Il punto con Martinello, sull’endurance e la velocità sparita

09.08.2021
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Ieri si è messo il punto sulle Olimpiadi di Tokyo 2020. E’ stata una spedizione storica per l’Italia con 40 medaglie totali (record assoluto) e vere e proprie imprese sportive in tantissime discipline (19 diverse, record anche questo). Il ciclismo non ha fatto mancare il suo apporto, in particolare quello su pista, e su Facebook abbiamo avuto il piacere e l’onore di commentarlo con un campione olimpico come Silvio Martinello, anche in diretta, nella rubrica #ATokyoConMartinello. Qui ci avvaliamo ancora una volta delle sue opinioni acute, a volte anche coraggiose, per fare a mente fredda un bilancio sulle gesta dei nostri e le nostre pistard, i risultati ottenuti e cosa si poteva fare di più.

Il quartetto azzurro è volato senza esitazioni verso il titolo olimpico e il record del mondo
Il quartetto azzurro è volato senza esitazioni verso il titolo olimpico e il record del mondo

Alla grande, ma si può migliorare

Martinello, tiriamo un po’ le somme, com’è andata per gli azzurri e le azzurre della pista?

Partiamo dal settore dell’endurance maschile. Il bilancio non può che essere positivo con due medaglie e tra queste la perla dell’oro nell’inseguimento a squadre con tanto di record del mondo e impresa storica. C’è un po’ di amaro in bocca per la madison, anche se a dir la verità io da quando seguo Viviani e Consonni ho sempre trovato qualche limite dal punto di vista del gesto tecnico e delle tempistiche dei cambi. E vedendoli in azione mi sembra che miglioramenti non ce ne siano stati.

Sono stati limiti determinanti per la prova?

Questi errori a lungo andare si ripercuotono anche sulla prestazione atletica. La condizione alla vigilia sembrava ottima tra l’oro di Consonni nell’inseguimento e il bronzo di Viviani nell’omnium, poi invece non si è rivelata all’altezza. Ma al di là di questo, le loro lacune principali sono in questi cambi fuori tempo o sbagliati. Difatti Elia ha anche dichiarato che per l’appuntamento di Parigi si prepareranno allenandosi di più insieme. Detto ciò, ribadisco che è stata una trasferta di successo per l’endurance maschile.

Azzurre giovani, brave e… sfortunate

Per quanto riguarda le donne invece?

Anche l’endurance femminile si può considerare positiva. Non sono arrivate medaglie, ma il quartetto ha fatto il record italiano ed è molto giovane. Nella madison tutto è stato condizionato dalla caduta di Elisa Balsamo, involontaria perché tamponata da dietro. Certo sarebbe stato difficile contrastare le britanniche che hanno fatto quello che volevano, ma si poteva obiettivamente pensare di lottare per il podio.

E nell’omnium?

Discorso simile alla madison con la caduta della Balsamo nello scratch che l’ha condizionata pesantemente, quindi ingiudicabile anche qui. A me lei piace moltissimo per come corre, tatticamente e per l’intelligenza superiore alla media. Anche lei giovanissima e con ampi margini di miglioramento. Guardiamo quindi a Parigi 2024 e al futuro con fiducia. E poi…

La velocità sparita

C’è dell’altro?

Direi proprio di sì, il punto è un discorso che feci anche 5 anni fa commentando le Olimpiadi di Rio 2016 in televisione, prendendomi per questa mia critica anche un richiamo ufficiale a Rai Sport dal presidente della Federciclismo Di Rocco.

Qual era questo discorso?

Il discorso era ed è che continuiamo a disinteressarci del settore della velocità, il quale mette in palio sei titoli proprio come il settore endurance. Così come cinque anni fa festeggiai la medaglia storica di Elia e allo stesso tempo nel bilancio della spedizione olimpica in TV sottolineai che ai Giochi ci sono anche sei prove veloci alle quali non partecipammo, così devo farlo anche adesso per Tokyo, visto che è andata uguale. In cinque anni non è stato assolutamente impostato nulla.

Non c’è stato proprio nessun segnale?

Nel femminile c’è un’atleta che si chiama Miriam Vece che ha fatto dei miglioramenti enormi. Il punto però è che anche lei però per diventare una velocista di livello internazionale e per provare a guadagnarsi un posto a Parigi 2024 è dovuta emigrare e andare al World Cycling Center di Aigle, in Svizzera. Un centro che è stato creato per sostenere le federazioni che non riescono a supportare i loro atleti più talentuosi, quindi per quei cosiddetti “Paesi del terzo mondo”. Ma la nostra federazione ed il nostro Paese, almeno a livello ciclistico, non dovrebbe essere considerato tale.

Quindi un esempio positivo, ma che non cambia il discorso?

Esatto, un’eccezione al di là della quale mi trovo comunque costretto a constatare che non abbiamo ancora impostato minimamente il settore della velocità, anzi che di fatto non esiste proprio. Non so se questa nuova dirigenza federale abbia un progetto serio a riguardo. Salvoldi e Villa sono bravissimi, ma non possono occuparsi anche di questo, perché semplicemente non è il loro. Nel frattempo comunque abbiamo scelto di nuovo che quei sei titoli olimpici in palio non ci interessavano. Questa è una scelta, appunto, e come tale la commentiamo e la dobbiamo tenere in considerazione facendo il punto complessivo sulla spedizione.

Balsamo, ancora sfortuna. E stavolta che paura…

08.08.2021
4 min
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Elisa Balsamo non porterà certo nel cuore l’Olimpiade di Tokyo. La sfortuna e due cadute hanno negato alla piemontese la possibilità di esprimere il suo enorme potenziale, che aveva convinto il ct azzurro Dino Salvoldi a darle fiducia non soltanto per la madison con Letizia Paternoster, ma anche per l’omnium odierno, in cui la cuneese poteva inserirsi per la lotta per le medaglie.

