Il Giappone è lontano, ma oggi ci torniamo con Elisa

08.08.2021
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Il Giappone è lontano e tutto sommato si sta bene anche qui. La medaglia di bronzo ha chiuso il cerchio e confermato la tenacia di Elisa Longo Borghini, che da ieri sera è in montagna per riprendere il cammino. Oggi le Olimpiadi avranno i titoli di coda, per qualche settimana ancora vedremo scorrere immagini e interviste delle imprese azzurre, compresa la sua, ma la sensazione parlandole è che a un certo punto, tornata a casa, la piemontese avesse soprattutto voglia di normalità.

«Rispetto alle precedenti – racconta – Tokyo è stata un’esperienza diversa per il contesto. Per il fatto che non fossimo nel villaggio, ma in un hotel riservato a noi, inizialmente la sensazione era più quella di un mondiale. Poi siamo arrivate alla partenza e finalmente abbiano capito di essere alle Olimpiadi. Non potendo fare niente di diverso rispetto alla vita di hotel, abbiamo vissuto una situazione alienante. Non vedevo l’ora di correre per uscire da quei birilli che delimitavano il viale dell’hotel. Un giorno i meccanici sono andati a correre un po’ e dopo 500 metri la polizia è andata a riprenderli. La sola volta che abbiamo passato quel limite è stato per andare sulla strada a veder passare la gara degli uomini».

Passando sul traguardo, in quel sorriso sfinito, il termine di un cammino impegnativo ma bellissimo
Passando sul traguardo, in quel sorriso sfinito, il termine di un cammino impegnativo ma bellissimo

Così, mentre gli occhi si abituano nuovamente agli scenari alpini, il viaggio nei giorni diventa un percorso attraverso le sensazioni di una ragazza, che è anche una grande atleta, cui tutti chiedono sempre il cielo forse senza chiedersi quale prezzo possa avere il cielo in certi giorni.

Ci sono grandi differenze fra Tokyo e il bronzo di Rio?

Sono state due avventure completamente diverse. Nel 2016 ero uscita benissimo dal Giro d’Italia e avevo davanti un percorso che mi si addiceva alla perfezione. In Giappone già sapere che la corsa avrebbe potuto avere diverse soluzioni, faceva pensare che il risultato fosse meno scontato. Sicuramente, rispetto ad allora, luglio è stato un mese impegnativo. Il Giro non è andato troppo bene, ma una volta che sono arrivata lì mi sono detta che dovevo dare un senso ai sacrifici e a tutto quello che avevo patito. La mia testa dura ha fatto la sua parte.

Testa dura e luglio impegnativo: difficile rispettare le attese?

Non è semplice passare tutto l’anno a sentirsi chiedere delle Olimpiadi. A volte i giornalisti non si rendono conto, ma te la fanno pesare. Io cerco sempre di guardare a quello che faccio e a non lasciarmi condizionare troppo da quello che viene scritto, ma resta il fatto che se un corridore non va, sente tutto amplificato. Certi giorni ti colpisce anche il commento negativo a bordo strada. Passi un po’ staccata davanti a una casa e senti dire: «Ma quella è la Longo Borghini?». Ci resti male. Abbiamo una maglia, ma siamo persone.

La prossima volta che te la facciamo pesare, sei autorizzata a mandarci a quel paese. Ma torniamo laggiù, il caldo era così opprimente?

Più che il caldo, che ho sentito, in Giappone era pesante l’umidità. La sera prima della gara ha piovuto, per cui c’era qualche grado in meno. Ma l’aria era irrespirabile, a Tokyo soprattutto. Siamo arrivate una settimana prima e io patisco il jet lag, per cui sono stata per tre giorni a non dormire bene. Slongo lo aveva previsto e ha voluto che facessi uscite doppie per regolarizzare la situazione. Infatti tre giorni prima della gara ho cominciato a dormire bene. Sono davvero arrivata giusta giusta.

Come è stata la vigilia, che clima si era creato in squadra?

