, una delle squadre che più sono progredite nel corso delle ultimissime stagioni e il due volte vincitore dell’Amstel ci ha messo del suo: «Con Enrico mi lega una lunga amicizia. Non abbiamo mai corso nella stessa squadra, ma quando finivamo la stagione andavamo in vacanza insieme. Di lui posso dire che è sempre stato un professionista a 360 gradi. Apparentemente, quando correva, poteva sembrare poco uomo squadra, uno che se ne stava sulle sue ma era carattere, perché quando serviva lui c’era, sempre».
Quell’amicizia non è venuta mai meno: «Ci siamo visti prima dell’ultima Sanremo e l’ho trovato divertito. E’ un lavoro stressante il suo, lo so bene, ma anche appagante soprattutto per come è fatto lui, per come lo interpreta cercando con tutto il cuore di trasmettere il suo sapere ai ragazzi, di invogliarli a vivere questo mestiere. Non posso dimenticare le sue lacrime al Giro dello scorso anno, il senso di appagamento che gli aveva dato vedere il risultato maturare nelle sue mani. Certamente gli serve ancora esperienza, ma sta davvero crescendo nel ruolo».
Conoscendo il suo carattere così schivo, si sarebbe aspettato un suo presente da diesse? «Sì, perché ha sempre avuto una visione di gara superiore e quando hai quella, puoi gestire tutto. In corsa aveva un occhio eccezionale, capiva nel gruppo chi poteva essere protagonista quel giorno, riusciva anche a prevedere come sarebbe andata la gara. Basta parlarci per sentire la passione che traspare in ogni suo gesto».
Con Pellizotti, corridore che per Bettini era già diesse quando era ancora in gruppoCon Pellizotti, corridore che per Bettini era già diesse quando era ancora in gruppo
Pellizotti, il regista in corsa
«Con Pellizotti ci siamo incontrati spesso, una volta affittò anche un appartamento vicino casa per allenarci insieme. Avversari in corsa, ma sempre molto legati, una chiacchierata in gruppo ci scappava sempre. Rispetto a Gaspa era molto diverso: in gruppo si faceva sempre sentire. In certi tipi di corse era eccezionale, un vero riferimento, il classico “regista in corsa” che distribuiva i compiti in seno alla squadra. Si vedeva quale sarebbe stato il suo futuro».
Un conto però è gestire la squadra dall’interno, un altro è salire sull’ammiraglia… «Certo, il lavoro cambia tanto. E’ importante che poi quando sei in auto ti ricordi com’era. Faccio un esempio legato alla Liegi, che conosco bene: devi ricordarti i punti dove mangiare e bere perché la corsa non si muove, dove invece è il punto adatto a scattare, dove tenere gli occhi aperti e soprattutto tutto ciò devi trasmetterlo ai ragazzi, farglielo capire, E’ quello che sta facendo alla Bahrain Victorious».
Una volta hai detto che il campione difficilmente riesce a essere un buon diesse, il gregario sì. Perché? «Perché il lavoro del gregario non è solo fare il “lavoro sporco”, come ritirare le borracce o prendere le fughe. E’ un lavoro psicologico, vivere davvero la vita del gruppo, capire sempre la situazione, magari anche andare a parlare con tizio o caio dell’altra squadra e mettersi d’accordo per gestire la corsa finché non entreranno in scena i capitani. Acquisisci una sensibilità che sarà fondamentale».
Per anni compagni di squadra ma non solo. Bramati è stato la spalla di Bettini in tutte le principali vittoriePer anni compagni di squadra ma non solo. Bramati è stato la spalla di Bettini in tutte le principali vittorie
Bramati, compagno di mille avventure
In questo Davide Bramati (in apertura è quello a sinistra, era il 2010) è sempre stato un campione: «Per questo è considerato uno dei diesse più carismatici. Ricordo ad esempio quando c’eravamo io e Valverde. Davide andava da quelli della Movistar e si metteva d’accordo per tirare il gruppo, prendere le fughe e poi toccava a me e Alejandro, ma eravamo stati tranquilli fino alle battute decisive. Si è intessuto una rete di rapporto importante, ora spesso fa lo stesso, solo che usa il telefono e chiama dall’ammiraglia all’altra ammiraglia, ma in soldoni il lavoro è simile».