Ultimo oro del ciclismo per Jennifer Valente (USA), su Yumi Kajihara (Giappone) e Kirsten Wild (Olanda)
Ultimo oro del ciclismo per Jennifer Valente (USA), su Yumi Kajihara (Giappone) e Kirsten Wild (Olanda)

Scratch e stop

I sogni si sono però infranti a tre giri dalla fine dello scratch, la prima fatica delle quattro previste dal nuovo format olimpico dell’omnium che, fino a Rio, ne prevedeva sei spalmate su due giorni. Un volo pazzesco, che ha fatto tenere il fiato anche per il momento in cui l’egiziana Ebtissam Ahmed Zayed le è praticamente passata sopra con la sua bicicletta. Doppio colpo fisico e psicologico: la guerriera Elisa ha tenuto duro, ma era difficile chiederle l’impresa dopo quanto successo e il quattordicesimo posto finale ne è stata la conseguenza, mentre sui tre gradini più ambiti al velodromo di Izu sono salite la statunitense Jennifer Valente (oro), la giapponese Yumi Kajihara (argento) e l’olandese Kirsten Wild (bronzo).

«Non potevo ritirarmi perché siamo a un’Olimpiade e ho provato a risalire in pista – ha raccontato ancora frastornata Elisa appena terminata la gara – la caduta non ci voleva né dal punto di vista fisico né da quello mentale. L’idea che una persona ti passi sopra allo stomaco con la sua bicicletta mette i brividi, per fortuna non mi ha colpito coi pedali. Sono stata sfortunata».

Doppia caduta

Non una spedizione fortunata sulla pista per le ragazze di Dino Salvoldi. Dopo il sesto posto nell’inseguimento a squadre, infatti, due cadute di fatto ci hanno tolto di mezzo dalla lotta per le medaglie.

«Purtroppo gli episodi ci hanno penalizzato – ha commentato il ct azzurro – il rammarico è stato di non poter dimostrare quello che valiamo a causa di questi episodi che possono succedere. Quando è caduta, Elisa era messa molto bene. E’ stata una brutta caduta e dopo aveva dolore all’addome e alla schiena, abbiamo valutato se continuare o meno e, a ogni gara, siamo partiti senza sapere se l’avrebbe completata. La caduta nella madison non aveva lasciato strascichi fisici, probabilmente l’ha condizionata un po’ a livello mentale. Però è partita per fare l’omnium al meglio possibilità ed ha avuto sfortuna. Dopo i quartetti avevamo fatto di nuovo tutte le valutazioni e secondo noi era la più in condizione delle nostre e con grandi attitudini per questa prova, purtroppo è andata così».

Garanzia “Longo”

Per il settore femminile così, l’unica splendida, gioia è il bronzo su strada della “solita” Elisa Longo Borghini, una garanzia in quanto a medaglie nei grandi appuntamenti.

Medaglia d’oro all’americana Valente, bel souvenir dal Giappone
Medaglia d’oro all’americana Valente, bel souvenir dal Giappone

Il bilancio di Salvoldi: «Quando si vince una medaglia olimpica, il bilancio è sempre positivo perché tutti sono per quell’obiettivo. Elisa è stata superlativa ad andare a conquistarsi questo bronzo, poi rimangono le buone prestazioni cronometriche del quartetto in tutte le prove che ha disputato. C’è il rammarico, come dicevo, della sfortuna e di non aver potuto correre le altre due gare al meglio per gli episodi che conosciamo».

Il Giappone è lontano, ma oggi ci torniamo con Elisa

08.08.2021
7 min
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Il Giappone è lontano e tutto sommato si sta bene anche qui. La medaglia di bronzo ha chiuso il cerchio e confermato la tenacia di Elisa Longo Borghini, che da ieri sera è in montagna per riprendere il cammino. Oggi le Olimpiadi avranno i titoli di coda, per qualche settimana ancora vedremo scorrere immagini e interviste delle imprese azzurre, compresa la sua, ma la sensazione parlandole è che a un certo punto, tornata a casa, la piemontese avesse soprattutto voglia di normalità.

«Rispetto alle precedenti – racconta – Tokyo è stata un’esperienza diversa per il contesto. Per il fatto che non fossimo nel villaggio, ma in un hotel riservato a noi, inizialmente la sensazione era più quella di un mondiale. Poi siamo arrivate alla partenza e finalmente abbiano capito di essere alle Olimpiadi. Non potendo fare niente di diverso rispetto alla vita di hotel, abbiamo vissuto una situazione alienante. Non vedevo l’ora di correre per uscire da quei birilli che delimitavano il viale dell’hotel. Un giorno i meccanici sono andati a correre un po’ e dopo 500 metri la polizia è andata a riprenderli. La sola volta che abbiamo passato quel limite è stato per andare sulla strada a veder passare la gara degli uomini».

Passando sul traguardo, in quel sorriso sfinito, il termine di un cammino impegnativo ma bellissimo
Passando sul traguardo, in quel sorriso sfinito, il termine di un cammino impegnativo ma bellissimo

Così, mentre gli occhi si abituano nuovamente agli scenari alpini, il viaggio nei giorni diventa un percorso attraverso le sensazioni di una ragazza, che è anche una grande atleta, cui tutti chiedono sempre il cielo forse senza chiedersi quale prezzo possa avere il cielo in certi giorni.

Ci sono grandi differenze fra Tokyo e il bronzo di Rio?

Sono state due avventure completamente diverse. Nel 2016 ero uscita benissimo dal Giro d’Italia e avevo davanti un percorso che mi si addiceva alla perfezione. In Giappone già sapere che la corsa avrebbe potuto avere diverse soluzioni, faceva pensare che il risultato fosse meno scontato. Sicuramente, rispetto ad allora, luglio è stato un mese impegnativo. Il Giro non è andato troppo bene, ma una volta che sono arrivata lì mi sono detta che dovevo dare un senso ai sacrifici e a tutto quello che avevo patito. La mia testa dura ha fatto la sua parte.

Testa dura e luglio impegnativo: difficile rispettare le attese?

