Arzeni sicuro: «Covi forte nel cross, ma ditelo a Gianetti!»

22.12.2021
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Alessandro Covi nel ciclocross, la suggestione continua. Una suggestione che però si fa sempre più tecnica, non vogliamo dire realistica, ma quantomeno verosimile. Soprattutto dopo aver parlato con il suo ex diesse, Davide Arzeni.

L’attuale direttore sportivo della Valcar – Travel&Service ha avuto tra le mani Covi per quattro stagioni, fino al primo anno tra gli juniores. Lo conosce bene. I due sono in ottimi rapporti. Davide lo ha visto crescere. A volte si sentono ancora, e da preparatore qual è Arzeni può ben dirci le reali possibilità di Covi nel ciclocross.

Per Arzeni Alessandro Covi era un talento nel ciclocross. E forse questo talento non lo ha perso…
Per Arzeni Alessandro Covi era un talento nel ciclocross. E forse questo talento non lo ha perso…
Davide, Covi e il ciclocross…

Alessandro su strada sta trovando una dimensione da top rider e bisogna capire i programmi che la UAE ha in serbo per lui. E a naso secondo me ha dei programmi molto importanti, pertanto bisognerà vedere quanto saranno interessati a questo discorso del cross. Sicuramente sarebbe bello vederlo. Sarebbe bello per la nazionale, per Pontoni, per il movimento… ma vallo a dire a Gianetti (CEO della UAE, ndr)!

Per te Covi avrebbe le qualità per tornare a fare il ciclocross?

Sì, certo. Però non è facile rientrare dopo tanto tempo. Servirebbe la programmazione giusta, senza contare che un po’ di tempo per riprendere il ritmo e la guida gli ci vorrebbe.

Ma il motore ce l’ha? Sarebbe all’altezza?

Certamente! Quando uno va forte su strada, va forte anche nel cross. E poi non scordiamoci che Ale ha già un passato in questa disciplina. Con me ha corso quattro anni: da esordiente al primo anno da juniores. E si vedeva che aveva dei numeri. Una volta eravamo alle Capannelle, a Roma e lo vedevamo avanzare sul rettilineo davvero con molta potenza, si vedeva proprio che sprigionava watt. Ero al fianco di Fausto Scotti, che rimase colpito. E Fausto, che la sa lunga, per l’anno successivo lo voleva a tutti costi nel progetto della nazionale, ma la squadra all’epoca (Team Giorgi, ndr) di Covi si oppose, non gli diede l’okay.

Quindi il cross era più che un semplice diversivo invernale per il varesino…

No, no… facevamo parecchia attività. Alessandro ha vinto diverse gare con me. Covi e Dorigoni, li avevo entrambi. Pensate che squadretta! Anche io ero più giovane e sentivo meno freddo quando andavo alle gare! Scherzi a parte, Alessandro si è divertito molto nel ciclocross. Ogni tanto quando ci sentiamo mi dice: ehi, Capo allora ci vediamo in qualche campo di cross!

Dorigoni e Covi ai tempi della Cadrezzate di cui Arzeni era diesse
Dorigoni e Covi ai tempi della Cadrezzate di cui Arzeni era diesse
Quindi avevi anche Dorigoni. Cosa pensi del fatto che lui punti sulla mountain bike, in particolare sulle marathon, per tenersi attivo d’estate?

Sono stato il suo preparatore fino allo scorso anno, poi Jakob ha scelto di dedicarsi alla mountain bike e abbiamo preferito interrompere il rapporto. Non per dei problemi, ma semplicemente perché io sulla mountain bike non ho la stessa esperienza che ho su strada e cross. Adesso lo segue Bramati. Che dire, io resto del parere che la migliore preparazione per il cross sia la strada.

In effetti è un po’ quello che anche noi sosteniamo, ma semplicemente perché è quello che vediamo sui campi di gara e dalle classifiche. Sono dati oggettivi…

Se io fossi un allenatore per il cross cercherei di prendere un atleta che fa strada e ogni tanto qualche gara di mtb per quelle abilità di guida che si acquisiscono con la “ruote grasse”, insomma per la tecnica. Così per me sarebbe perfetto. Poi mi rendo conto – fa una pausa Arzeni – che c’è anche chi arriva da altri mondi. Penso per esempio a Pauline Ferrand-Prevot che in un anno ha vinto i mondiali su strada, di cross e in mtb. Poi però il fisico ti presenta il conto. E lo stesso è un po’ quello che sta accadendo a Van der Poel.

Il profilo di Covi quindi cade a pennello…

Lui può far bene nel cross. Con quel motore che ha non avrebbe grandi problemi. Ha la potenza che serve. In più avendo fatto da ragazzino e ragazzo questa attività non partirebbe da zero. Se non fosse stato per una febbre a un paio di giorni dalla gara, avrebbe vinto un campionato italiano da juniores.

Il ritorno di Covi nel cross, fantaciclismo… ma neanche troppo

18.12.2021
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E se un giorno, neanche troppo lontano, rivedessimo Alessandro Covi nel ciclocross? Voci o realtà, il cittì Pontoni è alla ricerca di atleti di peso, di potenza assoluta. Magari li recluta coltivandoli nel lungo periodo, oppure può cercare di attrarre qualche “motorone” dalla strada.

Nella pletora di possibili nomi – più nostri che del cittì, va detto – si è pensato prima di tutto a Trentin, che crossista lo è anche stato. Ma ci verrebbero in mente anche bestioni del calibro di Guarnieri, Oss, BalleriniGente che ha tanti cavalli ed è in grado di farli esplodere con grande violenza agonistica.