Con Bramati il rapporto è sempre stato stretto: «Abbiamo corso anni insieme, eravamo compagni di camera, posso dire tranquillamente che certe vittorie come il mondiale di Salisburgo hanno molto di lui dentro, in corsa ma anche e anzi soprattutto fuori, nelle nostre chiacchierate, nella nostra ricerca di tranquillità e concentrazione. E’ sempre stato uno molto carismatico».
Oltretutto lavora nella Soudal QuickStep, fianco a fianco con un “padrone” difficile come Lefevere: «Non è semplice, ma è anche un stimolo. Io non potrò mai parlar male di Patrick per tutto quello che mi ha dato. Certo, è esigente, ma nessuno tiene vivo lo spirito del gruppo come lui. Senza stimoli un corridore si adagia e da lì a buttare via una stagione è un attimo. Porta a essere sempre sul pezzo, sempre un professionista. Io dico che per Davide è la dimensione ideale e i risultati sono lì a dimostrarlo».
Tosatto e Bettini sono passati professionisti entrambi nel 1997Tosatto e Bettini sono passati professionisti entrambi nel 1997
Tosatto, vecchia scuola nell’ipertecnologia
«Quante cose ha risolto il Toso negli anni… – esclama Bettini a proposito di Matteo Tosatto, oggi diesse all’Ineos – Siamo passati insieme fra i pro’ nel ’97, ma mi ricordo un episodio al Giro da me vissuto da spettatore: caduta di gruppo, Contador è a terra. Tosatto prende la bici e comincia a correre sopra le bici degli altri, per dargli la sua e farlo ripartire subito. Chi avrebbe avuto quella prontezza di spirito così immediata? Quello è mestiere, significa avere sempre la lucidità e una visione completa della corsa».
Tosatto ha trasposto queste sue qualità in un team difficile come la Ineos Grenadiers: «Credo che per lui sia la soluzione migliore, perché ama lavorare con i più giovani e la Ineos è un team in transizione. E’ uno che sta imparando, nel mezzo di una strada che chissà dove lo porterà. Io penso che dia quel pizzico di esperienza in più in un team ipertecnologico: mi sembra di vederlo, nelle riunioni dove snocciolano dati come se piovesse, lui a un certo punto uscirsene con l’accento veneto “Ragazzi, qui c’è solo da menare…”. Tiene tutti con i piedi per terra, uno così è fondamentale».
Parlando di tanti colleghi, a Bettini non viene un po’ di nostalgia per tornare in ammiraglia? «Ributtarmi nella mischia? Dovrei pensarci bene, sulla base di un progetto ben definito e invogliante, perché dopo l’esperienza azzurra che, non posso negarlo, mi ha un po’ bruciato ho raggiunto il mio equilibrio tra famiglia e le mie attività. Vivo di ciclismo 80 giorni l’anno, salire in ammiraglia significa quanto meno triplicarli e la cosa mi fa un po’ paura».
La stagione 2023, anche se un po’ in sordina dal punto di vista mediatico, è iniziata anche per Sergio Higuita. Il colombiano della Bora-Hansgrohe ha iniziato a correre dalla Vuelta a San Juan. Poi si è presentato ai campionati nazionali, dove però non è riuscito a difendere il titolo vinto lo scorso anno. A febbraio il colombiano è arrivato in Europa, più precisamente in Portogallo, dove ha corso la Volta ao Algarve.
Prima corsa in stagione e primo podio in Argentina per Higuita: terzo dietro Lopez e GannaPrima corsa in stagione e primo podio in Argentina per Higuita: terzo dietro Lopez e Ganna
Continuità
Entro la fine del mese il venticinquenne colombiano avrà già messo in saccoccia quindici giorni di corsa, visto che nel fine settimana ha gareggiato in Francia. Non pochi, se si pensa che nel suo calendario ci saranno altre brevi corse a tappe e poi uno dei tre Grandi Giri.