Non è semplice passare tutto l’anno a sentirsi chiedere delle Olimpiadi. A volte i giornalisti non si rendono conto, ma te la fanno pesare. Io cerco sempre di guardare a quello che faccio e a non lasciarmi condizionare troppo da quello che viene scritto, ma resta il fatto che se un corridore non va, sente tutto amplificato. Certi giorni ti colpisce anche il commento negativo a bordo strada. Passi un po’ staccata davanti a una casa e senti dire: «Ma quella è la Longo Borghini?». Ci resti male. Abbiamo una maglia, ma siamo persone.

La prossima volta che te la facciamo pesare, sei autorizzata a mandarci a quel paese. Ma torniamo laggiù, il caldo era così opprimente?

Più che il caldo, che ho sentito, in Giappone era pesante l’umidità. La sera prima della gara ha piovuto, per cui c’era qualche grado in meno. Ma l’aria era irrespirabile, a Tokyo soprattutto. Siamo arrivate una settimana prima e io patisco il jet lag, per cui sono stata per tre giorni a non dormire bene. Slongo lo aveva previsto e ha voluto che facessi uscite doppie per regolarizzare la situazione. Infatti tre giorni prima della gara ho cominciato a dormire bene. Sono davvero arrivata giusta giusta.

Come è stata la vigilia, che clima si era creato in squadra?

Giorni tranquilli al netto della strana situazione generale. Sapevamo che la corsa poteva andare in tanti modi diversi, compresa la possibilità di un arrivo in volata. C’era Marta Bastianelli per questo, con il dubbio di come stesse davvero.

Invece alla fine ti sei ritrovata con l’Italia sulle spalle.

La corsa doveva essere più aperta. Nel finale ho parlato con Marta Cavalli. In gruppo non c’erano più grandi gambe. Quando il caldo ha livellato i valori, è stata la testa a fare la differenza.

Possibile che non vi foste accorte che c’era ancora Kiesenhofer in fuga?

Lo sapevamo. Personalmente mi ero messa a contare le ragazze che riprendevamo e poi c’era un tecnico tedesco a bordo strada (in realtà non so se fosse sempre quello con il dono dell’ubiquità o fossero più d’uno) che continuava a dare i tempi del ritardo. Io capisco il tedesco perché l’ho studiato a scuola, quindi era chiaro che ci fosse ancora qualcuno davanti. E penso che se lo avessero saputo le olandesi e avessero adottato una tattica più normale, avremmo potuto riprenderla.

Non avete mai parlato tra voi della situazione?

A un certo punto la Van Vleuten è venuta a chiedermi di tirare, ma le ho risposto che non era quello il mio ruolo, visto che poi mi avrebbe battuto in volata.

Quindi alla fine è stato un bronzo da brindisi o un bronzo da mangiarsi le mani?

Un bronzo da brindisi, sono stata sollevata. E’ stato difficile arrivarci e quel giorno ho portato con me sulla strada le persone più care. Volevo far vedere che quello che abbiamo fatto e superato insieme non era stato invano.

Sul Lago Maggiore, recuperando energie fisiche e mentali dopo il faticoso viaggio in Giappone
Sul Lago Maggiore, recuperando energie fisiche e mentali dopo il faticoso viaggio in Giappone
Paolo Slongo ha scritto su Twitter parole bellissime. Che effetto ti fa?

Paolo è uno che non parla tanto, è particolare. Non si sbilancia mai nei discorsi e tantomeno nei pessaggi. A volte, se vinco, gli mando una foto e lui mi risponde: “Brava”. Per cui leggere quelle parole mi ha davvero fatto tanto piacere. Per un po’ abbiamo dovuto interrompere la nostra collaborazione perché la squadra lo impegnava a 360 gradi e non aveva tempo di seguirmi. Ora siamo tornati insieme e sono stata contenta di condividere con lui il Giro d’Italia.

Come si fa a ripartire dopo un viaggio così impegnativo, soprattutto sul piano emotivo?

Di andare in bici per fortuna ho sempre piacere, anche quando cala la tensione. Per cui da un lato hai voglia di rilassarti, ma dopo due giorni senti che qualcosa ti manca. Tokyo mi ha dato consapevolezza e voglia di finire bene la stagione e poi siamo ciclisti, non possiamo mollare. Ritrovare le motivazioni in fondo è facile, se hai attorno le persone giuste. Per cui sono stata a casa, ho passato del tempo con i miei nipoti e adesso vado in altura a preparare la seconda parte della stagione. Si dice tanto della Van Vleuten che non fa che allenarsi, ma alla fine secondo me ci sono ragazze che fanno di più, ma non lo mettono nei social.

Il Giro del lago Maggiore, 180 chilometri passeggiando con il gusto di andare in bicicletta. Bello il Giappone, ma casa propria…
Il Giro del lago Maggiore, 180 chilometri passeggiando con il gusto di andare in bicicletta…
A lei si rimprovera che pensi solo ad allenarsi e non abbia una vita sociale.

In realtà nessuno che faccia questo lavoro ne ha una. Non più di tanto, almeno. Il lavoro diventa la tua vita e la scandisce. E Annemiek semplicemente per tante dinamiche è la più forte.

Allora ricominciamo con la pressione: ci vediamo agli europei?

L’occhio che fiammeggia, il sorriso cui ci ha abituato da inizio stagione. Per questa volta ce la caviamo così, ma una riflessione merita farla. La lasciamo ai suoi chilometri e ai suoi pensieri. Bentornata a casa. Il Giappone è lontano, ma si sta bene anche qui. Anzi, probabilmente qui si sta molto meglio.

Consonni affranto, Viviani manda giù e rilancia. Podio lontano

07.08.2021
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Il caldo gioca un brutto scherzo a Simone Consonni e le speranze azzurre di medaglia nella madison naufragano già prima di cominciare. E’ affranto il ventisettenne bergamasco perché ci teneva a concludere in bellezza quest’Olimpiade che soltanto mercoledì scorso l’aveva portato in orbita con l’oro stratosferico nell’inseguimento a squadre. La sua strada e quella di Elia Viviani si separeranno al di fuori dalla pista e così Simone sperava di chiudere il cerchio con un podio insieme al portabandiera azzurro. All’arrivo era sconsolato.

