Trofeo Binda: Van Anrooij firma il tris della Trek

19.03.2023
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L’anno scorso ha tirato per Balsamo e la campionessa italiana vinse il Trofeo Binda. Quest’anno Elisa le ha reso il favore coprendo la sua fuga e poi arrivando seconda. Così Shirin Van Anrooij passa sul traguardo da sola, con 23 secondi sulla compagna, che batte in volata Vittoria Guazzini. Sono i numeri di un’altra giornata perfetta della Trek-Segafredo, che sbanca Cittiglio con un’azione della giovane olandese. Mentre si racconta, è lei la più stupita di tutte. Ventuno anni, originaria di Goes, se ne è andata a un giro e mezzo dalla conclusione, circa 25 chilometri, ripetendo l’exploit che due anni fa regalò il Binda a Elisa Longo Borghini. La Longo doveva esserci, ma è stata fermata dal Covid e la squadra ha tenuto alta la bandiera, vincendo la classica varesina per il terzo anno consecutivo.

«Non ci credo neanche io – dice con gli occhi che sprizzano gioia e stupore – sapevo di essere in buona forma, ma dopo la stagione del cross mi sono fermata per due settimane. Ero venuta per aiutare nuovamente Elisa Balsamo, ma mi sentivo super forte, ho attaccato ed è andata bene».

Sola al traguardo con 23 secondi su Balsamo e Guazzini
Sola al traguardo con 23 secondi su Balsamo e Guazzini

Come Van der Poel

Si è accomiatata dal cross vincendo il mondiale U23, poi si è fermata e ha ripreso dalla Danilith Nokere Koerse, al primo anno fra le elite, con un 27° posto onorevole, ma senza poi molto da segnalare. E adesso che le chiedono se la vittoria del Trofeo Binda le farà cambiare idea sul cross, molla lì un concetto su cui evidentemente ragionava da ieri pomeriggio.

«Correre fra le elite è diverso dal farlo fra le U23 – dice – ma per me nulla cambia rispetto al cross. Ho dimostrato che le due discipline possono convivere e non l’ho fatto solo io. Ieri Van der Poel ha vinto la Milano-Sanremo, conferma migliore non poteva esserci. Dico semplicemente di cominciare a credere di più in me stessa per le corse su strada. Sono davvero io la più sbalordita oggi».

Van Anrooij e Van der Poel, entrambi olandesi, entrambi iridati di cross ed entrambi vittoriosi nella prima grande classica di stagione. E’ possibile uno spot migliore?

Van Anrooij ha fatto il vuoto, dietro le compagne fanno ottima guardia
Van Anrooij ha fatto il vuoto, dietro le compagne fanno ottima guardia
Ricordi il momento in cui sei partita?

Era la situazione perfetta. Il gruppo era tutto in fila e dalla radio è arrivato l’input di provarci. Eravamo partite per mettere qualcuno in fuga e giocarci semmai la volata con Elisa Balsamo. Così ho provato io, perché ho sentito che avevo ancora qualcosa da dare. E poi poco dopo l’attacco è arrivata la discesa e con la guida che ho sviluppato nel cross, ho preso vantaggio anche lì. Tutti mi dicevano che dovevo insistere, che dietro ero coperta e a quel punto ho smesso di pensare.

Non ti sei voltata quasi mai…

E’ stata un’azione fra adrenalina e buone gambe. Nella salita dell’ultimo giro sapevo di avere un buon margine, ma non so cosa sia successo dietro. Ho fatto la mia lunga crono e probabilmente il fatto che oltre a Elisa ci fosse dietro Wiebes ha scoraggiato le altre dall’insistere a fondo. E’ stato lo scenario perfetto.

Di nuovo Realini

Nella giornata perfetta della Trek-Segafredo c’è stato spazio anche per Gaia Realini, che prima dell’attacco di Van Anrooij ha selezionato il gruppo in salita con tirate notevoli. E prima di lei si è vista anche Eleonora Ciabocco, di cui il cittì Sangalli ha apprezzato l’attitudine per le corse di alto livello.

«Gaia ha tirato molto forte – dice Van Anrooij – ha fatto davvero un grande lavoro. E io ho fatto il resto, ma non mi aspettavo un inizio di stagione come questo. Volevo sfruttare queste corse per preparare al meglio gli appuntamenti del Nord, invece ho scoperto di avere una forma superiore. Spero di mantenerla per un po’. Adesso comincia una parte decisiva di questa stagione…».

Quanto vale Gaia Realini? Risponde “capo” Josu

10.03.2023
6 min
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Sapete quanto tempo ha impiegato Gaia Realini per ambientarsi nella grande Trek-Segafredo? Meno di zero. E questo dà esattamente l’idea dello stupore con cui nella squadra americana stiano scoprendo l’abruzzese che al UAE Tour ha selezionato le più forti in salite e ha poi vinto il Trofeo Oro in Euro a Cinquale.

«Per come è fatta – spiega Josu Larrazabal – si è inserita nel gruppo in modo velocissimo. L’hanno accolta tutti come la giovane che devono curare e un po’ anche proteggere. Ha imparato l’inglese alla svelta e si buttava dentro senza problemi a parlare con tutte, anche quando magari non era ancora padrona della lingua. E questo ha fatto tanto a livello sociale, nel gruppo. Mentre per le prestazioni, mi ha stupito che sia riuscita a vincere così presto».

Josu Larrazabal è il responsabile dei preparatori della Trek-Segafredo
Larrazabal è il responsabile dei preparatori della Trek-Segafredo

Josu è il coordinatore dei preparatori della Trek-Segafredo: sovrintende il lavoro degli interni e coordina il lavoro degli esterni. Così come prima cosa ci tiene a dire che l’allenatore di Gaia Realini è Matteo Azzolini, tecnico di Mapei Sport in appoggio al team americano. Poi si accinge a raccontarci la Realini che ha conosciuto e sta ancora scoprendo corsa dopo corsa, test dopo test.

Che idea ti sei fatto di questa atleta?

La prima cosa è che ha un grosso talento di scalatrice a livello internazionale. Quello magari si sapeva dai risultati e quanto ha già mostrato. Però quando l’ho conosciuta, mi ha stupito il suo approccio al lavoro, la sua capacità di far fatica. Sono le cose che trovi nel profilo degli scalatori e quelli che sono adatti a fare classifica in certe gare. Rispetto al velocista, lo scalatore magari ha una diversa proporzione tra lo sforzo che profonde e il numero di vittorie. Gaia sa che per vincere deve far fatica e a allenarsi più di altre. Ma poi quando la vedi in salita, ti dà l’impressione di essere nel gruppo del WorldTour da tre anni e non da pochi mesi

In salita Realini ha dimostrato di avere il livello delle prime al mondo
In salita Realini ha dimostrato di avere il livello delle prime al mondo
Nel ciclismo maschile lo scalatore puro sparisce davanti ad atleti molto più potenti. Fra le donne, un’atleta come Realini può dire la sua?