«Higuita – ci spiega Gasparotto, suo diesse di riferimento nel team tedesco – manterrà un calendario simile a quello dello scorso anno. A marzo arriverà in Italia per correre la Strade Bianche e poi si muoverà in Spagna per affrontare la Volta a Catalunya».
Sembra abbiate trovato subito la strada giusta fin dal 2022, suo primo anno in Bora.
La scorsa stagione è stato costante tutto l’anno, lo si è sempre visto davanti nelle varie corse che ha affrontato. Ha accumulato 4 vittorie, tre podi ed undici top 10. Alle quali si devono aggiungere la classifica generale della Volta a Catalunya e due classifiche per il miglior giovane: una sempre al Catalunya e l’altra al Giro di Svizzera.
L’unica pecca della scorsa stagione è stata la Vuelta, non corsa ai suoi livelli…
Ci eravamo abituati bene per tutto l’anno – dice con un mezzo sorriso Gasparotto – alla Vuelta è arrivato malato e non è riuscito ad esprimersi al meglio.
Prima della Vuelta l’anno scorso il colombiano ha corso al Tour de Pologne dove ha vinto la terza tappaPrima della Vuelta l’anno scorso il colombiano ha corso al Tour de Pologne dove ha vinto la terza tappa
Forse un rischio mandarlo solo alla Vuelta, sarebbe stato meglio fargli correre Giro o Tour con la possibilità, eventualmente, di rimediare?
No. Noi scegliamo le corse in base alle caratteristiche delle tappe ed alle esigenze di ognuno. Sergio l’anno scorso ha detto di voler partecipare alle corse delle Ardenne e quindi era impossibile arrivare pronto al Giro. Il Tour, invece, aveva troppi chilometri a cronometro per lui, ne avrebbe risentito.
Non cambiare registro vuol dire aver trovato la chiave, con tante corse a tappe brevi per alzare l’asticella poco a poco, giusto?
Le brevi corse a tappe, gestite con un buon periodo di recupero e allenamenti, sono perfette per crescere di condizione. In più, come detto prima, Sergio ha dimostrato di saperle anche vincere, che male non fa.
Rispetto al 2022 è già partito a correre da gennaio…
Il debutto alle corse in Argentina era previsto anche per la scorsa stagione, ma la Vuelta a San Juan è stata cancellata per Covid. Così è rimasto a casa ed ha esordito al campionato nazionale vincendo subito.
Tra le Ardenne e il Giro di Svizzera tornerà in Colombia per allenarsi e stare con la famigliaTra le Ardenne e il Giro di Svizzera tornerà in Colombia per allenarsi e stare con la famiglia
Quest’anno, invece, quale corsa a tappe farà?
E’ stato inserito nella lista dei corridori per il Tour. La Grande Boucle ha pochi chilometri a cronometro ed ha un percorso adatto a lui. Ma vedremo come arriverà a luglio, ora è troppo presto per decidere, al massimo verrà dirottato sulla Vuelta.
State lavorando anche sulla cronometro?
Certamente, Higuita deve imparare a difendersi a cronometro e deve migliorare molto in questo campo. I margini di crescita sono elevati, dobbiamo anche pensare che si tratta di un corridore di venticinque anni. Non è ancora nel pieno della sua maturazione fisica.
Dopo la prima parte di stagione cosa farà?
Finite le Ardenne tornerà in Colombia, nel mese di maggio, ad allenarsi e per stare con la famiglia. Per i corridori sudamericani questi sono momenti molto importanti perché si tratta di una breve finestra dove riesce a stare con i propri cari.
Niente Giro per Higuita, il gap a cronometro con i grandi è ancora troppo ampioNiente Giro per Higuita, il gap a cronometro con i grandi è ancora troppo ampio
Come viene gestito quando si trova in Colombia?
Ha un contatto giornaliero con il suo preparatore che lo segue tramite le varie piattaforme di allenamento. Sergio è un ragazzo molto professionale e molte volte siamo noi a frenarlo perché rischia di allenarsi troppo. Io personalmente, essendo il suo diesse di riferimento, lo sento ogni tanto per sapere come sta e per aggiornarci.