«Credo di aver avuto un calo di pressione – dice – forse perché dentro questo velodromo fa troppo caldo. Ho sempre i battiti alti, soffro abbastanza. Oggi ci credevamo a una medaglia, ma io non avevo le gambe dei giorni migliori e si è visto. Mi dispiace per Elia che era in palla, vorrà dire che ci riproveremo».

Gradino più alto del podio, oro per Morkov, a sinistra, e Norman Lasse Hans
Gradino più alto del podio, oro per Morkov, a sinistra, e Norman Lasse Hans

Sorpresa spagnola

Ci hanno provato, infatti, a seguire l’attacco della Spagna a 33 giri dalla fine, per recuperare terreno in classifica, ma le gambe alla fine non li hanno assistiti, relegandoli al decimo posto ben lontani dal podio. A festeggiare è stata la favoritissima Danimarca di Michael Morkov e Lasse Norman Hansen, con la Gran Bretagna che ha conquistato proprio all’ultimo sprint ai danni della Francia (bronzo). Laconico capitan Viviani.

«Non è andata oggi – commenta – avevamo pensato di partire un po’ sulle ruote e prendere qualche punticino facile e l’abbiamo preso, però poi nel momento clou quando gli altri ci sono scappati di una quindicina o ventina di punti, bisognava pensare a un attacco. Abbiamo visto che gli spagnoli si erano tenuti, avevamo puntato loro e ci sono scappati proprio nel momento che sono andati. Abbiamo provato a inseguirli subito, ma l’attacco non è andato e nel finale abbiamo sofferto».

Consonni provato da un abbassamento di pressione prima del via
Consonni provato da un abbassamento di pressione prima del via

Onore a Morkov

Poi fa i complimenti al corridore che potrebbe trovarsi di nuovo come compagno in caso di ritorno alla Deuceuninck-Quick Step.

«Sono felice per Morkov – dice – perché lo inseguiva da tanti anni l’oro, dopo il podio (argento, ndr) del 2008 nel quartetto. Lo merita per tutto il lavoro che fa su strada ed è l’uomo dei desideri di tutti i velocisti».

Dopo il finale in crescendo dell’omnium, al via grandi attese per Viviani nella madison. Il podio era un obiettivo
Dopo il finale in crescendo dell’omnium, attese da podio per Viviani nella madison

Parigi è vicina

Il bicchiere per Elia è mezzo pieno: «Tokyo 2020 per me resterà indelebile – spiega – Rio per un motivo (l’oro nell’omnium, ndr), Tokyo per la Cerimonia d’apertura, per l’oro del quartetto, per il mio bronzo insperato. Poi per la spedizione fantastica, battuto ogni record, le medaglie d’oro e le medaglie di “nicchia” come l’atletica (sorride vista la battuta, ndr). Sono veramente orgoglioso di essere stato il portabandiera insieme a Jessica (Rossi, ndr) di una spedizione italiana da record, ma non sarò geloso se alla prossima ne vinceremo di più. Domani festeggeremo, poi da martedì torneremo in Italia e penseremo alle prossime, perché Parigi sarà più vicina rispetto al solito, continueremo a lavorare con le tappe intermedie di europei e mondiali».

I fiori e le medaglie al podio li porta il presidente dell’Uci Lappartient
I fiori e le medaglie al podio li porta il presidente dell’Uci Lappartient

Poco ritmo

Qualche dubbio però rimane sull’avvicinamento, con la partenza anticipata per il Giappone per essere protagonista nella Cerimonia d’apertura.

«Abbiamo fatto alcune valutazioni in questi giorni – ammette – dopo la mia partenza non buona nell’omnium. Più che pesarmi i 14 giorni qui, mi ha pesato non fare una gara prima dell’omnium per rompere il ghiaccio, non ce n’era la possibilità. Probabilmente un turno nel quartetto mi avrebbe aiutato a rodare le gambe. E’ stato valutato nei giorni prima, ma non era possibile perché le sfide erano troppo vicine con gli avversari e il rischio di cambiare gli equilibri del quartetto erano troppo alti. Non c’è da recriminare niente, ho pagato un po’ di tensione nell’omnium alla partenza della giornata. Probabilmente con un Walls così, la medaglia d’argento era il miglior risultato possibile. Comunque, avevo bisogno di una medaglia e un argento o un bronzo non cambia. Cercherò ora di tornare ad alti livelli anche su strada».

L’oro della madison va dunque alla Danimarca che precede Gran Bretagna e Francia
L’oro della madison va dunque alla Danimarca che precede Gran Bretagna e Francia

Non si molla

L’idea del doppio impegno tra strada e pista resta il leit motiv per il veronese, con qualche aggiustamento: «Ho dimostrato che la pista mi fa bene, per cui come si fa a lasciare una nazionale così? Dovremo lavorare sicuramente di più sull’americana perché i lavori per il quartetto sono tanto specifici e lavoriamo tanto su quello. Io mi stacco ogni tanto per prepararmi sul mio omnium, però l’americana non si improvvisa e l’han dimostrato le coppie che sono davanti. Dovremo lavorare di più per raccogliere anche nella madison, così come nelle altre due specialità».

Madison nata male, ma “Pater” e Balsamo sono già a Parigi

06.08.2021
3 min
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Una madison nata male. Al velodromo di Izu le ambizioni di medaglia di Letizia Paternoster ed Elisa Balsamo sono durate pochi giri. Un sorpasso azzardato di una rivale ha fatto terminare giù la piemontese e a quel punto è stato impossibile tornare in corsa per salire sul primo podio tutto al femminile della disciplina che domani (ore 9,55 italiane, sincronizzate gli orologi) vedrà impegnati Elia Viviani e Simone Consonni, a caccia della seconda medaglia per ciascuno all’Olimpiade di Tokyo.