Tra le donne non c’è il livello di specialità che c’è nel ciclismo degli uomini. Nel gruppo maschile, lo scalatore piccolino in certe tappe soffre di più, perché la differenza è troppo grossa. Uno scalatore minuto in una tappa di ventagli ha una differenza di watt troppo evidente e rischia grosso. La specializzazione è troppo alta. Il ciclismo delle donne si sta sviluppando molto velocemente, ma la differenza di livello tra gli specialisti non è così evidente.

Motivo per cui Gaia si è vista davanti nei ventagli del UAE Tour?

Il fatto che si sia difesa bene laggiù non è la conferma di questo ragionamento, perché i ventagli del UAE Tour vengono fatti in strade larghe dove non si deve lottare così tanto per la posizione. Non sono come i ventagli su strade strettissime delle gare in Francia, però averla vista così davanti fa capire che lei è forte e si ritaglierà il suo spazio molto più facilmente di quanto accadrebbe a uno scalatore uomo della sua taglia.

In che modo aver fatto ciclocross l’ha aiutata a essere così forte?

Non è una cosa che si vede nei valori, ma certamente serve. I vantaggi che derivano da un’altra disciplina non si vedono nei test, soprattutto se si tratta di sforzi così diverso. La gara di cross è uno sforzo di 45-60 minuti a tutta e quello le ha dato l’endurance e la tecnica che per una scalatrice è sempre preziosa. Però a volte sottovalutiamo il ciclismo su strada. Sembra che se uno è bravo nel ciclocross, sappia far già tutto anche su strada. Ovviamente sei bravissimo a gestire la bicicletta, però il ciclocross si corre tutto sotto i 20 all’ora, mentre in bicicletta si fanno le discese a 80 all’ora che è una cosa completamente diversa. Allora il cross aiuta, la fa più completa. Ma nel ciclismo su strada deve ancora crescere e svilupparsi in modo più completo. Anche la strada ha la sua tecnica e non è per niente scontato.

Cosa vi aspettate da questo primo anno?

Come con tutti i ragazzi appena arrivati, anche con Realini facciamo un programma a lungo termine. Devono fare un incremento nel carico di lavoro, adattarsi a una struttura più sviluppata di di lavoro, con più supporto da parte del direttore sportivo, dell’allenatore, del dottore, dello psicologo, del nutrizionista. Lei adesso sta facendo questi step di adattamento, sapendo di avere davanti un programma di 3-4 anni di sviluppo. Per questo dico che mi ha stupito il fatto che abbia già vinto e in genere sia andata così forte.

Sangalli e Realini alla Valenciana: il cittì azzurro pensa a Gaia per il Tour de l’Avenir
Sangalli e Realini alla Valenciana: il cittì azzurro pensa a Gaia per il Tour de l’Avenir
Un fatto di tempi, quindi?

Ha ottenuto molto velocemente queste performance, sia nel UAE Tour, sia a Cinquale, andando in fuga con Amanda Spratt. Mi sarei aspettato certe cose più avanti, invece sono state una bellissima sorpresa. Però guardiamo sempre lungo termine: dato quello che abbiamo visto, sappiamo che Gaia è già pronta per darci qualcosa subito. Se una ragazza è capace di una partenza così, sono sicuro che arriverà qualcos’altro. Ragionare a lungo termine significa essere consapevoli che potrà diventare un’atleta di riferimento.

Il cittì Sangalli pensa a lei per il Tour de l’Avenir: per Trek-Segafredo andrebbe bene?

Per dire se potrà lottare per vincerlo, bisognerà valutare il percorso. Se c’è dentro una crono piatta magari no, ma se c’è una cronoscalata partirebbe come favorita. A prescindere dal percorso, dovrà imparare ad essere un’atleta completa su tutto. Parlando del suo potenziale, l’abbiamo vista andare in salita al livello di Elisa Longo Borghini che è un riferimento mondiale. Per cui correre contro le più giovani all’Avenir potrebbe metterla nella condizione di fare bene. E se anche il percorso non fosse adatto a lei, andrebbe bene ugualmente se partecipasse. Certe corse fanno crescere a prescindere.

EDITORIALE / Dietro quel gatto, un mondo da scoprire

06.03.2023
5 min
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E’ un argomento delicato. Così tanto delicato da risultare fastidioso e sperare di poterne stare alla larga, anche se tanti ci hanno chiesto come mai non abbiamo scritto ancora nulla sulla vicenda di Tiberi e il gatto. Una storia accaduta a giugno, conclusa a settembre e data alle cronache pochi giorni fa. La tempistica è insolita, ma c’è poco da commentare davanti a chi si compra un fucile, apre la finestra e spara ai cartelli ammazzando un malcapitato felino. Cambia poco che il gatto sia stato ucciso per errore. Una ragazzata? Sarebbe sbagliato chiuderla così.

E’ stato Federico Pedini Amati, Segretario di San Marino per il Turismo, a diffondere la notizia dello sparo (foto Facebook)
E’ stato Federico Pedini Amati, Segretario di San Marino per il Turismo, a diffondere la notizia dello sparo (foto Facebook)

Come a scuola

Antonio Tiberi è un bravo ragazzo e fra i suoi errori c’è stato anche quello di non aver avvisato la squadra ai tempi del fatto. Nei giorni scorsi tuttavia ne abbiamo sentite di tutti i colori. Il fatto merita condanna, questo è fuori discussione. Ma come accade in episodi che coinvolgono un personaggio pubblico, chiunque ne abbia scritto sui social ha impugnato la tastiera come la carabina, sparando sul ciclista.

Della vicenda è capitato di parlare diffusamente alla recente Strade Bianche e la storia di Tiberi e il gatto ha cambiato completamente prospettiva.

Da una parte c’è stato il richiamo all’obiettività. I colpi sono stati sparati dalla finestra di un appartamento e il gatto è morto. Dall’altra abbiamo ascoltato quelli che hanno rilevato la stranezza di una notizia resa pubblica ben oltre la sua conclusione.

Un po’ come quando si va a colloquio con gli insegnanti e si cerca di spostare l’attenzione dalla negligenza dello studente al ruolo del docente.

Quella manina di colore in risposta al tweet di José Been valse a Simmons una lunga sospensione (foto Daily Mail)
Quella manina di colore in risposta al tweet di José Been valse a Simmons una lunga sospensione

Il caso Simmons

Parlando con lo staff della Trek-Segafredo, che ha sospeso Tiberi fino a data da destinarsi, abbiamo cercato di cogliere le differenze rispetto al caso che portò alla sospensione di Quinn Simmons.

Correva il 2020 e il corridore americano, neoprofessionista dopo aver vinto il mondiale juniores ad Harrogate 2019, rispose al tweet di José Been. Nel post, la giornalista augurava al popolo americano che la presidenza Trump terminasse alla svelta. Il commento di Simmons fu l’emoji di una manina di colore che salutava.

