«Di solito sono nevrotica prima di una crono – sorride Vittoria Guazzini vestita con i colori dell’iride – ma questa volta credo di essere stata insopportabile. Ringrazio e mi scuso con tutti quelli che ho tirato matti in questi giorni. I meccanici soprattutto. Non immaginate quante volte ho chiesto di cambiare i rapporti…».
Stamattina si scaldava all’ombra del camper, per ripararsi dai raggi del sole di colpo aggressivi. E mentre Elisabetta Borgia le stava accanto con la sua presenza tranquillizzante, i meccanici Foccoli e Cornacchione avevano appena finito di ripassare la sua bici, montata con il 55×11 dopo giorni di modifiche e teorie.
Prima del via, riscaldamento all’ombra del camper, visto il sole caldoDopo la crono, Guazzini si è scusata con i meccanici Foccolo e Cornacchione per averli tirati mattiPrima del via, riscaldamento all’ombra del camper, visto il sole caldoDopo la crono, Guazzini si è scusata con i meccanici Foccolo e Cornacchione per averli tirati matti
La previsione del cittì
La toscana sorride con ogni parte del suo viso. Ha concluso la conferenza stampa mangiando una barretta, col terrore che le arrivasse la domanda mentre stava masticando. Così, da grande direttrice d’orchestra, invitava a rispondere l’olandese e la tedesca che l’hanno accompagnata sul podio iridato delle under 23.
La previsione del cittì Sangalli, con cui quest’anno Guazzini aveva già vinto i Giochi del Mediterraneo, è stata azzeccata. Guazzini è stata anche seduta sulla hot seat accanto a Grace Brown che fino a quel momento aveva ottenuto il miglior tempo, poi ne è scesa quando sono arrivate la svizzera Reusser e alla fine Ellen Van Dijk che ha vinto il titolo fra le elite.
«Ho corso per fare il meglio possibile nell’ordine d’arrivo generale – spiega Guazzini – ma vincere non è male. Questo risultato mi dà tanta motivazione per il tipo di prestazione che sono riuscita a fare. E’ di buon auspicio per fare meglio l’anno prossimo e puntare, perché no, al titolo delle elite».
Il percorso non era dei più adatti a Guazzini, ma il quarto tempo assoluto parla di un’ottima provaIl percorso non era dei più adatti a Guazzini, ma il quarto tempo assoluto parla di un’ottima prova
Un passo in più
La nuova categoria è arrivata appena in tempo. E Vittoria, che già l’anno scorso agli europei di Trento aveva vinto il titolo delle più giovani, prosegue nella sua crescita.
«Il percorso non era semplice – spiega – ma stavo così bene da non aver sofferto più di tanto sulle due salite. Ero veramente nervosa. Le crono mi piacciono tanto, ma mi rendono nervosa perché si tratta di combattere contro se stessi. Finalmente poi sono partita e mi sono concentrata sull’andare forte, spingere al massimo e rilanciare forte dopo le curve. Avere la categoria U23 ai mondiali è un bel passo avanti. Sarebbe meglio avere due gare distinte, ma ora mi godo questa maglia e prendo il buono della novità. Il salto dalle junior alle elite è davvero troppo alto e avere una categoria intermedia è quello di cui davvero c’era bisogno».
Nella conferenza stampa, Guazzini ha fatto sfoggio di un ottimo ingleseDopo l’arrivo, subito sulla hot seat: Guazzini ha avuto per un po’ il secondo miglior tempoNella conferenza stampa, Guazzini ha fatto sfoggio di un ottimo ingleseDopo l’arrivo, subito sulla hot seat: Guazzini ha avuto per un po’ il secondo miglior tempo
La mattinata se ne va con i colori sgargianti dell’iride della ragazza italiana, che per il resto del tempo veste i colori della FDJ Nouvelle Aquitaine. Il pomeriggio sarà dedicato alle crono degli uomini. Nell’area dei camper e nella zona box il fruscio dei rulli nella fase di riscaldamento è già a pieno regime.
Domani si comincia. Le squadre si stanno radunando a Wollongong e nella mattinata di domenica sarà la volta delle cronometro. Prima le donne, poi gli uomini. Si parte subito col botto, riservando alle categorie giovanili i giorni successivi.
E’ tutto un po’ confuso, forse anche per colpa della differenza di orario e dalla difficoltà iniziale nell’ambientarsi al nuovo mondo, dove è già inverno (anche se dall’Italia arriva notizia dell’annullamento del Memorial Pantani per l’ondata di maltempo che ha colpito la Romagna).
Budget a confronto
Alcune federazioni, come l’Irlanda o la Nuova Zelanda, hanno rinunciato a inviare la loro selezione per motivi economici, perché il prezzo del biglietto era troppo alto, mentre altre come il Canada, hanno chiesto ai corridori di pagarsi il viaggio. E se da un lato tutto questo potrebbe fornire la misura della fragilità del sistema, si può notare che la parte ricca del ciclismo – il WorldTour o comunque una sua parte – ha rifiutato di mandare i propri atleti ai mondiali perché impegnati nella caccia ai punti del ranking UCI. Compresa la Movistar, che ha privato Valverde dell’onore di chiudere la carriera con un campionato del mondo.
Bennati ha raggiunto stasera l’Australia: atterraggio a Sydney e poi di corsa a WollongongBennati ha raggiunto stasera l’Australia: atterraggio a Sydney e poi di corsa a Wollongong
La perplessità è diffusa. L’UCI propugna la mondializzazione dello sport, per portare il gruppo laddove migliaia di persone avranno il privilegio e la possibilità di applaudire beniamini che altrimenti vedrebbero soltanto in televisione. Peccato che per lo stesso motivo nel 2016 andammo tutti a Doha, in un deserto torrido e inospitale, in cui neppure i cammelli si degnarono di salutare il passaggio del gruppo. Sarà proprio l’interesse dei tifosi a muovere le scelte della federazione internazionale?
Pericolo gazze
La natura australiana in proporzione si sta mostrando molto più calorosa rispetto a quella del deserto. E se in Italia è rimbalzata l’eco dell’aggressione subita da Evenepoel da parte di un uccello inferocito, il tema quaggiù è di attualità più stretta. Si parla del pericolo gazze, uccelli neri e bianchi che a queste latitudini sono assai popolari, che a settembre covano le loro uova e le difendono da qualsiasi cosa si muova nei dintorni del nido.
«Le gazze possono essere piuttosto territoriali – ha dichiarato Paul Partland dell’Illawarra Animal Hospital sulla stampa locale – e molte attività si svolgeranno nelle loro zone. Gli uccelli in picchiata tendono a prendere di mira le persone che sono sole e anche quelle che si muovono in modi molto veloci».