Una volta tornato in Europa dove correrà?
Riprenderà dal Giro di Svizzera, per rimettere la testa sulle corse e capire a che punto è con la preparazione. Poi stileremo il programma per la seconda metà dell’anno
Mollema, l'eroe di Quillan, che i nostri conobbero al Tour de l'Avenir del 2007, vinto in modo spettacolare. Ogni sua vittoria successiva frutto di una fuga
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Parlando con Paolo Artuso dei tanti e ottimi corridori che ci sono nelle sua fila, la Bora Hansgrohe era stata definita una “all star”, una squadra composta da “tutte stelle”. Sono in effetti molti i corridori importanti nel team tedesco, specie quelli per le corse a tappe.
Gasparotto (qui con Benedetti) corridore fino al 2020, è un direttore sportivo della Bora-Hansgrohe dalla passata stagioneGasparotto (qui con Benedetti) corridore fino al 2020, è un direttore sportivo della Bora-Hansgrohe dalla passata stagione
Enrico Gasparotto, direttore sportivo della Bora, ci dice chi sono queste “star” e come pensano di recuperarle al meglio. Non tutte infatti hanno brillato nella passata stagione.
«Partiamodal concetto che le corse a tappe sono un’ambizione della nostra squadra dal 2022 – dice Gasparotto – da quando è andato via Sagan. Ci dirigiamo verso i grandi Giri soprattutto. Lo scorso anno doveva essere il primo approccio e tutto è andato oltre ogni più rosea aspettativa… nel vero senso della parola, visto che abbiamo vinto il Giro d’Italia».
Jai Hindley, maglia rosa del Giro 2022, punterà al Tour de FranceJai Hindley, maglia rosa del Giro 2022, punterà al Tour de France
«Jai ha ottenuto un grande risultato e si è confermato alla Vuelta con la sua top 10. Di fatto è l’unico dei nostri che è salito sul podio di un grande Giro, e ci sta che abbia l’aspirazione di andare al Tour».
E qui Gasparotto spiega con chiarezza le volontà di Hindley tra Giro e Tour.
«Inizialmente Jai voleva fare il Giro, voleva difendere il titolo. Ma in Bora abbiamo una comunicazione semplice e genuina. Hindley ha visto che al Tour hanno prediletto le montagne e ha spostato le sue attenzioni in Francia.
«Sappiamo che sarà difficile e che il Tour negli ultimi anni è stato un monopolio di UAE Emirates, Ineos Grenadiers e Jumbo-Visma, ma era arrivato il momento di misurarsi nel gran tour più importante. E’ la prima volta e ci andremo con il massimo rispetto».
Vlasov essendo bravo a crono ha scelto di puntare al GiroVlasov essendo bravo a crono ha scelto di puntare al Giro
Vlasov al Giro
«Io passerei a Vlasov – prosegue Gasparotto – Alexander riparte dal quarto posto del Giro 2021 e dal quinto del Tour 2022. Un quinto posto catturato nonostante una caduta in un momento cruciale della corsa. Ha mostrato caparbietà e grande costanza. E’ sempre stato davanti. A parte una tappa (la seconda in volata in Danimarca, ndr) non è mai andato oltre il 31° posto. E siamo felici di questo rendimento perché ha ottenuto quel piazzamento pur senza sviluppare i suoi watt migliori. Non era al top».
«Vlasov a crono si difende bene. Non è all’altezza di Remco o Roglic, ma va. Lui ha fatto il ragionamento opposto a quello di Jai. Punta al Giro pensando ad un podio. In generale la differenza così netta fra i percorsi di Giro e Tour hanno facilitato le scelte dei ragazzi e aiutato noi direttori, che li ascoltiamo e cerchiamo di accontentarli».
«Alex è un ragazzo semplice, concreto. E’ già concentrato sul Giro. Sa che già abbiamo visionato delle tappe e segue questo percorso. Se non ci saranno intoppi la corsa rosa diventa davvero interessante per lui… E poi potrebbe avere il numero uno!».