«Mentre sosteniamo il diritto alla libertà di parola – scrisse il team in una nota – riterremo le persone responsabili delle loro parole e azioni. Purtroppo, Simmons ha rilasciato dichiarazioni online che riteniamo divisive, incendiarie e dannose per la squadra, il ciclismo professionistico, i suoi fan e il futuro positivo che speriamo di contribuire a creare per lo sport. In risposta, non correrà per Trek-Segafredo fino a nuovo avviso».

Simmons, come ora Tiberi, si scusò: «A coloro che hanno trovato razzista il colore dell’emoji, posso assicurare che non intendevo interpretarlo in quel modo. Vorrei scusarmi con tutti coloro che l’hanno trovato offensivo poiché mi oppongo fermamente al razzismo in qualsiasi forma».

La vicenda si è svolta nella Repubblica di San Marino, residenza di Tiberi e vari altri corridori
La vicenda si è svolta nella Repubblica di San Marino, residenza di Tiberi e vari altri corridori

Personaggio pubblico

Quel tweet fu dirompente, almeno dal punto di vista della proprietà americana del team. Diede risonanza mondiale a un fatto che altrimenti sarebbe rimasto negli Stati Uniti. Simmons aveva 19 anni, ma capì presto che essendo un personaggio pubblico, non gli era consentito alcun tipo di leggerezza.

Anche Tiberi è molto giovane, di anni ne ha 21, ma il caso che lo riguarda è universale. Il fatto che sia un personaggio pubblico ha reso il gesto ancora più grave, al pari di altri episodi successi in passato ad altri corridori. Il pizzico di Sagan al sedere della miss al Fiandre del 2013. La brutta gaffe di Keisse nel 2019 in Argentina, con una cameriera che lo denunciò per molestie. Per terminare alle accuse di razzismo all’indirizzo di Moscon. Gesti che provocarono multe, sospensioni e minacce di licenziamento.

Il lavoro e l’ozio

Si potrebbe allargare ulteriormente il discorso. Si va a vivere lontani da casa in residenze di comodo per avere delle agevolazioni. Succede però che terminato l’allenamento si viva da esiliati, sperimentando la noia. Questo almeno raccontano alcuni dei corridori residenti. Così magari l’idea di comprarsi un fucile (ancorché depotenziato) e provarlo può sembrare il modo per passare un po’ il tempo.

A volte stare vicini a questi ragazzini così forti e privilegiati comporta anche la responsabilità di educarli per il ruolo che ricoprono. E magari indirizzarli verso scelte che alcuni di loro – presi come sono a inseguire la prestazione, il peso e la perfezione atletica – non sono in grado di valutare. Ci sono atleti, ad esempio, che nel tempo libero hanno scelto di studiare e si sono laureati.

Il tiro al Tiberi che si è scatenato nei giorni scorsi è stato violento quanto il tiro di Tiberi al gatto. Antonio è una brava persona e viene da una bella famiglia, per cui starà maledicendo da giorni quel gesto sconsiderato. E’ indubbio che abbia imparato la lezione: sarebbe grave se si trincerasse dietro qualsiasi forma di vittimismo.

Non si sa cosa deciderà la Trek-Segafredo. Si ventila anche l’ipotesi del licenziamento, a fronte del quale ci sarebbero già un paio di squadre pronte a farsi sotto. Come si disse qualche giorno fa, il ciclismo non è per tutti. Essere professionisti al top non significa solo firmare dei bei contratti. Significa anche ricevere (e pretendere) da chi ti assiste la formazione necessaria per saperci stare dentro.

Baroncini cade ancora, Bennati lo chiama e non lo molla

06.03.2023
4 min
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Rialzarsi immediatamente dopo una caduta fa parte del ciclismo, prima risali in bici e meglio è, così da non perdere tempo nei confronti dei rivali. La caduta di Baroncini alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne si è però rivelata più tosta delle altre. Infatti, il referto medico parla di frattura del radio al braccio destro, non il modo migliore per iniziare una stagione che voleva essere quella della ripartenza dopo le sfortune dello scorso anno.

In aeroporto – racconta Baroncini con la voce frustrata – prima di partire per il Belgio ho comprato un libro: “La sottile arte di fare quello che c***o ti pare” di Mark Manson. Parla di come affrontare le situazioni negative che ti si parano davanti, al di là del titolo è un libro davvero interessante. Sembra che lo abbia comprato apposta (dice con un sorriso appena accennato, ndr). Quello che l’autore scrive, già lo faccio di mio, quindi mi dà anche un po’ di morale, come se fossi sulla strada giusta per riprendermi».

La voglia di ripartire di Baroncini era molta, tant’è che era ripartito addirittura dal ciclocross quest’inverno (gs_ph.oto)
La voglia di ripartire di Baroncini era molta, tant’è che era ripartito addirittura dal ciclocross (gs_ph.oto)

Di nuovo ai box

Baroncini si trova di nuovo fermo ai box, in attesa di poter impugnare nuovamente la bici: potrebbe già mettersi a pedalare sui rulli, ma per il momento aspetta ancora. Da quando è passato professionista ha subito continui rallentamenti, degli stop che possono fare male, sia dal punto di vista fisico, ma soprattutto da quello psicologico. Il corridore della Trek Segafredo ha trovato però un grande alleato nella strada verso la convalescenza: il cittì Daniele Bennati

«Ci siamo sentiti subito dopo la caduta di domenica – dice Bennati, mentre viaggia verso Siena alla volta delle Strade Bianche – sicuramente è frustrato. Si tratta della terza frattura al radio, è un evento singolare. Gli ho telefonato anche questa mattina (venerdì, ndr) ero in compagnia di un mio amico ortopedico. Ci siamo confrontati ed è stato rassicurato anche da lui, l’intervento, dal suo punto di vista, è andato molto bene. Chiaro che non vogliamo scavalcare i medici della Trek ma un parere in più fa bene dal punto di vista morale, soprattutto se positivo».

Baroncini poi era volato in Spagna con la Trek per il ritiro di gennaio
Baroncini poi era volato in Spagna con la Trek per il ritiro di gennaio

La forza della mente

Quello che deve affrontare Baroncini è l’ennesimo stop in pochi mesi. Ad aprile del 2021 aveva subito la frattura del radio, allo stesso braccio. Un anno fa lo stop è durato 38 giorni, ora pensare di star fermo così tanto dà fastidio, soprattutto quando ormai credeva di essersi lasciato tutto alle spalle. 

«Ora – riprende il cittì – il problema lo vedo più dal punto di vista mentale, la squadra sicuramente ha tutti gli strumenti per seguirlo al meglio. Ma per la testa è un brutto momento, Filippo ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto. Credo che la figura del cittì debba ricoprire anche questo lato: quello umano. La voglia di ripartire deve iniziare da lui, non deve fare in modo che questo evento rallenti la sua carriera. Di certo non è iniziata nel migliore dei modi. L’anno scorso, nello stesso periodo, aveva subito il medesimo infortunio e anche l’anno scorso lo abbiamo aspettato. Sono e sarò sempre fiducioso nei suoi mezzi, e il fatto di averlo portato al campionato europeo di Monaco di Baviera ne è la testimonianza. Può essere uno dei corridori sui quali costruire la nazionale».