Così a Wollongong i cartelli avvisano passanti e ciclisti del rischio di uccelli in picchiataCosì a Wollongong i cartelli avvisano passanti e ciclisti del rischio di uccelli in picchiata
Ecco così che il racconto di Evenepoel assume un altro significato, unito a tutti gli altri avvistamenti segnalati da altri atleti.
«Un uccello abbastanza grande – ha raccontato Remco – si è avvicinato molto e ha continuato a seguirmi. E’ stato terrificante. Ma questa è l’Australia, a quanto pare. Spero che sia l’unica volta che succede, perché ho avuto paura».
La conferma che non si sia trattato di un caso isolato è arrivata da Stefan Kung, secondo cui un compagno svizzero fosse già stato attaccato in precedenza da una gazza. L’Australia, annotano i giornali di qui, ha un sito web per la segnalazione di attacchi di gazze, con 1.492 episodi quest’anno e fra questi 192 feriti, spesso lievi.
Ganna concentrato
Ma adesso è tempo di parlare di corridori e corse. Ganna ha sulle spalle il peso del pronostico, un fattore che non gli è mai pesato. Pippo (in apertura con Sheffield sul percorso) si è preparato con Sobrero in altura a Macugnaga, ma ha curato altri aspetti della preparazione, visto che la crono di domani potrebbe essere meno filante e più esposta al rischio di rilanci.
Vittoria Guazzini è la nostra punta di diamante per la crono donne: è anche U23Vittoria Guazzini è la nostra punta di diamante per la crono donne: è anche U23
Nella conferenza stampa su zoom della vigilia, il piemontese ha scacciato i fantasmi della tensione, dicendo di volersi concentrare unicamente su se stesso: la gara è un fatto di tempo. Se fai il più basso hai vinto. Pensare ai rivali non serve.
Di sicuro un risultato positivo sarebbe il miglior viatico verso il record dell’Ora finalmente annunciato, in cui il campione del mondo di crono e inseguimento si troverà a dover battere la distanza di un ingegnere apparentemente venuto dal nulla. Sfidarlo con la leggerezza di un mondiale vinto sarebbe senza dubbio meno pesante. La posta in palio non è affatto banale.
Evenepoel d’attacco
D’altro canto il suo sfidante principale Evenepoel non sfugge alle proprie possibilità. E dopo aver spiegato che non fosse il caso di tornare in Belgio dopo la Vuelta, vista la… minaccia di festeggiamenti, racconta di aver scoperto il percorso anche il giorno prima rispetto alle prove ufficiali che si sono svolte proprio oggi.
Evenepoel oggi per la seconda volta sul percorso, dopo il primo… asssaggio di ieriEvenepoel oggi per la seconda volta sul percorso, dopo il primo… asssaggio di ieri
«Lo avevo già esplorato di nascosto – ha raccontato – in ogni caso è più difficile dell’anno scorso a Bruges. Il dislivello di quasi 400 metri si fa principalmente nei primi 8-10 chilometri di gara. La salita puoi confrontarla con mezzo Berendries (noto muro del Fiandre, ndr). E’ abbastanza difficile e posso contare sul mio peso. Ci saranno anche molte curve, quindi è un percorso piuttosto tecnico. Solo negli ultimi 6 chilometri lungo la costa potrò usare di nuovo la mia aerodinamica».
Dal 1° agosto è scattato ufficialmente il mercato, ma molti scambi erano già noti. Su molti fronti si lavora sottobanco. Facciamo il punto della situazione sin qui
Remco Evenepoel riattacca il numero domani a San Sebastian. Poi il mondiale (strada e crono) e la Vuelta dove vede favorito Vingegaard. Lo pensa davvero?
L’ultima volta che i mondiali si sono corsi in Australia fu nel 2010 e a Pozzato girano ancora le scatole. Il vicentino aveva 29 anni e arrivò quarto, dando però la sensazione di poter vincere. Hushovd, Breschel, Davis. E poi Filippo. Per questo, strappato per qualche minuto alla routine di organizzatore proiettato verso i mondiali gravel di ottobre, il tono di voce cambia e si inasprisce.
Fu un anno maledetto. Il 7 febbraio l’incidente si portò via Franco Ballerini, il cittì di 4 mondiali vinti e un’Olimpiade. Al suo posto fu spinto Paolo Bettini, che non riuscì a dire di no e grazie a questo avrebbe scoperto negli anni di avere qualità tecniche eccellenti. Il suo lavoro, guidato da emotività e senso del dovere, fu mantenere in nazionale lo spirito di Franco. In Australia portò Gavazzi, Nibali, Oss, Paolini, Pozzato, Tonti, Tosatto e Visconti. Pozzato ricorda, la voce adesso è bassa.
Pozzato arrivava ai mondiali di Geelong dopo la Vuelta. Sulla maglia la scritta per BalleriniPozzato arrivava ai mondiali di Geelong dopo la Vuelta. Sulla maglia la scritta per Ballerini
Da Madrid a Melbourne
Corse la Vuelta, quella di Nibali. Si fermò proprio alla vigilia della Bola del Mundo, con il terzo posto di Toledo nelle gambe, ad appena un secondo da Gilbert in forma smagliante e Tyler Farrar.
«Andammo via presto – ricorda – perché c’era un’altra gara il sabato prima, quindi era tutto previsto. Mi sono fermato il venerdì e ricordo di aver fatto un buon avvicinamento, sarei arrivato al mondiale come volevo io. Poi si sa, in Italia ci sono sempre stati i giornalisti che mi davano contro. Non è che ti facessero lavorare tranquillo. Dovevo sempre dimostrare qualcosa, dicevano che comunque non avevo vinto, anche se andavo forte. E si chiedevano se fossi pronto per fare il leader e cose di questo tipo».
Una settimana prima del mondiale, Pozzato vince la Herald Sun World Cycling Classic: la gamba c’èUna settimana prima del mondiale, Pozzato vince la Herald Sun World Cycling Classic: la gamba c’è
Come andò?
Paolo, che comunque a me è sempre piaciuto molto per come ha interpretato il ruolo di cittì, forse viveva la corsa come le faceva lui, col suo modo di correre. Io invece correvo al contrario rispetto a lui e questo forse ci portò a fare una corsa un po’ troppo d’attacco. Mala colpa per come andò il finale fu solamente mia. Era un mondiale che avrei vinto con una gamba sola o comunque abbastanza facilmente. Bastava solo partire due posizioni più avanti.
Cosa successe?
A un certo punto, verso fine corsa, mi convinsi di non avere le gambe per fare la volata. Invece quando sono partito, mi sono chiesto: come mai gli altri non vanno? Sembravano tutti fermi, piantati. E io rimontavo, rimontavo, ma non abbastanza. Un metro dopo l’arrivo ero praticamente primo. Venivo su a doppia velocità, bastava partire due posizioni davanti.
Gilbert è in gran forma e attacca a raffica per arrivare da solo: Pozzato lo segueGilbert è in gran forma e attacca a raffica per arrivare da solo: Pozzato lo segue
Da mangiarsi ancora le mani?