Certo, poi bisogna vedere quale esperienza abbiano questi corridori con il fango e lo sterrato, mentre Alessandro Covi un bel po’ di esperienza ce l’ha. Tra l’altro quella più importante, quella che si forma da ragazzini.

La potenza di Covi, quel che cerca Pontoni…
La potenza di Covi, quel che cerca Pontoni…
Alessandro, ma è vera questa voce che Pontoni ti ha cercato?

No, al momento non mi ha chiamato nessuno. Però posso dire che mi piacerebbe, io sono innamorato del ciclocross. Ci ho passato la mia infanzia e tornare a farlo mi piacerebbe non poco.

Lo segui ancora dunque?

Ho amici che fanno cross, non seguo più molto le categorie giovanili ma seguo soprattutto le gare più importanti in Italia e quelle internazionali. Ho visto che quest’anno stava dominando Iserbyt fino a che non è tornato Van Aert. Mentre in Italia mi gusto l’eterno duello tra Gioele (Bertolini, ndr) e Jakob (Dorigoni, ndr).

Li conosci bene?

Dorigoni è stato anche il mio compagno di squadra alla Cadrezzate e sì, lo conosco bene. A volte ci siamo anche scontrati nelle gare da dilettanti. Bertolini lo conosco meno, ma abbiamo avuto modo d’incontrarci e ogni tanto ci sentiamo.

Che crossisti ti sembrano? Che caratteristiche hanno?

Beh, faccio riferimento a quello che ho visto qualche anno fa, a quello che ricordo. Bertolini guida benissimo, ma forse gli manca qualche watt. Dorigoni i watt ce li ha anche, ma è un po’ spericolato e non sempre gestisce bene con la testa la sua corsa.

E Alessandro Covi che crossista era?

Io lo facevo d’inverno per mantenermi in forma, ma soprattutto per divertirmi. Non ho mai preso il cross con troppa serietà, anche se qualche garetta l’ho vinta. Era un piacere andare in trasferta con la squadra. Che crossista ero: uno di potenza. Non amavo troppo i percorsi a gimkana, ma preferivo quelli più aperti, quelli dove c’era da spingere. E infatti mi trovavo bene con il fango perché lì se non spingi non vai avanti, se non tiri fuori la potenza resti impantanato. Infatti sono quelli che vincevo, ma in Italia ce ne sono pochi.

Beh, si potrebbe dire che l’identikit perfetto che cerca Pontoni! Atleti di una certa stazza e di una certa potenza…

Se si parla di fisico magari potrei anche andare bene. Sono alto, peso 68,5 chili, ma se si parla di guida… magari avrei qualche difficoltà in più.

Quali gare hai fatto di cross più importanti?

Le gare più importanti sono state le tappe del Giro d’Italia di Ciclocross.

Quanto tempo è che non ti cimenti in più in questa disciplina?

Parecchio, dai primi anni juniores.

Però ti sentiamo appassionato a questo discorso. Se arrivasse una chiamata per davvero ci penseresti?

Ci penserei di sicuro, non escluderei nulla a prescindere. Ogni tanto mi manca il cross, mi viene il magone, ma adesso penso molto alla strada. E poi è come una ruota, se smette di girare fai fatica a riprendere voglia e motivazioni. Se non dovessi andare forte preferirei continuare a fare una preparazione adatta alla strada. Che poi non voglio dire che il cross non sia adatto: guardiamo Van der Poel e Van Aert! Però loro hanno sempre fatto così. Per loro la ruota non si è mai fermata. Bisognerebbe ragionarci bene, tutto qui.

Alla UAE sei in squadra con Trentin, avete mai parlato di ciclocross voi due?

Ogni tanto capita di fare qualche battuta, ma non credo che lui sappia che io ho fatto cross.

A Montalcino la chiave dei dispiaceri di Covi

10.12.2021
4 min
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C’è stato un momento nella stagione 2021 di Alessandro Covi che l’ha bloccato. Forse sul momento lui non se ne è reso neanche conto, ma adesso parlandoci capisci che quel giorno al Giro, quando Schmid lo beffò sul traguardo di Montalcino, qualcosa s’è inceppato e magari se l’è portato dietro sino alla fine dell’anno con tutti quei piazzamenti.

«La sfiga non esiste – dice con un sorriso mezzo amaro – qualche errore l’avrò fatto. Le dinamiche di gara in cui sono arrivati i piazzamenti sono state tutte diverse, però ricordo bene che quel giorno a Montalcino mi venne il panico. Era bello essere lì a giocarsi la tappa, ma non ero convinto di me stesso e non conoscevo lui. Occasioni di giocarmi corse importanti con una volata a due non ne avevo avute tante, quindi di sicuro l’abitudine e la freddezza l’avevo persa. Sul momento mi è scocciato, ora se ci penso mi dico che poteva cambiarmi la carriera. Il secondo non se lo fila nessuno…».

La beffa di Montalcino ha bloccato la sua stagione: ma il 2022 sarà diverso
La beffa di Montalcino ha bloccato la sua stagione: ma il 2022 sarà diverso
Felline ieri ha parlato proprio di questo, dell’occasione che ti cambia la vita…

Non è un ragionamento sballato. Magari mi sbloccavo e avrei gestito diversamente lo Zoncolan, non arrivando terzo. Anche da under 23 capitava che ne vincessi una e poi le altre arrivassero in fila. Nel 2018 non mi riusciva di sbloccarmi, poi feci centro in Spagna e in Italia ne vinsi tre di fila, fra cui la Coppa Cicogna. Vincere a Montalcino mi sarebbe servito per avere più consapevolezza.

Si trova una lettura positiva ai tanti piazzamenti?