La stagione di Baroncini era partita presto: dall’Australia e dal Tour Down Under
La stagione di Baroncini era partita presto: dall’Australia e dal Tour Down Under

Obiettivo ripartire

L’obiettivo di Baroncini deve essere quello di ripartire, non con la fretta ma con giudizio. Percorrendo volta per volta i passi giusti, con la consapevolezza di avere al suo fianco la fiducia del cittì Bennati

«Bisogna prendere atto della sfortuna – continua Bennati – con la consapevolezza che ha un conto aperto contro di lei. Chiaro che c’è poco da fare, ma non sarà la prima e l’ultima caduta. Deve pensare che la sua carriera da qui in poi sarà in discesa, perché ora la sfortuna lo ha ostacolato. In questi mesi da cittì, conoscendo Baroncini, ho capito che ha tanta determinazione, è un ragazzo che non fa fatica a fare sacrifici. A me è successa la stessa cosa quando mi sono rotto due volte la clavicola. Nell’inconscio ti rimane un po’ la paura ma questi rischi fanno parte dell’essere corridore, non ci deve pensare. L’unico modo che ho per dargli una mano è questo: stargli vicino e sostenerlo. Come ho fatto con il messaggio che gli ho mandato su Instagram: “Non importa quante volte cadi, ma quante volte cadi e ti rialzi”».

«Le parole del cittì – ci dice infine Baroncini – mi fanno piacere, sapere di essere considerato per la maglia azzurra è un grande onore. Diciamo che è uno degli obiettivi che mi spinge a ripartire e non arrendermi, la fiducia di Bennati mi fa vivere questa, ennesima, brutta esperienza con maggiore tranquillità».

Il minimo salariale nel WT femminile? Parla Guercilena

27.02.2023
5 min
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«Nel WorldTour femminile c’è un problema legato al salario minimo. Non si può pagare 60.000 euro un’atleta che non è in grado di gareggiare. Una cifra difficile da giustificare». Si è un po’ smorzata l’eco delle parole di Patrick Lefevere, uno che ogni volta che parla smuove le acque o solleva un polverone.

Per la verità il 68enne general manager della Soudal-Quick Step e del team continental femminile AG Insurance ha usato bastone e carota nel trattare un argomento che lo riguarda da vicino. Nel corso delle sue dichiarazioni rilasciate in Belgio, Lefevere ha infatti affermato di credere appieno nel potenziale del movimento femminile tanto da aver cambiato idea sul tema rispetto ad un paio di stagioni fa, decidendo di investire budget importanti. Sulla scia di queste affermazioni abbiamo voluto sentire il parere di Luca Guercilena, general manager della Trek-Segafredo, che ha fortemente voluto la parità di trattamento sia per uomini che donne nella sua squadra e che ha lavorato con Lefevere fin dai tempi della Mapei.

Luca Guercilena è il general manager della Trek-Segafredo che dal 2019 ha un team femminile
Guercilena è il general manager della Trek-Segafredo che dal 2019 ha un team femminile
Luca cosa ne pensi di quello che ha detto il tuo ex collega?

Secondo me bisogna fare una valutazione come premessa. Dal 2019 ad oggi il ciclismo femminile è cresciuto in maniera esponenziale. Ha avuto tanta attenzione mediatica, spinta anche da messaggi etici, come l’uguale considerazione con gli uomini in questo sport. Negli ultimi anni possiamo dire che la situazione sia esplosa e il movimento, o parte di esso, è stato costretto a fare delle scelte.

Intendi proprio quelle di tipo economico?

Sì, ma non solo. Siamo tutti consapevoli che il volume di cicliste di alto livello non fosse molto grande prima. Normale quindi che ci fossero ragazze che venissero pagate oltre la media. Adesso c’è quasi un centinaio di atlete competitive, perché tutte possono allenarsi come si deve proprio perché percepiscono un salario minimo, che permette loro di vivere. L’anno scorso, ad esempio, tra Giro Donne, Tour Femmes e Vuelta abbiamo visto una buona qualità media per questo motivo. Alla fine è stata una scelta che ha dato dei frutti. Le gare sono belle da vedere, anche se ancora qualche tattica può essere rivedibile.

Per Guercilena una come Balsamo nei prossimi anni potrebbe guadagnare come un top rider maschile
Per Guercilena una come Balsamo nei prossimi anni potrebbe guadagnare come un top rider maschile
Quindi lo stipendio minimo di cui parlava Lefevere è giustificato?

E’ giusto che tutte vengano pagate in modo adeguato o proporzionale perché le carriere ormai sono sempre più veloci. Vi do alcuni parametri. La base salariale lorda prevede circa 27.000 euro per le neopro’ dipendenti e 44.000 euro per le neopro’ autonome. Mentre sono circa 32.000 euro per le elite dipendenti e circa 52.000 euro per le elite autonome. Detto questo, il movimento economico attorno al ciclismo femminile è ancora in crescita. Per me da qua a tre anni si posizionerà al livello di quello maschile. Non mi stupirei se una atleta venisse pagata un milione di euro. In gruppo ce ne sono già che lo valgono. E penso a Van Vleuten, Wiebes o Balsamo. Da noi alla Trek-Segafredo, come sapete, le atlete partono dal mimino salariale previsto per gli uomini, ovvero 65.000 euro.

Secondo te le cicliste come possono aver reagito alle affermazioni di Lefevere?

Posso dirvi che con le mie ragazze ne ho chiacchierato spesso. Loro sostengono giustamente che ci voglia un minimo salariale anche sotto il WorldTour. D’altronde si sa che ci sono squadre che pagano poco o nulla. Tuttavia le mie stesse ragazze sono consapevoli che mancando una categoria cuscinetto come le U23, le giovani vengono catapultate in realtà troppo grandi per loro.

Sperando di trovare nuovi talenti come Realini da far crescere, Guercilena pensa ad un futuro Devo Team femminile
Sperando di trovare nuovi talenti come Realini da far crescere, Guercilena pensa ad un futuro Devo Team femminile
L’UCI potrebbe fare una ulteriore riforma nel femminile su questo aspetto?

Andando avanti ci sarà sempre più la corsa ad avere le licenze WT per poi andare ad allestire un development team magari legato al territorio. E lì a quel punto potrai far crescere le giovani di cui parlavamo prima. Credo che sarà inevitabile questo passaggio.

Anche per la Trek-Segafredo?

Sì, ci stiamo pensando sul medio termine. Stiamo buttando un occhio in giro e vedere che opportunità ci sono per trovare ragazzine talentuose. Dal 2024 potremmo fare un devo team in cui fare crescere con tranquillità.