Forse Geelong è il più grosso rammarico della carriera. Io avevo due sogni. Vincere la Sanremo e il mondiale e il mondiale non sono mai riuscito a vincerlo.
Si parlò dell’ultima curva presa troppo indietro…
L’ultima curva l’ho presa indietro perché ero suonato, ero convinto di non avere le gambe. Perché comunque c’era Gilbert che volava. Attaccò cinque o sei volte e io gli sono sempre andato dentro. L’ultima volta non sono riuscito a seguirlo, perché avevo un inizio di crampi e sono andato un po’ in crisi di testa. Mi sono detto: hai i crampi, vedi che sei finito e gli altri vanno il doppio?
La volata di rimonta non basta, Hushovd iridato, Pozzato “solo” quartoLa volata di rimonta non basta, Hushovd iridato, Pozzato “solo” quarto
Bastava crederci di più?
Mi sono messo in testa questa cosa qua, invece alla fine ero quello che stava meglio di tutti. Erano morti, ma il mio più grande problema è sempre stato che quando vincevo non facevo tanta fatica, quindi pretendevo di andare alle corse e arrivare sempre senza soffrire. Così, se magari sentivo una mezza cosa che non andava, era crisi.
Ci pensi ancora?
Ci penso sì. Mi girano veramente le scatole di non essere mai diventato campione del mondo. Per un motivo o per l’altro, anche se magari andavo forte, m’è sempre sfuggito, Al mondiale di Stoccarda sono stato l’ultimo a staccarmi da quelli davanti per i crampi, per una cavolata mia e vabbè… Più o meno una ti ritorna sempre indietro, ma quella in Australia è stata l’occasione che ho buttato io. Certi treni non passano più.
Il mondiale di Geelong 2010 fu vinto da Hushovd su Breschel e DavisHushovd ha lanciato la volata. Pozzato rinviene dalle retrovieIl mondiale di Geelong 2010 fu vinto da Hushovd su Breschel e DavisHushovd ha lanciato la volata. Pozzato rinviene dalle retrovie
Come andò con il fuso?
All’andata andò bene. Anticipammo parecchio perché il sabato prima ci fu una corsa (Herald Sun World Cycling Classic, ndr) e la vinsi io. Fu la scelta giusta proprio per prendere il fuso orario. Corremmo quasi subito e io ero ancora suonato per il viaggio, però vinsi e quindi era il segno che andavo.
Com’era il clima?
Era inverno, non era caldo. C’era una bella temperatura, era freschino. Il giorno che ho vinto, avevo la maglia a maniche lunghe. Invece il mondiale lo feci a maniche corte. Saranno stati 20 gradi.
Invece in squadra?
Paolo era stato veramente bravo a costruire la squadra, essendo uno che aveva appena smesso ed era stato in gruppo fino a due anni prima. Era comunque uno di noi e creò un gran clima. Secondo me era riuscito a rimettere in piedi le stesse idee che Ballerini aveva cercato di portare in nazionale, quindi stavamo veramente bene.
Al via da Melbourne, Pozzato con il suo fan club: dietro, suo zioAl via da Melbourne, Pozzato con il suo fan club: dietro, suo zio
Ricordi il pubblico?
C’erano un sacco di italiani d’Australia. Tra l’altro ho anche dei parenti e mi ricordo che erano venuti anche mio papà e mia mamma. C’era gente immigrata tanto tempo prima, quindi era bello perché comunque sembrava quasi di essere a casa e loro erano orgogliosi di vederci con la maglia azzurra. Una bella sensazione, un bel modo di correre anche a livello emozionale. Un qualcosa in più.
Il pensiero a Ballerini?
Avevamo sulla maglia una scritta per Franco: “Ballero sempre con noi”. Secondo me era stata una cosa veramente bella. Diciamo che il clima non era cambiato tanto rispetto a quando c’era lui. Si sentiva la mancanza, però Paolo era stato bravissimo a rimettere in piedi l’atmosfera che Franco aveva creato negli anni. Perché Paolo è quello che l’ha vissuta meglio di tutti, ha vinto i mondiali e le Olimpiadi con lui, era quello che meglio di tutti sapeva interpretare quel suo spirito.
Alice Toniolli ha corso il mondiale crono juniores. Va in bici da marzo 2021, prima faceva pattinaggio artistico. E' tutto nuovo. Ha gambe, manca la tecnica
Nella confusione del paddock di Misano Marittima dove si sta svolgendo l’Italian Bike Festival, spunta un volto conosciuto: è quello di Cadel Evans. L’ex corridore australiano è nello stand BMC, a testare bici gravel con il sorriso di sempre. Evans ha smesso di correre nel 2015 proprio con il BMC Racing Team ed è rimasto nel panorama del brand svizzero. L’occasione di avere davanti una personaggio del suo calibro è ghiotta e ne approfittiamo.
Cadel Evans in questi giorni si sta divertendo a pedalare con la bici Kaius, soggetto di un nostro recente testCadel Evans in questi giorni si sta divertendo a pedalare con la bici Kaius, soggetto di un nostro recente test
Cadel, che cosa stai facendo ora?
Continuo il mio lavoro di brand ambassador, questa all’Italian Bike Festival è una delle prime esperienze che faccio dopo la chiusura dovuta al Covid. Sono contento di ritrovare tante persone che conosco da molti anni, è bello essere qui senza mascherina (dice ridendo, ndr) fare delle prime prove di bici è divertente. Pedalo con vecchie conoscenze (dietro di lui passa proprio Alessandro Ballan, altro ambassador BMC, ndr).
Ti sei votato al gravel ora?
Mi piace moltissimo, da quando ho smesso di correre faccio solo quello. Ho unito la mia passione per il fuori strada e la fisionomia delle bici da corsa.
Ci sarà anche il mondiale ad ottobre…
Sì. Un gran bell’evento, peccato non essermi preparato prima per correre e provare a vincerlo (ci dice con un sorriso malizioso, ndr).
Dal 2023 tornerà la Cadel Evans Great Ocean Road Race, gara del calendario WT (foto sito ufficiale)Dal 2023 tornerà la Cadel Evans Great Ocean Road Race, gara del calendario WT (foto sito ufficiale)
Come ti trovi qui a Misano?
In 5 minuti sono entrato ed ho trovato 5 o 6 ex corridori professionisti. Anche mentre parcheggiavo la macchina, ho incrociato Bettini che mi ha consigliato un buon parcheggio (ride ancora, ndr). E’ incredibile perché ritrovo gente che conosco da quando correvo in mountain bike da junior, è divertente andare in queste fiere internazionali è trovare ancora le stesse persone. Ho tenuto un bel rapporto per fortuna!
Hai seguito ultimamente le gare?