Il fatto di aver capito che se tutto va bene, posso giocarmi le corse. Ci metto sempre il massimo impegno, poi con l’esperienza e la maturazione fisica le cose verranno meglio da sé. Ricordo che quando passai professionista, riuscivo a spingere certi rapporti. Dopo il Giro d’Italia, la mia pedalata è diventata più facile. E a margine di tutto questo, è bello che la squadra mi dia il tempo per crescere. Ognuno ha il suo fisico e la sua testa.

I piazzamenti hanno spento il tuo buon umore?

No, perché sono sempre il solito Alessandro Covi, cui piace prendere le cose alla leggera.

Chissà se anche il risultato dello Zoncolan sarebbe cambiato se avesse vinto a Montalcino
Il risultato dello Zoncolan sarebbe cambiato se avesse vinto a Montalcino?
Con chi hai il miglior rapporto in squadra?

Con Ulissi, magari perché abbiamo condiviso la stanza al Giro d’Italia e anche perché è un grande maestro.

Quali sono gli obiettivi per il 2022?

La vittoria, mi piacerebbe tornare ad alzare le braccia al cielo e spero di farlo trovando la giusta condizione.

Come è fatto il tuo calendario dei sogni?

Mi piace l’Italia, inizierei da Laigueglia e farei tutto il calendario italiano. Intendiamoci, mi piace anche il Belgio, ma potendo scegliere starei volentieri qua.

Ulissi, qui in due sono insieme alla Veneto Classic, è il riferimento di Covi
Ulissi, qui in due sono insieme alla Veneto Classic, è il riferimento di Covi
Com’è essere compagno di squadra di Tadej Pogacar, che alla tua stessa età ha già vinto il mondo?

Lo guardo, ma c’è poco da fare se non riesco a spingere come lui. Ammiro il suo potenziale e la facilità. E poi mi piace perché vive tutto tranquillamente, non sente tanto la pressione. Non si fa troppe paturnie: se va bene okay, sennò va bene lo stesso.

La squadra farà il primo e unico ritiro a gennaio…

E io fino a quel momento starò a casa. Me ne resto tranquillo ad allenarmi, anche se fa un freddo cane. Magari un anno di questi si va fuori a cercare un sole più caldo.

EDITORIALE / Quanto ci costa la rincorsa al Tour?

15.11.2021
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Bernaudeau avrebbe parlato allo stesso modo se non fosse francese? Le parole del nuovo manager di Sagan sono piaciute e hanno un grande fondamento, ma hanno alle spalle la consapevolezza che, pur non essendo una squadra WorldTour, la TotalEnergies parteciperà al Tour de France. In questo ciclismo plutocratico, si tratta di un vantaggio impossibile da quantificare.

«Non chiederei mai ai miei sponsor di comprare una licenza – ha detto – va guadagnata. Non facciamo compravendite, diamo emozioni. Non mi indigno perché Pogacar guadagnerà 36 milioni di euro nei prossimi sei anni, ma mi chiedo se qualcuno pensi che il futuro del ciclismo sia negli Emirati e non piuttosto sulle strade d’Europa».

Bella forza, verrebbe da dire. Ma in piccolo è quanto accade in Italia con le squadre che a vario titolo sono sicure di partecipare al Giro e buona pace di chi deve sudarselo o investire per sperare di accedervi.

Il Tour per la Jumbo Visma è un’ossessione: correrà con Roglic, Dumoulin, Van Aert e Kruijswijk
Il Tour per la Jumbo Visma è un’ossessione: correrà con Roglic, Dumoulin, Van Aert e Kruijswijk

La profezia di Rozzi

E’ un rimescolarsi di pensieri, in cui si infilano anche le parole di Guardini sull’opportunità di inserire un tetto al budget delle squadre. Così a un certo punto vengono a galla gli scontri al Processo del Lunedì fra Costantino Rozzi, vulcanico presidente dell’Ascoli, e Adriano Galliani che a sua volta guidava il Milan delle meraviglie e dei miliardi.

«Se si continua così – disse un giorno Rozzi durante il programma di Aldo Biscardi – il calcio farà una brutta fine. Fra dieci o vent’anni, sarà impossibile mantenere le società in Serie A o B. Solo poche società potranno concedersi questo lusso, quelle più ricche. Gli stipendi di allenatori e calciatori sono troppo alti e i costi di gestione ancora di più. Dobbiamo darci tutti una regolata, a cominciare dai grandi club».

Costantino Rozzi, presidente dell’Ascoli Calcio (scomparso nel 1994), previde la crisi del sistema calcio
Costantino Rozzi, presidente dell’Ascoli Calcio (scomparso nel 1994), previde la crisi del sistema calcio

«Non è colpa nostra – gli rispose Galliani con tono quasi sprezzante – se l’Ascoli o altre società non hanno la possibilità di sostenere certe spese. Chi non ha la possibilità di giocare in Serie A, vada in B o in un’altra categoria inferiore».

«Hai ragione – reagì Rozzi con sarcasmo – così senza squadre come l’Ascoli, potrete finalmente disputare un campionato fra di voi, con sei o sette squadre».

L’Uci e il Far West

Mentre le grandi squadre di calcio affogano nei debiti e la Uefa ha imposto il Fairplay Finanziario, nel ciclismo si continua come nel Far West, senza che l’Uci pensi di metterci mano. Chi più ha, più spende. E gli altri in fondo è come se non ci fossero.

La Ineos punterà tutto sul Tour, con Thomas, Bernal e Carapaz
La Ineos punterà tutto sul Tour, con Thomas, Bernal e Carapaz

Mauro Vegni si diverte a provocare i big affinché raccolgano la sfida del Giro, ma è palese che il centro degli affari sia in Francia. Sul Tour convergeranno nuovamente i grandi campioni di Uae Team Emirates, Ineos Grenadiers e Jumbo Visma: i tre colossi dal budget esagerato che hanno fatto il pieno di grandi atleti da convertire in gregari. Gli altri faranno quello che possono.