Voi vi siete sempre contraddistinti per la parità di trattamento, ma c’è mai stato tra maschi e femmine un atleta che Luca Guercilena si è pentito di aver pagato troppo?

No, mai. La Trek-Segafredo è sempre stata una fautrice dell’ingaggio minino uguale perché noi ragioniamo come una squadra unica tra uomini e donne. Certo ci sono ragazzi in generale che hanno reso di più o di meno come capita spesso, ma siamo soddisfatti al 100 per cento di tutti quelli che sono stati con noi. Siamo sempre stati fortunati ad aver avuto atleti di alto livello. Magari mi sento di dire che alcuni aspetti regolamentari si possono indicizzare. Chi resta a casa per la maternità non la si può sostituire se non prendendo una ciclista dalle continental. Oppure la figura del procuratore che non ha una associazione propria andrebbe regolamentata.

A luglio ci sono Giro Donne e Tour Femmes. Secondo Guercilena vanno cambiate le date
A luglio ci sono Giro Donne e Tour Femmes. Secondo Guercilena vanno cambiate le date
Molte caratteristiche del WorldTour femminile si legano fra loro. Ce ne sono alcune che possono cambiare ancora?

Bisogna trovare il giusto mix tra il buono del maschile e quello del femminile. Bisogna prendere le misure alla crescita ed evitare che il calendario diventi iper fitto. Che poi porta le logistiche ad impazzire. Ad esempio, credo che il format da dieci giorni delle grandi gare a tappe sia più che soddisfacente, anche perché bisogna tenere conto dell’aspetto fisiologico della donna. Poi non si possono avere Giro e Tour a luglio. Oppure la Vuelta a maggio dopo tutta la campagna delle classiche considerando i roster attuali. Se a medio-termine li porteranno a venti atlete, allora si potrà pensare a gare di due settimane o più lunghe come chilometraggio. Ma io vorrei che si evitassero gli errori del maschile.

Tra uomini e donne, una differenza di 100 watt

18.02.2023
4 min
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Ora che il ciclismo femminile è sempre più al passo di quello maschile, iniziano ad esserci dei paragoni. Paragoni che in qualche caso riguardano anche le prestazioni e i numeri. A rilanciare questo dibattito è stata la prestazione super di Gaia Realini, ma anche di Elisa Longo Borghini, al UAE Tour Women. Le due portacolori della Trek-Segafredo, verso Jebel Hafeet hanno staccato tutte e lo hanno fatto con numeri importanti. Per la Realini si è parlato di 4,75 watt/chilo. Numeri che tra gli uomini e per giunta su una salita finale, non sarebbero degni di nota. A parità di durata di sforzo avrebbero fatto registrare oltre i 6 watt/chilo.

E proprio per questo vogliamo saperne di più. E lo facciamo con l’aiuto di Paolo Slongo, coach della Trek-Segafredo. Va precisato che non abbiamo scelto il coach veneto perché segue le due atlete in questione, ma perché è abituato a lavorare, da anni, sia con campioni di primissimo piano che con campionesse… di primissimo piano.

Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini. Il coach veneto ha sempre lavorato con grandi campioni, uno su tutti: Nibali
Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini. Il coach veneto ha sempre lavorato con grandi campioni, uno su tutti: Nibali
Paolo, una bella differenza si è notata tra uomini e donne, almeno ad una prima analisi…

Partiamo dal presupposto che i numeri tra uomini e donne sono poco confrontabili. Chiaro che in fisiologia la componente della forza per le donne è minore e certi valori sono distanti. Ma il ciclismo femminile è in evoluzione. Le atlete crescono grazie a staff sempre più importanti, con preparatori, nutrizionisti, materiali… Il livello femminile si sta alzando e così i suoi numeri.

Quindi non si può dire che i 4,5 watt/chilo delle donne corrispondano ai 7 watt/chilo degli uomini?

Non è un paragone corretto. Più che parlare di watt/chilo posso dire che tra i top rider di uomini e donne c’è una differenza di 100 watt. Un corridore che primeggia in una tappa del Giro d’Italia ha 410-420 watt alla soglia, una donna che fa le stesse cose al Giro Donne ne ha 310-320.

Hai parlato di soglia, staccandoci per un attimo dal discorso dei watt, sul piano fisiologico le capacità aerobiche tra uomini e donne sono le stesse?

La capacità aerobica è la stessa e idem le zone di riferimento: medio, soglia… semmai quel che è diverso è la capacità aerobica di base che nel ciclismo femminile è meno allenata. E questo è un errore a parer mio.

Uomini e donne a confronto. Per Slongo la differenza è di circa 100 watt (foto Sam Needham)
Uomini e donne a confronto. Per Slongo la differenza è di circa 100 watt (foto Sam Needham)
E perché è meno allenata?

Perché qualcuno sostiene che ce n’è meno bisogno, in quanto le donne fanno tappe e corse più corte, quasi mai superiori alle 4 ore. Però le cose stanno cambiando. Adesso iniziano ad esserci Giri di 10 giorni e corse come la Liegi, la Roubaix o la Strade Bianche che richiedono un consumo energetico molto importante. E in questo caso chi ci lavora ha qualcosa in più sul piano aerobico.

E invece parlando sempre di capacità fisiologiche, i valori di smaltimento e accumulo dell’acido lattico sono differenti?

Sarebbe un discorso molto ampio, ma da quel che ho visto io, posso dire che sono uguali o molto, molto simili. Poi ogni atleta, a prescindere dal genere, ha le sue caratteristiche, ma di base non ci si discosta molto. Alla fine che si spinga a tutta per 3′ o per 20′, la forbice resta di quei 100 watt che dicevamo prima. Questo margine cresce un po’ in volata. In uno sprint, al termine delle frazioni, una donna arriva a 1.150 watt e un uomo a 1.450-1.500.

Gaia Realini con Longo Borghini a ruota verso Jebel Hafeet. L’abruzzese viaggiava sul filo dei 210-220 watt
Gaia Realini con Longo Borghini a ruota verso Jebel Hafeet. L’abruzzese viaggiava sul filo dei 210-220 watt
Tornando ai 4,75 watt/chilo della Realini è un valore di livello assoluto tra le donne, un po’ come i 7,3 watt chilo di Geoghegan Hart alla Valenciana, oppure è un dato “normale”?

E’ sicuramente un ottimo valore, ma quando Van Vleuten ha staccato tutte in quella tappa dello scorso Tour de France, ha fatto 6 watt/chilo sui 10′-12′ di sforzo, mentre quel valore medio di Gaia era riferito ad una salita la cui durata è stata di circa 34′.

E’ chiaro, l’aspetto della durata va considerato. I numeri snocciolati vanno presi con le molle e solo voi avete quelli certi, tanto che secondo alcuni Gaia avrebbe superato i 5 watt/chilo…

Quella che ha fatto è comunque un’ottima prestazione.