Inglesi, danesi e russe (con la sigla ROC): il podio della Madison di Tokyo 2020
Inglesi, danesi e russe (con la sigla ROC): il podio della Madison di Tokyo 2020

Podio tutto europeo

Chiaramente deluse le due azzurre perché la medaglia se la sentivano nelle gambe e, invece, hanno dovuto vederle al collo delle colleghe britanniche (oro) Laura Kenny e Katie Archibald, insieme alle danesi (argento) Amalie Dideriksen e Julie Leth e alle russe (bronzo) Gulnaz Khantuntseva e Mariia Novolodskaia.

Prende la parola Letizia, che non nasconde il rammarico: «Siamo state molto sfortunate, l’importante è che Elisa non si sia fatta male. Oggi fin dall’inizio mi sentivo molto bene a livello fisico e ci credevo più che nell’inseguimento a squadre. Speravo in qualcosa di più grande e la sognavo davvero questa medaglia, seppur sapevo che sarebbe stato difficile».

Elisa è sconsolata: «L’irlandese è passata sotto il cambio e mi ha buttato a terra. Ho preso una bella botta, ma per fortuna sto abbastanza bene. Difficile trovare la freddezza per provare a ripartire, purtroppo la gara era già esplosa. Ho battuto la testa sulla nuca e ho strisciato un po’ sulla pista perché non riuscivo a fermarmi. Non fa piacere che qualcuno sbagliando abbia compromesso la nostra gara. E direi che la caduta è successa in un momento in cui non ci voleva e non è stata nemmeno colpa nostra. È stata una madison completamente diversa dalle solite perché è stata tiratissima dal primo metro, è stata un’esperienza anche questa».

Letizia Paternoster dà il cambio ad Elisa Balsamo, alla fine le azzurre hanno chiuso all’8° posto
Letizia Paternoster dà il cambio ad Elisa Balsamo, alla fine le azzurre hanno chiuso all’8° posto

Pensando a Parigi

Letizia guarda avanti verso il futuro più lontano: «L’unico spiraglio che vediamo in questo momento è che fra tre anni a Parigi ritorneremo sicuramente con più voglia e più arrabbiate. Per Tokyo è stato un avvicinamento dopo un anno difficilissimo e se l’Olimpiade fosse stata l’anno scorso, non ci sarei stata. Comunque, per fortuna a Parigi non manca tanto per la rivincita».

Per la rivincita di Elisa, invece, basta aspettare domenica con l’omnium: «Salirò in pista per dare il massimo e l’obiettivo è di uscire dalla pista senza recriminazioni. Vediamo cosa verrà».

Viviani, le parole di Villa e il bronzo riaccende la luce

05.08.2021
5 min
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Una medaglia di cuore. Luccica il bronzo del portabandiera Elia Viviani, terzo nell’omnium al velodromo di Izu, e per la seconda volta sul podio olimpico a distanza di un lustro dall’indimenticabile oro di Rio 2016. L’ha inseguito con tutte le forze, per qualche attimo a inizio anno pensava di non poter nemmeno giocarsi le sue chances, quando a gennaio si era sottoposto a un intervento di ablazione a causa di una miocardite

Non bastasse quello, le cose non giravano su strada ormai da diverso tempo e non è un caso che il rapporto tra il fuoriclasse originario di Isola della Scala e la Cofidis si sia interrotto prima dei Giochi di Tokyo, lasciando un punto interrogativo sul suo futuro (ritorno a… casa alla Deceuninck-Quick Step?). I fantasmi del passato non l’hanno fatto correre tranquillo nelle prime due fatiche odierne: soltanto tredicesimo dopo lo scratch, undicesimo al termine della tempo race.

Peccato per l’argento sfumato all’ultimo giro, ma questo bronzo è benzina per la madison
Peccato per l’argento sfumato all’ultimo giro, ma questo bronzo è benzina per la madison

Bloccato

«Sono partito veramente male. Avevo un blocco nelle gambe – ammette senza nascondersi dopo essere sceso dal podio con la seconda medaglia olimpica in carriera – la testa non era a posto nella prima gara e si è visto. Le gambe non mi hanno permesso di seguire l’attacco giusto e la testa non mi ha permesso di sprintare perché mi sono accorto che mancavano tre giri, ma era troppo tardi ed ero ultimo. Nella tempo race ho reagito, ma non ancora abbastanza da lottare per una medaglia e l’eliminazione è stata lo scatto: sapevo che se la vincevo, potevo tornare in gara e nella corsa a punti stavo bene. Ho corso all’attacco, sono tornato subito in gara, tanto che dispiace aver perso l’argento all’ultimo giro, però guardando all’inizio bisogna vederlo come un bronzo vinto».

La prova si è decisa nella corsa a punti con la grande rimonta di Elia che l’ha condotto al bronzo
La prova si è decisa nella corsa a punti con la grande rimonta di Elia che l’ha condotto al bronzo

Anni difficili

La scaltrezza gli ha permesso di imporsi nell’eliminazione e tornare in ballo per le medaglie, la corsa a punti corsa con determinazione ha trasformato la medaglia in realtà: «Non era facile dopo l’oro del quartetto di ieri e forse ho pagato quello o essere qui da 15 giorni e non poter rompere il ghiaccio in gara. Sono contento però, perché ho avuto due anni difficili e, quando mi concentro su un obiettivo, lo centro. Ora sono col gruppo che mi piace, con Marco (Villa, ndr) che ci guida. Spero di ripartire da qui e di essere tornato».

Il francese Thomas era il grande favorito, ma Viviani lo ha tirato giù dal podio
Il francese Thomas era il grande favorito, ma Viviani lo ha tirato giù dal podio

Ancora una

Una delle difficoltà di Elia, oltre alla responsabilità di alfiere azzurro, era di scendere in pista dopo il trionfo di ieri nell’inseguimento a squadre, ispirato dallo stesso Viviani, a detta delle quattro frecce azzurre.