Il Giro intanto prova a raccontare il campo dei suoi partenti in modo che il divario sembri meno netto. E noi siamo con loro, perché tante volte è stato meglio un Giro con tanti attori sullo stesso livello, rispetto a edizioni schiacciate da mattatori incontrastabili.

Il Tour non ha rinunciato alla solita sontuosa presentazione
Il Tour non ha rinunciato alla solita sontuosa presentazione

Presentazione a tappe

Solo facciamo fatica a capire perché da queste parti nel nome di innovazioni di marketing a misura di social, si sia deciso di miniaturizzare quel che avremmo dovuto raccontare come una storia epica e dai contorni monumentali. Perché quella presentazione frammentata in quattro comunicati? Dite che il Tour, che quanto a marketing e condivisioni social ha poco da imparare, avrebbe rinunciato al vernissage, ai campioni e all’enfasi della sua presentazione?

Il Tour sa che ci sono momenti da celebrare con la fanfara. Forse perché anche loro si rendono conto che quanto a spettacolo, passione e tensione agonistica, il Giro è molto più forte. Peccato che noi non l’abbiamo ancora capito…

Troìa, lento ritorno dopo l’infortunio guardando a Nord

12.11.2021
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In questo viaggio nelle ripartenze autunnali e in vista dei primi ritiri invernali, dopo Ballerini e Gavazzi, si fa oggi tappa a casa di Oliviero Troìa, che la stagione l’ha finita davvero male. Spalla rotta il 24 agosto mentre si allenava e addio gran finale, con la Roubaix che da sogno si è trasformata in un miraggio.

Se ti fermi il 24 agosto, per arrivare al ritiro di gennaio c’è una vita. La UAE Team Emirates non farà infatti quello di dicembre, avendone da poco concluso uno nel deserto. Per cui tutti i corridori sanno di doversi gestire sino alla fine dell’anno, trovando a casa la base di condizione su cui a gennaio sarà… costruita quella per correre.

«Tutto settembre sono stato fermo – spiega il ligure – anche perché per una decina di giorni la spalla mi ha fatto parecchio male. La frattura era scomposta e per fare qualunque cosa, ho avuto bisogno della mia compagna. Ho tenuto il tutore bello stretto per tutto il tempo, finché ho potuto toglierlo dopo 35 giorni. E anche se adesso a volte ho qualche dolorino, le cose vanno bene. Ho controllato che non ci fosse qualche scompenso, come di solito può succedere dopo una caduta. E visto che andava tutto bene, piano piano ho ripreso a muovermi».

Con il figlio Giulio, nato a fine marzo, e la compagna Carola in Piemonte alla fine di ottobre (foto Instagram)
Con il figlio Giulio, nato a fine marzo, e la compagna Carola in Piemonte alla fine di ottobre (foto Instagram)

La testa a freno

In questi casi, la testa va più veloce delle gambe. La voglia di riscatto è benzina e sarebbe facile bruciare le tappe, commettendo il più classico degli errori.

«Ma la squadra è stata chiara – spiega – mi hanno detto di prendermela con calma, proprio perché fino al ritiro c’è un sacco di tempo. Perciò settembre l’ho vissuto in modo davvero blando, poi ho ricominciato per colmare il gap che di sicuro in questo momento ho rispetto a chi ha corso fino al Lombardia. Anche se molli, una base di condizione ti resta e la mia ha iniziato a spegnersi dopo il Polonia, ultima corsa che ho fatto. Così fino a due settimane fa, sono solo andato in bici e a sensazioni. Adesso si lavora seguendo un filo».

Esplosività in palestra

Quando si riparte, la tabella è comunque blanda e magari a volte neppure serve. I corridori hanno ormai la loro routine e sanno gestirla, a metà fra i numeri e le sensazioni.

«Adesso il lavoro è fatto di palestra e bici – spiega – due giorni di palestra a settimana, quattro di bici e uno di riposo. Nel giorno della palestra la bici c’è lo stesso, ma poca e fatta con l’obiettivo di lavorare bene. Per cui un’oretta prima di entrare in palestra, come riscaldamento, e un’oretta all’uscita per sciogliere le gambe. I lavori che faccio infatti sono intensi e con molto peso. In questa fase mi concentro sulla forza esplosiva vera e propria. Quindi poche ripetizioni, ma caricando molto, allo squat, la pressa e tutto quello che riguarda le gambe. Per la parte superiore invece faccio soprattutto core stability, per bilanciare i carichi delle gambe».

Ha corso a Kuurne con la spalla dolorante: gli esami hanno rivelato una clavicola rotta nella caduta del giorno prima alla Het Nieuwsblad
Ha corso a Kuurne con la spalla dolorante: gli esami hanno rivelato una clavicola rotta

Obiettivo Nord

Il programma delle corse 2022 non è stato ancora delineato, ma nei desiderata di Troìa ci sono le classiche del Nord che nel 2021 gli sono rimaste nella gola come una spina. Coinvolto in una caduta alla Het Nieuwsblad, si è ritirato. Il giorno dopo, nonostante il dolore alla spalla, ha corso a Kuurne e ugualmente non è riuscito a finire la corsa. Le radiografie hanno infatti evidenziato la frattura della clavicola.

«Andavo forte – ammette con un po’ di malinconia – avrei aiutato Trentin e magari mi sarei ritagliato il mio spazio. Invece mi sono caduti davanti, non sono riuscito a evitarli e mi sono rotto la clavicola. Non proprio una partenza fortunata. In squadra sono arrivati altri velocisti, difficile ci sia posto nelle volate, ma in Belgio voglio provare a fare qualcosa, voglio arrivarci più forte dell’ultima volta».