Emanuel Buchmann (classe 1992) vuole una stagione ad alto livelloEmanuel Buchmann (classe 1992) vuole una stagione ad alto livello
Rilancio Buchmann
Scorrendo la lista delle star ecco Emanuel Buchmann.Il tedesco, scalatore, vanta un quarto posto al Tour 2019 e da lì vuol ripartire.
«Lui ci ha detto di voler fare il Tour, sempre per il discorso delle crono, dove non è super. Arriva da stagioni in cui il suo rendimento è stato più basso dei suoi livelli a causa di cadute e malattie, ma quel settimo posto all’ultimo Giro è stato un bagliore».
Il suo 2022 è stato a doppia velocità. Bene nella prima parte, molto meno nella seconda.
«Però – va avanti Gasparotto – adesso è entusiasta e non era giusto gettare quanto di buono fatto nella prima parte. Riprenderà a correre a Majorca.
«E’ importante farlo correre? Io dico che è importante farlo correre bene. Oggi tutto è super professionale, tutti sono al top. Più che spronarli i corridori devi quasi fermarli. Quindi la differenza può farla la felicità. I ragazzi devono essere contenti di quel che fanno, ci devono credere. E se per caso non si sono allenati per una malattia è inutile mandarli a correre per raccogliere dei feedback negativi.In tal senso mi è piaciuta una massima di Gianluca Vialli di questi giorni: “Nessuno perde. O vince o impara”».
Parigi-Nizza 2021, Schachmann si complimenta con Roglic. Il tedesco è stato secondo per due anni consecutiviParigi-Nizza 2021, Schachmann si complimenta con Roglic. Il tedesco è stato secondo per due anni consecutivi
Schachman già in pista
La star successiva è Maximilian Schachman. Il tedesco arriva da un anno non altezza della sua classe.
«E infatti – spiega Enrico – ha chiuso in anticipo la stagione 2022 per recuperare meglio. Lui è in Australia. Il team si aspetta molto nelle corse di una settimana e nelle gare di un giorno, tanto più che per i grandi Giri siamo ben coperti.
«Il suo obiettivo 2023 si chiama continuità di rendimento. Per esempio allo Svizzera ha ottenuto un decimo posto pur non stando bene. Max ha un motore talmente grosso che deve avere questa continuità ad alto livello. Artuso ci sta lavorando. Per lui Parigi-Nizza e Ardenne sono i primi obiettivi».
Sergio Higuita (classe 1997) ha mostrato grandi doti nelle corse a tappe di una settimana. Qui leader, provvisorio, all’ultimo Giro di PoloniaHiguita (classe 1997) ha mostrato grandi doti nelle corse a tappe di una settimana. Qui leader, provvisorio, all’ultimo Giro di Polonia
Higuita: corse più brevi
«Sergio è in Colombia… al caldo! Per lui pensiamo alle corse di una settimana più che ai grandi Giri. Nel 2022 ha vinto il Catalunya, è andato forte allo Svizzera… Ma per me può essere competitivo anche nelle grandi corse di un giorno. Poteva già cogliere il primo podio in un monumento se al Lombardia non avesse preso il Civiglio troppo indietro».
«Higuita potrebbe essere di supporto ad Hindley al Tour. Però non dimentichiamo che è giovane e può migliorare ancora».
Kamna lo scorso anno ha mostrato grande tenuta anche nelle tre settimane. Eccolo con Hindley e Carapaz sulla MarmoladaKamna lo scorso anno ha mostrato grande tenuta anche nelle tre settimane. Eccolo con Hindley e Carapaz sulla Marmolada
Kamna e la classifica
Lennard Kamna è forse la sorpresa maggiore. Talento indiscusso, lo scorso anno è rifiorito.
«Visto che Lennard si difende bene a crono, è campione nazionale, pensa ai 71 chilometri contro il tempo del Giro. Ha l’ambizione di provare a fare classifica ed è giusto accontentarlo. Per me può essere un outsider.
«Deve maturare e avrà un approccio diverso dal correre con la fantasia e la libertà come ha fatto quest’anno. Sarà alla prima esperienza per capire se potrà puntare alle classifiche. Il suo avvicinamento prevede due corse a tappe, Valenciana e Tirreno. Da lì capiremo come impostare il Giro».