«Probabilmente il ruolo da capitano è pesato anche a me negli ultimi giorni. Ieri è stata una giornata che non dimenticherò mai – aggiunge, svelando poi le sue velleità da profeta (sarà il nome) – se vi ricordate, nella zona mista di Rio vi avevo detto che il mio sogno era di vedere l’oro nel team pursuit e l’abbiamo visto. Mi è spiaciuto non essere in quartetto negli scorsi giorni, ma era giusto non cambiare nulla perché i ragazzi andavano forte. Però mi sono preparato e le gambe mi sono uscite nelle ultime due prove, forse le migliori di sempre. Loro mi hanno caricato, nonostante abbia dovuto cambiare camera ieri sera per dormire un po’. Abbiamo ancora una gara in cui possiamo divertirci con Simone e chiudere due anni insieme nel migliore dei modi e credo che Marco sia orgoglioso di noi come tutti gli italiani».

Gli altri erano stanchi, ecco il momento giusto per attaccare
Gli altri erano stanchi, ecco il momento giusto per attaccare

Correre e divertirsi

Lo è eccome il tecnico azzurro: «E’ una medaglia col cuore – dice Villa – dopo una prima gara in cui non l’ho proprio riconosciuto. Sono sceso mentre faceva i rulli – spiega – per scaricare e gli ho chiesto cosa stesse succedendo. Non riusciva a capirci, non aveva buone sensazioni, così ho capito che non erano le gambe, ma la testa. Mi sono sentito di dirgli che una medaglia d’oro ce l’aveva già a casa e qui doveva soltanto correre e divertirsi. Nello scratch era troppo teso, era irriconoscibile e lui mi ha detto che non aveva nemmeno guardato il contagiri. Qualcosa non andava, non so se siano state le mie parole o abbia fatto da solo, ma nell’eliminazione abbiamo visto come si è divertito e nella corsa a punti si è rivisto il Viviani di sempre».

Podio con oro per Walls, argento per il neozelandese Stewart e bronzo per Viviani
Podio con oro per Walls, argento per il neozelandese Stewart e bronzo per Viviani

Svolta whatsapp

Poi Villa racconta la super rimonta nell’ultima prova. «Eravamo d’accordo che i tre punti di una volata non ci cambiavano la vita. Poi, a un certo punto ho visto che il francese e l’olandese si guardavano, il britannico era andato con la medaglia d’oro, così ho scritto un messaggio ad Amadio che era sulle tribune, dicendogli: “Deve provare”. Ho sentito che gli ha detto: “Elia, adesso”. E dopo aver preso il giro, quei venti punti gli han dato la grinta, ma poi aveva anche tante gambe. Ho visto qualche gamba un po’ meno forte e questo mi dà morale per sabato». E Villa, dall’alto del suo bronzo a Sydney 2000 in coppia con Martinello, di americana se ne intende. I lampi azzurri non sono finiti al velodromo di Izu.

Scartezzini, podio in videochiamata e dubbio sui mondiali

05.08.2021
3 min
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Scartezzini ha in testa i mondiali, ma intanto ha seguito la finale dell’inseguimento a squadra in uno studio televisivo vicino casa, per stare in compagnia. Quando poi si è trattato di vederli salire sul podio, l’altro veronese Viviani lo ha videochiamato, permettendogli di essere a suo modo presente.

Villa lo ha ringraziato, raccontando di aver mandato a lui il primo messaggio dopo l’oro. E Michele conferma, quasi incredulo. Poi torna a parlare di quel record che non aveva voluto rivelarci all’indomani della sua esclusione dal quartetto.

«Avevamo già battuto il primato del mondo facendo 3’44” in allenamento – dice – solo che lo avevamo fatto con il 62, a Montichiari e con il body che usavamo normalmente. La pista di Tokyo si è rivelata molto veloce, hanno usato il 63 e a volte il 64 e il nuovo body è più aerodinamico. Sapevo che potevano farlo».

Scartezzini ha vissuto tutta la preparazione al pari con gli altri ed è rimasto fuori pur meritando di esserci
Scartezzini ha vissuto tutta la preparazione al pari con gli altri ed è rimasto fuori pur meritando di esserci

Mondiali? Forse…

Ci sarebbe stato bene anche lui, ma forse per farsela andare bene, saputo che sarebbe dovuto restare senza correre come Bertazzo, disse che sarebbe stato meglio viverla da casa. Anche se al momento dell’inno, vissuto attraverso uno smartphone, ha scoperto che la pelle d’oca in loco è sempre più spessa. Il discorso semmai è capire adesso come proseguirà la sua stagione.

«Quando Villa mi disse che non sarei andato – spiega – aggiunse che avrei dovuto farmi trovare pronto per i mondiali, ma adesso vediamo. E’ difficile smontare un quartetto come questo, che ha fatto per due volte il record del mondo. Non so cosa faranno gli altri di qui all’autunno. So però che Pippo vuole tirare fino ai mondiali, perché vuole vincerli. Bisognerà vedere Consonni e Milan, per i piani che avranno con le loro squadre. Perciò a Villa lo dirò che ai mondiali ci andrò soltanto con la certezza di essere all’altezza».

A Montichiari assieme a Ganna, i due sono amici e hanno condiviso anche il ritiro in altura sopra Macugnaga (foto di apertura)
A Montichiari assieme a Ganna, i due sono amici e hanno condiviso anche il ritiro in altura (foto di apertura)

Road to Paris

In effetti la prova di solidità offerta dal quartetto di Tokyo e il fatto che si tratti di un gruppo molto giovane, fa pensare che per quanto invitante, la strada verso Parigi 2024 rischi di somigliare a quella per Tokyo. Con qualificazioni da conquistare sul campo ad opera di chi della pista ha fatto la sua attività principale e il rischio poi di non correre per l’arrivo dei… titolari.