La ripresa degli allenamenti dopo la frattura della spalla è stata blanda: giusto non avere fretta (foto Instagram)
La ripresa degli allenamenti dopo la frattura della spalla è stata blanda: giusto non avere fretta (foto Instagram)

La base giusta

Siamo talmente presi dai ritmi frenetici che un inverno come il suo sembra quasi vuoto e privo di riferimenti. In realtà poter lavorare per costruire la base per tutto dicembre è una fase piuttosto importante.

«Si può proprio parlare della base su cui costruire la condizione in ritiro – dice – per cui adesso in bici vado a sensazioni e ogni tanto inserisco degli esercizietti al medio. All’inizio dieci minuti, poi trenta. In questi giorni sto approfittando del fatto che fa ancora caldo e vado anche a cercarmi qualche salita, perché poi sarà difficile. A gennaio invece si alzeranno i giri, faremo ritmo gara e lavori specifici. C’è da arrivarci pronti. Mi alleno spesso con Trentin, visto che viviamo vicini. E ho avuto la fortuna di tenermi con il peso nei giorni in cui non potevo allenarmi per la spalla. Per cui c’è tutto quello che serve per fare un buon inverno. Per evitare problemi col Covid non partiremo dall’Argentina e probabilmente nemmeno dall’Australia. Per cui si correrà un po’ più avanti in Europa. E tutto sommato proprio male non è. La stagione sarà lunga…».

Conti va all’Astana: grandi motivazioni, ma risalita dura

08.11.2021
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Conti va all’Astana. Lo aspettano Martinelli che l’ha fortemente voluto e Orlando Maini che l’ha guidato nei primi anni di professionismo e lo chiamava “il cinno” che in bolognese significa “il bimbo”. Conti va all’Astana perché lì dove stava non avrebbe tirato più fuori un ragno dal buco. E’ sempre difficile dire per quale motivo un ragazzo di talento perda inesorabilmente la strada, ma il suo è stato per un paio di anni di troppo il caso più lampante. E quando in certe squadre passa il concetto che forse ti sei un po’ adagiato, è un attimo ritrovarsi a tirare e poi basta.

«In realtà – dice il romano che vive a Monaco – non mi hanno mai limitato. Però è chiaro che quando vai a correre e in squadra hai gente come Ulissi, Hirschi, Pogacar e Rui Costa, ti tocca fare il gregario. E io lo ammetto che mi sono adagiato. Prima nel ruolo di gregario, che in squadra faceva anche comodo. Mentre negli ultimi due anni ho mollato la presa, mi sono lasciato andare. Era necessario cambiare…».

Il finale di stagione non è stato dei migliori, serviva voltare pagina
Il finale di stagione non è stato dei migliori, serviva voltare pagina

Novembre in Valpolicella

L’approccio è maturo, Valerio ha sale in zucca e alla fine, ambizioso com’è sempre stato, il primo a… rosicare per prestazioni non all’altezza era proprio lui. Voltare pagina era una necessità impellente e alla fine l’ha fatto. In questi giorni e per tutto il mese, Conti, la sua compagna e la figlia Lucrezia nata a Monaco il 4 settembre, si sono trasferiti in Valpolicella. Michela è di qui e da queste parti ci sono spazi superiori a quelli del piccolo appartamento monegasco. E mentre i nonni materni si godono la nipotina, il corridore di casa ha ripreso ad andare in palestra e sulla mountain bike.

Perché cambiare?

Perché dopo otto anni, sempre con le stesse persone e gli stessi programmi, gli stimoli erano calati. Cambiare squadra significa tornare un po’ indietro, avere qualcosa da dimostrare. Come quando sei neoprofessionista. Ritrovo Maini e già abbiamo iniziato a ridere, perché con lui il buon umore è assicurato. Sono tutti italiani e questa serie di cose mi sta riportando una bella motivazione. Conosco bene la nutrizionista, con cui lavoravo in passato. Mi piace poter parlare di tutto liberamente, relazionarmi con le persone sulla base delle sensazioni e non dei numeri. Anche alla Lampre era così, poi sono arrivati i soldi ed è cambiato tutto. Ma lo stesso, la risalita non sarà facile.

Si scioglie il terzetto: in Uae rimangono Formolo e Ulissi
Si scioglie il terzetto: in Uae rimangono Formolo e Ulissi
Cosa c’è di difficile?

Quando molli, tralasci tanti aspetti. C’è da lavorare su tutti i punti, dall’alimentazione alla palestra, passando per la bici e l’allenamento. Ma mentre negli ultimi tempi salivo sulla bici che ero già stanco mentalmente, ora ho voglia di allenarmi.

Cosa ti chiede l’Astana?

Martinelli mi conosce bene e mi ha voluto. Sa che la base è buona, perché ho corso per tanti anni nelle categorie giovanili con suo figlio Davide. Vogliono che adesso mi metta in luce, anche se i programmi si faranno in ritiro e da quello si capirà tanto. Ma se potessi esprimere un desiderio, mi piacerebbe correre qualche classica in più. In questi anni, avevo davanti così tanti campioni, ne ho fatte sempre poche. E poi il Giro, che per me resta speciale.

La maglia rosa del 2019 può essersi ritorta contro?

E’ stata una fase bellissima, che mi ha fatto capire tante cose, ma non penso che mi abbia cambiato, nel bene o nel male. Certo da quei giorni le aspettative sono state più alte, ma ora voglio rialzarmi e ripartire da lì.

