Viviani col 52 alla Sanremo. Scelta ponderata e da pistard

29.03.2022
4 min
Salva

In un periodo in cui quasi tutti i passisti e gli sprinter cercano il 54 o il 55, specie in una corsa veloce come la Sanremo, Elia Viviani ha scelto il 52 proprio per la Classicissima. Una soluzione tecnica curiosa, che di certo il campione olimpico di Rio 2016 aveva ponderato, come immaginavamo. E così è stato.

Viviani è uno dei corridori più sensibili alla tecnica in gruppo. Sa bene cosa utilizza e perché. E questo vale sia per la pista che per la strada.

Il 52-36 anteriore scelto da Elia per la Classicissima
Il 52-36 anteriore scelto da Elia per la Classicissima
Elia, come mai il 52 per la Sanremo?

Oggi, specie con il nuovo gruppo Shimano il 54 è diventato la normalità e il 53 sta quasi scomparendo. Io ho scelto il 52 perché in questo modo nel finale non devo mai togliere la corona grande. Anche sulla Cipressa e sul Poggio ho tenuto quella.

Il che ci sta (si evita il rischio che la catena possa cadere nelle fasi concitate)…

Che poi io sono uno che tende a cambiare spesso i rapporti in base al percorso. Uso anche io il 54 o il 55. Nel caso della Sanremo ho tenuto tutto il giorno il 52. Credo di aver usato la corona piccola solo sul Capo Berta.

Però in caso di volata, non rischiavi di essere “corto” o troppo agile?

Non è un problema il 52, soprattutto alla Sanremo. Lì lo sprint arriva dopo oltre 290 chilometri di corsa e con il rettilineo finale che tira anche un po’. Di certo con l’11 dietro non mi mancherebbe il rapporto. Sono tanti anni ormai che scelgo il 52 per la Sanremo.

E dietro invece che scaletta avevi?

Avevo l’11-30, chiaramente il 30 non l’ho mai usato, ma questo mi ha consentito di utilizzare i rapporti grandi anche con la corona maggiore. Il terzultimo dente, per dire, credo fosse un 26-25 (in realtà era un 24, ndr). E un 52×25-24 si gira bene su quelle salite a quei ritmi.

Il fatto che tu sia anche un pistard ti agevola nel cambiare i rapporti e di averli magari anche così “corti”?

Sì, per me è la normalità cambiare i rapporti, specie in pista. Se fai lo scratch, l’eliminazione… se è una prova di ritmo, di resistenza… Se c’è da fare una volata unica… E questo su strada fa sì che se per caso ti ritrovi con un dente in meno, cioè se la cadenza è un po’ più alta del dovuto, non diventa un problema. Anche in una volata da 54-55 ti potrebbe mancare qualcosa, ma la cadenza della pista aiuta. E per questo continuo ad andarci anche se non ho eventi in vista.

La scaletta 11-30 Shimano Dura-Ace 12v utilizzata da Viviani alla Sanremo
La scaletta 11-30 Shimano Dura-Ace 12v utilizzata da Viviani alla Sanremo
E con il 52 che cadenze tenevi sulla Cipressa?

Ohi, bella domanda. Credo sulle 95 rpm. Verifico – intanto apre il computer – salivo attorno alle 90 rpm, 95 sui Capi.

E sulla volata, che cadenze hai raggiunto?

Sulle 114-116.

Invece in una volata opposta a quella di Sanremo, tipo quella di Verona allo scorso anno al Giro, dove il rettilineo scendeva anche un po’? Quella era da 55?

Lì avevo il 54. Lì si andava molto veloce. Diciamo che con un 54 di solito in volata si fanno 123 rpm che è molto vicino al mio limite di 127. Ma parliamo di una velocità che è di 74 all’ora. E torniamo al discorso del pistard. Sono cadenze che non mi pesano.

Perché in pista a quanto arrivate?

Anche 140, per questo rispetto allo stradista puro le sopporto meglio.

La volata di Verona al Giro 2021. Vinse Nizzolo, Viviani ebbe un intoppo in una rotatoria a pochi chilometri dalla fine
La volata di Verona al Giro 2021. Vinse Nizzolo, Viviani ebbe un intoppo in una rotatoria a pochi chilometri dalla fine

Qualche chiarimento

Prima di congedarci però abbiamo fatto uno squillo anche a Matteo Cornacchione, meccanico della Ineos Grenadiers per fare chiarezza sui rapporti del pacco pignoni di Viviani nella classicissima. La scaletta 11-30 originale Shimano, infatti dice che gli ultimi tre denti sono 24, 27, 30. Era effettivamente questa quella di Elia? O magari l’avevano modificata?

