Pantani ha Lago Laceno che brucia ancora nell’orgoglio. Zulle l’ha staccato e questo non gli è andato giù. Non vince al Giro d’Italia dal 1994, da quasi 1.500 giorni, perché dopo quel giorno ad Aprica la sfortuna ha infierito su di lui con una puntualità cinica e spietata. L’incidente del primo maggio nel 1995. Il Giro del 1996 saltato per la gamba spezzata l’anno prima. Il gatto nero del 1997. E siamo dunque al 1998, iniziato con una vittoria a Murcia davanti a Elli e Vinokurov. La Mercatone Uno è tutta per lui e poco importa che il giorno dopo ci sarà la cronometro di Trieste. Il Pirata vive un giorno per volta. E oggi il Giro affronta Piancavallo e c’è l’arrivo in salita. Noè l’ha anticipato nella sua San Marino, ma qui oggi c’è da mettere il punto.
Mercatone in testa
La tappa misura 165 chilometri, si parte da Schio. Noè ha la maglia rosa, il suo capitano Michele Bartoli ha vinto a Schio proprio alla vigilia. La Mercatone Uno si defila, ma quando serve prende la testa.
Pantani al Giro d’Italia è come Maradona nella finale dei mondiali. L’Italia si ferma e ne ha motivo. Quando in corsa c’è il Panta e la strada va in salita, è sicuro che lui farà il suo show. Che non è come le smorfie di Virenque o le fughe di Coppolillo. Quando Marco getta via la bandana e mette le mani sotto, significa che sta per attaccare i primi della classifica. Loro lo sanno e si attrezzano per capire come possono per rispondergli. L’anno prima sull’Alpe d’Huez ha spezzato la resistenza di Ullrich e Virenque, mentre Indurain ha smesso di correre da un paio di stagioni e anche lui quel giorno sul Mortirolo capì che sarebbe stato meglio girarsi dall’altra parte e lasciarlo passare.
Il solito Marco
Marco è sempre lo stesso che d’inverno si diverte con i rollerblade nelle strade coperte di foglie a Cesenatico. Che canta al karaoke con gli amici. Che si ferma ogni giorno a mangiare una piada al chiosco di Tonina. E che se glielo chiedi viene anche a provare le salite del prossimo Giro, solo perché glielo hai chiesto tu che gli fai simpatia. Dicono che sia magro per vincere un Giro, ma quando adesso la telecamera lo inquadra da dietro, i glutei e il quadricipiti dicono esattamente il contrario. Il ragazzino dei primi anni è cresciuto e quando a 12 chilometri dall’arrivo va all’attacco, si capisce che non ci sarà fumo ma soltanto arrosto.
Via il cappello
Il cappellino vola via. Garzelli ha quasi finito la sua spinta e Marco scatta. Zulle è orgoglioso. Lago Laceno per lui è stato la dimostrazione di una qualche forma di superiorità elvetica sul piccolo italiano. A ben vedere, l’errore dei passisti con Marco è sempre stato lo stesso. Nell’era in cui a supportare la fatica dei più pesanti intervengono altri fattori, la sensazione di onnipotenza dettata dai super watt ha indotto tanti nella tentazione di rispondere. E così succede anche questa volta.
Zulle risponde, ma poco dopo apre la bocca e le gambe. Tonkov invece no, perché il russo è a suo modo uno scalatore. Ha vinto il Giro del 1996, senza Pantani. E’ arrivato secondo l’anno dopo dietro Gotti, senza Pantani. E questa volta vuole battere il colpo contro quel rivale, evocato come un fantasma per ridimensionare ogni sua impresa.
Pantani da solo
Ma oggi Marco vuole arrivare da solo. Così scatta ancora. Scatta ancora. E scatta ancora. Tonkov più o meno resiste. Zulle soffre. Gotti si aggrappa al suo numero uno pregando di non cedere. I tifosi esplodono, il gruppo si è sbriciolato. L’arrivo sulla montagna friulana arriva rapido, perché alla fine la strada spiana e il vantaggio smette di crescere. Marco vince e cancella Lago Laceno. Tonkov arriva a 13 secondi, ripreso da Zulle proprio nel finale meno ripido.
La classifica non si è smossa di molto. Zulle riprende la maglia rosa e guarda già alla cronometro del giorno dopo a Trieste. L’indomani il passivo di Marco sarà di 3’26”, ma poco importa. A Piancavallo il Panta ha capito che in montagna potrà affondare i denti. La Marmolada è in fondo alla strada. La storia della maglia rosa sta per essere riscritta.
Sono passati più di vent’anni, ormai se ne può parlare. Chi scrive aveva perso il papà da cinque giorni, non aveva testa per il Giro. La sera di Piancavallo il telefono squillò inatteso. Era Marco. «Spero – disse – che questa vittoria ti sollevi un po’ il morale. Si vince il Giro, adesso ne sono sicuro».