All’ennesimo scatto di Vingegaard, la maglia gialla affonda

13.07.2022
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Cinque chilometri alla vetta. Il Col du Granon è solo l’ultimo di una tappa in cui i corridori della Jumbo Visma hanno messo in mezzo Pogacar, ricavandone ogni volta risposte sconfortanti. Sul Galibier gli scatti di Vingegaard e Roglic lo hanno preoccupato giusto il tempo di reagire e poi metterli a sua volta in riga. Il gesto di dare gas in favore di telecamera è ancora oggetto di dibattito in sala stampa. Ma lassù Pogacar stava bene, al punto che Roglic l’ha pagata cara e si è staccato.

Manca così poco all’arrivo con Majka che tira e Pogacar che gestisce, da pensare che anche oggi attaccheranno domani. Invece Vingegaard parte ancora e questa volta alle sue spalle qualcosa si rompe. I trenta gradi e la quota si fanno sentire. Pogacar di colpo abbassa la lampo sul torace bianco e la sua pedalata perde consistenza.

«Solo quando ho fatto l’ultimo ultimo attacco sul Granon – dice Vingegaard – ho capito che me ne ero andato. Mi sono voltato, ho visto che non veniva. Poco prima avevo fatto un semplice pensiero: se non ci provi, non lo saprai».

Tutto in un quarto d’ora

Come sia stato che in un quarto d’ora sia crollato il dominatore dell’ultimo Tour è qualcosa che resterà nell’aria fino a che stasera in hotel la UAE Emirates non avrà approfondito il discorso. Intanto Vingegaard spinge con tutto se stesso, con la forza che il suo allenatore Zeeman ha spiegato ieri dopo il traguardo.

«Pogacar ha ancora molta esplosività – ha detto cercando di spiegare quel che ci attendeva – che può esprimere dopo una salita più breve. Jonas in proporzione ne ha meno, ma sulle salite più lunghe si avvicina a Tadej. I valori che ha espresso qui al Tour sulle salite più brevi sono i migliori che abbia mai avuto. Questo ci dà fiducia per il resto del Tour. Presto ci saranno salite dove non puoi nasconderti. E’ lì che si deciderà il Tour».

Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar
Solo quando si è voltato sul Granon, Vingegaard ha avuto la certezza di aver staccato Pogacar

Il sogno di una vita

Vingegaard ha mollato la proverbiale agilità e porta sul Granon i suoi 60 chili con una cadenza cattiva, messa lì per scavare il solco profondo. Alle sue spalle Pogacar deve vedersela con Thomas che gli va via e poi anche con Yates. E come succede in questi casi, la fatica del fuggitivo porta solo buone sensazioni, mentre dietro sta trascinando lo sloveno a fondo.

«Penso che sia davvero incredibile – dice Vingegaard – è difficile per me metterci le parole. Questo è quello che sognavo. Ho sempre sognato una vittoria di tappa al Tour e ora è venuta anche la maglia gialla. E incredibile. Abbiamo preparato un piano dall’inizio della tappa e immagino che abbiate capito quale fosse. Volevamo fare una gara super dura e ne ho ricavato molto vantaggio. Non ci sarei riuscito senza i miei compagni, li devo ringraziare. Sono stati incredibili oggi.

«Negli ultimi due chilometri ho sofferto tanto, volevo solo finirlo – prosegue – ero già totalmente al limite da un chilometro e ho dovuto lottare fino alla fine. A dire il vero, quando abbiamo fatto la ricognizione dei passi con il team, non avevo provato quest’ultima salita, ero salito in macchina. Quindi non avevo grandi sensazioni. Ma ora che l’ho provato, posso dire che è stato duro».

Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert
Prima di ritirarsi, Van der Poel non ha resistito all’ultima punzecchiatura ed è andato in fuga con Van Aert

Il giorno perfetto

Fra i compagni c’è sicuramente Van Aert, partito in fuga di buon mattino con il suo… amico Mathieu Van der Poel, che ha concluso il Tour con un ritiro.

«Quando mi sono girato – racconta la maglia verde – ho visto Mathieu ed è stata una bella sorpresa. Siamo subito andati a tutta. E’ stato divertente. Io volevo soprattutto vincere il traguardo volante, ho preso i punti e ora abbiamo anche la maglia gialla. E’ stata una giornata perfetta per la squadra. Eravamo pronti per questo giorno, ma non è stato facile. Pogacar è riuscito a stroncare ogni attacco sul Galibier. Ho pensato che sarebbe stata un’altra giornata dura. Gli stavamo già mettendo pressione dall’inizio del Tour. Avevamo già fatto degli sforzi, ma dovevamo andare oltre. Volevamo farlo soffrire. E alla fine Jonas è riuscito a staccarlo».

Jumbo al settimo cielo

In casa Jumbo Visma il buon umore è contagioso, anche se il Tour è ancora lungo e Pogacar potrebbe ancora rivestire i panni del cannibale.

«Questo era il piano – dice il manager Richard Plugge – i nostri direttori e i corridori lo avevano pianificato da un pezzo ed è riuscito al 90 per cento. Il programma infatti era che Roglic se la cavasse sulla Galibier, ma questo sfortunatamente non ha funzionato. Ma era caldo ed erano sopra i 2.000 metri. Vedendo Pogacar contrattaccare, ho pensato che avrebbe speso tanto…».

“Spallone” Kruijswijk al traguardo era fra i più contenti, dopo anni a tirare per conquiste spesso sfumate.

«Abbiamo cercato di demolire Pogacar – dice l’olandese che vide naufragare la sua maglia rosa al Giro del 2016 – è stata davvero una bella giornata. Lo aspettavamo da molto tempo. Speravamo anche in un risultato migliore, perché volevamo riportare davanti anche Primoz (Roglic, ndr). Abbiamo cercato di mettere su Pogacar. Tadej è davvero forte, ma non poteva rispondere a tutti. Avevamo molta fiducia in Jonas e adesso siamo pronti a difendere la maglia».

Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”
Bardet ha attaccato sulla salita finale: è arrivato 3° a 1’10” e ora è secondo in classifica a 2’16”

Fino a Parigi

Dopo l’arrivo Vingegaard è crollato in un pianto coinvolgente, anche se fra le immagini più belle di questo pomeriggio sulle Alpi, ci sono state le congratulazioni da parte di Pogacar mentre il danese faceva girare le gambe sui rulli.

«E’ molto difficile per me esprimere a parole quello che penso – ha detto il danese – tutto questo è incredibile. Sul Galibier, Tadej mi ha fatto paura. Era molto forte e ripreso tutti. Ero insicuro se valesse la pena provarci. Poi mi sono scosso. Arrivare secondi è un bel risultato, ma l’ho già fatto l’anno scorso e ora voglio puntare alla vittoria in classifica generale. Per fortuna oggi ci sono riuscito e ora ho la maglia gialla.

«Ovviamente Pogacar reagirà. Lo vedo ancora come uno dei miei principali avversari – dice Vingegaard – è un grande corridore, probabilmente il migliore al mondo. Togliergli la maglia gialla era impensabile. Mi aspetto che cerchi di attaccarmi ogni giorno, ogni volta che ne ha la possibilità. Sarà una gara difficile fino a Parigi, cercheremo di fare del nostro meglio ogni giorno per vincerla. Sarà una bella battaglia».

Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019
Jonas Vongegaard è nato il 10 dicembre 1996. E’ altro 1,75 e pesa 60 chili. E’ pro’ dal 2019

Meritato riposo

L’ultima parola è per il direttore sportivo Grischa Niermann, che ha seguito Vingegaard dalla prima ammiraglia ed è fra coloro che hanno elaborato la strategia di attacco.

«Jonas questa mattina – racconta – mi ha detto che poteva vincere. La strada è ancora lunga, ci sono ancora dieci tappe e alcune sono molto dure. Dipenderà dalla situazione se nei prossimi giorni gareggeremo in modo offensivo o difensivo. Jonas ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni, anche come leader. Sono convinto che guiderà bene la squadra nella prossima settimana. I piani non sempre funzionano, ma stasera potremo andare a letto soddisfatti».