«Assolutamente – spiega Cornacchione – era quella originale. Elia aveva l’11-30 a 12 velocità. Durante la ricognizione con Cioni nei giorni precedenti aveva voluto provare questo setup e lo ha mantenuto. Lui al contrario di Pidcock che aveva ancora la vecchia guarnitura, ha utilizzato quella nuova che propone il 52-36 e con quella ha corso. Aveva anche provato il 40 che in teoria si può montare, tuttavia il salto era troppo breve (solo 12 denti, ndr) e la catena in qualche deregliata “galleggiava” tra le due corone. Quindi per non rischiare nulla è partito con tutto originale: 52-36 e 11-30. 

«La bici di scorta, tanto più col vento a favore che c’era una volta in Riviera, aveva su il 54-40. Nel caso ne avesse sentito il bisogno, Elia avrebbe potuto cambiarla quando voleva».

Quella scelta (tecnica) francese che tanto fa discutere

23.12.2021
3 min
Salva

Questa scelta della Federazione francese che cancella la limitazione dei rapporti nelle categorie giovanili e le motivazioni addotte hanno dato da pensare. L’aver bloccato lo sviluppo metrico per i più giovani rientrava in una gestione a tutela del loro sviluppo: per cui rapporti bloccati negli juniores e crescita graduale da under 23.

«Quando sono passato under 23 alla Zalf – ci ha detto Manuel Quinziato, attualmente agente di atleti e prima professionista dal 2002 al 2017 – al primo anno mi fecero correre col 13, poi mi diedero il 12 e solo al terzo anno, quando vinsi gli europei a cronometro, mi diedero l’11».

Agli europei di Trento 2021, la squadra francese ha dominato (qui il vincitore Gregoire)
Agli europei di Trento 2021, la squadra francese ha dominato (qui il vincitore Gregoire)

Da junior a pro’

Oggi tutto questo in apparenza non c’è più, oppure sta sparendo in alcune realtà prima che in altre. I ragazzi passano dagli juniores direttamente nelle continental e si ritrovano a debuttare a Laigueglia o Larciano: basta un inverno di preparazione per colmare il gap di potenza necessaria per girare il 53×11 dopo due anni con il 52×14? E la forzatura sta nei rapporti o nel buttarli così presto nella mischia?

Ne abbiamo parlato con Paolo Slongo, preparatore della Trek-Segafredo e membro della Commissione scientifica federale, incaricata anche di simili approfondimenti. Un paio di settimane fa a Musile sul Piave, il trevigiano ha tenuto un convegno sulla selezione del talento e su come si rischi di perdere atleti se i criteri di selezione sono basati unicamente sul risultato. La scelta francese va in questa direzione: vediamo perché.

Cosa pensi della scelta francese?

Bisogna pesarla bene e capire cosa c’è sotto. Se come scrivono il nodo è la prestazione, allora non mi sembra una grande idea. Per contro, col tempo si è capito che si può allenare la forza anche nelle categorie minori, dopo anni in cui la palestra e i pesi erano praticamente vietati.

Che cosa succede dando il 53×11 a uno junior di primo anno?

Potrebbe succedere che l’età biologica aumenti il divario fra ragazzi. Mi capita spesso di vedere allievi di secondo anno più sviluppati di alcuni che sono già juniores. Se gli metti il rapporto, le differenze si amplificano. Io poi sono sempre stato un sostenitore del lavoro ad elevate cadenze di pedalata. Temo che il rapportone possa viziare le abitudini.

Negli juniores la precocità fisica fa grande differenza: ecco Simmons, iridato 2019, accanto a Martinelli
Negli juniores la precocità fisica fa grande differenza: ecco Simmons, iridato 2019, accanto a Martinelli
Difficile schierarsi?

Difficile capire bene, anche perché ai mondiali poi si correrà comunque con il 52×14. Però, anche non volendosi sbilanciare, resta il problema della selezione dei talenti, come si disse quella sera a Musile.

Spiega…

Partiamo dall’assunto che al passaggio fra allievi e juniores si perde circa il 30 per cento dei corridori. Se consideriamo, come detto anche prima, che l’età biologica degli allievi di secondo anno è 17-18 anni, i precoci che passano rischiano di fare risultati migliori di quelli che hanno tempo di maturazione più lento e magari hanno più talento. La liberazione dei rapporti accentua la differenza e impedisce di aspettare lo sviluppo di alcuni ragazzi.

Però dicono anche che se il problema è la forza, sulle salite la differenza è lo stesso evidente.

Certo, puoi fare partenze da fermo e salite con un rapporto più duro e ugualmente privilegi l’aspetto della forza. Quindi secondo me alla fine il vero problema sta nelle selezione di atleti per il futuro.

Cioè?

Cioè si privilegiano prestazione e risultato a scapito del talento effettivo. Non so se possiamo permetterci di perdere dei talenti per una scelta tecnica di quel tipo…

La Francia toglie il blocco dei rapporti: l’UCI cosa fa?