La mano della piccola Lucrezia in quella di Valerio: il 4 settembre Conti è diventato papà (foto Instagram)
La mano della piccola Lucrezia in quella di Valerio: il 4 settembre Conti è diventato papà (foto Instagram)
Nel 2020 è mancato Antonio Fradusco tuo tecnico da ragazzino e tuo consigliere fisso…

Antonio mi dava sempre consigli, mi è stato accanto fino al 2019 e credo che quell’anno, il migliore da quando corro, sia stato per lui una grande soddisfazione. Mi scriveva tutti i giorni, era una presenza fissa e magari aver perso un riferimento così in qualche modo l’ho pagato. Non voglio trovarmi la scusa, si vive al presente, ma anche se Martinelli e Maini sono della stessa pasta, uno come Fradusco non lo troverò più.

Nel frattempo è arrivata una bambina.

Non dirò come tanti che mi ha stravolto la vita, ma è bellissimo rientrare a casa e capire che lei c’è. E ho la fortuna che Michela sia una mamma eccezionale. E’ una bellissima novità. E’ tutto bellissimo. Per questo nuovo inizio non potevo chiedere uno scenario migliore.

Scicon, un anno di occhiali dalla principessa a Pogacar

27.10.2021
5 min
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Conosciamo tutti Scicon come specialisti nella produzione di borse da viaggio per trasportare in tutta comodità le bici. Claudio Fantin (in apertura con i corridori della UAE), dopo trent’anni in questo mondo e dopo aver fatto diventare Scicon una delle aziende leader in questo campo, ha deciso di spostarsi sulla produzione di occhiali. Una scelta coraggiosa avvenuta nel 2018 e che dopo un paio d’anni di progresso e sviluppo, sempre sotto il suo controllo attento, è approdata nel WorldTour. Scicon, nel 2020, ha iniziato a fornire occhiali a tre team: Ntt Pro Cycling Team (ora Qhubeka Next Hash), Israel Start-Up Nation e UAE Tam Emirates.

Nel 2021 la partnership si è allargata anche alla Israel Start-Up Nation e De Marchi ha portato a Scicon anche la maglia rosa
Nel 2021 la partnership si è allargata anche alla Israel Start-Up Nation e De Marchi ha portato a Scicon anche la maglia rosa
Claudio, quando è nato il primo occhiale Scicon?

A Montecarlo, quando la principessa Charlene mi chiese di fare un’occhiale per un evento water bike che da Nizza avrebbe portato i partecipanti fino al Principato. Così un po’ casualmente nacque l’idea di un primo occhiale e sull’onda dell’entusiasmo ci siamo lanciati in questo mondo.

Come avete fatto a fornire fin da subito team così importanti?

Con il team UAE grazie alla fiducia ricevuta da Giannetti, mentre avevamo già una collaborazione con NTT e Israel ad inizio 2020. Con NTT abbiamo vinto europeo e campionato italiano con Nizzolo, la nostra stagione era già iniziata alla grande…

Poi il Tour con Pogacar

Quello non me lo aspettavo, è stato tutto perfetto. Ad inizio Tour alla squadra fornivamo solo tre pezzi del nostro nuovo modello, Aeroshade e li avevamo dati a Kristoff, Formolo e Pogacar. Poi a Nizza, Kristoff ha vinto la volata e si è preso la maglia gialla… Lì mi sono detto: «Basta, posso chiudere l’album delle fotografie». Invece Tadej ci ha regalato il trionfo finale. Devo ammettere di essermi commosso in quel caso, è stato un tripudio di emozioni.

Come partite per lo sviluppo di un modello?

Ti faccio l’esempio più recente: l’occhiale con cui Pogacar ha vinto il Lombardia è il prototipo di un nuovo modello. Si parte dal farlo provare al corridore in un momento di incontro, non per forza programmato, in quel caso fu a Trento per glil europei. Tadej ci ha dato dei primi feedback e abbiamo lavorato su quelli. Poi ci siamo rivisti a Leuven, ai mondiali, e abbiamo fatto la stessa cosa. Così infine al Lombardia ci ha potuto correre la prima volta.

Quante prove su strada si fanno prima di andare in corsa?

I corridori sono persone molto curiose e l’allenamento lo prendono come un momento in cui testare dei nuovi prodotti. Già dalle prime uscite prendono le misure e ci danno spunti su cui lavorare. La gara però è il banco di prova finale, se un corridore vince vuol dire che hai lavorato bene, perché tutti i dettagli contribuiscono alla vittoria finale.

Insomma, si parte da lontano

Si parte da lontano e dall’estetica. Il modo in cui il corridore si vede con quegli occhiali addosso è molto importante, quasi quanto la tecnica. Per noi i feedback fondamentali non sono quelli presi singolarmente, ma quelli durante i momenti conviviali. Mentre i corridori parlano tra di loro, magari davanti ad una pizza, dicono delle cose che tu devi essere bravo a captare.

Non tutti i corridori però hanno le stesse esigenze.

No, sono molto diversi. Per esempio Froome è uno molto tecnico ed attento al dettaglio. Per lui si fanno modifiche dettagliate. Si parla di ultra-racing, ovvero modifiche che non si commercializzano. I corridori hanno fisionomie differenti e in questo caso si cerca di rendere il prodotto “elastico”, cioè indossabile da tutti. Ascoltando le esigenze di un corridore soltanto, si renderebbe indossabile l’occhiale per uno, sta a noi creare un modello polivalente.

I “rifornimenti” come si organizzano?

Andiamo ai training camp ad inizio stagione e facciamo delle visite oculistiche a tutta la squadra ed allo staff perché forniamo occhiali a tutti. In un team si contano 120 persone compresi i corridori. Siamo soliti portare un ottico a questi incontri per fare visite e capire quante montature da vista servono o come lavorare con gli occhiali da corsa.