Giorni tranquilli al netto della strana situazione generale. Sapevamo che la corsa poteva andare in tanti modi diversi, compresa la possibilità di un arrivo in volata. C’era Marta Bastianelli per questo, con il dubbio di come stesse davvero.

Invece alla fine ti sei ritrovata con l’Italia sulle spalle.

La corsa doveva essere più aperta. Nel finale ho parlato con Marta Cavalli. In gruppo non c’erano più grandi gambe. Quando il caldo ha livellato i valori, è stata la testa a fare la differenza.

Possibile che non vi foste accorte che c’era ancora Kiesenhofer in fuga?

Lo sapevamo. Personalmente mi ero messa a contare le ragazze che riprendevamo e poi c’era un tecnico tedesco a bordo strada (in realtà non so se fosse sempre quello con il dono dell’ubiquità o fossero più d’uno) che continuava a dare i tempi del ritardo. Io capisco il tedesco perché l’ho studiato a scuola, quindi era chiaro che ci fosse ancora qualcuno davanti. E penso che se lo avessero saputo le olandesi e avessero adottato una tattica più normale, avremmo potuto riprenderla.

Non avete mai parlato tra voi della situazione?

A un certo punto la Van Vleuten è venuta a chiedermi di tirare, ma le ho risposto che non era quello il mio ruolo, visto che poi mi avrebbe battuto in volata.

Quindi alla fine è stato un bronzo da brindisi o un bronzo da mangiarsi le mani?

Un bronzo da brindisi, sono stata sollevata. E’ stato difficile arrivarci e quel giorno ho portato con me sulla strada le persone più care. Volevo far vedere che quello che abbiamo fatto e superato insieme non era stato invano.

Sul Lago Maggiore, recuperando energie fisiche e mentali dopo il faticoso viaggio in Giappone
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Paolo Slongo ha scritto su Twitter parole bellissime. Che effetto ti fa?

Paolo è uno che non parla tanto, è particolare. Non si sbilancia mai nei discorsi e tantomeno nei pessaggi. A volte, se vinco, gli mando una foto e lui mi risponde: “Brava”. Per cui leggere quelle parole mi ha davvero fatto tanto piacere. Per un po’ abbiamo dovuto interrompere la nostra collaborazione perché la squadra lo impegnava a 360 gradi e non aveva tempo di seguirmi. Ora siamo tornati insieme e sono stata contenta di condividere con lui il Giro d’Italia.

Come si fa a ripartire dopo un viaggio così impegnativo, soprattutto sul piano emotivo?

Di andare in bici per fortuna ho sempre piacere, anche quando cala la tensione. Per cui da un lato hai voglia di rilassarti, ma dopo due giorni senti che qualcosa ti manca. Tokyo mi ha dato consapevolezza e voglia di finire bene la stagione e poi siamo ciclisti, non possiamo mollare. Ritrovare le motivazioni in fondo è facile, se hai attorno le persone giuste. Per cui sono stata a casa, ho passato del tempo con i miei nipoti e adesso vado in altura a preparare la seconda parte della stagione. Si dice tanto della Van Vleuten che non fa che allenarsi, ma alla fine secondo me ci sono ragazze che fanno di più, ma non lo mettono nei social.

Il Giro del lago Maggiore, 180 chilometri passeggiando con il gusto di andare in bicicletta. Bello il Giappone, ma casa propria…
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A lei si rimprovera che pensi solo ad allenarsi e non abbia una vita sociale.

In realtà nessuno che faccia questo lavoro ne ha una. Non più di tanto, almeno. Il lavoro diventa la tua vita e la scandisce. E Annemiek semplicemente per tante dinamiche è la più forte.

Allora ricominciamo con la pressione: ci vediamo agli europei?

L’occhio che fiammeggia, il sorriso cui ci ha abituato da inizio stagione. Per questa volta ce la caviamo così, ma una riflessione merita farla. La lasciamo ai suoi chilometri e ai suoi pensieri. Bentornata a casa. Il Giappone è lontano, ma si sta bene anche qui. Anzi, probabilmente qui si sta molto meglio.