14.12.2021
4 min
Salva

Salvo interventi esterni dell’ultima ora, la Federazione francese di ciclismo ha deciso che dalla prossima stagione gli juniores potranno correre senza più limitazione dei rapporti. Solo gli allievi saranno tenuti a rispettare il vincolo attuale del 46×14. Si è arrivati alla decisione dopo lo studio affidato a una commissione tecnico/scientifica che ha permesso di rispondere a una lunga serie di quesiti.

Sul podio degli europei juniores di Trento, un tripudio francese, con Gregoire e Martinez
Sul podio degli europei juniores di Trento, tripudio francese

Nove punti chiave

Gli esiti sono ben dettagliati in un rapporto pubblicato sul sito federale, ma si possono sintetizzare in una serie di punti.

1) L’utilizzo di uno sviluppo più breve non sviluppa negli anni la qualità della velocità per uno sprint.

2) Limitare lo sviluppo nelle gare non è una condizione per promuovere la velocità. La velocità dipende soprattutto dalle qualità ereditarie, dalla crescita, dalla coordinazione e dalle qualità muscolari. Per questo è necessario variare enormemente i lavori di forza e la velocità di pedalata.

3) Per sviluppare un valore massimo di potenza, il ciclista deve trovarsi in una situazione in cui sarà in grado di utilizzare una cadenza ottimale.

4) E’ auspicabile che i ciclisti sviluppino prima e ulteriormente le loro qualità di forza per essere efficienti a lungo termine, senza tuttavia eliminare il lavoro a velocità diverse, comprese le velocità massime.

5) Lo sviluppo della forza a lungo termine nei bambini aiuta a ridurre il rischio di lesioni e ad aumentare le possibilità di successo ad alte prestazioni. E’ un fattore di salute e successo a lungo termine.

6) Il problema con gli sport come il ciclismo è che gli stimoli non sono abbastanza forti da svolgere un’azione ottimale.

7) Il lavoro ad alto ritmo è vantaggioso per l’apprendimento perché accelera lo sviluppo della coordinazione.

8) La diversità dei percorsi avrà un impatto maggiore dell’intervento sullo sviluppo metrico. 

9) Imparare a usare il deragliatore è più vantaggioso che limitare lo sviluppo.

Giro della Lunigiana 2021, Lenny Martinez vince a Fivizzano mostrando qualità di forza superiori
Giro della Lunigiana 2021, Martinez vince a Fivizzano mostrando qualità di forza superiori

L’esempio di Martinez

Del tema avevamo già parlato dopo il Giro della Lunigiana, quando alcuni atleti francesi fra cui Lenny Martinez, ammisero di allenarsi utilizzando una gamma di rapporti completa e poi di correre nelle prove internazionali con il 52×14 imposto dall’Uci. Lo spirito che anima queste limitazioni è ispirato da due principi: quello di voler rispettare lo sviluppo fisiologico degli atleti e concedere pari opportunità a tutti i corridori, volendo arginare la superiorità di quelli che sfoggiano un’indubbia precocità atletica.

Si ha fretta, nelle famiglie, nei piani dei procuratori e nelle squadre. Se l’under 23 di primo anno può correre nel WorldTour, è persino logico che abbia nelle gambe la forza per girare il 53×11. Si vuole il giovane fenomeno, siamo quasi stufi di scriverlo. Ma se la Federazione asseconda questa pressione anziché porvi limiti, autorizza di fatto l’andazzo. Come se la Stradale togliesse i tutor dall’autostrada perché le auto moderne sono più veloci e chi le guida ha fretta di arrivare.

La prima vittoria di Oioli a Fosdinovo dimostra che in salita il tema della limitazione non regge
La prima vittoria di Oioli a Fosdinovo dimostra che in salita il tema della limitazione non regge

La scelta dei percorsi

In Francia il dibattito è accesissimo, perché le argomentazioni proposte da chi sostiene la bontà dell’innovazione trovano terreno fertile. La limitazione dei rapporti – essere costretti a usare il 52×14 invece del 53×11 – dà sicuramente risultati apprezzabili in pianura, ma sulle salite la gamma di rapporti attualmente in uso permette sviluppi che in ogni caso richiedono sforzi notevoli.

L’obiezione che viene mossa a questo punto è che proprio i percorsi delle gare juniores dovrebbero essere rapportati alla loro età e alla loro fisiologia. Per cui non andrebbero proposte salite lunghe al 12 per cento, come accade abbastanza spesso, per evitare che i ragazzi siano costretti a sobbarcarsi carichi di lavoro per loro eccessivi.

Ovviamente tutto sarà basato sulle scelte dei preparatori, dei tecnici e degli atleti. Resta da vedere se l’Uci vorrà avallare la scelta francese, oppure interverrà per imporre la sua legge o ancora inizierà a valutare se valga davvero la pena eliminare il blocco a livello mondiale. Innegabilmente infatti la scelta dei francesi avrà ripercussioni internazionali.