Sì, seguo ancora molto. Certo, ora sono dalla parte dei tifosi, esco qualche volta con alcuni professionisti che abitano vicino a me. La mia corsa, la “Cadel Evans Great Ocean Road Race” ricomincia a gennaio del 2023 e stiamo lavorando sodo.
Hai visto il Tour de France?
Certo, è stato molto bello, direi entusiasmante. Si è visto un po’ di tutto: sfortuna, cadute, attacchi, il crollo di Pogacar, che sembrava essere Superman ed invece si è scoperto umano. E’ stato molto bello anche per il movimento del ciclismo. Vingegaard ha corso in maniera molto intelligente, calcolando tutti gli sforzi.
La bellezza dell’ultimo Tour de France non ha lasciato indifferente l’ex corridore australiano, vincitore della Grande Boucle nel 2011La bellezza dell’ultimo Tour non ha lasciato indifferente l’ex corridore australiano
La Jumbo Visma ha fatto un bel passo in avanti…
Negli anni scorsi ha investito molto ed ora tutto questo ha iniziato a pagare. E’ stato bello anche il momento della stretta di mano dopo la caduta di Pogacar tra lui e Jonas, una scena di ciclismo antico.
Sta andando fortissimo, è impressionante. Tutti pensavano che che potesse crollare l’ultima settimana, ma per il momento resiste ancora in maniera solida (ieri, tappa 19 la corsa era ancora in mano al belga, ndr). Anche nella tappa dove è arrivato dietro Meintjes, la numero nove, è stato impressionante. Roglic era in crescita, ma non è andato come ci si aspettava, poi ha avuto l’ennesima sfortuna. Non so se va al mondiale, ma con la gamba che ha direi proprio che ci sarà (esclama con un mezzo sorriso, ndr), io lo porterei.
La resistenza di Evenepoel ha sorpreso tutti, anche Evans, il belga arriverà con morale e condizione al mondiale australianoLa resistenza di Evenepoel ha sorpreso anche Evans, il belga arriverà con morale e condizione al mondiale
I mondiali saranno in Australia, a casa tua, bello, no?
Soprattutto per il ciclismo in Australia, visto che per due anni non abbiamo avuto corse internazionali a causa del Covid. Spero che per il ciclismo australiano possa essere un bel modo per ricominciare con continuità e che i corridori possano tornare nel mio Paese.
Andrai a vederlo?
Sì, sì. Partirò giovedì prossimo e sarò lì la settimana prima della corsa, come testimonial del mondiale. Penso che avrò un ruolo di riferimento per la stampa, vado con gran piacere a vederlo.
Hindley, australiano anche lui, ha vinto il Giro quest’anno…
Sembrava potesse vincerlo nel 2020, ma poi ha perso il primo posto a favore di Geoghegan Hart. Nel 2021 ha avuto un anno di sfortuna e difficoltà, ma ha sempre lavorato per migliorare e quest’anno ha preso la sua rivincita.
Jai Hindley, maglia rosa a Verona, è il quarto australiano a salire su un podio ad un Grande GiroO’Connor e Haig, al Tour, non sono riusciti a tenere lo stesso livello del connazionale Hindley è il quarto australiano a salire su un podio ad un Grande GiroO’Connor e Haig, al Tour, non sono riusciti a tenere lo stesso livello del connazionale
Anche la Bora è cresciuta tanto.
Hanno lavorato tanto ed investito altrettanto, adesso hanno cambiato modo di correre, passando da una squadra veloce ad una da salita. Si pensava che potesse ripartire, con convinzione, il movimento australiano, ma poi al Tour Haig e O’Connor hanno avuto qualche difficoltà.
Hai visto il percorso del mondiale?
Sulla carta, ma vorrei fare una ricognizione, è un anno che non vado a pedalare nella zona di Wollongong. Vederlo su una mappa è diverso, le strade in Australia sono larghe, quindi potrebbe uscire una corsa meno nervosa del previsto. Da quel che si legge molte nazionali stanno facendo una squadra vicina agli scalatori.
Il profilo del mondiale di Wollongong risulta impegnativo, ma la larghezza delle strade potrebbe aiutare a rendere la corsa meno nervosaLa larghezza delle strade potrebbe aiutare a rendere meno nervoso il mondiale di Wollongong
Lui è una bel punto di domanda, nel senso della forma. Se sta bene, vince in salita, sugli Champs Elysees, insomma, sembra invincibile.
Come saranno il pubblico e il clima di questo mondiale?
La voglia degli australiani di vedere questo mondiale è alta. Non abbiamo la tradizione ciclistica europea, ma siamo in grande attesa. Ora da noi si esce dall’inverno, penso che ci sarà un clima abbastanza mite, vedremo, manca sempre meno!
Vendrame ci ha raccontato la sua Van Rysel del Giro. E abbiamo scoperto che alla Decathlon-AG2R le scelte tecniche le fanno due ingegneri, non i corridori
«Non andrei in Australia, se non pensassi di poter diventare campione del mondo». Punto e a capo. Se ti serve il titolo, Van der Poel te lo dà. E così l’altra sera, ospite di un podcast alla vigilia del GP di Zandvoort di Formula Uno, l’olandese ha tirato fuori dal cilindro la sua ambizione iridata.
«Non so esattamente a che punto sono – ha precisato – perché ultimamente non ho preso parte a gare di alto livello. Ma il mondiale ha un percorso un po’ tipo l’Amstel. Per vincere dovrei essere al 100 per cento, ma finora abbiamo visto il percorso solo in uno schermo. Solo quando ci avremo pedalato davvero, potremo stimare quanto sia davvero difficile».
Al Tour, Van der Poel era sfinito. Nella tappa del pavé ha delusoAl Tour, Van der Poel era sfinito. Nella tappa del pavé ha deluso
Senza pressione
E così, in mezzo a corridori che scelgono di non andare e squadre che lo impediscono ad altri, la voglia di Mathieu di esserci fa bene al morale e al ciclismo stesso. L’ultima volta che si è visto andar forte l’olandese, eravamo al Giro d’Italia del debutto, quando quel suo correre sconclusionato produsse spettacolo per noi e tossine per i suoi muscoli. Al punto che ha dovuto ritirarsi dal Tour e da quel 13 luglio lo si è rivisto in bici alla fine di agosto in due gare fiamminghe (in apertura al Druivenkoers di Overijse), la seconda delle quali a Geraardsbergen, conclusa con la vittoria davanti a suo fratelloDavid. Mathieu ha fatto di tutto per essere a posto per l’Australia.
«In realtà – ha detto – ora si tratta principalmente di allenarsi e di fare alcune gare più piccole per prepararsi. E dopo si vedrà. Il focus è sul mondiale. Non sento più alcuna pressione. L’avevo ancora nei primi anni del ciclocross, ma ora non ho più stress prima di una competizione. Era tutto nella mia testa, ma una gara su strada è diversa da una di ciclocross in cui bisogna essere concentrati fin dall’inizio».