Aleotti ha vinto il Sibiou Tour per due anni consecutivi. E’ arrivato il momento di fare uno step almeno nelle corse di un giorno Aleotti ha vinto il Sibiou Tour per due anni consecutivi. E’ arrivato il momento di fare uno step almeno nelle corse di un giorno
E Aleotti?
Delle stelle della Bora fa parte anche Giovanni Aleotti. Una delle speranze del nostro ciclismo.
«Giovanni è in Australia – dice “Gaspa” – abbiamo deciso di partire più forte perché rendesse subito bene. Poi anche per lui ci sarà il Giro. Si prevede una stagione dispendiosa tanto più dopo un inverno concentrato per essere subito pronto. Sacrificherà le Ardenne. Volevamo che arrivasse bene al Giro. Lo scorso anno ha avuto troppi intoppi».
Aleotti è quindi già concentrato sul Giro e secondo Gasparotto potrà essere una pedina fondamentale per Vlasov.
«Per Giovanni vale un po’ il discorso fatto per Kamna. O uno nasce come Hindley, che è subito performante, oppure ci arriva per step. Ma io credo che crescere per step sia la cosa migliore. E lo dico sulla mia pelle da corridore che ha vinto subito. In questo modo quando arriveranno le difficoltà saprà come affrontarle.
«Se mi chiedete, nel lungo termine, se Giovanni potrà essere da grandi Giri vi rispondo che non lo so. Se mi chiedete cosa potrà fare nel breve termine, vi dico che può essere competitivo nelle corse di un giorno. Specie quelle nella seconda parte di stagione, come Plouay o il Canada, dove ha mostrato di andare forte».
Bob Jungels (classe 1992), arrivato questo inverno alla Bora Hansgrohe, fa parte a pieno titolo delle star (foto Instagram)Jungels (classe 1992), arrivato questo inverno alla Bora Hansgrohe, fa parte a pieno titolo delle star (foto Instagram)
Jungels in appoggio
Gasparotto ci fa notare che all’appello manca Bob Jungels. In teoria ci sarebbero anche Patrick Konrad e Sam Bennett, ma loro hanno fatto più una svolta verso il gregariato.
«Bob, altro corridore super solido – dice Enrico – ritrovare la costanza è un suo obiettivo. Il fatto che sia tornato a vincere al Tour e che sia uscito di poco dalla top 10 significa che è di nuovo ai suoi livelli.
«La sua stagione sarà divisa in due parti principali: Parigi-Nizza e classiche del Nord e poi Tour de France. Alla Parigi-Nizza, potrà fare bene sia per la classifica che per aiutare, specie in ottica cronosquadre. Nelle classiche potrà essere competitivo in alcune di quelle sul pavé e in quelle delle Ardenne. Non dimentichiamo che è stato anche nella Quick Step e sa come lottare per quegli obiettivi.
«Riguardo al Tour invece vorrà esserci per dare supporto. E non per la classifica. E’ stata una sua scelta. Parole sue: “Se tengo duro faccio 9°-10° e non mi posso muovere. Così invece potrò aiutare e magari cercare una vittoria di tappa».
Enrico Gasparotto in ammiraglia sulle strade delle Ardenne e del Limburgo che l'hanno reso grande. Le emozioni sul Cauberg. I consigli per Vlasov e Aleotti
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A proposito di giovani italiani che potrebbero iniziare a dire la loro, alle porte di Bologna c’è Giovanni Aleotti che, fra Covid e acciacchi, ha chiuso una stagione da 53 giorni di corsa. In questo lasso di tempo, ha aiutato Hindley a vincere il Giro d’Italia, vincendo a sua volta il Sibiu Tour per il secondo anno consecutivo. Toppo poco? Giusto così? Sentiamo cosa ne pensa il diretto interessato.