Tadej Pogacar, Col du Granon 2022

Il crollo di Pogacar e i retroscena di una UAE stupita

13.07.2022
6 min
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Cinque chilometri che Tadej Pogacar ricorderà a lungo. Cinque chilometri che potrebbero segnare il destino di questo Tour de France. Verso il Col du Granon la (ex) maglia gialla vive il primo momento di difficoltà della carriera.

La sconfitta è sonora. Tra distacco e abbuono l’asso sloveno incassa 3’02” dal rivale danese. Jonas Vingegaard e la Jumbo-Visma ora hanno il coltello dalla parte manico e la “frittata” si è totalmente rigirata.

Ma cosa è successo a Tadej? Troppi sforzi nei giorni precedenti? Troppe energie spese per rispondere agli attacchi sul Galibier? Cattiva alimentazione?

L’ex maglia gialla sul Galibier si è difeso alla grande ma ha speso tanto
L’ex maglia gialla sul Galibier si è difeso alla grande ma ha speso tanto

Doccia fredda

I corridori giungono ai bus parcheggiati all’imbocco della scalata, proprio sulla strada che porta al Lautaret dove domani passeranno di nuovo, ma in salita. Rafal Majka, uno dei protagonisti, piomba veloce quasi un’ora dopo il termine della tappa. “Lancia” la bici ad un meccanico e s’infila nella “casa viaggiante” della UAE Emirates. La sua espressione non è delle migliori.

Proprio Majka aveva fatto tremare. Prima positivo al Covid, poi per la carica batterica molto bassa e per essere asintomatico era partito. Esattamente come era successo Jungels. Però sul Galibier aveva sofferto. Si era staccato presto. Mentre sul Granon ha compiuto un altro capolavoro da gregario.

«Io ho passato ai ragazzi l’ultima borraccia ai 6 chilometri dall’arrivo – racconta Marco Marcato, uno dei diesse UAE – internet non prendeva e non avevo idea di cosa stesse succedendo. Quando sono passati erano ancora tutti insieme. In effetti ho visto i miei, Rafal e Tadej, un po’ affaticati, ma più o meno come gli altri.

«Poi mentre scendevo per tornare qui, sentivo dai tifosi a bordo strada che aveva vinto Vingegaard, ma non credevo così».

Sino all’attacco del danese, Pogacar era stato perfetto. Era rimasto isolato. Aveva risposto agli attacchi e anzi aveva contrattaccato lui stesso per placare gli animi degli avversari. Non poteva assolutamente lasciarsi scappare né Roglic, né tantomeno Vingegaard con Laporte e Van Aert davanti sul Galibier.

Mauro Gianetti spiega cosa è accaduto e come si rimboccheranno le maniche
Mauro Gianetti spiega cosa è accaduto e come si rimboccheranno le maniche

Gianetti placa gli animi

A tenere banco, a metterci la faccia, con grande signorilità, è il team manager della UAE Emirates, Mauro Gianetti. Il ticinese si presta ai microfoni che lo assalgono.

«Questo è lo sport – dice serio, ma non affranto – abbiamo assistito ad una tappa storica. Oggi abbiamo perso. La Jumbo-Visma è una squadra fortissima e avete visto tutti come ha corso. Ci hanno attaccato sin da subito e da lontano. Oggi hanno fatto qualcosa di straordinario».

Non solo, ma con due uomini in meno, Majka che all’inizio non stava bene, Pogacar ha dovuto rispondere a tutti gli scatti in prima persona.

«Chiaro – riprende il manager – che con un Laengen e un George Bennett in più le cose sarebbero potute andare diversamente e per questo sono ancora più orgoglioso dei miei ragazzi. Ma la forza della Jumbo resta. Tuttavia noi sull’ultima salita avevamo un uomo col capitano e loro no. Ma ci aspettavamo un loro attacco con tutti quei campioni».

Pogacar a pochi chilometri dall’imbocco del Granon scherzava con la telecamera imitando il gesto di quando si dà gas alla moto. La sua squadra rilanciava quel momento con un tweet, sottolineando come Tadej fosse rilassato.

«Mah sapete – spiega Gianetti – a Pogacar piace quando c’è la lotta. Si gasa. Evidentemente stava bene per davvero.

«Poi non so se abbia pagato gli scatti degli Jumbo, ma in quel momento non poteva fare altro. Non so se sia andato in crisi di fame, se abbia sofferto il caldo (per la prima volta si è aperto la maglia, ndr). Di certo noi non possiamo rimproverargli nulla. Non abbiamo l’obbligo di vincere, siamo qui se vogliamo per imparare ancora vista la sua età».

«Cosa gli dirò stasera? Nulla, lo abbraccerò. Anche perché durante l’ultima scalata ci ha messo il cuore, ha dato l’anima. Questo è lo spirito della nostra squadra».

Pogacar a tutta verso il Granon, per la prima volta aveva la maglia aperta
Pogacar a tutta verso il Granon, per la prima volta aveva la maglia aperta

Paura del Covid

Più di qualcuno però teme che questo calo così repentino di Pogacar possa attribuirsi al Covid. In fin dei conti la UAE Emirates lo sta schivando già da prima del Tour con Trentin. Due atleti sono stati costretti ad andare a casa, Majka comunque è risultato positivo: il cerchio si fa sempre più stretto.

«La pressione in tal senso c’è – dice Gianetti – Il Covid è entrato in squadra, due ragazzi sono andati via… In più c’è anche la pressione della corsa, dello stare attenti al virus fuori dalla corsa, della conferenza stampa e dei controlli che ogni sera ti fanno arrivare in hotel sempre dopo le 21,30-22». 

I leoncini del leader della generale sul bus della UAE Emirates. Che non siano stati troppi per difendere a lungo la maglia gialla?
I leoncini del leader della generale sul bus della UAE Emirates. Che non siano stati troppi per difendere a lungo la maglia gialla?

Quella maglia gialla…

«Noi – aggiunge Andrea Agostini, altro dirigente del team arabo – facciamo davvero di tutto per prevenire il Covid. Abbiamo comprato non so quante mascherine, i ragazzi mangiano separati, dormono in camere singole. Indossiamo le mascherine sempre. Solo di lampade speciali per la sanificazione abbiamo speso 15.000 euro. Disinfettiamo tutto, bus, ammiraglie… più di così proprio non possiamo fare. Se poi è Covid… ad oggi i nostri non lo avevano».

Tornando alle parole di Gianetti una cosa però va approfondita: «Arrivare ogni giorno più tardi in hotel aggiunge stress e stanchezza». Verissimo. Ma a quel punto non conveniva lasciare la maglia?

Più di qualcuno nel team ci fa capire che l’intento c’era. E ci avevano anche provato, ma con l’esuberanza di un ventritreenne c’è poco da fare! Insomma è stato Pogacar che non la voleva cedere.

Ed in questo è stato coerente con quanto detto nella conferenza stampa prima di Copenhagen: «Non è facile lasciare la maglia gialla. Non è facile lasciare andare via qualcosa per cui si lotta».

Lo sloveno in maglia bianca, sorridente sul podio dopo la batosta
Lo sloveno in maglia bianca, sorridente sul podio dopo la batosta

Non è finita

Pogacar ha preso la più grossa (e unica) batosta della sua carriera. Forse è da stasera in poi che si vedrà davvero quanto è grande. Che è fenomeno lo sappiamo. Per diventare un gigante gli serviva l’occasione di una sconfitta. Eccola…

E a un primissimo impatto a caldo, anche stavolta sembra essere sulla strada giusta. Sul podio per la maglia bianca sorrideva. Ha fatto i complimenti a Vingegaard.

«Non so cosa sia successo – ha detto Pogacar – di certo non è stata la mia miglior giornata. Non avevo energie nel finale. Pensavo a guardare avanti, ma altri ragazzi mi superavano. La Jumbo oggi ha giocato le sue carte davvero bene. E’ stato molto difficile controllare gli attacchi».

 

«Però voglio continuare a lottare. Il distacco è ampio, ma mancano ancora diverse tappe importanti fino alla fine e farò di tutto per non avere rimpianti. Come ho preso io oggi quasi tre minuti, li può prendere anche lui».