Il Tour ha consegnato Van Aert a una dimensione superiore: in Australia ci sarà la vendetta di Mathieu?Il Tour ha consegnato Van Aert a una dimensione superiore: in Australia la vendetta di Mathieu?
Di nuovo nel cross
E tanto lo sai che alla fine il discorso finisce nuovamente lì, al ciclocross. Forse perché Mathieu pensa di aver riposato abbastanza. O forse perché la passata stagione è andata quasi tutta in malora a causa dei problemi alla schiena e al ginocchio.
«L’anno scorso – conferma – sono riuscito a fare solo un cross e mezzo, poi mi sono fermato a Zolder e non sono più riuscito a ripartire. Voglio tornare, anche se non so quando o quali cross correrò. Voglio fare da dieci a quindici gare. I fastidi alla schiena sono sempre lì, continuo a lavorare per tenerli lontani. Devo passare qualche ora in palestra e, se non lo facessi, potrebbero tornare. Ci ho sempre convissuto, ma il problema è che ho fatto tre discipline per tre anni, quindi ho avuto pochissimo tempo e spazio per fare quegli esercizi. Credo ci sia stato un piccolo problema, aggravato dall’accumulo di impegni. Per questo ora ci devo lavorare un po’, ma posso pedalare di nuovo in modo completamente indolore. E questa è la cosa più importante»
Siamo tutti rapiti dalla Grande Boucle e dal duello Pogacar-Vingegaard, che ieri ha visto forse l’epilogo, ma ci sono grandi campioni anche al di fuori del Tour. Campioni che stanno lavorando in vista del finale di stagione. Qualche giorno fa vi abbiamo parlato di Vincenzo Nibali, per esempio, oggi tocca a Jai Hindley.
Che fine ha fatto la maglia rosa in carica? Come sta lavorando? Dopo la festa di Verona il corridore della Bora-Hansgrohe era un po’ sparito dai radar. Nei giorni successivi alla conquista del Giro d’Italia, le priorità erano due: recuperare e riabbracciare la famiglia che, causa pandemia, non vedeva da due anni.
Ad inizio giugno Jai ha fatto un viaggio per l’Italia con la sua fidanzata. Eccolo a Firenze (foto Instagram)Ad inizio giugno, Jai ha fatto un viaggio per l’Italia con la sua fidanzata. Eccolo a Firenze (foto Instagram)
Vacanza e famiglia
«Hindley – dice il direttore sportivo che lo ha guidato nel trionfo rosa, Enrico Gasparotto – dopo il Giro ha fatto un viaggio con la sua fidanzata in giro per l’Italia. Successivamente è tornato nella sua casa europea in Spagna e poi ancora è andato ad Andorra. E proprio lì sui Pirenei è stato raggiunto dai suoi genitori».
Gasparotto giustamente ha lasciato spazio a Jai dopo il Giro. La corsa italiana è stata estremamente dispendiosa sia dal punto di vista fisico che da quello mentale. Lui ed Hindley non si sono sentiti molto.
«Ho preferito lasciarlo in pace. Ci siamo sentiti qualche giorno fa». Bisognava iniziare a riordinare le cose in vista del suo ritorno alle gare.
I tre punti chiave del Giro di Hindley: la vittoria sul Blockhaus, l’imboscata di Torino, il forcing sulla Marmolada (in foto)I tre punti chiave del Giro di Hindley: la vittoria sul Blockhaus, l’imboscata di Torino, il forcing sulla Marmolada (in foto)
Mito in patria
In Australia il successo di Hindley ha avuto una grande risonanza. Subito si sono scatenati i paragoni conCadel Evans, primo ed unico ciclista aussie, ad aver vinto un grande Giro prima di Jai.
Si è pensato anche ad una festa per accoglierlo. Il ministro dello sport australiano, David Templeman (della stessa regione di Hindley), vuole organizzare una sorta di parata con le squadre ciclistiche locali, gli ex allenatori, i bambini… al suo atteso ritorno in Australia. E i complimenti al corridore di Perth sono arrivati persino dal Primo Ministro, Mark McGowan.
Tutto questo però non ha scalfito la personalità di Hindley. Anche Gasparotto dice che lui è rimasto sempre tranquillo.
Lavorare a testa bassa e con impegno: resta questo il mantra di Hindley. Sì, ma lavorare per quali obiettivi?
«L’obiettivo è la Vuelta – ha detto Hindley (cosa che confermano sia Gasparotto che il team manager della Bora-Hansgrohe, Ralph Denk) – credo che sarà davvero dura perché il livello in Spagna sarà alto. Ci saranno i corridori del Giro, e molti di quelli che vengono da Tour. E poi perché è la prima volta che farò due grandi Giri nella stessa stagione».
«Jai – dice Gasparotto – ha ripreso ad allenarsi ad Andorra dove ha fatto base per tutta l’estate e dove si trova tuttora. Suo papà, che era suo allenatore da piccolo, lo ha seguito negli allenamenti lassù».
Tra l’altro sembra che Jai abbia fatto un training camp piuttosto duro, con 23 giorni in quota e solo due giorni di riposo.
«Quale sarà il suo programma? Probabilmente – spiega il diesse friulano – rientrerà a San Sebastian e poi dovrebbe correre alla Vuelta Burgos e quindi andare alla Vuelta».
Ad Andorra si è allenato anche con il compagno Higuita, con il quale dovrebbe condividere la leadership alla Vuelta (foto Instagram)Ad Andorra si è allenato anche con il compagno Higuita con il quale dovrebbe condividere la leadership alla Vuelta (foto Instagram)
Vuelta, mondiale, Tour
Ma la programmazione di Hindley va anche oltre la grande corsa spagnola. E ci va per due motivi.
Il primo. Il mondiale si corre a “casa sua”, in Australia, e anche se il percorso non è adatto alle sue caratteristiche è lecito pensare che la maglia rosa voglia esserci e che la nazionale australiana lo voglia schierare.
Il secondo motivo. Per andare al mondiale, per forza di cose Jai dovrà tornare in Patria e potrà godersi finalmente l’accoglienza promessa dalle Istituzioni.
Quest’ultimo non è un tassello da poco per chi ci ha lavorato tanto sin da bambino. E servirà alle istituzioni stesse, grazie alle cui borse di studio (erogate persino quando era all’estero), Hindley ha potuto seguire la sua strada. Sarà un po’ come chiudere il cerchio.
«Sì, dovrebbe fare il mondiale – conferma Gasparotto – per poi rientrare in Europa ad ottobre, giusto in tempo per la presentazione del Giro 2023».
Hindley però ha messo le mani avanti. Il Giro è la corsa che lo ha lanciato al grande pubblico nel 2020 e che lo ha consacrato quest’anno, ma ad un media australiano (ABC News), ha ammesso che nel 2023 vorrebbe fare il Tour.