«Alla fine è stato un anno positivo – dice – magari mi aspettavo un po’ di più dalla prima parte di stagione, però ho avuto un po’ di problemi e non è iniziata benissimo. Finito il primo ritiro a Mallorca, ho preso il Covid e sono stato una settimana da solo nella stanza dell’hotel. Poi ci ho messo un po’ per tornare in condizione, sono stato anche in altura invece alla Sanremo ho preso la bronchite e ho finito la corsa che avevo già la febbre. Insomma, mi sono portato avanti questi problemi fino al Giro, poi piano piano le cose hanno iniziato a migliorare. Ho vinto a Sibiu. Ho fatto il Polonia e in Canada ho fatto forse la mia prestazione migliore della stagione, soprattutto visto il livello e il fatto che era la settimana prima del mondiale».
Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Un Giro per lavorare.
Ci sono arrivato senza avere la base. Ho dovuto saltare l’altura perché era programmata quando ho avuto la bronchite. Ho saltato la Coppi e Bartali, che comunque sarebbe stata una corsa di più nelle gambe e, nonostante tutto, sono riuscito a fare il mio Giro, che abbiamo vinto e che mi ha dato la spinta per ripartire bene.
Si pensa che voi giovani italiani dovreste spingere più forte per uscire…
In questa squadra, io mi sento veramente a casa. Sia con il mio allenatore “Silvestro” Szmyd, che si è polacco ma è anche un po’ italiano, sia poi con “Gaspa” (Enrico Gasparotto, diesse della Bora-Hansgrohe, ndr) che è venuto quest’anno. Penso che mi abbiano lasciato molto spazio, anche se in generale è un insieme di cose. Per avere spazio, bisogna stare bene, avere la giornata giusta, essere in salute. Di solito c’è sempre un capitano designato, ma se qualcuno sta andando forte, la squadra lo sa, lo riconosce. Quindi gli viene dato il suo spazio. Penso che almeno nel mio caso mi sento molto protetto e anche considerato. Se la condizione c’è, lo spazio si trova.
Gasparotto, qui con Benedetti, per Aleotti può essere un utile riferimento tecnicoGasparotto, qui con Benedetti, per Aleotti può essere un utile riferimento tecnico
In realtà ti abbiamo visto spesso tirare.
Il problema è che se salti il tuo… turno, poi devi integrarti con gli spazi degli altri. E comunque quando vai a una corsa Monumento con un leader che può vincere, allora tutti questi discorsi sono un po’ più ridimensionati. Però in generale, quando uno sta bene, in questa squadra ha molto spazio e secondo me è una cosa positiva. E’ vero anche che avere più libertà ti permetterebbe di prendere le misure. E credo che avere in squadra uno come Gasparotto, cui piacciono ad esempio le classiche delle Ardenne, per me sia un’occasione importante.
Sai già quale programma seguirai nel 2023?
Siamo stati per una settimana tra Germania e Otztal, in Austria. Del calendario non abbiamo ancora detto molto perché adesso un po’ tutti sono in vacanza. Io ho da poco iniziato a parlare con “Gaspa” di dove iniziare la stagione, perché chiaramente chi parte in Australia o Argentina, deve anticipare la ripresa. Quella è la prima cosa che bisogna sapere, quindi adesso ne parleremo anche con Silvestro e decideremo se iniziare a gennaio oppure a febbraio in Europa.
Covi classe 1998, Aleotti del 1999: due talenti italiani molto attesi che corrono in team stranieriCovi classe 1998, Aleotti del 1999: due talenti italiani molto attesi che corrono in team stranieri
Se potessi scegliere?
A me onestamente piacerebbe anche partire presto. Poi penso che farei un altro anno con il programma dell’ultimo. Mi piacerebbe fare il Giro, perché penso che forse sia ancora un po’ presto per il Tour, visto anche che la concorrenza in squadra è tanta. Prima di buttarmi, è meglio fare un altro passo al Giro. Magari potrei valutare il Tour quando partirà dall’Italia, se la cosa si farà.
Partire presto e fare il Giro?
Ci sarà da fare un po’ di recupero, in modo da non arrivare cotto al Giro. Mi piacerebbe. Con Szmyd lo avevo accennato a fine stagione, quando abbiamo iniziato a parlare dell’anno prossimo. Si parte al caldo e anche abbastanza forte. E alla fine penso che si faccia sempre in tempo a rallentare un po’, mentre è più difficile decidere di aumentare. L’ho visto quest’anno, quando sono tornato in Italia dalla quarantena a Mallorca. Ci ho messo un po’ di tempo per tornare in condizione.