Quando la strada spiana si fa la differenza. A lezione da Ballan

30.11.2021
6 min
Salva

In questi giorni abbiamo parlato spesso di grandi pendenze, di rapporti, di potenza… Abbiamo parlato di quando e come si può fare la differenza. E un punto particolare e che molto spesso risulta decisivo è il falsopiano. Alessandro Ballan di falsopiani se ne intende, tanto che ci ha vinto il mondiale di Varese 2008.

Pensiamo a quelle corse in cui spesso vi abbiamo visto attacchi memorabili. Il Muro di Huy alla Freccia Vallone, l’Oude Kwaremont al Fiandre, la Redoute e la Roche aux Fauçons alla Liegi. Spesso è proprio nel segmento meno duro, ma finale, che si fanno le grandi differenze. E, checché se ne dica, si fanno di rapporto.

Lo scatto decisivo di Ballan a Varese 2008 avvenne proprio su un falsopiano
Lo scatto decisivo di Ballan a Varese 2008 avvenne proprio su un falsopiano

A Varese col prototipo 

«Ai miei tempi – esordisce Ballan – c’era l’11-23 a 10 velocità e il 53 davanti. Oggi, anche se non corro più, uso un 11-33, ho 12 velocità e davanti ho un 50. E questo più o meno vale anche per i pro’.

«Da un lato è meglio perché ci sono meno tendiniti, dall’altro i distacchi calano sensibilmente. Una volta con quei rapporti quando ti piantavi… ti piantavi. Facevi vere differenze. Oggi in qualche modo ti salvi».

«I rapporti incidono anche sul tuo atteggiamento tattico. Proprio al mondiale 2008 con il meccanico Enrico Pengo facemmo una scelta particolare sui rapporti. In tutta la corsa eravamo in due ad avere un prototipo Campagnolo, l’11 velocità: Bettini ed io. Fu un esordio col botto per la casa veneta! E infatti oggi sono tutt’ora un loro testimonial e tester».

La Redoute: in cima dove spiana chi sta meglio riesce ad esprimere tanta più velocità rispetto agli avversari che non sul tratto ripido
La Redoute: in cima dove spiana chi sta meglio riesce ad esprimere tanta più velocità rispetto agli avversari che non sul tratto ripido

L’aneddoto iridato

«Quel giorno – continua Ballan – scelsi il 52 al posto del 53 e questo mi garantì una pedalata più tonda. Anche perché l’unico vero tratto di discesa in cui poteva servire il 53×11 era dritto e con la posizione aerodinamica andavi bene lo stesso. Non solo, avendo un pignone in più, il 27 finale, che per quegli anni era una vera rarità, non ho più tolto il 52 negli ultimi 45 chilometri. Nella prima parte di gara, invece, per risparmiare energie prendevo le salite davanti col 39, mi mettevo in agilità, mi lasciavo sfilare e scollinavo quasi sempre ultimo del gruppo».

«Pensate, i primi 6-7 pignoni, dall’11 in su, aumentano di un dente alla volta e la differenza è minima, ma poi si ha un salto anche di tre o quattro denti. E spesso un dente è troppo duro e uno è troppo agile. Io avevo una scala ampia ma progressiva al tempo stesso. E’ tanto. 

«Quando poi sono scattato all’uscita della salita dei Ronchi, non ho dovuto far salire la moltiplica. Ho solo buttato giù dei denti. E questo ti rende più pronto, più tranquillo nella cambiata, più sicuro. Quei rapporti furono la scelta giusta».

Un vecchio pacco pignoni Campagnolo a 10 velocità 11-23. In effetti la scala saliva molto lentamente
Un vecchio pacco pignoni Campagnolo a 10 velocità 11-23. In effetti la scala saliva molto lentamente

Assalto sul falsopiano 

Ballan piantò una vera stoccata nel falsopiano, quasi pianura, dopo la salita. Gli altri forse avevano le gambe più intossicate. Lui no. Agile o duro nei momenti giusti.

Ma perché allora il falsopiano è spesso decisivo? Perché si fa la differenza lì e non sul ripido? Perché è lì che si fanno le alte velocità. Alte ma non altissime. Su un tratto al 2-4% chi ne ha va ben oltre i 40 all’ora e chi non ne ha fa fatica ad andare a 30-35. va da sé che il baratro si apre in poco tempo.

«Però – interviene Ballan – per me più che un discorso di potenza, di watt, la differenza la fa il peso. Nel tratto ripido sicuramente lo scalatore si salva meglio, ma poi non ha la potenza del passista. C’è chi sa spingere meglio il rapporto duro e riesce a fare più selezione e chi non riesce a rendere al 100% con cadenze più basse».