Chris Froome è uno dei corridori più esigenti e meticolosi in gruppo, con lui Scicon lavora molto per gli sviluppi tecnici
Chris Froome è uno dei corridori più esigenti e meticolosi in gruppo
Tanto lavoro…

Siamo sempre a mille all’ora ma funziona così se vuoi restare ai massimi livelli.

Quali sono i corridori più “complicati”?

Quelli che sono obbligati ad indossare lenti a contatto in corsa hanno delle esigenze diverse. Tendenzialmente un corridore cerca di non indossarle, ma non sempre è possibile e in quel caso interveniamo noi. Il vero problema di chi indossa le lenti da vista è che dopo 6-7 ore si seccano. In quel caso si fanno delle lenti racing più grandi ma si alza il rischio di appannarle e così si mettono delle aperture sulle bacchette…

Alla UAE che Almeida vedremo? Joao verso la svolta

18.10.2021
5 min
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Un rinforzo o un’altra carta da giocare? Joao Almeida alla UAE non è un passaggio di casacca qualunque. Il portoghese ha un grande potenziale e nella squadra di Gianetti potrebbe trovare una nuova dimensione. In UAE si continua a crescere. Il team negli ultimi due anni si è rinforzato moltissimo attorno al leader sloveno.

E anche per questo bisognerà vedere il ruolo che avrà. Pogacar chiaramente è intoccabile, il faro è lui. Almeida sarà il gregario di (super) lusso? O potrà fare di più? Avrà il suo spazio? Noi crediamo che se la UAE vuol diventare il primo team WorldTour necessiti anche di una seconda punta per i grandi Giri.

Dell’arrivo di Joao ne parliamo con Fabio Baldato, uno dei diesse del team asiatico. Almeida è un corridore della nuova generazione che può andare forte sia nelle classiche, che nelle corse a tappe.

Baldato è approdato alla UAE lo scorso inverno…
Baldato è approdato alla UAE lo scorso inverno…
Fabio, tra i protagonisti del Giro di un anno fa, quello del 2020, Almeida è l’unico ad essersi riconfermato…

Esatto, Joao non è stato una meteora. Ha avuto qualche alto e basso, come un po’ tutti i corridori. Ma è stato autore di un grande finale di stagione quest’anno. Ha vinto il Polonia, ha vinto il Lussemburgo è stato protagonista nella classiche italiane.

Alla fine in questa stagione questo ragazzo ha sbagliato veramente una tappa: quella di Sestola. Perché poi a Montalcino lo ha fermato l’ammiraglia…

Verissimo. Ed è rimasto motivato per tutto l’anno. In più è un corridore veloce. Se arrivano in trenta, trenta di classifica, li batte anche. Per me può vincere e può aspirare ai grandi Giri.

Ecco, i grandi Giri: che ruolo avrà con voi Almeida?

Beh, questa è una domanda che andrebbe posta a Maxtin o a Gianetti. Io sono un diesse ed eseguo i programmi. Posso esprimere al massimo un mio pensiero. Potrei aspettarmelo protagonista al Giro d’Italia e dare una mano al Tour. Ma questa opzione abbiamo visto quest’anno che non è poi così facile da mettere in atto (il riferimento è a Formolo, ndr). A cercare di fare classifica al Giro e dare appoggio al Tour si rischia di non fare bene né l’una, né l’altra cosa. Potrà ambire ai grandi Giri. A partire dal Giro o dalla Vuelta, non so… Joao al top delle classifiche mondiali può starci anche con le grandi classiche. 

Al Giro 2021, Almeida ha perso quasi tutto il terreno nella tappa di Sestola e in quella dello sterrato (in foto) aspettando Evenepoel
Al Giro 2021, Almeida ha perso quasi tutto il terreno nella tappa di Sestola e in quella dello sterrato (in foto) aspettando Evenepoel
La presenza di un corridore importante come Almeida, può aiutare anche Pogacar che non sente così tutto il peso della squadra sulle spalle? Ammesso che Tadej avverta questa pressione…

Bisogna vedere i programmi. Ma pensando a voce alta dico che in classiche come Liegi e Lombardia potresti ritrovarteli insieme in squadra. E se invece uno dei due dovesse restare a casa può stare più tranquillo. Tecnicamente per me sono compatibili.

Almeida ha ancora dei margini di miglioramento?

Per me sì, specie per le salite lunghe. Come ho detto, è veloce, va forte in salita e a crono, ma deve crescere quando gli si presentano 2-3 tappe di alta montagna di fila. Ma questo è un qualcosa che può arrivare anche con il tempo e la maturità. Non tutti sono Pogacar. E sappiamo che la maturità, almeno fino a qualche anno fa, arriva attorno ai 27-28 anni e lui è in tabella con i comuni mortali!

E sul piano tecnico, cosa può dargli la UAE?

Joao viene da una squadra, la Deceuninck, in cui ha lavorato bene sulla posizione in bici, gli allenamenti, l’alimentazione… Certo però che c’è sempre qualcosa da limare. Ma io credo che questo limare possa avvenire con l’esperienza che accumuli nel corso della tua carriera. Saper imparare dai propri errori è importante.

Il portoghese protagonista nelle classiche italiane di fine stagione. Eccolo al Giro dell’Emilia, secondo alle spalle di Roglic
Il portoghese protagonista nelle classiche italiane di fine stagione. Eccolo al Giro dell’Emilia, secondo alle spalle di Roglic
E lui ne ha fatti di errori secondo te?