«L’anno prossimo – ha detto Hindley – mi piacerebbe essere al Tour. Che si tratti di aiutare qualche compagno o di andarci da leader, vorrei scoprire questo evento e imparare il più possibile. E’ un’esperienza che mi serve per capire davvero cosa posso fare al livello più alto del ciclismo».
Alex Vlasov ha vinto il Romandia con una crono finale da incorniciare. E mentre recupera prima di preparare il Tour, ha un pensiero per la sua ex squadra
Daniel Oss ha corso con Politt le classiche fiamminghe di apertura e sarà maestro di strada per Aleotti alla Strade Bianche. Apettando Peter per Sanremo
Scialpinista e skyrunner di riferimento mondiale, Palzer è passato al ciclismo. Ha zittito gli scettici tanto da finire la Vuelta. Ma come è cambiato il suo fisico?
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Ogni mondiale ha il suo punto chiave. A Salisburgo fu l’ultima curva e così pure a Madrid. Innsbruck si decise su quel muro ripidissimo che lanciò Valverde, mentre l’anno scorso a Leuven si giocò tutto sul penultimo strappo. A Wollongong, il prossimo settembre, il mostro con cui venire a patti è uno strappo di un chilometro dalle pendenze cattive. Altro che mondiale per velocisti, insomma. Non il Muro d’Huy, ma il punto in cui la corsa potrebbe esplodere da lontano o quello dell’attacco all’ultimo giro.
I mondiali di Wollongong si svolgeranno dal 18 al 25 settembre (foto Dee Kramer/Destination Wollongong)I mondiali di Wollongong si svolgeranno dal 18 al 25 settembre (foto Dee Kramer/Destination Wollongong)
Sopralluogo lampo
Con questa sensazione ben custodita nel taschino, Daniele Bennati è tornato a casa dal sopralluogo australiano nei primi giorni di questa settimana. Benedicendo la decisione di essere andato, assieme al collega delle donne Sangalli (i due sono insieme in apertura, nella foto FCI).
«L’ho fatto e rifatto – racconta il toscano – e mi sembrava impossibile che venissero fuori 4.000 metri di dislivello. Proprio non mi entrava nella testa. Invece mi sono messo a sommare il dislivello dei vari giri e il risultato finale è proprio quello. Non si può dire che sia un mondiale duro, non per scalatori insomma. Ma servirà gente tosta».
Bennati è stato per un paio di tappe alla Adriatica Ionica Race, l’avevamo detto, poi è tornato a casa e due giorni dopo è salito con Sangalli sul volo per l’Australia. Sono arrivati giovedì sera e hanno avuto due giorni e mezzo per mandare a mente il percorso, poi sono tornati. Sangalli guidava, Bennati in bici. Il primo giorno li ha accompagnati una ragazza dell’organizzazione. Sarebbe dovuto andare anche Mark Renshaw, l’ex pro’ che vive da quelle parti e fa parte del comitato organizzatore, ma alla fine non ha potuto. Il secondo giorno invece hanno fatto da soli.
Si parte da Helensburg, si va poi sul circuito del Mount Keira, poi 12 giri del percorso di Wollongong
Il circuito del Mount Keira di 34,2 km sarà affrontato una sola volta prima di entrare in quello finale
Il circuito cittadino misura 17,1 chilometri e si affronta per 12 volte
L’altimetria generale mostra il tratto in linea, poi il Mount Keira e i 12 giri del circuito finale con il loro muro
Si parte da Helensburg, si va poi sul circuito del Mount Keira, poi 12 giri del percorso di Wollongong
Il circuito del Mount Keira di 34,2 km sarà affrontato una sola volta prima di entrare in quello finale
Il circuito cittadino misura 17,1 chilometri e si affronta per 12 volte
L’altimetria generale mostra il tratto in linea, poi il Mount Keira e i 12 giri del circuito finale con il loro muro
E’ stato utile?
Ho sempre detto che oggi come oggi puoi valutare un percorso con i vari software, ma aver visto quello strappo è stato importante più di quanto mi aspettassi. Non che adesso cambierà la tipologia dei corridori da portare, ma non mi aspettavo che fosse così duro. Un chilometro, non al livello del Muro d’Huy, ma interessante.
Un chilometro che tira in modo costante?
No, diviso in tre parti. La prima rampa è di 350 metri, con pendenze intorno al 16-18 per cento. Poi 300 metri in cui un po’ molla, ma sale sempre all’8-9 per cento. E per finire altri 350 metri duri come i primi.
Quanto incide il tratto intermedio?
Io salivo a 25 all’ora e non ho più la gamba dei bei tempi, in corsa potranno andare a 27-28. Qualcuno metterà di sicuro il 53, ma escluderei che si possa saltare quel muro con il rapportone. Insomma, si presta al ragionamento.
Ecco lo scollinamento di Mount Pleasant, il muro più duro a 7,5 chilometiri dall’arrivo (foto Ryan Miu)
Il muro a 7,5 chilometri dall’arrivo che ha colpito Bennati (foto Wollongong 2022)
Il Mont Keira viene affrontato una sola volta dopo circa 35 chilometri di gara (foto Wollongong 2022)
Ecco lo scollinamento di Mount Pleasant, il muro più duro a 7,5 chilometiri dall’arrivo (foto Ryan Miu)
Il muro a 7,5 chilometri dall’arrivo che ha colpito Bennati (foto Wollongong 2022)
Mont Keira viene affrontato una sola volta dopo circa 35 chilometri (foto Wollongong 2022)
Si parte sul mare…
Il primo tratto, quello in linea, è vallonato e sulla costa. Sarà veloce. Poi si arriva a Wollongong e si fanno i primi 7-8 chilometri del circuito e si va a prendere l’anello del Mount Keira, i cui primi chilometri sono impegnativi, diciamo 10-12 per cento, poi diventa pedalabile. L’ho fatto due volte, è una bella salita, ma si fa dopo 35 chilometri, saranno ancora freschi. Purtroppo non abbiamo potuto fare la discesa, perché c’è stata una frana e la strada sarà chiusa per le prossime quattro settimane.
Fatto il giro grande, si entra nel circuito?
Esatto, si passa dall’arrivo e iniziano i 12 giri sul percorso. L’ho fatto e rifatto per avere un’idea.
Che tipo di mondiale potrebbe venire fuori?
Ci sono vari scenari. Potrebbe essere che arrivano ai piedi del muro nell’ultimo giro ancora in 100 e se la giocano lì, come può essere che un Van der Poel decida di aprire la corsa a 60 chilometri dall’arrivo. Ma lo strappo non è tutto.
Questo il tratto in linea dal via a Wollongong, durante l’evento di lancio del mondiale (foto Wollongong 2022)Questo il tratto in linea dal via a Wollongong, durante l’evento di lancio del mondiale (foto Wollongong 2022)
Cos’altro c’è?