Giro, Tour, Vuelta: come cambia il gruppetto? Ce lo dice Consonni

13.07.2022
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Lo abbiamo visto al Giro d’Italia. Lo vediamo in questi giorni al Tour de France e lo rivedremo alla Vuelta Espana: parliamo del gruppetto. Il mitico… salvagente dei velocisti. Ma è possibile metterli a confronto? O alla fine sono tutti uguali? Nei giorni scorsi una prima distinzione l’aveva fatta Dainese. Sprinter, apripista, passistoni, gente che non punta alla classifica che arranca (o si risparmia in salita) e spinge pancia a terra in discesa e nei fondovalle….

Simone Consonni, velocista, ha preso parte a tutti e tre i grandi Giri e tutte le volte ha avuto a che fare con il gruppetto. Indirettamente ne parlammo con lui proprio nelle tappe di montagna al Giro d’Italia e nello specifico la sera di Aprica, dopo il Mortirolo.

Simone Consonni nel Tour 2020 ha aiutato Viviani. Entrambi rischiarono di finire fuori tempo massimo in alcune tappe di salita
Simone Consonni nel Tour 2020 con Viviani, rischiando a volte di finire fuori tempo massimo
Simone, è possibile mettere a confronto il gruppetto dei tre grandi Giri?

Tutto dipende da come ci si arriva, fisicamente e mentalmente, soprattutto nella terza settimana, che solitamente è quella con più salite e ha poco da dire al velocista. Forse la terza settimana ha un po’ più di valore al Tour perché c’è l’arrivo dei Campi Elisi che tiene alta la tensione per noi uomini veloci. Quindi la soffri di più, ma con la volata finale di Parigi sei più motivato.

E ci sono delle differenze quindi?

Un po’ sì. Credo che il gruppetto del Tour sia il più duro, quello che richiede più gambe. I motivi principali sono due: tempi massimi, che sono un po’ più stretti, e perché si va più forte. Al Tour chi attacca, anche nelle tappe di salita, è gente come Van Aert, Alaphilippe… Corridori, campioni che vincono le classiche. E quando si muovono loro si sente. Come watt medi necessari per restarci, il gruppetto del Tour è il più difficile.

Quello del Giro?

E’ il gruppetto che conosco meglio, visto che ho disputato quattro volte la corsa rosa. Per un velocista è il più duro mentalmente. Tanto per tornare al Crocedomini di cui parlavamo la sera dell’Aprica: parti e ti trovi di fronte tante salite lunghe, sai che ti aspettano 6-7 ore di processione da solo con la tua bici. Anche se vicino ci sono gli altri. E peggio ancora se resti da solo davvero, se ti stacchi subito. Questo anche perché le salite tendenzialmente sono un po’ più dure. Alla fine infatti il gruppetto del Tour è un po’ più veloce. Su salite più pedalabili riesci a farti compagnia. Il gruppetto del Giro lo definirei di sfinimento.

Il problema maggiore per gli sprinter sono le lunghe salite in avvio. Soprattutto se la tappa è corta
Il problema maggiore per gli sprinter sono le lunghe salite in avvio. Soprattutto se la tappa è corta
Bella questa: gruppetto di sfinimento…

Eh sì. Pensate ai “trittici” del Giro con tappe di 4-5.000 metri ognuna in successione. A livello mentale fai fatica anche a colazione. In quel momento pensi che mangiare 30-40 grammi in meno ti possa aiutare in salita.

E quello della Vuelta? Alcuni tuoi colleghi ci hanno detto che per certi aspetti sia il peggio di tutti visti i percorsi con tante salite sin dal via…

Premesso che la Vuelta è stato il mio primo grande Giro, con poca esperienza e poche gambe, non vorrei dire falsità! Vero, in parte è così: è il peggiore. Il gruppetto della Vuelta è più altalenante. Spesso ci sono salite sin dall’inizio, ma il problema più grande è che con tante salite, in Spagna ci sono meno velocisti. Ed è un gruppetto più risicato. Quando l’ho fatta io per fortuna c’era anche Elia (Viviani, ndr) che aveva i suoi due o tre uomini di fiducia e così mi sono appoggiato a lui. Ed è stato un bel riferimento. Il gruppetto della Vuelta è più difficile da prendere. 

Cosa intendi?

In tanti, anche i corridori veloci, usano la Vuelta per preparare il mondiale, specie se è un mondiale veloce. Così succede che anziché staccarsi nelle tappe dure, provano a tenere sulle prime salite proprio per allenarsi. Quindi nel gruppetto restano in pochi e non si forma subito.

Vuelta 2021, Lagos de Covadonga: in partenza subito grande bagarre. Gli ultimi (i QuickStep di Jakobsen) hanno incassato oltre 45′
Vuelta 2021, Lagos de Covadonga: in partenza subito grande bagarre. Gli ultimi (i QuickStep di Jakobsen) hanno incassato oltre 45′
Insomma, nel gruppetto non si va a spasso…

No, no… In generale il gruppetto più duro è quando non stai bene. Se invece ci sei, se hai la gamba lo tieni benone.

E sta cambiando? Una volta si andava piano in salita e si tirava in pianura…

In linea di massima questo è ancora così. Semmai ho notato che negli ultimi anni i tre grandi Giri si stanno livellando come tipologia di percorsi. La distinzione resta, ma è sempre meno marcata. E anche i corridori sono tutti super preparati. La differenza alla fine la fanno la tua condizione e l’approccio mentale. E in tal senso il Giro è il più duro. Alla Vuelta anche se non c’è la tappa finale in volata, ma c’è la crono, pensi al mondiale. Al Tour c’è lo sprint di Parigi, ma al Giro? Tutta fatica per cosa? L’anno del Covid, che feci Tour e Giro in successione, l’ultima settimana fu devastante, tanto più sapendo che poi sarei andato in vacanza e che la tappa finale era a crono.

Prima hai detto che ti appoggiavi a Viviani. Ci si aiuta?

Al via di un grande Giro, la prima cosa che fa uno sprinter è guardare le squadre degli altri velocisti. E quando, per esempio, al Giro vede una Groupama-Fdj schierata tutta per Demare, da una parte dice: porca miseria, saranno fortissimi! Dall’altra però sa bene che per le tappe di montagna può stare a ruota.

Domani Alpe d’Huez e Festa Nazionale: Guerini, cosa ti ricorda?

13.07.2022
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Giuseppe Guerini è nato e cresciuto a Vertova, in Val Seriana, ed è legato in maniera indissolubile al suo territorio. Lo è così tanto che i suoi tifosi lo hanno soprannominato “Beppe Turbo” vista la vicinanza alla centrale idroelettrica di Vertova. Professionista dal 1993 al 2007, la bici è sempre stata al centro del suo mondo e lo è ancora. Difficile disamorarsi del mezzo che ti ha conquistato fin dalla più tenera età.

«A parte una piccola parentesi dal 2008 al 2010 – racconta Giuseppe dalla Sicilia, dove si trova in vacanza – dove con degli amici ho aperto un negozio di arredi, sono sempre restato nel mondo del ciclismo. Proprio nel 2010 sono entrato in Bianchi e sono diventato il responsabile marketing della Lombardia, ruolo che ricopro tuttora».

Giuseppe Guerini, qui con Colbrelli, dal 2010 lavora come funzionario di vendita per Bianchi
Giuseppe Guerini, qui con Colbrelli, dal 2010 lavora come funzionario di vendita per Bianchi
Com’è stato questo cambio di ruolo?

Mentre sei corridore non ti accorgi di tutto quel che ti circonda, pensi solamente ad andare forte. Non ti rendi conto dell’importanza del feedback dei professionisti per sviluppare un telaio o una bici, come non realizzi quanto sia profonda l’industria della bicicletta. Non mi accorgevo che dietro di me ci fosse un mondo che si muoveva e che cresceva giorno dopo giorno.

Qual è stata la più grande difficoltà che hai incontrato?

Mi sentivo preparato, o per lo meno, pensavo di esserlo ma non era così. Da corridore conoscevo davvero pochi dettagli tecnici o prodotti, quando mi sono lanciato in questa nuova avventura in Bianchi ho dovuto studiare tutto da zero. I primi mesi sono stati complicati, anche alcuni negozianti mi hanno confessato che inizialmente facevo qualche gaffe, ma me la perdonavano visto il mio passato (dice ridendo, ndr).