Van Aert e Alaphilippe stremati a terra dopo l’infinito duello sullo strappo di Great Orme

Acido lattico “mon amour”

Però oggi vediamo atleti che anche nelle fasi calde di corsa sono in grado di andare molto agili e subito dopo di esprimere wattaggi elevati anche con rapporti lunghi. L’esempio più lampante è forse Alaphilippe, ma anche Van Aert non è da meno. E guarda caso questi sono anche tra gli atleti che meglio tollerano l’acido lattico…

«E infatti – ribatte Ballan – volevo dirlo: di chi parliamo? Perché sappiamo che ci sono quei 6-7 extraterresti che vanno oltre. Alaphilippe, Van der Poel, Van Aert, Evenepoel… anche loro vanno al di sopra delle famose 4 millimoli di acido, come tutti, ma mentre gli altri ad un certo punto “staccano” o calano, loro restano a 450 watt… per dire un numero».

E questo si è visto per filo e per segno al Tour de Bretagne proprio tra Van Aert e Loulou. L’inquadratura aerea ne fu il riassunto perfetto

Nella tappa con arrivo sul muro di Great Orme (foto in apertura, ndr) tutti scattavano, ma poi man mano arretravano e alla fine restavano solo loro due. Sembrava ne avessero all’infinito. Un duello pazzesco, un duello di rapporto (da sottolineare) solo che alla fine sono stramazzati al suolo per 5′! Quindi non è che non fossero andati in acido.

Philippe Gilbert ha sempre fatto della forza la sua arma principale, sia sul ripido che nei tratti più filanti
Philippe Gilbert ha sempre fatto della forza la sua arma principale, sia sul ripido che nei tratti più filanti

Il cambio di pendenza

Ma torniamo ai cambi di pendenza. Al passaggio dal ripido al falsopiano. Quante volte sulla Redoute abbiamo visto scattare Gilbert? Philippe magari partiva sul pezzo duro, il gruppo si sgretolava e poi andava via di passo.

Oggi un Alaphilippe, invece, sgambetta fino a poche decine di metri dal termine del ripido e poi innesta il rapporto e se ne va. E’ così per esempio che ha vinto la Freccia sul muro di Huy, anche se lì quando spiana scende di poco sotto al 10% e mettere il rapporto significa innestare un 39×15-16. Ma il concetto è lo stesso.

Lo scatto di Ballan sul Poggio nella Sanremo 2007, alle sue spalle Pozzato
Lo scatto di Ballan sul Poggio nella Sanremo 2007, alle sue spalle Pozzato

Tempistiche dell’attacco

E allora quando si capisce il momento in cui bisogna attaccare? Quando si deve innestare il rapportone? Prima che finisca il tratto duro o subito dopo? Insomma c’è una tempistica “da manuale”?

«Per me – dice Ballan – ogni corridore deve valutare in base alle sue capacità, a quanta ne ha. Non si tratta di partire prima o dopo il cambio di pendenza, ma si tratta di riuscire a dare tutto fino al momento dello scollinamento. Se parto troppo tardi significa che potevo dare di più e quindi avrei potuto avere più margine. Se parto troppo presto rischio di andare fuorigiri ed essere riacciuffato».

«Quando nel 2007 alla Sanremo sono partito sul Poggio – conclude Ballan – ho scelto il momento pensando: da qui a lì, la cima, ce la posso fare. E quindi sono scattato. La differenza pertanto non la fa tanto la pendenza, quanto la gestione dello sforzo durante l’attacco».

Con i “vecchi” rapporti ci sarebbero più differenze in salita?

27.11.2021
6 min
Salva

Oggi le differenze fra scalatori e passisti tendono ad assottigliarsi sempre di più, almeno pensando alle classifiche dei grandi Giri. E forse uno dei motivi dipende anche dall’evoluzione tecnica dei mezzi, a cominciare dai rapporti. Basta pensare ai primi passaggi sul Mortirolo o sullo Zoncolan. Chi andava agile aveva un 39×25 (sviluppo di 3,29 metri) a metà degli anni ’90, e 39×29 (sviluppo 2,94 metri) una decina di anni dopo. E per tutti più o meno era così. Invece il 34×32 con i suoi 2,39 metri cambia un bel po’ le cose.

Ma questo implicava una bella differenza tra Pantani e Indurain. O tra Simoni e i suoi rivali. In qualche modo queste soluzioni tecniche esaltavano le caratteristiche dei corridori. In salita lo scalatore poteva fare… lo scalatore. E a crono il passista poteva dare sfogo ai suoi watt con i rapportoni.

La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?
La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?

Rapporti più corti

Con l’arrivo delle corone compatte e dei rapporti sempre più corti, anche i corridori più pesanti si sono potuti salvare sulle pendenze più arcigne. In qualche modo sono riusciti a “annullare” il gap dovuto dal peso maggiore e sono riusciti ad esprimere la loro forza. Oggi Pantani avrebbe staccato Ullrich e Tonkov se avessero avuto una compatta?