Prima di quello più duro, c’è un dente di 500 metri all’8-9 per cento. Se si vuole andare a prendere in testa lo strappo duro, si farà forte anche questo e la corsa verrà tirata. Si andrà veloci, le strade sono belle e quando la salita tira, quasi non te ne accorgi. E’ vero che ci sono tante curve, come ha scritto qualcuno, ma sono talmente belle, che non si frena quasi mai. Non sono curve da rilanci, insomma.
Ti aspetti bagarre già dal primo muro?
Può darsi che inizino a limare da lì. Perché subito dopo c’è la discesa, quindi curva a destra, poi sinistra e inizia lo strappo duro. Sono 500 metri di discesa e io senza pedalare andavo a 65 all’ora.
Da questa descrizione, sembra un mondiale perfetto per spremere la squadra…
La squadra conta tantio, ma è anche vero che a ruota si sta benissimo. Per cui chi sta davanti, rischia di finire i compagni.
Zona di arrivo, dopo quell’ultima curva a destra, c’è l’arrivo
Bennati e Sangalli sono stati in Australia da giovedì a domenica della scorsa settimana
Zona di arrivo, dopo quell’ultima curva a destra, c’è l’arrivo
Bennati e Sangalli sono stati in Australia da giovedì a domenica della scorsa settimana
A quale mondiale t’è venuto di pensare girandoci sopra?
Ci pensavo anche io, forse Richmond (il mondiale del 2015, vinto da Peter Sagan, ndr), con quei due strappi e uno a ridosso dell’arrivo.
Quello di Wollongong a che distanza si trova dal traguardo?
Sono 7,5 chilometri, non è poco. Per contro, il primo chilometro e mezzo di discesa si fa a 90 all’ora. Ci sono diverse curve e in un attimo ti trovi ai meno 3, dove probabilmente troveranno vento contrario.
Ha già un’idea degli uomini da portare?
Dipende dalla squadra che deciderò di fare, ma in assoluto è presto per dare nomi.
Le nazionali italiane alloggeranno al Gibraltar Hotel di Bowral a circa 80 chilometri da WollongongLe nazionali italiane alloggeranno al Gibraltar Hotel di Bowral a circa 80 chilometri da Wollongong
Giusto per avere un’idea, il Colbrelli dello scorso anno sarebbe stato adatto?
Non mettiamogli pressione, ma se è per avere un’idea, direi che sarei partito da lui e avrei costruito la squadra. Confido che dal Tour vengano fuori nomi che stiamo tutti aspettando.
La nazionale alloggerà a Bowral, quasi 80 chilometri da Wollongong, quando potrete vedere il percorso?
Penso che ci andremo il giorno della distanza, anche perché pare ci sarà un solo giorno per girare. Basterà assaggiarlo una volta per capire. Ma quel muro è stato davvero utile vederlo, per qualcuno potrebbe essere indigesto.
Ben O’Connor aveva deciso di smettere. La NTT Pro Cycling stava chiudendo i battenti e nessuno aveva chiesto di lui, l’australiano di 25 anni che pure nel 2020 aveva vinto una tappa all’Etoile de Besseges. Si trattava semplicemente di prendere la decisione che aveva già sfiorato in precedenza, spiazzato da un approdo forse prematuro nel WorldTour e da un inizio tardivo di carriera. Avrebbe finito il Giro e avrebbe appeso la bici al chiodo. Nessuno poteva prevedere quello che sarebbe successo proprio nei giorni in Italia…
Tour 2021, sfinito e incredulo dopo la vittoria di Tignes che lo ha fatto rientrare in classificaTour 2021, sfinito e incredulo dopo la vittoria di Tignes che lo ha fatto rientrare in classifica
Dubbi e domande
I dubbi gli facevano compagnia da qualche anno. Ad agosto del 2019, quando aveva 23 anni ed era sul punto di iniziare la prima Vuelta, Ben era fuggito dall’hotel svuotato di motivazioni e divorato dai dubbi.
«Ero in uno stato terribile – ha ricordato a margine del debutto alla Vuelta Andalucia – quella sera andai a nuotare e passai la serata in spiaggia, da solo. Avevo bisogno di pensare a qualcosa di diverso dalla bici. Mi sentivo davvero inutile. Non avevo più voglia».
Troppo in fretta
Al professionismo era arrivato tre anni prima, con qualche lampo interessante nel 2017 del debutto, compresa una vittoria al Giro d’Austria e poi due anni senza capo né coda.
«Invece di progredire, stavo regredendo – ha raccontato – sentivo di essere capace di cose belle, ma non riuscivo a raggiungerle».
Vincent Lavenu, 66 anni: è stato lui a portare O’Connor alla AG2R (foto Le Dauphinee)Vincent Lavenu, 66 anni: è stato lui a portare O’Connor alla AG2R (foto Le Dauphinee)
Se è vero che la carriera di un atleta professionista richiede step progressivi, la sua storia potrebbe apparire sufficientemente scombinata da spiegarne le difficoltà nei primi tempi. I genitori, entrambi britannici, avevano lasciato Liverpool molto prima che lui nascesse per stabilirsi in Australia, alla periferia di Perth, dove Ben iniziò a pedalare seriamente a 18 anni, approdando nel WorldTour due stagioni dopo.
«Quando sono arrivato in Europa – ha spiegato – non conoscevo nessuno, il mondo del ciclismo professionistico mi era completamente sconosciuto e facevo fatica a socializzare».
Arriva Lavenu
La storia era segnata. O’Connor sarebbe stato uno dei tanti destinati a smettere dopo la prima stagione del Covid. Invece si misero di mezzo il destino e quel brav’uomo di Vincent Lavenu, team manager della Ag2R. Chi doveva dirglielo a O’Connor che il francese si era accorto di lui da un pezzo, da quando nel 2016 lo aveva visto lottare al Tour de Savoie-Mont Blanc con Enric Mas e Tao Geoghegan Hart?
Il giorno dopo l’accordo con Lavenu, al Giro del 2020 arrivò la vittoria di CampiglioIl giorno dopo l’accordo con Lavenu, al Giro del 2020 arrivò la vittoria di Campiglio
E così, quando gli dissero che l’australiano era senza squadra per la stagione successiva, il francese gli offrì un anno di contratto. Parlarono la sera di San Daniele del Friuli al Giro, dopo la tappa vinta da Jan Tratnik, in cui l’australiano era arrivato secondo. Tanto fu l’entusiasmo, che il giorno dopo O’Connor vinse a Madonna di Campiglio.
Il Tour per caso
Lavenu aveva visto giusto. Il quarto posto all’ultimo Tour de France, dietro Pogacar, Vingegaard e Carapaz, lo ha confermato. Non lo avevano portato per fare classifica, ma per tutta la stagione il suo rendimento era stato costante. Sesto al Romandia, ottavo al Delfinato. E al Tour, oltre alla grande continuità, la vittoria di Tignes (foto di apertura) in cui guadagnò oltre 5 minuti fu decisiva per il bilancio finale.