Sei stato chiarissimo, Paolo. Chiudiamo con un giudizio proprio su questa giovane scalatrice.

Non la conosco ancora moltissimo. E’ stata una gran bella sorpresa. Ma se devo dirla tutta lo è stata non tanto per la salita, perché lo sapevamo che lì andava forte, ma per come si è comportata in pianura all’UAE Tour. Lei è davvero piccola (150 centimetri, ndr) ed è rimasta, e bene, davanti. Si è mostrata a suo agio con i ventagli. Ha dei bei margini e di certo è una scalatrice pura.

Vittoria e colpo di spugna: Moschetti riparte da Almeria

14.02.2023
5 min
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Primo ad Almeria, alle sue spalle De Lie, Kristoff, Meeus e Nizzolo. Non è l’arrivo di un mondiale né di una grande classica, ma quando va a sedersi senza fiato vicino a un marciapiede, Moschetti ha lo sguardo felice di un bambino. La grande differenza rispetto alle vittorie precedenti è il colore della maglia. Non più Trek-Segafredo, bensì quella nuovissima e super tecnologica del Team Q36.5.

Seduto sulla strada dopo la vittoria, mentre intorno si scatena la gioia del nuovo Team Q36.5
Seduto sulla strada dopo la vittoria, mentre intorno si scatena la gioia del nuovo Team Q36.5

Cadute e risalite

Il lungo periodo con la squadra americana si è chiuso in modo insapore: un raffreddamento dei rapporti da parte del team che ha tolto il fuoco agli ultimi mesi. Ottimi rapporti con Guercilena da un lato, poi tutto il resto ad altra temperatura.

Finora nel… carnet di Matteo tra i professionisti c’era sempre stata una sola squadra, ad eccezione del 2018, quando andò nella Polartec-Kometa: continental spagnola di Basso e Contador (9 vittorie). Dal 2019 del passaggio nel WorldTour, il cammino del milanese ha visto 5 vittorie e una serie di infortuni che avrebbero piegato un cavallo da tiro. Non Moschetti, che a un certo punto si trovò addirittura a fare riabilitazione a Forlì, in casa di Fabrizio Borra, sfidando il lockdown e i primi assalti del Covid. Ogni volta è tornato e ha vinto. E così anche quest’anno, dopo un cambio di maglia che è stato anche un cambiamento di vita.

Lo scorso anno, prima vittoria di peso per Moschetti alla Valenciana, dopo due anni tra infortuni e risalite
Lo scorso anno, prima vittoria di peso per Moschetti alla Valenciana, dopo due anni tra infortuni e risalite
Che cosa significa cambiare squadra dopo quattro anni?

Sono passato nella Trek-Segafredo. In quattro anni conosci le persone, il materiale che rimane lo stesso ed evolve di anno in anno. Prendi delle abitudini, hai dei riferimenti. Poi di colpo cambia tutto. Per fortuna sono una persona che si ambienta in fretta. Non ho problemi nell’usare materiali diversi. La squadra è nuova e partire da zero non è facile, magari ci vorrà qualche mese perché tutto scorra nel modo più fluido, ma siamo sulla buona strada.

Come descriveresti il distacco dalla Trek?

Non ci siamo lasciati male, però l’anno scorso ho sentito una sorta di allontanamento, come se mancasse fiducia nei miei mezzi. E’ un lavoro, ci sta, ma alla fine è mancato il supporto che serve per fare bene e questo mi è dispiaciuto. Sarebbe stato meglio chiudere la stagione con una buona direzione, però è andata così.

Buone sensazioni al via da Almeria. Moschetti è pro’ dal 2019, ha 26 anni, è alto 1,79 e pesa 73 chili
Buone sensazioni al via da Almeria. Moschetti è pro’ dal 2019, ha 26 anni, è alto 1,79 e pesa 73 chili
Curiosamente ti ritrovi in squadra con Brambilla, rimasto male perché di fatto nel 2022 non ha più corso da metà agosto…

Lui è stato anche più sfortunato di me, però non conosco i dettagli. Nel mio caso hanno deciso di non tenermi, ma nel frattempo io ero sotto contratto, mi allenavo, però alle corse percepivo che non ci fossero fiducia e determinazione.

Hai cambiato squadra e hai risposto con una vittoria…

Anche l’anno scorso, al rientro dopo l’ennesimo infortunio, ho iniziato con una vittoria in Spagna, alla Valenciana. Quella fu una vittoria più prestigiosa dopo due anni difficili. Quella di Almeria è stata più una conferma a livello personale e un’emozione per la nuova squadra.

Che ambiente sta nascendo?

Finora è stato facile trovare l’intesa. Un conto è entrare in un gruppo già formato e affiatato, mentre questo è tutto nuovo. Ho corso un po’ con Brambilla, gli altri invece sono tutti da scoprire, ma ci stiamo riuscendo bene. Mi ricordo che quando arrivai alla Trek, quasi presi paura dal numero delle persone che c’era, più di un centinaio. La nostra realtà è più piccola, ma davvero ben organizzata.

Vuelta Valenciana, Moschetti in azione sulla Foil: bici aerodinamica in dotazione anche agli scalatori del team
Vuelta Valenciana, Moschetti in azione sulla Foil: bici aerodinamica in dotazione anche agli scalatori del team
Hai un tuo tecnico di riferimento?

Certo, come accade in tutte le squadre. Io per praticità sono con Missaglia, ma Douglas Ryder è molto presente. Da quello che sento, è stata mantenuta l’impostazione che avevano al Team Qhubeka due anni fa, anche nella preparazione. Io ad esempio lavoro con Mattia Michelusi, allenatore interno al team.

Cambiare preparatore è più difficile rispetto al cambiare squadra?

Anche questo è stato un passaggio. Alla fine i lavori sono quelli, cambia però il modo di fare le cose, perché ogni preparatore mette la sua impronta e il suo modo di ragionare. Nei dettagli riconosci la firma. Il passaggio non è troppo faticoso da assorbire e anzi… alla fine diventa uno stimolo in più. Prima mi allenavo con Matteo Azzolini, con cui ho tenuto un ottimo rapporto e che invece è passato fra i preparatori della Trek. Però, cambiando squadra, ho trovato giusto seguirli anche per la preparazione.

Ad Almeria, alle spalle di Moschetti anche Arnaud De Lie, il giovane talento belga dello sprint
Ad Almeria, alle spalle di Moschetti anche Arnaud De Lie, il giovane talento belga dello sprint
Nuova squadra, nuovo allenatore e nuova bici…

Ero abituato bene con la Trek, ma devo dire che la nuova Scott Foil mi ha stupito. E’ molto veloce e leggera, tanto che alla fine la squadra ha deciso che useremo tutti questo modello. Ho trovato subito il giusto assetto in sella e avremo ruote Zipp diverse a seconda dei percorsi. Non l’ho mai pesata, ma credo che con le ruote da salita probabilmente non saremo a 6,8, anche perché con i freni a disco è dura, ma si resta intorno ai 7 chili. E considerato che è una bici aerodinamica, è proprio un bell’andare.