Ecco il cartello celebrativo dell’impresa di Giuseppe avvenuta nel Tour de 1999, un ricordo indelebile (foto Facebook)
Ecco il cartello celebrativo dell’impresa di Giuseppe avvenuta nel Tour de 1999, un ricordo indelebile (foto Facebook)

Un uomo da Giri

Giuseppe da corridore si è distinto per aver conquistato due terzi posti nella classifica finale del Giro d’Italia, nel 1997 e nel 1998, il secondo alle spalle di Pantani che in quell’anno conquistò anche il Tour. Dopo la parentesi in Polti, dal ‘96 al ‘98 è passato alla Telekom di Ullrich diventando uno dei suoi uomini di fiducia per il Tour de France. E parlando proprio di Grande Boucle, quest’anno ricorre un anniversario particolare. Sono passati 23 anni dalla sua prima vittoria di tappa in terra francese: il 14 luglio 1999 sull’Alpe D’Huez (foto Cor Vos di apertura). E quest’anno, come allora, l’Alpe d’Huez verrà scalata il giorno della Festa Nazionale francese.

Che emozioni provi se ripensi a quel giorno?

Tante, tantissime. Quel periodo storico per il ciclismo italiano era davvero speciale, eravamo davvero forti. L’Alpe d’Huez è una salita magica, se poi l’affronti il giorno della Festa Nazionale lo diventa ancor di più. I colori, le bandiere, la gente, tutto ti travolge su quei tornanti. “Travolge” è proprio la parola giusta, visto che all’ultimo chilometro un tifoso mi voleva scattare una foto e mi ha fatto cadere, fortunatamente sono ripartito subito e sono riuscito a vincere.

A Selva di Val Gardena, nel Giro del 1998 Guerini vince davanti a Pantani
A Selva di Val Gardena, nel Giro del 1998 Guerini vince davanti a Pantani
Cosa ricordi di quel giorno?

Oltre alla caduta, sono successe tante cose. Sulla macchina del giudice di corsa c’era l’amministratore delegato della Telekom, sponsor della squadra. Lui era un grande appassionato di ciclismo ed amava venire con noi alle corse e la sera prima della gara faceva una specie di riunione tecnica (racconta con una risata, ndr). Quel giorno io non dovevo neanche attaccare, ma la sua presenza mi diede una spinta in più. Della salita ricordo la fatica e l’adrenalina dei primi chilometri, non vedevo nulla di ciò che avevo intorno ma sentivo il frastuono, ad ogni tornante c’era un colore ed una lingua diversa. L’Alpe d’Huez negli ultimi 3-4 chilometri si apre e lì sembrava di essere dentro ad uno stadio, se ci penso ho ancora la pelle d’oca. Quando pedali in mezzo a milioni di persone non senti neanche più la fatica.

Quando hai realizzato ciò che avevi compiuto?

Pochi secondi dopo l’arrivo ero frastornato, la caduta e le emozioni mi hanno travolto, poi pian piano mi sono accorto di aver fatto qualcosa di davvero eccezionale. Quando da bambino sognavo di diventare un corridore immaginavo le salite del Giro, mai avrei immaginato di dominare l’Alpe d’Huez.

Ugualmente al Giro del 1998, Guerini terminò terzo in classifica generale, alle spalle di Pantani e Tonkov
Ugualmente al Giro del 1998, Guerini terminò terzo in classifica generale, alle spalle di Pantani e Tonkov

Fra Ullrich e Pantani

Un corridore come Giuseppe Guerini ha visto da vicino, combattendoci sulle strade di Giro e Tour, due mostri sacri di questo sport: Pantani e Ullrich. Giuseppe è nato un mese dopo Marco ed essere venuti al mondo così vicini ha fatto, per forza di cose, incrociare i due più volte nelle varie categorie, ma non così tante di come ci si aspetterebbe. Questo anche a causa delle scelte professionali di Guerini.

Cosa ti ricordi del Pirata?

Io e Pantani abbiamo corso contro molte volte da dilettanti, meno da professionisti. Il primo ricordo che ho di lui è una tappa del Giro d’Italia dilettanti. Vinsi e dietro di me arrivarono Marco e Casagrande. Nel 1998, da professionisti, affrontammo una tappa molto simile, sempre con arrivo a Selva di Val Gardena. Pantani arrivò ancora secondo dietro di me, ma quel giorno conquistò la sua prima maglia rosa.

L’anno dopo sei passato alla Telekom di Ullrich.

Nel 1999 presi la decisione di “sposare” il progetto della Telekom, mi ero reso conto che contro Pantani si correva per arrivare secondi. Quindi andai da Ullrich per aiutarlo a vincere il Tour. Con lui sono stato per 8 anni, l’ho visto da vicino e ho imparato a conoscerlo, il mio arrivo alla Telekom fu particolare.

Nel 1999 Guerini passò alla Telekom di Ullrich, con la quale corse per 9 stagioni, fino al suo ritiro nel 2007
Nel 1999 Guerini passò alla Telekom di Ullrich, con la quale corse per 9 stagioni, fino al suo ritiro nel 2007
Perché?

La Telekom, squadra tedesca, aveva tutti corridori tedeschi, non fu facile entrare in sintonia con la squadra. Io sono stato uno dei primi atleti “oltre confine” ma degli anni con Jan ho un ricordo bellissimo. 

Raccontaci…

Lui era un uomo estremamente gentile, dal punto di vista umano era impeccabile, non si arrabbiava mai con i compagni, era sempre pronto a spendere una buona parola per tutti. Dal punto di vista atletico, invece, un po’ meno. Non aveva molta passione per la bici, si è ritrovato catapultato in questo mondo da giovanissimo grazie al suo immenso talento. A 22 anni ha vinto un Tour de France dal nulla, aveva davvero doti atletiche straordinarie, diciamo che aveva poca voglia di allenarsi ma tanta voglia di fare festa.

Forse questa sua poca passione era quel che gli ha permesso di vivere tutto in maniera più distaccata…

Potrebbe essere, in fondo a lui del ciclismo fregava il giusto. Negli anni in cui ero con lui in squadra avrà fatto 4 o 5 volte secondo al Tour senza mai lottare con Armstrong. Bisogna anche ammettere che Jan arrivava alla Boucle all’80 per cento, se si fosse allenato di più avrebbe potuto vincere qualsiasi gara. Non aveva limiti. 

Giorno di riposo tra cappuccino, sgambate e app per il cibo

11.07.2022
5 min
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E venne il giorno di riposo al Tour de France. Un riposo meritato, vista l’intensità con cui sono state disputate le tappe. Anche se rispetto al passato, forse in fase di avvio, c’è stata meno bagarre del solito. In qualche occasione è andata via la fuga al primo tentativo. 

Però, proprio come al Giro, i finali sono stati super intensi. E a lottare ci sono stati, volate a parte, gli uomini di classifica. Anche ieri per esempio, alla fine Tadej Pogacar una “bottarella” l’ha data.

Come hanno vissuto le squadre dei leader questo riposo? Andiamo a casa di Jumbo-Visma, UAE Team Emirates e Ineos-Grenadiers

Pogacar, un selfie con McNulty (a sinistra) e George Bennet (a destra), durante la sgambata (immagine Instagram)
Pogacar, un selfie con McNulty (a sinistra) e George Bennet (a destra), durante la sgambata (immagine Instagram)

Sgambatina Tadej

E partiamo proprio dalla maglia gialla. 

Il giorno di riposo è sempre delicato e se l’indomani c’è una tappa di montagna lo è ancora di più. Ma anche in questo caso tutto sembra essere filato liscio per Pogacar e compagni. Tutto sotto controllo.

«Una giornata molto tranquilla – ha detto Tadej – sveglia con calma. Un’uscita molto “easy” di un’ora e mezza. Pranzo, massaggi e (tra poco, ndr) la cena. Tutto molto regolare e senza chissà quali stravolgimenti neanche dal punto di vista alimentare».

Nessuno stravolgimento dice Pogacar, però attenzione c’è stata, specie per quel che riguarda la parte dei carboidrati e quella dell’idratazione. L’obiettivo principale era quello di non gonfiarsi troppo in vista dello start di domani.