«Vedremo – ammette – sarà una scommessa. Intanto il primo traguardo è quello dei mondiali. Ho avuto venti giorni per riposarmi al meglio e ripartire. Anche loro avranno la possibilità di fare lo stesso. E non crediate che per gente come Ganna e Lamon sarà un problema farsi il giro delle trasmissioni e delle feste, proprio no…».

Vale quello che ha detto Villa e resta anche nelle sue parole. E’ l’oro di tutti, discorso giusto. Ma dovendo dirla proprio tutta, è soprattutto l’oro di chi c’era. Gli altri hanno gioito allo stesso modo, ma la sensazione è che in fondo al cuore la ferita continui a sanguinare.

Roma 1960, magico quartetto in bianco e nero. Vigna ricorda…

05.08.2021
4 min
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Luigi Arienti, Franco Testa, Mario Vallotto (scomparso nel 1966 a 33 anni), Marino Vigna: ai più giovani questi nomi non diranno nulla, eppure hanno un peso specifico particolare nella storia del ciclismo italiano, quella storia che il quartetto di Tokyo ha riscritto. Quel poker di nomi fino al 4 agosto era stato l’ultimo quartetto italiano a conquistare la medaglia d’oro, nelle Olimpiadi di Roma 1960. Era un’altra epoca, un altro ciclismo. Si partiva dalle batterie e poi si correvano quarti, semifinali e finale. L’Italia superò la Germania in batteria per poi ritrovarsela di fronte in finale, dopo aver superato Argentina e Unione Sovietica.

Marino Vigna, un “ragazzo” milanese di quasi 83 anni (nella foto di apertura, datata 2010 è con Arienti e Testa), ha vissuto sulla sua pelle la gioia dell’oro olimpico e questo gli ha fatto vivere una giornata particolare, in attesa della sfida di Consonni, Ganna, Lamon e Milan.

«Mi hanno fatto soffrire ed emozionare tantissimo – afferma colui che è stato anche predecessore di Marco Villa come tecnico della nazionale – ho avuto tanta paura quando vedevo i danesi guadagnare, poi è esploso Ganna e siamo esplosi noi nel sostenerlo. Certo che vanno a delle velocità impossibili, dovranno alzare le curve per mettere un freno…».

Ecco in quartetto di Roma in azione. Mario Vallotto morì nel 1966 a 33 anni
Ecco in quartetto di Roma in azione. Mario Vallotto morì nel 1966 a 33 anni
Che cosa significa vincere un’Olimpiade?

E’ difficile rispondere perché i tempi sono molto cambiati. Ora c’è un tam tam tale che ogni evento viene vissuto in diretta, in qualsiasi tempo e luogo. La nostra finale venne trasmessa un paio d’ore dopo che si era disputata, ma era il 1960 e non tutti avevano a casa il televisore. E’ un’epoca completamente diversa e completamente diverso era il ciclismo che vivevamo. Ora è tutto immediato e sorprendente: basti pensare che da quando la finale è finita anch’io sono stato subissato di messaggi e telefonate…

Anche per voi la vittoria fu così sudata?

Non sul filo dei millesimi, già prima delle Olimpiadi, nella Preolimpica di primavera, avevamo stabilito il record mondiale battendo quelle che sarebbero state le principali avversarie a Roma. Si correva al Vigorelli di Milano, poi a Roma, durante i campionati italiani, la Lombardia batté il Veneto scendendo sotto il tempo della nazionale: i dirigenti della Fci decisero di prendere due ragazzi da un quartetto e due dall’altro e praticamente preparammo l’Olimpiade in due mesi. Questi ragazzi invece lavorano insieme da anni, hanno sacrificato anche le aspirazioni personali, per questo il loro oro vale tanto.

Marino Vigna è stato pro’ dal 1961 al 1967 poi è diventato tecnico della pista. Qui al Vigorelli di Milano
Marino Vigna è stato pro’ dal 1961 al 1967 poi è diventato tecnico della pista. Qui al Vigorelli di Milano
Eravate anche voi così giovani come il quartetto attuale?

Forse anche di più: io avevo 21 anni come Testa, Arienti 22, il più esperto era Vallotto che aveva 24 anni.

E avevate anche voi compiti ben distinti come i ragazzi di adesso?

No, per molte ragioni. A lanciare il quartetto era sempre il più esperto che doveva partire forte senza sfasciare il gruppo, poi ci si dava il cambio ogni mezzo giro. Le piste erano di 400 metri, praticamente si cambiava di continuo, solo Testa fece un giro intero a guidare. Anche per questo si facevano velocità inferiori, ma il paragone è improponibile, è cambiato tutto. Con i rapporti che usano Ganna e compagni, io andavo dietro motori

Che peso avrà questa medaglia d’oro?

Io mi auguro che ne abbia tanto, che porti tanti ragazzi a conoscere la pista, a scoprire questo bellissimo mondo. Ma spero soprattutto che questo risultato sia una spinta per dotare l’Italia di un altro velodromo al coperto. E’ incredibile che questi ragazzi abbiano ottenuto questi risultati, lavorando a Montichiari con tutte le difficoltà dell’impianto, sempre in attesa che il velodromo di Treviso venga completato. Per questo la loro vittoria vale anche di più e vorrei ricordare il fondamentale apporto di Villa, so bene che cosa significa vivere simili esperienze da tecnico.

Al museo Brianza d’epoca, Vigna con Ernesto Colnago e Gianni Motta in una foto del 2017
Al museo Brianza d’epoca, Vigna con Ernesto Colnago e Gianni Motta in una foto del 2017
Il vostro oro arrivava in un momento di eccezionale fulgore del ciclismo su pista italiano: pensa che si tornerà a quei livelli?

Me lo auguro. Noi però avevamo solamente quattro prove in programma, ora invece c’è un grande spezzettamento di eventi, io stesso che sono appassionato spesso faccio fatica a seguire e mi perdo. Mi spiace però che questi ragazzi non potranno avere un segno di questa vittoria sulle loro divise: noi avevamo la maglia olimpica, ora non si può neanche mettere i 5 cerchi e non capisco davvero il perché

Da olimpionico del quartetto e da tecnico, quanto ha inciso Filippo Ganna in questo trionfo?