Il team porta il nome di un marchio di abbigliamento, che cosa te ne pare?

Onestamente sono rimasto veramente colpito dall’abbigliamento di Q36,5, più che altro per la qualità di tutta la linea d’abbigliamento. E poi ho avuto la fortuna di conoscere meglio Luigi Bergamo (titolare del marchio altoatesino, ndr) ed è stato veramente interessante scoprire la tecnologia e lo studio che c’è dietro ai materiali che utilizziamo. E poi sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla passione che mette nei suoi prodotti. Una cosa bella…

Prossime gare?

Kuurne-Bruxelles-Kuurne, ma forse c’è la possibilità di fare il Tour des Alpes Maritimes et du Var, che comincia il 17 febbraio e in cui dovrei essere riserva. Si deciderà a brevissimo.

Elisa e Gaia regine a Jebel Hafeet. Un piano ben riuscito

12.02.2023
5 min
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«Questo è il modo di vincere che ognuna di noi sogna di fare». Elisa Longo Borghini taglia il traguardo di Jebel Hafeet tenendo per mano Gaia Realini ed indicandola qualche metro dopo. E’ il trionfo della coppia della Trek-Segafredo in vetta alla montagna totem del UAE Tour Women nella terza tappa, nella quale Silvia Persico completa un podio tutto italiano.

Elisa rende merito a Gaia appena dopo l’arrivo e fa bene. Intanto perché con questa vittoria la 31enne di Ornavasso ipoteca anche il successo nella generale (le due compagne sono divise da soli 7”). Poi perché l’abruzzese ha dimostrato subito di essersi calata nella parte di perfetta donna-squadra al servizio della propria capitana durante quegli ultimi 10,8 chilometri di salita, in cui ogni avversaria ha dovuto alzare bandiera bianca.

Elisa prende per mano Gaia per il meritato arrivo in parata
Elisa prende per mano Gaia per il meritato arrivo in parata

Tattica rispettata

Dopo aver aperto la stagione coi due secondi posti di Amanda Spratt al Tour Down Under e alla Cadel Evans Great Ocean Race, era facilmente intuibile che la Trek-Segafredo fosse volata negli Emirati per puntare alla generale, possibilmente con una vittoria di tappa, nella terza corsa del calendario WorldTour. E a quel punto che volesse fare la gara nella frazione regina era evidente da tante cose.

Nelle due precedenti frazioni per velociste sembrava che la formazione guidata da Paolo Slongo avesse fatto le prove generali coi ventagli. La recita vera e propria è andata in scena ieri. Backstedt, Hanson e Sanguineti hanno menato in pianura, specie quando hanno saputo che nella rete dei ventagli erano finiti pesci grossi.

Sanguineti è stata preziosa nei ventagli e nella tattica prevista da Slongo
Sanguineti è stata preziosa nei ventagli e nella tattica prevista da Slongo

«Durante la riunione mattutina – spiega Slongo – avevamo detto che nei punti in cui c’era il vento dovevamo essere davanti e attenti. Se poi qualche squadra avesse promosso anche un’azione degna di nota, dovevamo contribuire dando continuità. E così è stato. Quando abbiamo visto che si era staccata la Cavalli con tutta la Fdj-Suez e successivamente anche la Lippert con la sua Movistar, abbiamo dato ancora più forza a questa azione.

«La salita è andata come volevamo – continua il tecnico trevigiano – anche se le cose non vanno sempre come le progetti. Volevamo lasciar fare il passo agli altri e se avessero fatto un ritmo troppo basso, avremmo preso in mano noi la situazione. Ad un certo punto Elisa ha deciso che il passo doveva essere più alto e Gaia si è messa davanti. Quando sono rimaste da sole hanno dato tutto per guadagnare il più possibile fino all’arrivo. A pochi metri dal traguardo ho dato l’ordine via radio alle ragazze che si parlassero e decidessero fra loro. Elisa voleva che vincesse Gaia però alla fine è andata come avete visto tutti».

Longo Borghini con la maglia di leader della generale che guida con 7″ su Realini e 1’18” su Persico
Longo Borghini con la maglia di leader della generale che guida con 7″ su Realini e 1’18” su Persico

Vittoria da sogno

Tra Longo Borghini e Realini ci sono dieci anni esatti di differenza. Sono il presente ed il futuro del movimento italiano, oltre che della Trek-Segafredo, cui hanno aggiornato pure una statistica. Elisa e Gaia hanno messo a segno una doppietta che al team statunitense mancava dal 22 giugno 2021. All’epoca, vittoria di Van Dijk davanti a Backstedt nel prologo del Lotto Belgium Tour, ma il primo-secondo in cima a Jebel Hafeet vale molto di più.

«Oggi – racconta Longo Borghini – dobbiamo molto a Gaia Realini. Per me è stata l’MVP della giornata (Most Valuable Player, cioè l’atleta più importante, ndr). E’ stata semplicemente incredibile, imponendo un forcing serrato. All’improvviso ci siamo ritrovate io e lei. Ci siamo dette che dovevamo continuare così e poi festeggiare insieme al traguardo. Sì, è vero, abbiamo parlato per la vittoria di tappa ma confrontandoci ancora con Paolo (Slongo, ndr) e facendo dei calcoli abbiamo deciso di arrivare così».

«Con Gaia c’è stata sintonia sin dall’inizio – prosegue Elisa mentre è in pullman verso l’hotel – è una ragazza frizzante e giocherellona alla quale è impossibile non voler bene. Pensate che ad un paio di chilometri dal traguardo mi ha detto “mi viene da piangere” in pescarese. Mi ha fatto morire dal ridere. Non vedo l’ora di restituirle questa vittoria.

«Oltre a Gaia – conclude Longo Borghini – devo dire un grande grazie al resto della squadra. Ilaria, Elynor e Lauretta sono state fortissime e hanno corso nel vento per me. Ho accanto a me quattro campionesse».

Felicità Realini

Una di queste è proprio la giovane Realini, prelevata dalla Isolmant. Ha aperto il 2023 cogliendo il suo primo podio, ma non si scompone troppo. Abbiamo imparato a conoscerla come una ragazza pragmatica. Poche parole, alcune dette nel suo dialetto per smorzare la tensione. Sorride infatti anche lei mentre ci fa rivivere quel simpatico momento. E fa eco alla sua capitana relativamente ai ringraziamenti alle sue compagne.

«Sapevamo che oggi – dice Gaia – potevamo dire la nostra fin dalle prime battute in pianura. Abbiamo lavorato come un team unito. Poi in salita Elisa ed io eravamo consapevoli dei nostri mezzi. Abbiamo lavorato bene e portato a casa il classico “tappa e maglia”. Personalmente sono ancora incredula di questa situazione e penso che mi ci vorrà ancora un po’ di tempo prima di realizzare il tutto. Voglio godermi tutto questo giorno per giorno senza pressioni».