Per il resto le domande che lo hanno coinvolto nella conferenza stampa hanno riguardato di più temi come la rivalità con Vingegaard, che appare super pericoloso, e un eventuale eccessivo lavoro della squadra. Ma lui non ha mostrato mezza incertezza neanche con le parole.

Gli olandesi sembrano essere all’avanguardia anche sul fronte alimentazione (foto Twitter, Jumbo-Visma)
Gli olandesi sembrano essere all’avanguardia anche sul fronte alimentazione (foto Twitter, Jumbo-Visma)

In casa Jumbo…

Uscita con sosta al bar invece per i rivali della UAE Emirates, i Jumbo-Visma. Per Van Aert e Vingegaard un cappuccino e un paio di ore rilassanti. Un paio di ore a cavallo dell’ora di pranzo, così da non sballare troppo gli orari. Tuttavia non si sono voluti perdere il pranzo.

E proprio per restare in tema, di pranzo, il Team Jumbo-Visma assume la proprietà della piattaforma #Foodcoach. Una App, ma forse sarebbe meglio dire un programma per controllare l’alimentazione degli sportivi a tutti i livelli. Alimentazione quantomai delicata nel giorno di riposo.

Per quel che riguarda i gialloneri si è discusso di tattiche, di attacchi insensati, di un “non fronte comune” per battere Pogacar.

«Questo giorno di riposo – ha detto Van Aert a Rtbf – mi permette di realizzare quello che sono riuscito a fare questa settimana. Ho messo questa settimana molto in alto nella classifica delle cose che ho conquistato nella mia carriera.

«Dopo la seconda tappa in Danimarca, avevo appena preso la maglia gialla. Eravamo bloccati nel traffico e siamo stati scortati dalla polizia. In quel momento mi sono sentito un po’ una superstar! Ieri comunque ho speso molto. In fuga neanche volevo andarci, mi ci sono ritrovato. Ero stanco e questo giorno di riposo è stato ideale».

«La lotta per la maglia gialla? Pensavamo che Roglic ne uscisse meglio e invece ha perso terreno. Però Vingegaard è in buona forma ed ogni volta riesce a stare dietro a Pogacar».

Come squadra sono i più forti e lo stesso Vingegaard lo ha sottolineato.

«Il giorno del pavè – ha detto il danese – ho sbagliato io a cambiare. La catena si è allentata e ho dovuto mettere piede a terra. Ma Van Hooydonck, Van Aert, Laporte e Benoot e sono stati incredibilmente forti nell’inseguimento e alla fine ho perso solo pochi secondi».

I ragazzi della Ineos-Grenadiers sul Col du Corbier, la “salitella” che diceva Cioni (immagine Instagram)
I ragazzi della Ineos-Grenadiers sul Col du Corbier, la “salitella” che diceva Cioni (immagine Instagram)

Ineos sul Corbier

Infine, non vanno eliminati dalla lotta per la maglia gialla gli Ineos-Grenadiers. In particolare con Adam Yates e Geraint Thomas.

Uno dei loro tecnici, Dario David Cioni, ci spiega da un punto di vista più tecnico come hanno gestito il riposo.

«Il giorno di riposo – spiega Cioni – è approcciato in modo soggettivo da ogni corridore. E varia  soprattutto tra gli uomini di classifica e gli altri. Quelli di classifica fanno un po’ d’intensità comunque. Di solito noi ci regoliamo su un percorso di un paio d’ore. Scegliamo una salitella e lì ognuno svolge il “lavoro” che deve fare. E vista la tappa non facile che li attende era un aspetto molto importante».

Gli Ineos sono usciti verso le 11. L’obiettivo primario era lasciar dormire i ragazzi più a lungo possibile.

«O comunque – riprende Cioni – avere una sveglia tranquilla. Sono usciti verso le 11 e alle 13 erano di ritorno. A pranzo non hanno stravolto le abitudini. Alla fine venivano da un giorno intenso e li aspetta un giorno intenso: non è detto che le scorte di glicogeno dei singoli corridori erano reintegrate totalmente.

«Sì, hanno mangiato un po’ di carboidrati, ma non così tanti di meno. Semmai evitano le fibre per non gonfiarsi troppo. E la stessa cosa vale per la cena».

Tom Pidcock si rilassa così. Da buon biker mette il divertimento al primo posto
Tom Pidcock si rilassa così. Da buon biker mette il divertimento al primo posto

Clima e tappa

Cioni entra poi nel dettaglio e ci spiega ancora meglio questo particolare giorno di recupero.

«E poi bisogna considerare due cose: com’è la tappa il giorno dopo e il clima. Il caldo rende tutto più facile. Discorso diverso con il freddo. Anche se si dovesse essere un po’ più “gonfi” le temperature alte aiutano ad espellere liquidi.

«Inoltre domani i primi 40 chilometri sono “in discesa”, c’è una salitella ma niente di che. I primi 20 soprattutto. Difficilmente partirà la fuga lì, quindi non si ha la necessità di essere sul pezzo sin dalla prima ora. Hai un po’ di tempo per rimetterti in sesto». Discorso diverso se ci fosse stata la tappa di dopodomani con il Galibier in avvio.

«Questo – conclude Cioni – semplifica le cose. Ma come ho detto il giorno di riposo è molto soggettivo. Generalmente va meglio a giovani, che si adattano più facilmente ai cambiamenti, mentre i corridori più esperti hanno più bisogno della loro routine. Ma molto dipende anche dallo stato di forma del corridore stesso. Se vola, sarebbe meglio che non ci fosse il riposo, ma se invece è stanco, gli fa bene eccome».

EDITORIALE / A questi fenomeni si perdona ogni errore

11.07.2022
5 min
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Quando ha vinto alla Planche des Belles Filles, il giorno dopo la vittoria di Longwy, abbiamo iniziato a guardarci intorno, cercando nelle altre squadre quegli sguardi. Non poteva lasciar vincere Kamna? Eppure non una voce in questo senso si è alzata dal gruppo o sui media. Al contrario, si è detto: è giusto che il più forte corra sempre per vincere. E’ il ciclismo dei giovani fenomeni e del pubblico che va di fretta. Sarebbe servito che Pogacar vincesse ieri a Chatel per averne la controprova. 

Perché del Pantani che vinse anche a Campiglio non si disse che fosse il più forte ed era giusto che vincesse, e si disse al contrario che stava esagerando, mentre lo sloveno può fare quel che vuole e nessuno trova da ridire? Una catena di ipermercati romagnoli era meno gradita al cospetto dei grandi, rispetto alla squadra degli Emirati? Niente di tutto questo, almeno non oggi. La sensazione è che sia tutto cambiato.

Kamna in fuga alla Planche des Belles Filles non ha avuto scampo contro Pogacar
Kamna in fuga alla Planche des Belles Filles non ha avuto scampo contro Pogacar

Tutto cambiato

Il ciclismo è cambiato. Sono cambiate le persone che ci lavorano, è cambiato il modo di starci dentro. Per certi versi è tutto così inquadrato, che è venuto meno un certo tipo di stress (sostituito da altre tipologie).

Prima c’era il direttore sportivo che faceva tutto da sé. Non aveva Velo Viewer e nemmeno le radioline. Per cui doveva costruirsi la tattica un pezzettino per volta, parlando con i corridori e sommando la sua e la loro esperienza. La sera in hotel, aspettava l’arrivo dei comunicati e li spulciava riga dopo riga, per capire che cosa avessero fatto i suoi corridori e gli avversari. Sapeva tutto di tutti. E i suoi ragionamenti tenevano conto dei suoi uomini e delle prestazioni dei rivali.

Oggi il direttore sportivo entra nella riunione del mattino dopo che i suoi colleghi hanno fatto la loro parte, svelando tutte le insidie del percorso e come spingere e mangiare per superarle. Lui aggiunge qualcosa della sua esperienza, poi sale in ammiraglia e spera che le cose vadano come ha previsto. Ammette Martinelli che ai tempi di Pantani, un corridore che potrebbe stare nella galleria dei fenomeni di tutti i tempi, non si usavano le radioline e forse alcune corse le avrebbero gestite diversamente.

