Si capì subito che sarebbe stata una tappa fradicia d’acqua e fango, ma nessuno al via di quella tappa del 2010 era in grado di dare una dimensione alla lordura in cui i corridori si trovarono mettendo le ruote sul primo sterrato. Nibali era in maglia rosa, dopo la cronosquadre di Cuneo che aveva premiato la Liquigas, ma dopo i primi chilometri verso Montalcino i colori mutarono tutti in un grigio compatto. Il gruppo invece finì in brandelli. Anche la maglia iridata di Cadel Evans cambiò subito aspetto, mentre l’indole del guerriero australiano venne fuori di prepotenza.
Un intreccio di storie
Nella storia di quel giorno si intrecciarono le parabole di uomini destinati a entrare nei cuori. La scivolata di Scarponi, che tirò giù Nibali. Chi poteva immaginare che di lì a cinque anni, Michele avrebbe scortato il siciliano verso la maglia gialla e poi alla seconda rosa con quel gesto di impagabile fedeltà in Piemonte? La vittoria di Evans, campione del mondo destinato all’ennesima beffa al Giro e poi al Tour, alla vigilia del 2011 che gli avrebbe consegnato finalmente la maglia gialla. E la resurrezione di Basso, che di lì a poco avrebbe riconquistato la rosa dopo la squalifica e la faticosa rincorsa. Ma Evans quel giorno…
«Ho ancora le foto a casa – sorride – fu la mia vittoria più bella, più del mondiale e del Tour. Per vari motivi. Prima sul piano personale, perché quel giorno dovetti attingere a tutte le esperienze della mia carriera e concentrarle in una sola tappa. E poi fu indimenticabile per lo spettacolo che offrì. Sterrato. Brutto tempo. Cadute. Una corsa senza schemi. Una tappa che ha prodotto così tanti ricordi, che ancora adesso in certi giorni quando sono in bici, mi capita di pensarci».
Kappaò all’Aquila
Cadel vive ancora a Mendrisio e quando parte in bici, praticamente ogni giorno, la memoria va per forza al mondiale, dato che il circuito iridato del 2009 era già prima ed è ancora oggi il giardino dei suoi allenamenti. Il ciclismo c’è ancora, essendo un ambassador di Bmc. E difficilmente si perde le corse che contano. Il 19 maggio, quando il Giro tornerà proprio sugli sterrati di Montalcino, l’asutraliano sarà in Toscana con Bmc per un giro celebrativo. Partiranno da Saturnia, dove Andrea Gurayev ha allestito un hub per l’azienda svizzera in Toscana, e pedaleranno con l’amministratore delegato in persona fino al traguardo di tappa. Dove probabilmente Cadel sarà coinvolto nelle premiazioni.
«Quel giorno – sorride – pensai seriamente che finalmente avrei potuto vincere il Giro. Il giorno prima ero 16° in classifica, la sera mi ritrovai secondo dietro Vinokourov. Fu una bella botta per tanti corridori. Invece nella famosa tappa dell’Aquila mi svegliai con la febbre, partì la fuga e arrivai con 11 minuti. Giro addio. Anche se poi arrivai ancora secondo sullo Zoncolan e nella cronoscalata (Plan de Corones, ndr) e strappai il quinto posto finale».
La scuola del cross
Tra i suoi impegni c’è anche la corsa in Australia, la Cadel Evans Great Ocean Road, disputata per la prima volta nel 2015, che tornerà nel 2022 causa Covid. Fa un certo effetto parlare con lui e ricordare i suoi trascorsi da mountain biker, autentica mosca bianca in quegli anni, mentre oggi la regola vede campioni incrociare bici e strade diverse.
«Continuo ad andare in bici ogni giorno – dice – anche se non ho la forma per vincere una tappa al Giro. Se la vivi con passione da quando sei ragazzo, non c’è pericolo che ti stanchi di allenarti. Ho sempre creduto alla scuola della mountain bike, per quello che mi ha insegnato nei primi anni di carriera e che proprio quel giorno a Montalcino mi permise di fare la differenza. Io ero comodissimo in quella situazione e immagino che oggi lo sarebbero anche Sagan oppure, se ci fossero, Van de Poel e Pidcock. Forse non è per caso che già da un po’ di anni i talenti vengano fuori dal ciclocross e dalla mountain bike. Perché insegnano delle abilità diverse, quelle di cui c’è bisogno per saper fronteggiare ogni situazione».