Aleotti è arrivato al Giro senza la giusta base. Ha stretto i denti ed ha aiutato Hindley a vincereAleotti è arrivato al Giro senza la giusta base. Ha stretto i denti ed ha aiutato Hindley a vincere
Cosa ti resta del Giro?
Sono state tre settimane incredibili per tutti noi, perché arrivavamo con un po’ di dubbi. Buchmann era caduto alla Liegi, si era fatto molto male ed è stato in dubbio fino all’ultimo. Sempre a Liegi, si era ammalato Hindley. Invece Kamna ha vinto subito la tappa sull’Etna, quindi ha tolto un po’ di pressione. Poi Jai ha vinto sul Block Haus e abbiamo preso tutti fiducia. Non ci siamo mai accontentati, credevamo in Jai e che potesse farcela. Nella tappa di Torino, ci abbiamo provato ed è stata sicuramente una delle corse più belle del 2022, anche se non abbiamo vinto.
Qualcuno dice che sia stato un Giro noioso
Noioso? Che cosa vuol dire che è stato un Giro noioso? Non saprei cosa dire. Tutti gli uomini di classifica si sono dati battaglia. Come anche al Tour, in certi giorni le squadre dei capitani hanno gestito per risparmiare le energie, quindi la fuga è arrivata. Mi ricordo però di tappe in cui la fuga ci metteva veramente tanto ad andar via e non era assolutamente facile beccarla. A me il Giro 2022 è piaciuto.
Hindley ha strappato la maglia rosa a Carapaz soltanto il penultimo giorno del Giro, salendo sul FedaiaHindley ha strappato la maglia rosa a Carapaz soltanto il penultimo giorno del Giro, salendo sul Fedaia
Il Tour è stato più divertente?
Al Tour ci sono state le prime tappe in cui ci si aspettava vento, ma alla fine non è successo niente. La tappa del Granon è stata spettacolare da vedere, ma dopo quella anche la Jumbo si è messa davanti a gestire. Erano così forti che comunque hanno controllato, forti di un vantaggio bello grosso. Al Giro fra Carapaz e Hindley ci sono stati 10 secondi fino al giorno del Fedaia. Secondo me è stato bello anche che fino all’ultima tappa non si sapesse chi avrebbe vinto. Per questo non ci siamo mai risparmiati.
Farai ancora il Giro?
Quest’anno sicuramente, se dovessi fare il Giro, arrivarci fresco e vedere anche come andrebbe il recupero, sarebbe un bel test. Per ora la classifica non mi attira, ma sarei curioso di arrivarci bene anche solo per capire se in futuro potrò essere protagonista anche nelle tappe dure. Sarebbe un bel test, mettiamola così.
Nel finale di stagione, dal Polonia in poi, una bella crescita di condizione, fino al 7° posto di MontrealNel finale di stagione, dal Polonia in poi, una bella crescita di condizione, fino al 7° posto di Montreal
Vacanze a casa?
Sono stato qua, un po’ in giro con i miei amici che ovviamente ho visto poco negli ultimi mesi, dato che a partire dal Canada sono stato via parecchio. L’anno scorso ero andato in vacanza, quest’anno ho preferito proprio riposarmi a casa. Le prime due settimane le ho fatte proprio senza toccare la bici. Oggi (ieri per chi legge, ndr) ho fatto 50 chilometri: un’ora e mezza giusto perché avevo voglia stare un po’ in bici. Inizio con qualche giretto tranquillo e poi gradualmente, dalla fine della settimana prossima, magari inizierò a fare un po’ di più, ma non distanze. E poi anche in base al calendario, organizzerò la preparazione vera e propria, per provare a salite un altro gradino.
Chiamato all'ultimo secondo, Matteo Fabbro si è aggregato con i suoi compagni alla spedizione per la Vuelta. I lavori nelle gambe ci sono, speriamo ci sia anche un po' di spazio personale