Van Aert in fuga verso Longwy: un evidente errore tecnico, raccontato come gesto spettacolare
Van Aert in fuga verso Longwy: un evidente errore tecnico, raccontato come gesto spettacolare

L’errore di Van Aert

Vi siete divertiti a vedere Van Aert in maglia gialla, in fuga dal mattino? Chi scrive non si è divertito per niente. Okay, la Jumbo Visma non ha lavorato per tutto il giorno, ma puoi dirlo col senno di poi. Quella tappa con Van Aert dovevano vincerla correndo in altro modo: quella fuga non sarebbe mai arrivata. In tre, poi, figurarsi. Con Fuglsang che ancora non si è ripreso. Ma se chi racconta le tappe ne parla come di un’impresa, è ovvio che la gente sia contenta. Poi spegne la televisione e non ci pensa più.

Noi ci divertivamo anche a vedere Pantani contro Ullrich o contro Tonkov, ma in quegli anni c’era più gente che poi rimuginava e la vittoria non era mai foriera di sola serenità. Sono sparite le seghe mentali, dicono in gruppo, che non è poco.

«Pantani non voleva vincere a Madonna di Campiglio – ricorda Martinelli – e ci eravamo adoperati perché arrivasse la fuga. Dietro si era deciso così, invece Jalabert mise la squadra a tirare forse perché voleva vincere lui. E a fronte di quel comportamento, Pantani perse la pazienza e vinse lui».

Era il più forte, era giusto che vincesse. Come la prese il gruppo? Con voci e commenti sull’ingordigia di Marco e chissà cos’altro. E quando il giorno dopo il sole cadde dal cielo, ci fu anche chi si diede di gomito. Fra le squadre, soprattutto. E nel palazzo.

A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani al Giro d’Italia. Era il 4 giugno del 1999
A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani al Giro d’Italia. Era il 4 giugno del 1999

Sparita l’invidia

Oggi fra le squadre non ci sono più gelosie, ai fenomeni si perdona tutto. Proprio Martinelli racconta di aver scritto di recente al suo preparatore Mazzoleni che una volta piaceva a tutti curiosare in casa degli avversari, mentre oggi dopo l’arrivo si fa un reset e si guarda al giorno dopo. E proprio il non avere più il comunicato da studiare fa sì che il tecnico abbia una conoscenza diversa del gruppo. Se gli serve un’informazione, va su internet e tira fuori vita, morte, miracoli e piazzamenti di chiunque. Paradossalmente è un modo di fare che porta a una conoscenza meno approfondita del corridore, che prima avrebbero dovuto osservare, incontrare, parlarci e capire se ci fosse margine per costruirci qualcosa.

Oggi si va più di fretta. La gente vuole divertirsi e non farsi pensieri dopo. Per questo avere fenomeni come Pogacar, Van Aert, Van der Poel è bello e coinvolgente. Ma siamo sicuri che tutto quello che fanno sia oro? Ogni loro gesto viene dipinto come prodigioso, ma spesso certe fughe illogiche andrebbero bollate come errori.

Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka: gregari formidabili, ma si hanno occhi solo per lo sloveno
Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka: gregari formidabili, ma si hanno occhi solo per lo sloveno

L’appassionato di ciclismo

Chi è oggi l’appassionato di ciclismo? Quelli di ieri conoscevano anche corridori di cui negli ordini di arrivo non c’era traccia e sapevano inquadrare il risultato di oggi ricordando i piazzamenti di ieri. Oggi basta andare su Procyclingstats per avere le informazioni, ma non la conoscenza. Quanti sanno dire chi ci sia dietro a quei fenomeni?

«Una volta – dice Martinelli – incontravi per strada quello che ti chiedeva di Fontanelli. Secondo me oggi se chiedete a un telespettatore chi sia O’Connor, non tutti lo sanno. Ma sanno di Pogacar, Van Aert, Van der Poel e gli altri fenomeni. Si tocca con mano e per certi versi è bello che sia così».

Oggi quanti sanno chi siano i gregari di Pogacar o Van der Poel e perché siano speciali? All’opinione pubblica piace così perché probabilmente vi è stata portata dal racconto televisivo. Se Pogacar avesse vinto ieri a Chatel si sarebbe detto che per farlo avesse spremuto troppo la squadra (come tanti di noi hanno pensato, a prescindere dal risultato), oppure se ne sarebbe esaltata ancora una volta la forza?

Secondo riposo, le cose da vedere non finiscono mai

11.07.2022
9 min
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Nel secondo giorno di riposo, prosegue il nostro percorso tra le curiosità del Tour de France 2022. Biciclette, capi tecnici e soluzioni che vedremo nel prossimo futuro, alcuni di questi prodotti non ancora ufficializzati e già vittoriosi. E poi c’è la conferma che il ciclismo interessa anche alle serie tv (e non è la prima volta), un bello spot promozionale che fa bene al nostro sport.

Altre bici nuove, anche la Propel

La nuova Giant Propel, non ancora presentata ufficialmente e già vittoriosa. E’ la bicicletta aerodinamica di Giant, prodotto massiccio e importante nelle forme. Nel caso della nuova versione, vittoriosa con Groenewegen, si nota una bicicletta sì aero, ma più sfinata e magra, soprattutto nel comparto centrale e posteriore.

Altrettanto interessante è l’aver mantenuto il seat-post integrato, una sorta di marchio di fabbrica Giant, con una forma mutuata dal modello TCR. Dopo averla vista in corsa e poi in mano ai meccanici nel giorno di riposo, la vedremo ufficialmente con tutte le sue specifiche prima della fine dell’estate?

Tra fatica, tecnologia e serie tv

Vista quella scatoletta sul cappellino post gara di Van Aert? L’oggetto in questione è il trasmettitore del microfono, perché l’atleta della Jumbo-Visma è… spiato costantemente. Ma non solo Van Aert, in alcune occasioni i microfoni sono stati montati anche sulle biciclette dei corridori, generalmente agganciati al supporto del computerino. Il Team Jumbo Visma al Tour de France 2022 sarà soggetto di una serie Netflix, come già accaduto per il Movistar Team, che vedremo in futuro.

Magnus Cort, il corridore danese, grande protagonista nella sua terra natale, è l’unico del Team EF-Easypost ad utilizzare la aero Cannondale SystemSix. Il resto degli atleti utilizza la Cannondale SuperSix Evo.

Se analizziamo i capi tecnici, quelli normalmente utilizzati al Tour de France e finalizzati per combattere il caldo, gli spunti d’interesse sono sempre numerosi. Ci ha colpito la maglia Le Col della Bora-Hansgrohe, con un girocollo molto basso, ma con una ribattitura doppia. Una pannellatura frontale fitta e aderente e un tessuto dalla trama a micro-celle sulla parte superiore delle maniche. Il fondo-manica invece è molto sottile ed è una sorta di rete elastica.

Shimano Dura Ace a 11v. Sono due i team che hanno scelto di optare per le trasmissioni ad 11 rapporti: la Total Energies e la Israel-Premier Tech. L’obiettivo è quello di far scendere il più possibile le variabili che si generano nel mix di componenti delle diverse famiglie di prodotti.

La trasmissione Sram usata da Skujins e spiata nel primo riposo
La trasmissione Sram usata da Skujins e spiata nel primo riposo

Una trasmissione Sram Eagle in futuro?

Nessuno vieta di immaginarlo e pensarlo e la trasmissione montata nelle tappe della Super Planche des Belles Filles e Losanna sulla bici di Skujins è una sorta di conferma. L’ultimo pignone (quello nero) non è un 50, come quello utilizzato sulla versione mtb, ma è di sicuro un fuori misura, una sorta di salva-gamba. E poi ci sono i pignoni dorati che appaiono senza grossi salti tra l’uno e l’altro. Staremo a vedere.

Ma che scarpe sono?

Louis Garneau. Sono due gli atleti della Israel-Premier Tech che indossano le calzature del marchio canadese, quasi scomparso e che ora è tornato tra i professionisti di primissima fascia. Micheal Woods e Simon Clarke indossano la costosa versione Course Air Lite XZ.

Q36.5 per Geschke. Sono di colore argento e sono il modello Unique Silver dell’azienda di Bolzano, le calzature indossate dal corridore tedesco ora in forza al Team Cofidis.