Molto, ma sono stati bravi anche gli altri a stare a ruota: deve essere chiaro che l’inseguimento a squadre non si vince da soli, ma tutti insieme, è sempre stato così e sempre lo sarà. Diciamo che se Ganna è il motore, gli altri sono la benzina che gli ha permesso di fare due giri da fantascienza…

Dai Giochi alla Roubaix: Artuso svela il Milan che vedremo

05.08.2021
4 min
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A Tokyo abbiamo visto un super Jonathan Milan. Il friulano è stato uno dei vagoni fondamentali del quartetto delle meraviglie. E’ arrivato alle Olimpiadi con una condizione super. Una condizione che in qualche modo va sfruttata ancora. La stagione del gigante della Bahrain Victorious, infatti, non finisce certo qui.

E lo sa bene Paolo Artuso, il coach del team che lo sta seguendo passo, passo da ottobre, da quando Milan è approdato alla Bahrain.

In Sardegna Milan ha faticato un po’ in salita, ma era previsto secondo Artuso
In Sardegna Milan ha faticato un po’ in salita, ma era previsto secondo Artuso
Dicevamo, Paolo, una condizione super…

Ma non è un caso che siano andati forte. Con Jonathan sono mesi che lavoriamo su ogni dettaglio. Ho visto i suoi valori un paio di giorni fa ed erano i suoi migliori. Abbiamo fatto un avvicinamento davvero buono.

Come?

Abbiamo alternato bene la strada e la pista. Faceva distanza su strada, senza forzare, e intensità in pista. Ma roba massimale: partenze da fermo, palestra… E poi ha recuperato bene dopo la Settimana Internazionale Italiana. Lì ha colto un secondo posto che gli ha dato morale.

Perché era un po’ giù?

No, solo che con il tanto lavoro accumulato faceva un po’ fatica. E infatti io gliel’ho detto subito: quando torni fai due giorni di riposo vero e vedrai che andrà tutto bene. E così ha fatto. Anzi, dopo che sono tornati in pista, anche il primo giorno ho chiesto a Villa di non fargli fare troppo. Poi su quello che hanno fatto tra Montichiari e il volo per Tokyo non ci ho messo bocca.

La volata della tappa persa contro Ackermann. Milan (in rosso) è partito troppo lungo
Nella volata della terza tappa vittoria di Ackermann a sinistra, ma Milan (in rosso) lo ha fatto soffrire
E adesso? Questa super condizione va sfruttata dicevamo…

Eh sì. Milan correrà la classica di Amburgo il 22 agosto e poi andrà al vecchio Bink Bank Tour, oggi Benelux Tour (30 agosto-5 settembre, ndr). Abbiamo scelto questa gara perché potrà aiutare Colbrelli e perché c’è una crono di 12 chilometri dove potrà fare molto bene. E poi c’è la Roubaix il 3 ottobre. E vi dico che Jonathan è super gasato per questa gara. Vogliamo metterlo un po’ alla prova sul pavè. E poi ancora ci saranno i mondiali su pista dalla settimana successiva. Sarà molto importante tornare a gestire bene, tra strada e pista, quel mese che va dalla fine del Benelux al mondiale, passando appunto per la Roubaix.

Proverà anche dei materiali per la Roubaix? Farà dei sopralluoghi?

No, per quel che riguarda il materiale c’è Haussler che li prova per noi. Lui è più sensibile. Testa gomme, ruote, ha un certo rapporto con Merida. E poi prima di fare delle prove, Milan deve capire cos’è la Roubaix, se gli piace. Insomma dobbiamo vedere come reagisce e se ne vale la pena investirci in chiave futura.

Anche tu, Paolo, hai avuto il tuo bel da fare in questo continuo alternare strada e pista…

Beh, ma quest’anno lo sapevamo. Le Olimpiadi erano il primo obiettivo e tutto è ruotato intorno a queste. Non abbiamo fatto neanche la cronometro tricolore per non intaccare la preparazione. E non è stato facile rinunciarvi perché Milan era il campione U23 in carica. Però già aveva lo stress dei Giochi, non l’aveva preparata e si trattava di una crono lunga, senza contare che parliamo di un giovanissimo: ha 20 anni. Se fosse andato male avrebbe avuto dei dubbi. Invece ha corso l’italiano su strada che gli ha dato buone risposte. Tanto che in Sardegna se avesse fatto una volata un pelo più corta magari avrebbe battuto Ackermann.

Jonathan Milan, volto sorridente per questo (quasi) 21 enne
Jonathan Milan, volto sorridente per questo (quasi) 21 enne
Veramente?

Eh, avrà fatto almeno 70 metri più di lui! In Sardegna ha fatto un po’ fatica sulle salite. Fino a 10′ le teneva bene, poi andava in difficoltà. Ma come ho già detto era normale. Aveva fatto un altro tipo di preparazione. L’ultima tappa è finita prima per agevolare il rientro. Così siamo arrivati all’aeroporto di Cagliari che erano le 15 e il volo lo avevamo alle 22. Cosa facciamo? Eravamo io, lui e Padun. Abbiamo noleggiato una macchina e siamo andati a cena fuori. L’ho guardato e gli ho detto: queste salite qua, il prossimo anno le devi “saltare via” facilmente, perché di corse piatte, piatte ce ne sono poche. E lui ha annuito.

Jonathan è un buono. E di certo ti avrà ascoltato. In questi Giochi e da quel vedevamo sui social ci è sempre sembrato molto sereno, come chi se le è godute queste Olimpiadi…

Si, sì… lui è un ragazzo pacifico. Potrà fare bene in questo finale di stagione. Come detto abbiamo preparato i Giochi e sono contentissimo di come ci sia arrivato. Adesso, dopo il suo ritorno riposerà un po’. Il fuso orario dovrebbe digerirlo meglio venendo verso ovest. E sono convinto che potrà fare bene. Sugli sforzi brevi avrà dei vantaggi.