E allora ci si chiede: perché non porre un limite allo sviluppo minimo dei rapporti in gara? Avrebbe un senso? In fin dei conti esiste il limite al peso (i fatidici 6,8 chili), il limite all’aerodinamica (carenature bandite) e persino il limite sul alcune misure (i 5 centimetri di arretramento). Perché quindi non può esserci un limite ai rapporti, tanto più se questi possono agevolare lo spettacolo?

Di questo parliamo con tre esperti: un preparatore, Pino Toni, un corridore, Mattia Cattaneo, e un tecnico, Giampaolo Mondini.

E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna
E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna

Parola al preparatore

«Una limitazione la vedo un po’ come una forzatura – dice Pino Toni – l’evoluzione tecnica ha permesso di tornare a registrare dei tempi sulle salite che si realizzavano in periodi di grande sospetto. Anni fa c’era un solo grande produttore di rapporti, adesso ce ne sono tre. E questo ha portato ad un regime di concorrenza, di spinta verso la ricerca. Una volta c’era il 23… e con quello dovevi andare su! Però per me le differenze sempre minori dipendono da un discorso più in generale di preparazione. Adesso tutti sono ben allenati, tutti sanno cosa devono fare e come arrivare ai propri limiti».

«Semmai uno dei motivi per cui tra scalatori e passisti c’è meno differenza non è tanto da ricercare in salita quanto in pianura. Adesso sul piano si va fortissimo e lo scalatore arriva sotto la salita più stanco. E infatti quando ci sono le cronoscalate le differenze tornano ad esserci eccome. E lì lo scalatore resta scalatore e il passista resta passista».

«Un Tom Dumoulin col 39×27 sul Mortirolo? Perderebbe ugualmente terreno. E’ fisica. Pesa di più rispetto ai rivali scalatori. Una cadenza più elevata lo avvantaggerebbe? Sì, forse su un muro al 20% ma per il resto delle salite no. E poi ripeto, le preparazioni sono migliorate e anche la biomeccanica si è evoluta. Gli atleti spingono meglio. E’ un discorso molto ampio che non si può legare solo ai rapporti».

Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono
Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono

Parola al corridore

Mattia Cattaneo forse meglio di tutti può entrare nel merito. Primo perché è un corridore forte e in piena carriera, secondo perché è la tipologia di ciclista moderno: forte in salita, fortissimo a crono.

«Con i percorsi attuali – dice il corridore della Deceuninck-Quick Step – è molto difficile attuare questa ipotesi del limite dei rapporti. Si potrebbe forse fare nelle corse di un giorno, ma non nei grandi Giri dove vengono inseriti sempre più spesso passaggi particolari, salite super ripide… E con certi rapporti “vecchio stile” la vedo dura. Per me poi non ci sarebbero grandi differenze».

Poniamo un’ipotesi a Cattaneo. Se sullo Zoncolan lui e Bernal, scalatore puro (o quasi), si trovassero spalla a spalla entrambi col 39×29 avrebbe meno chances di resistergli se invece avesse a disposizione un 34×30?

«Magari con un 34×30 resisto a Bernal un po’ di più – replica Cattaneo – ma le differenze sarebbero minime. Anche perché sapendo che si ha disposizione un limite di rapporto cambierebbe anche la preparazione. Tutti si allenerebbero in base a quello sviluppo metrico minimo e il gap resterebbe tale.

«Io lo vedo: quando facciamo le salite abbiamo sempre tutti lo stesso rapporto più o meno. Può esserci un dente di differenza. Quello che forse potrebbe cambiare un po’ nell’economia della corsa, ma mi riferisco ad un grande Giro, è che un rapporto più lungo può incidere sul recupero e ad un passista-scalatore resterebbe meno nelle gambe».

Il discorso appassiona Cattaneo che rilancia: «E poi se dovesse esserci un limite di rapporto minimo, immagino dovrebbe essercene anche uno sui rapporti lunghi per compensare. A crono per esempio non si potrebbe andare oltre al 55 e per me che uso il 58 sarebbe un problema, mentre per Bernal che usa il 55 normalmente non cambierebbe nulla».

Dumoulin e Froome gli ultimi “giganti” a vincere un grande Giro
Dumoulin e Froome gli ultimi “passisti” a vincere un grande Giro

Parola al tecnico

Infine, ecco l’opinione del tecnico. Giampaolo Mondini cura i rapporti tra Specialized e le squadre che il marchio americano supporta. “Mondo” più di altri tasta il polso degli atleti e conosce l’evoluzione tecnica, tanto più se si considera il marchio per cui lavora che spesso traccia la via.

«Non credo si possano creare queste grosse differenze – dice Mondini – io non sono per le limitazioni, che tra l’altro, abbiamo visto, hanno sempre funzionato poco nel ciclismo. E’ invece un’occasione per lo sviluppo tecnico. Penso per esempio al monocorona che potrebbe aiutare a ridurre il gap di peso dovuto ai freni a disco. Poi, si sa, l’UCI può decidere quel che vuole.