Nuove scarpe Giant per Matthews? Già in passato, nel suo trascorso al Team Orica-Green Edge, Michael Matthews è stato uno dei principali artefici nello sviluppo delle Shimano S-Phyre. Il corridore australiano è particolarmente ambito dalle aziende, per le fasi di test dei prodotti. Quelle che indossa al Tour de France hanno tutta l’aria di essere una nuova versione top di gamma delle calzature Giant.

Pogacar e Stuyven, corridori diversi in tutto. Doti atletiche a parte, i due corridori rappresentano anche gli antipodi nel modo di utilizzare le calzature ed i pedali. Pogacar, pedali Look Keo, scarpe DMT KR SL con i lacci e tacchette grige, pedala con le punte verso l’esterno. Stuyven, pedali Shimano (in realtà dovrebbe avere i Look), calzature Bontrager e tacchette Shimano blu, pedala con le punte rivolte all’interno.

Tra caschi e gomme

Un nuovo casco Bollè per Mozzato e per la B&B-KTM. Rispetto al “vecchio” modello top di gamma Furo, il nuovo casco Bollè ha delle feritoie più ampie nella sezione frontale e lateralmente, forse meno votato all’aerodinamica, ma non per questo meno efficiente. C’è sempre la calandra posteriore tronca, ma il casco è meno pronunciato verso il retro ed è maggiormente arrotondato sopra.

S-Works Prevail e Evade. Il primo è quello meno calottato, spesso scelto dagli uomini di montagna e per le giornate da canicola. Lo Specialized Evade è quello “aerodinamico”, più chiuso e tra i caschi più efficienti mai sviluppati. Entrambi adottano anche un nuovo sistema Mips al loro interno.

Tre team in gara, tra tubeless copertoncino. Per le tappe tradizionali (esclusa quella del pavé) tutti i team supportati da Specialized si dividono tra tubeless e copertoncino. E’ necessario ricordare che la Quick Step-Alpha Vinyl è stata coinvolta in modo diretto nello sviluppo dei nuovi pneumatici Turbo di Specialized. Inoltre, le ruote Roval del team belga arrivano anche dalla fornitura del 2021, come si vede da una delle immagini. Nessun riferimento di “inventario” per le ruote TotalEnergies, considerando la sponsorizzazione recente.

Manubri super leggeri e spessori

Interessante la scelta di Patrik Konrad, che utilizza l’attacco manubrio full carbon Vibe Carbon da poco più di 100 grammi e la piega Pro Vibe Carbon SL compact. Il peso di quest’ultima è intorno ai 200 grammi, per un’accoppiata che supera di poco i 300 grammi e con una rigidità complessiva molto elevata.

Ma quanti spessori sulla bici da Gaudu? Oltre al cap in battuta, ci sono ben 3,5 centimetri di spacers (sono sette da 0,5 cadauno) tra lo stem e lo sterzo della bici di Gaudu. Già al Tour of the Alps avevamo documentato i bike fitting “non estremi” del gruppo di scalatori del Team Groupama-FDJ. Osservando con maggiore attenzione la bici del corridore transalpino, vediamo anche un seat-post con un abbondante arretramento.

Facendo la somma dei dettagli, cosa potremmo scrivere? Un telaio piccolo e una posizione non facile da adattare, con la necessità di portare il peso del corpo sulla ruota posteriore e lasciare scaricate le ginocchia. Inoltre il corridore non si schiaccia mai in modo eccessivo verso l’anteriore e verso il basso.

Colnago Prototipo, ruote Bora WTO45, Pirelli TLR da 30 e inserti liner interni
Colnago Prototipo, ruote Bora WTO45, Pirelli TLR da 30 e inserti liner interni

Quel vedo non vedo

Gli inserti dentro le gomme, nel giorno di riposo c’è modo di parlare anche di questo. Torniamo per un attimo alla tappa del pavé di questo Tour de France 2022. Non si vedono perché inseriti dentro i tubeless, ma Pogacar ha utilizzato gli inserti tra gomma (Pirelli TLR da 30 millimetri) e cerchio, una sorta di salsicciotto di schiuma/spugna densa e compatta, non assorbe il liquido anti-foratura ed evita lo stallonamento del tubeless, anche e soprattutto con i colpi proibiti che subiscono le ruote in carbonio. I liner non sono Pirelli, che ad oggi non ha in gamma questa tipologia di accessorio. Inoltre, Pogacar ha corso quella frazione con la Colnago Prototipo, molti suoi compagni hanno utilizzato la “vecchia” V3Rs.

Jungels dà un calcio alla iella, ma sul Tour arriva il grande caldo

10.07.2022
6 min
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Il caldo è arrivato tutto insieme e adesso si rimpiange l’arietta fresca della Danimarca e poi del Belgio. Bastava guardare in faccia Bob Jungels su quest’ultima salita e poi dopo l’arrivo per rendersi conto di quanto la calura si sia sommata alla fatica delle scalate. Ma il lussemburghese aveva così tanti conti da regolare, che non ha avuto paura di andarsene da solo a 62 chilometri dall’arrivo e non ha perso la testa quando sembrava che Thibaut Pinot dovesse farne un sol boccone. Strano modo di correre quello della fuga, che ha preferito cincischiare, finendo poi con il mangiarsi le mani.

«E’ difficile dire come mi senta in questo momento – ha detto Jungels appena tagliato il traguardo – sono sopraffatto. Per questo sono venuto al Tour. So cosa significa questo per la squadra. Da qualche anno soffro di infortuni. Sono molto felice ora. La mia forma sta migliorando sempre di più».

Il grande caldo si è fatto sentire: i corridori all’arrivo erano stremati
Il grande caldo si è fatto sentire: i corridori all’arrivo erano stremati

Maledizione alle spalle

Non doveva neanche partire. Per la stessa regola che oggi ha rispedito a casa Guillaume Martin e per la quale non sono partiti Trentin e Battistella, Jungels è risultato positivo al Covid quando la carovana si stava assemblando a Copenhagen e doveva fermarsi. Ma mentre gli altri prendevano mestamente la via di casa, Bob è rimasto in virtù di una carica virale bassissima. E forse anche in questo si potrebbe leggere un segno del destino.

Sembrava uno di quelli che, lasciata la Quick Step, avessero smesso di andare forte. Per la singolare regola o maledizione che colpisce tutti quelli che scelgono una strada diversa. Da Cavendish a Gilbert, passando per Terpstra e Viviani. Invece sulla strada di Jungels si è frapposta una serie infinita di acciacchi e problemi, culminati con l’operazione all’arteria femorale, la stessa di Aru e poi di Conci.

«A volte – ha raccontato – non riuscivo nemmeno a tenere il passo con il gruppo. Ricordo in Catalogna. Ero devastato, perché mi stavo allenando duramente, facendo tutto quello che potevo. E’ stato molto difficile. Ho anche pensato di smettere. Ho sempre corso per vincere, è stato degradante. Ne ha risentito anche il mio carattere. Normalmente sono una persona aperta, ma qualcosa mi impediva di esserlo».

Come alla Liegi

Per questo non avrebbe mai mollato, a maggior ragione sapendo che alle sue spalle un dolore grande almeno quanto il suo spingeva nei pedali di Pinot, ansioso a sua volta di rivedere la luce.

«Oggi potevo correre solo così – racconta Jungels – sapevo di dover provare da lontano perché sull’ultima salita sarebbe stato impossibile staccare i favoriti. Mi ha ricordato la mia vittoria a Liegi (Jungels ha vinto Doyenne nel 2018, partendo da solo dalla Roche aux Faucons, ndr), quando Vanendert si avvicinava sempre di più. Ma io continuai ad andare al mio ritmo, perché non volevo scoppiare. Gli ultimi due chilometri, sia allora sia oggi, sono stati infiniti. Il Tour ha 21 tappe e volevo vincerne una. Oggi ho preso tutti i rischi ed è successo. Voglio ringraziare tutti i miei compagni di squadra».

Pinot cresce

Pinot la prende con filosofia, acciuffato e poi saltato da Castroviejo e Verona, che di gambe ne avevano ancora tante e non si capisce perché le abbiano nascoste.