Per me è un po’ troppo generoso, specie nel modo di correre i grandi Giri. Io, che ero più da classiche avevo un po’ la sua visione. Ma ricordo che stando vicino a Cadel Evans ho visto davvero come si doveva affrontare un grande Giro in ottica classifica. Evans centellinava ogni spilla di energia. Oggi guardava al giorno dopo e al giorno dopo ancora. Tatticamente va domato. Però io penso che il suo attaccare sia anche una dote e l’istinto del corridore lo devi lasciare sfogare. Tante volte le cose belle nascono da lì.

Almeida sembra un “buono”, secondo te ha fame?

Mi auguro di sì! Ma da come l’ho visto nel finale di stagione dico che ne ha. Pensiamoci bene: ha firmato un contratto con un’altra squadra in estate, poteva anche rischiare di meno, risparmiare qualcosa e invece ha continuato a dare il massimo e per di più davanti ai nostri, suoi futuri compagni. Ma è giusto che sia così. Joao è pagato dalla Deceuninck ed è stato un professionista fino alla fine.

E questo cambio gli dà stimoli? Tu che hai corso quando cambiavi team ne avevi di più?

Bella domanda. In effetti gli inverni migliori li ho fatti quando cambiavo squadra. Arrivi in un ambiente nuovo e vuoi presentarti nel migliore dei modi. L’ultimo inverno che feci passando alla Lampre, a 39 anni, credo sia stato l’inverno più ligio che abbia fatto. Per me, dunque, era un grande stimolo e spero lo sia anche per Joao. 

Pogacar e i freni: facciamoci spiegare come li sceglie

12.10.2021
4 min
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Quando anche le scelte tecniche diventano guerre di religione, si rischia di perdere l’obiettività. Con i freni a disco ormai è così. Perciò quando ci si rende conto che Pogacar vince il Lombardia con i freni di una volta, le fazioni si rianimano. Eppure, andando a vedere, Tadej usa bici montate con entrambi i sistemi frenanti (rim-brakes e appunto disc-brakes: freni sul cerchio e freni a disco) e vince lo stesso. Allora chi meglio del vincitore di due Tour può spiegarci il perché della sua scelta?

Scelte diverse

Basta voltarsi indietro di poche corse e ci si accorge che alla Tre Valli Varesine, sulla Colnago V3RS dello sloveno facevano bella mostra di sé i freni a disco. Pioveva e il percorso non presentava salite particolarmente impegnative (secondo i suoi standard, ovviamente). Nel giro di pochi giorni invece, proprio al Giro di Lombardia, la sua bici era tornata indietro ai freni di una volta. Al Tour stessa storia. Nella tappa vinta sotto la pioggia a Le Grand Bornand i freni a disco, in quella sul col du Portet i freni tradizionali.

Alla Liegi, ripida e asciutta, corre e vince con freni a disco
Alla Liegi, ripida e asciutta, corre e vince con freni a disco

Quasi 300 grammi

Sembra che la cosa lo diverta e probabilmente ha ragione lui. Il rapporto fra Pogacar e la bici è improntato a una sola regola: deve essere leggera.

«Il peso è molto importante per me – ci ha detto ieri – perché sulle salite il valore che comanda è il rapporto watt/chilo e io non sono di sicuro il corridore più leggero del gruppo (Tadej pesa 66 chili, ndr). Fra le due bici montate diversamente, la differenza è di 300 grammi. Molto, se pensate che per abitudine mi concentro molto sui dettagli. Anche la scelta delle scarpe con i lacci, ad esempio, che alla Vuelta del 2019 usavo solo io mentre ora in gruppo se ne vede già una decina, sono certamente molto belle, ma anche superleggere».

Al Tour, sul Col du Portet, usa freni tradizionali e vince
Al Tour, sul Col du Portet, usa freni tradizionali e vince

Ruote leggere

Torniamo però ai freni, punto caldo della storia, per capire se esista un criterio in base al quale Tadej scelga l’uno o l’altro. Se preferisca un sistema o l’altro quando piove, se ci sono discese difficili…

«In alcune corse – ha spiegato – abbiamo l’opzione di usare una bici o l’altra. A me piacciono entrambe e così prima del Lombardia mi sono lasciato guidare dall’istinto. Ho pensato che soprattutto nel finale c’erano due salite molto ripide e nel finale magari avrei potuto provare un’azione. Così ho pensato che sarebbero servite le ruote più leggere e quelle le hai soltanto con i freni normali. Non mi faccio condizionare dal meteo, i due sistemi per me vanno bene anche se piove. Comanda il peso. Per questo ho scelto di lasciare sul camion la bici con i dischi».

Tour 2021, Le Grand Bornand: piove, attacca da lontano, guadagna quasi 4 minuti con freni a disco
Tour 2021, Le Grand Bornand: piove, attacca da lontano, guadagna quasi 4 minuti con freni a disco

Un fatto di testa

A questo punto però la curiosità da utente ci porta a chiedergli se per lui sia così facile passare da una frenata all’altra, dato che la risposta della bici all’azione frenante è piuttosto diversa. La sua risposta fa pensare a quanto tutto gli riesca facile e la naturalezza con cui vive il suo feeling con la bici e con lo sport.

«La differenza c’è – ha risposto – ma non trovo che cambiare sia tanto difficile. Ne ho una montata con i dischi in Slovenia e una con i freni normali a Monaco, così mi alleno indistintamente con l’una e con l’altra. L’importante è avere la concentrazione di ricordarsi quale sto usando. Bastano due pinzate per riprendere le misure e poi si va tranquilli».

Potendo scegliere, i freni sono come le gomme: si cambiano a seconda dei percorsi e tutto sommato il discorso ha la sua logica. Aveva freni a disco alla Liegi, ad esempio, dove le pendenze estreme non mancano. Ha usato un sistema e l’altro, assecondando le sue sensazioni e a tratti le esigenze dello sponsor. Con estrema naturalezza, come fanno i campioni.