«Parliamo di scalatori e grandi Giri, ma chi sono i vincitori dei grandi Giri? Non sono forse scalatori? Piuttosto più che sui rapporti parlerei dei percorsi delle crono. Oggi vedi un prologo piatto magari di 10-12 chilometri in cui un Bernal può perdere 30” e poi delle crono più lunghe ma con 700-800 metri di dislivello che sono più per scalatori, o atleti completi. E spesso queste crono arrivano alla fine delle tre settimane e più che esaltare le qualità dei cronoman contano le energie. Va meglio chi ha maggior recupero. Ricordiamo Pantani: anche se c’erano crono piatte arrivava davanti. Le differenze minime dipendono anche dai percorsi quindi».

«Vero – riprende Mondini – secondo la fisica chi ha una leva più lunga ha bisogno di un rapporto più agile per spostare il peso (in questo caso i pedali, ndr). La pedivella più lunga spinge di più, ma ha anche un punto morto maggiore. E quando cala la velocità (e di conseguenza la cadenza) questo punto morto diventa così ampio che interrompe l’impulso, crea un problema e il passistone ha bisogno di un rapporto più agile. Solo che mi chiedo: oggi chi trae vantaggio da tutto ciò? Gli Ullrich e gli Indurain non ci sono più. Credo che gli ultimi vincitori di un grande Giro al di sopra dei 68 chili siano stati Dumoulin e Froome, ma l’ultimissima generazione ha alzato ancora l’asticella».

Resta quindi un po’ di scetticismo su un’eventuale limitazione dello sviluppo metrico minimo. Un po’ per il concetto di evoluzione e un po’ perché cambierebbero le preparazioni.

Tuttavia su pendenze estreme qualche differenza ulteriore potrebbe esserci. Meno marcata di quel che si può immaginare, ma con qualche pedalata in più il “bestione” sui muri può salvarsi.

Cadenza e rapporti nello sprint: qualcosa su cui riflettere

25.08.2021
4 min
Salva

«Ho smesso di usare il 54 perché nelle tappe di pianura mi ritrovavo per tutto il giorno sempre a spingere troppo duro. E anche in volata. A me piace fare gli sprint a 130 pedalate, con il 54 non riuscivo. Ma è indubbio che con certe velocità fa la differenza». Forse ricorderete queste parole di Alberto Dainese di qualche giorno fa.

Il corridore della Dsm ce le disse dopo l’ennesimo piazzamento di questo scorcio di stagione tra Burgos e Vuelta. Si parlava quindi di frequenza di pedalate e rapporti durante la volata.

Vuelta Espana 2021, a La Manga del Mar Menor. Allo sprint Fabio Jakobsen precede Alberto Dainese
Vuelta Espana 2021, a La Manga del Mar Menor. Allo sprint Fabio Jakobsen precede Alberto Dainese

Rapporto e cadenza

La sua scelta è azzeccata? Impossibile dare una risposta univoca e a dircelo è Marco Villa, il cittì della pista, estremamente tecnico. La prima cosa che gli domandiamo è se la frequenza di pedalate indicata da Dainese non sia in realtà un po’ troppo elevata per la strada.

«Partiamo dal presupposto che in questo caso tra strada e pista non c’è differenza, per quel che riguarda il numero di pedalate. E’ un qualcosa di personale. Probabilmente Alberto ha impostato una preparazione che prevede “meno forza” e più frequenza. In questo modo arriva a fine gara con un pizzico di watt in meno e vuole sfruttare la frequenza di pedalata». Una disamina che fa subito centro con le parole di Alberto, quando dice: mi ritrovavo tutto il giorno ad andare duro.

«Ma sulla preparazione – riprende Villa – bisognerebbe chiedere a lui. Ripeto la scelta del rapporto è strettamente personale e per essere ottimizzata va fatta anche in base alla preparazione».

Le corone da 54 denti sono quelle che vanno per la maggiore nelle tappe pianeggianti, almeno per i passisti più veloci
Le corone da 54 denti sono quelle che vanno per la maggiore nelle tappe pianeggianti, almeno per i passisti più veloci

Le corone che cambiano

Oggi in effetti in molti, non solo i velocisti, tendono ad utilizzare corone da 54 denti per le tappe più filanti. Anzi, qualcuno (vedi Nizzolo) azzarda anche il 55. Ma la scelta del rapporto è molto personale. Si lega alle caratteristiche, alla preparazione, al percorso e persino al meteo.

«Viviani per esempio – che Villa conosce benissimo e che è la massima espressione della doppia attività strada e pista – di solito usa il 53, ma se al mattino sa che sull’arrivo avrà vento a favore monta il 54. O al contrario preferisce il 52 se l’arrivo “tira” un po’ o se c’è vento contro. E’ anche una questione di sensibilità del corridore: non c’è un meglio o un peggio».