Balsamo e la pista, storia di un amore profondo

09.02.2023
5 min
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MONTICHIARI – Dicono che il primo amore non si scorda mai. Forse è una frase un po’ inflazionata però chi corre in pista lo fa per un rapporto profondo con questa disciplina. Oggi pomeriggio a Grenchen il quartetto azzurro femminile si gioca l’accesso alla finale dell’europeo e fra loro c’è Elisa Balsamo, una che ha la pista nel cuore e dove ha vinto tanto.

Ogni volta che ci capita di vedere da vicino la nazionale di Villa in un velodromo non possiamo fare a meno di constatare come gli atleti siano più rilassati rispetto al proprio club. Certo, non manca la tensione per l’evento da preparare, ma per molti di loro è come se fossero in una sorta di comfort zone in cui produrre prestazioni e risultati. Balsamo respira questa atmosfera fin da quando era esordiente. Per dire, tanto tempo fa nell’ambiente della pista è nato il soprannome “Barzi” che Alzini affibbiò scherzosamente ad Elisa. Ecco quindi che abbiamo voluto fare una chiacchierata con la 24enne cuneese per approfondire questo suo sentimento.

Balsamo in pista ha vinto quattro ori europei tra inseguimento a squadre, americana e omnium
Balsamo in pista ha vinto quattro ori europei tra inseguimento a squadre, americana e omnium
Che rapporto hai con la pista?

E’ una passione che mi porto dietro da parecchi anni. Ho iniziato quando ero piccolina. Mi è sempre piaciuta molto e mi sono sempre divertita molto. Inoltre credo che allenarsi in pista sia funzionale per la strada. Nei giorni scorsi ci siamo ritrovate a Montichiari per preparare gli europei, ma in inverno è bello ritrovarsi in pista con le altre ragazze e poter girare assieme.

Hai detto più volte che la pista non la lascerai mai. Perché?

Come dicevo la pista mi piace tanto e mi diverte. L’adrenalina che dà la pista o quella di un quartetto è completamente diversa da quella che si prova su strada.

Ci sono differenze tra un quartetto e un treno per la volata?

Sì ed è abbastanza grossa. Nell’inseguimento a squadre non si può sbagliare nulla. Bisogna avere la capacità di prendersi le proprie responsabilità. Decidere quanto tirare, ad esempio. E poi pensare come squadra. Questa è la cosa più importante. Perché se un’atleta è forte, ma non pensa alla squadra del quartetto, non arriva da nessuna parte. E’ proprio questo che mi piace. Se riesci a trovare un buon equilibrio con le tue compagne sai che se un giorno tu non stai tanto bene, ci sarà qualcuna di loro pronta ad aiutarti e tirare un po’ di più. Se invece sei tu a stare meglio allora puoi compensare.

Oro. Balsamo tira il quartetto con Guazzini, Fidanza e Consonni al mondiale 2022
Oro. Balsamo tira il quartetto con Guazzini, Fidanza e Consonni al mondiale 2022
Quanto è diversa questa sintonia con le compagne della nazionale e quelle della tua Trek-Segafredo?

L’affiatamento c’è anche nel club in cui corri, però su una gara da 140 chilometri si nota di meno. In pista su 16 giri massimali lo vedi subito, mentre su strada un’atleta può avere un attimo di crisi e può riprendersi. Oppure una riesce a passare la salita e rientrare in discesa. Sono dinamiche diverse, di sicuro una squadra è fatta, sia in pista che su strada, per essere una squadra. Quindi sono tutti importanti.

Dove nasce la perfezione di un quartetto?

Sia all’interno che all’esterno dell’anello. C’è bisogno di tanta fiducia per fare un quartetto e se non c’è si rischia di compromettere tutto. Il bel legame che c’è fra noi ragazze ci aiuta e ci permette di tirare fuori quel qualcosa in più in gara. Parlo del mio caso personale, ma il mondiale 2022 è stato il classico esempio in cui la testa fa la differenza. Arrivavamo tutte da una stagione su strada impegnativa. Io ad ottobre ero stanca, considerando che avevo iniziato a febbraio però il desiderio di poter fare bene anche per le altre mi ha spinto a dare quel famoso qualcosa in più.

Balsamo chiacchiera con Cristian Salvato a Montichiari nella rifinitura pre-europeo
Balsamo chiacchiera con Cristian Salvato a Montichiari nella rifinitura pre-europeo
Pesa più una maglia iridata su strada o una in pista?

Il valore della maglia per me è il medesimo, si è sempre campioni del mondo. Indubbiamente su strada ci sono più occasioni per poterla indossare. All’europeo indosseremo il body arcobaleno e anche nelle prove di Nations Cup a cui parteciperemo. Su strada forse c’è un po’ più pressione però sono certa che quando correremo a Grenchen ce l’avremo comunque, perché il peso della maglia è sempre quello.

Te lo saresti aspettato che la pista avrebbe ricoperto questo ruolo nella tua carriera?

Vi dirò di sì. Quando ero giovane mi vedevo più in pista che in strada. Forse perché in pista servono meno resistenza e più esplosività quindi da giovane riesci a portare a casa più risultati importanti. I primi anni su strada invece sono sempre un po’ traumatici. Ad esempio su pista esiste da tanto tempo il campionato europeo U23 e questo ti aiuta ad introdurti nella categoria. Normale che i risultati migliori siano arrivati prima in pista. Poi ho scoperto che anche su strada potevo togliermi delle belle soddisfazioni.

Alzini, Fidanza e Balsamo mostrano il nuovo body iridato che useranno a Grenchen col quartetto
Alzini, Fidanza e Balsamo mostrano il nuovo body iridato che useranno a Grenchen col quartetto
Cosa direbbe Elisa Balsamo ad una esordiente che magari fa poca pista o niente?

Andare ad allenarsi in pista lo consiglio sempre perché è molto divertente. Ti permette di fare qualcosa con le altre ragazze che su strada non puoi o non riesci a fare perché devi fare attenzione alle auto. In pista si può lavorare sulla tecnica, sulla sensibilità e sulla capacità di conoscere se stessi. Penso che questo sia particolarmente importante. Poi quando si è giovani allenarsi sia funzionale alla attività su strada. Sono cose complementari.

Considerando che ti ha fatto vincere tanto, la pista ha un posto in particolare nella tua scala di valori?

Oddio, secondo me bisogna dare il giusto peso alle cose (ci risponde sorridendo, ndr). Sto dedicando più tempo alla strada e penso che sia normale così. In pista ci torno quando dobbiamo preparare appuntamenti importanti come questo europeo. Il ciclismo è importante ed in questo momento è una parte della mia vita, ma ogni tanto c’è anche di meglio da fare (chiude ridendo senza esitare a scambiare qualche battuta con noi e con le compagne che le passano vicino, ndr)