«Peccato – dice Thibaut – ma siamo arrivati con due minuti e mezzo a una salita che si addiceva a Bob, mentre avremmo dovuto limitare i danni in pianura. Se fosse stata una salita leggermente più dura, sarebbe stato diverso. Ma non ho rimpianti, ho dato davvero tutto me stesso. Ho capito in cima all’ultima salita che sarebbe stato complicato. Anche se gli avevo preso parecchio tempo, lui ha guidato bene nelle parti più scorrevoli. Ha fatto un numero. Ma questo è il mio primo giorno di buone sensazioni e ne sono felice di questo. Stanno arrivando le due settimane più importanti e questa è la cosa principale».

Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere anche oggi
Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka. La sensazione è che avrebbe potuto vincere

La Porsche dei sogni

Fra i compagni di Jungels alla Ag2R Citroen, Oliver Naesen è stato uno degli ultimi ad arrivare. E mentre si informava se fosse vero che avesse vinto il compagno, come aveva sentito alla radio, ha raccontato un divertente aneddoto accaduto ieri sera ai colleghi fiamminghi di Het Nieuwsblad che lo attendevano al pullman della squadra.

«Ha fatto un numero pazzesco – ha detto – e ha tolto un grosso peso dalle nostre spalle. Da quando O’Connor è uscito di classifica, ci siano ritrovati senza un compito preciso e tutto è diventato più nebuloso. Questa vittoria significa missione compiuta. Ieri a tavola parlavamo delle nostre auto da sogno e per Bob era quella di un film, una Porsche 964. Quella molto chic di Bad Boys 1. Ha detto che se avesse vinto oggi, l’avrebbe comprata. Ho idea che dovrà spendere parecchi euro».

Domani intanto si riposa, ma sarà una giornata da gestire. Martedì si ricomincia con un arrivo in salita a Megeve. E con queste temperature, il minimo passaggio a vuoto si pagherà caro. E anche le energie sprecate in questo giorno di luglio potrebbero non tornare più.

Inoltre in gruppo si respira la tensione per il giro di tamponi predisposti dagli organizzatori. In Francia si lavora come ai vecchi tempi e siano benedetti gli uomini di ASO. Ma andare a casa per una positività al Covid sarebbe una scocciatura infinita.

Van Aert facile, facile. E Cattaneo conquista il numero rosso

09.07.2022
5 min
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Quando ad una manciata di chilometri dall’arrivo di Losanna Mattia Cattaneo si è rialzato ha pensato alle tappe future. Magari già a quella di domani. «Chissà – racconta il lombardo nelle fasi post gara – Ora cerco di recuperare e domani mattina vi dirò!».

La Planche des Belles Filles ha detto che la gamba di Mattia è buona, ma forse non è quella dell’anno scorso per entrare nella top dieci del Tour de France. E allora tanto valeva andare subito a caccia delle tappe, come ha fatto oggi.

Al tempo stesso, tanto valeva lasciarsi sfilare. Lasciar passare Van Aert, Pogacar e tutti gli altri che si contendevano le loro ruote con la “bava alla bocca”. Tanto valeva iniziare a risparmiare energie.

Cattaneo tra Wright e Frison. Per loro oltre 170 chilometri di fuga
Cattaneo tra Wright e Frison. Per loro oltre 170 chilometri di fuga

Mattia in fuga

Il corridore della Quick Step-Alpha Vinyl oggi si è sciroppato 172 chilometri di fuga.

«Sapevo già dopo 10 chilometri che eravamo partiti che non saremmo arrivati – ha detto Cattaneo – Forse perché ormai sono vecchio e ho una certa esperienza per valutare le cose! Volevo andare in fuga questa mattina, anche se pensavo che la fuga potesse essere più numerosa. Di certo la caduta ha inciso.

«A quel punto era inutile andare a tutta per tutto il giorno. In certe situazioni è il gruppo che decide quando venirti a prendere. Così ho detto ai miei compagni di fuga: “Andiamo regolari, senza ucciderci. Quando sentiamo che il gruppo si “ferma”, spingiamo 10 chilometri a tutta e vediamo come va”. Per arrivare saremmo dovuti giungere ai 4,5 chilometri finali (in pratica all’inizio della salita, ndr) con 2’».

Non è facile continuare a spingere, a pedalare, a fare fatica sapendo di “avere il destino segnato”. Nella testa deve passare di tutto.

«Vengo dall’Androni Giocattoli – ha detto Cattaneo – Gianni (Savio, ndr) mi ha insegnato che bisogna sempre lottare e provarci… Era molto difficile in tre. Ho cercato di provarci nel modo più intelligente possibile senza andare tutto il giorno alla morte, ma spingendo davvero forte solo nel finale».

Crederci sempre e infatti alla fine qualcosa di buono questa fuga lo ha portato. Il classe 1990 è salito sul podio del Tour. Perché? Perché ha indossato il numero rosso di più combattivo. E’ stato tra i promotori della fuga, si è preso i punti sui Gpm e ha contribuito tantissimo all’attacco con Frederik Frison e Fred Wright.

Bettiol (maglia rosa) a tutta durante lo sprint. Per il toscano un incoraggiante quinto posto
Bettiol a tutta durante lo sprint. Per il toscano un incoraggiante quinto posto

L’Italia che resiste

Se vogliamo, l’azione di Cattaneo di oggi è un po’ la foto del ciclismo italiano. E in particolare del ciclismo italiano al Tour. Un numero relativamente basso di corridori che cercano di tenere duro e raccogliere quel che si può.

Caruso dice che è sui suoi valori migliori di sempre, ma sulla Planche incassa 1’12”. Bettiol lotta. Oggi vince la “battaglia” della ruota di Van Aert ma poi non riesce ad andare oltre quelle stesse ruote. Pasqualon dà una mano ai suoi compagni… E poi nulla, o quasi, più. Peccato solo che Moscon sia tornato a casa: il trentino proprio non riesce ad ingranare quest’anno.

Intanto però c’è Cattaneo. L’essersi sfilato nel finale, come detto, è stato qualcosa che va preso di buon occhio.

«Sto bene – dice Mattia – Anzi, onestamente molto bene… Anche ieri sulla Planche sono andato molto forte per le mie caratteristiche. Il mio obiettivo qui in Francia non è mai stato fare classifica, ma vincere una tappa quindi sono fiducioso e contento.

«Il numero rosso un obiettivo? Sarebbe veramente bello portarlo a Parigi. Sicuramente cercherò di fare del mio meglio anche per questo».

I nostri non mollano dunque. E questo è quel che conta. Perché il Tour è lungo e perché la maggior parte di loro non sono ragazzini e potrebbero uscire alla distanza. Potrebbero sfruttare fondo ed esperienza nei confronti di tanti giovani rampanti che ora se la cantano e se la suonano. 

Insomma, cerchiamo di essere ottimisti.

Van Aert come da copione

Per il resto si è vista una tappa abbastanza lineare. La maxi caduta avvenuta nelle fasi iniziali ha inciso sulla fuga. E in modo più specifico sul numero di corridori che la componevano.

Per la Jumbo-Visma e per la BikeExchange-Jayco, le squadre dei favoriti, è stato sin troppo facile gestire la tappa. Tappa che, dopo la caduta, è stata relativamente tranquilla. Lo stesso Pogacar ha ammesso che quella situazione della fuga a tre a loro della UAE Emirates andava bene. E che, anzi, sarebbero stati disposti anche a lasciarla andare all’arrivo.

E quindi? Quindi tutto secondo copione, con Van Aert e Matthews a giocarsi lo sprint. Uno sprint apparentemente vinto senza sforzo da parte di Wout. Poi però guardi Mathews e ti accorgi di quanto sia stata tirata la volata. Infine Pogacar, terzo e con altri 4″ di abbuono nel sacco: se avesse avuto un pelo in più di convinzione magari l’avrebbe vinta lui.

«Ho sfruttato una grande occasione per fare punti – ha detto Van Aert, pensando già più alla maglia verde che alla fresca vittoria – ringrazio la squadra per il lavoro fatto. Il finale? La lotta era prendere la ruota di Pogacar e poi fare il mio sprint». Detto, fatto. Facile… per lui!

Signori, la situazione è questa: ci sono due mostri e tanti campioni. Ma se (e quando) questi due mostri sacri decidono di vincere c’è poco da fare.