«Non so cosa abbia visto in me Lavenu – disse a Parigi – ma gli sarò per sempre grato per avermi dato un’altra possibilità. E’ il manager più simpatico che abbia mai incontrato. Si dice spesso che i francesi non siano accoglienti: in AG2R, invece, ho trovato solo rispetto e gentilezza. Vado fiero del risultato del Tour, perché non è stato per fortuna né per caso. Ho avuto fortuna, ma sono certo di aver lavorato bene. Quello che mi è successo, l’ho provocato io».
Con il 31° posto nella crono di Saint Emilion ha difeso il 4° posto del Tour da Kelderman, passato da 32″ a 11″Con il 31° posto nella crono di Saint Emilion ha difeso il 4° posto del Tour da Kelderman, passato da 32″ a 11″
Cambio di pelle
Cosa cambia ora? Il periodo dopo il Tour è stato pesante. Da vergognarsi, sorride, di essere andato così piano. Tre corse e addio. Perciò ha staccato e non potendo tornare in Australia a causa della quarantena, si è concesso una vacanza in giro per l’Europa. Ma la fiducia fa miracoli e le sue parole al rientro nei ranghi raccontano di un atleta che ha cambiato pelle e attitudine.
«Quest’anno sarò seguito di più – ha detto a L’Equipe – e questo è un bene, non mi spaventa. Credo di essere fatto per il ruolo di leader nelle classifiche generali. Ci aspiravo da quando ho iniziato a pedalare. Avevo smesso di crederci, ma la AG2R mi ha rianimato. Ora è il momento di confermarlo. Non mi tirerò indietro. Voglio rivivere quello che ho vissuto al Tour dell’anno scorso».
La stagione delle donne deve ancora cominciare, ma a ben guardare non è così dappertutto, perché sull’altro emisfero già si corre, anzi si assegnano titoli e quello australiano è andato a Nicole Frain, tasmaniana di 29 anni con una storia particolare e che segue con interesse anche il ciclismo italiano e una gara in particolare: il Gran Premio Liberazione del prossimo 25 aprile. Ecco così che un semplice post pubblicato sulla pagina Facebook della gara romana per ricordare la sua vittoria, visto che il suo team aveva già annunciato la sua presenza in Italia, ha fatto registrare il suo “like” e ne è nato un contatto dal quale si è sviluppata non solo un’intervista, ma un racconto importante.
Per la Frain la vittoria di Buninyong (ottenuta con un bel colpo di mano finale a precedere di 4” Grace Brown, una tra le poche riuscite a scalfire il dominio olandese nell’ultimo WorldTour) ha messo la parola fine a un periodo difficile, che durava da troppo tempo: «Ho iniziato a correre poco meno di 4 anni fa. E’ una scelta che ho fatto perché amo davvero essere in grado di spingere i miei limiti fisici in questo sport e ogni anno poter spostare quei limiti sempre più avanti».
L’arrivo solitario della Frain a Buninyong. Seconda è giunta la Brown, due volte prima nel WorldTour (foto Getty Con Chronis)L’arrivo solitario della Frain a Buninyong. Seconda è giunta la Brown, due volte prima nel WorldTour (foto Getty Con Chronis)
Come mai un inizio così tardivo?
Ho sempre fatto sport. Avevo iniziato con la ginnastica, con il taekwondo (quante botte sul naso…), con il tennis, poi con il nuoto e la corsa campestre e visto che lì andavo meglio ho iniziato a praticare il triathlon. Io sono sempre stata un’atleta competitiva, fare sport solo per il mio benessere fisico o l’estetica non lo contemplo nelle mie priorità. Proprio con lo sport ho imparato ad allargare i miei orizzonti e a capire meglio me stessa attraverso, più che le gioie, il dolore, quello derivato dagli infortuni.
Spiegati meglio…
Il mio incidente più grave è stato alla Cadel Evans Road Race del 2020. Un volo pauroso: andavamo a 75 all’ora, di botto mi sono ritrovata ferma sull’asfalto. In ospedale mi sono fatta il conto dei miei infortuni dovuti al ciclismo: fratture a un piede, all’anca, a entrambe le clavicole, un dito, poi la commozione cerebrale. Ho iniziato a ragionare, a chiedermi perché lo faccio: ogni infortunio richiede una rimonta, ogni rimonta richiede un po’ più di energia mentale e terapia e ti chiedi se ne vale la pena…
Nata nel 1992 in Tasmania, la Frain è stata seconda ai campionati continentali a cronometro nel 2019 (foto DHB)Nata nel 1992 in Tasmania, la Frain è stata seconda ai campionati continentali a cronometro nel 2019 (foto DHB)
Evidentemente sì, visti i tuoi risultati.
Mi alleno ponendo grande attenzione sull’aspetto mentale, ogni atto non è solo legato al fisico, alla pedalata, ai numeri. Sono convinta che bisogna avere sempre la necessaria concentrazione per capire i tuoi obiettivi e lavorare per quelli. Io non mi sono mai fermata, anche durante il periodo del lockdown avevo bisogno di mettermi alla prova, di assaporare il gusto della sfida, così ho gareggiato nelle gare virtuali e ho subito vinto. Col passare del tempo mi sono data una risposta a quelle domande.
Quale?
Quando ti trovi in una difficoltà così profonda devi capire perché vuoi rialzarti, quanto in alto vuoi salire e i sacrifici che sei disposto a fare. Io lo ero, ma non solo per rimettermi in piedi, volevo essere ancora più forte e indirizzata verso i miei target e così sono uscita fuori da quel tunnel.
Dopo un grave infortunio nel 2020, l’australiana ha esordito in Europa al Women’s Tour dello scorso anno (foto DHB) Dopo un grave infortunio nel 2020, l’australiana ha esordito in Europa al Women’s Tour dello scorso anno (foto DHB)
Sei mai stata in Italia?
No, ma non vedo l’ora che questo accada, so che è un Paese bellissimo e soprattutto Roma è davvero spettacolare. Mi sono studiata con attenzione il percorso di gara del GP Liberazione e da quel che ho visto è abbastanza tecnico, con molti cambi di direzione e curve strette. Questo rende la gara dinamica, nella quale bisogna essere sempre concentrati, tutto ciò lo trovo molto eccitante e mi fa accrescere la voglia di esserci.
Da quel che dici non verrai solo per fare presenza.
E’ un percorso esplosivo ed è proprio quello che si addice alle mie caratteristiche. Con il mio team, dopo un giro a tappe in Thailandia gareggeremo nel calendario nazionale per preparare al meglio la trasferta europea. Alcune compagne faranno anche qualche gara offroad, io invece resto concentrata sulla strada. Ci vediamo il 25 aprile…».