La differenza di statura e postura tra Ewan (casco rosso) e Van Aert (caso nero-giallo). Sprint della prima tappa della Tirreno 2021
La differenza di statura e postura tra Ewan (casco rosso) e Van Aert (caso nero-giallo).

Non solo i rapporti

Ma esiste una cadenza perfetta? Una cadenza che statisticamente porta a migliori risultati?

«Beh, dipende da quello che si sta facendo – riprende Villa – se si è in pista e si deve fare un solo sprint si arriva anche a 135 pedalate, ma se per esempio sto facendo un’americana non è facile sprintare con quell’agilità. Si rischia di andare fuorigiri, di far alzare troppo i battiti e non si ha tempo poi per recuperare. 

«Su strada puoi anche arrivare a 135 pedalate, ma dipende da come stai, da come è andata la tappa, dal vento… ci sono molte più variabili».

E poi va considerata anche la lunghezza delle pedivelle. Pensiamo che differenza può esserci fra un Caleb Ewan (167 centimetri) e un Van Aert (190 centimetri). Il primo userà pedivelle da 170 millimetri, il secondo quelle da 175: un bel gap. Chiaramente l’australiano sarà più “agile” del belga, eppure spesso le differenze di velocità sono ridottissime. Le leve più corte di Caleb (arti e pedivelle) lo portano a schiacciarsi in virtù di una maggiore frequenza. Che poi è quello che fa Cavendish e che si vede anche nella prima foto di questo articolo, con lo stesso Dainese che cercando rpm più alte si abbassa con le spalle. Il belga al contrario sfrutta tutta la sua enorme potenza con le lunghe leve e resta più “aperto”. Pensiamo alla prima tappa della Tirreno-Adriatico di quest’anno (foto sopra). Proprio loro Caleb e Wout se la sono giocata al colpo di reni.

«Le pedivelle però – conclude Villa – si cambiano molto meno. Elia per esempio ha sempre usato quelle da 172,5 millimetri, almeno da che lo conosco io. Dainese invece non potrei dirlo. Lui l’ho visto da vicino solo agli europei del 2019 quando ero di supporto alla nazionale».

Corridori “innamorati” del 54, perché?

10.04.2021
5 min
Salva

Velocità medie sempre più alte, preparazioni più curate, materiali più veloci… Tra le cause, e le conseguenze, di questo insieme di elementi c’è l’utilizzo da parte dei corridori di rapporti sempre più lunghi. In queste prime corse dell’anno abbiamo visto davvero tanti 54 e anche qualche 55.

Se pensiamo che alla Sanremo nell’ultima ora si è corso a 52 chilometri di media oraria (con tanto di Cipressa e Poggio), che Davide Martinelli ha rimediato un’infiammazione ad una scapola per essere stato quasi 7 ore mani a basse e pancia a terra, che lo scorso anno nella tappa di Brindisi Demare ha vinto con 51,23 di media: si capisce quanto si sia alzato il livello.

Come da nostra abitudine ne parliamo con i protagonisti: un corridore, un meccanico e un preparatore del grande ciclismo.

Sonny Colbrelli, a tutta nel Tour 2020 dove ha usato anche il 56
Sonny Colbrelli, a tutta nel Tour 2020 dove ha usato anche il 56

Parola a Colbrelli

Sonny Colbrelli è una ruota veloce ed in qualche modo ci si può anche aspettare da lui l’utilizzo di rapporti più lunghi.

«E’ vero – dice il velocista della Bahrain Victoroius – si utilizza il 54 perché si va sempre più forte. Le velocità sono aumentate, bisogna spingere di più e se la corsa è molto piatta e il vento è a favore o anche laterale si monta persino il 55 o anche 56. E’ successo in alcune tappe del Tour de France dell’anno scorso. Certo, devi avere la gamba e accade due, forse tre volte, in un anno.

«La cadenza non cambia, ti regoli con i rapporti posteriori, però all’occorrenza sai che hai più spinta. E a mio avviso non c’entra neanche la preparazione, è proprio un fatto di velocità. Io ormai il 54 lo monto anche per le tappe con salita, tanto poi si usa il 39. Se poi c’è la tappa super dura, con due salite e l’arrivo sullo Zoncolan allora uso il classico 53 e magari una corona piccola… più piccola. Se sento differenza? Con il 54 no, sono sincero, con il 55 e il 56 un po’ sì».

Generalmente quando la catena sta sui pignoni centrali disperde meno la forza
Generalmente quando la catena sta sui pignoni centrali disperde meno la forza

Questione di meccanica

Secondo Pino Toni, preparatore di lungo corso ed estremamente competente di materiali, la scelta dei rapporti maggiori non è tanto legata alla nuove preparazioni, quanto piuttosto all’evoluzione tecnica.

«E’ qualcosa che si lega molto alle 12 velocità – dice Toni – la meccanica ha fatto passi da gigante. In questo modo la catena sta più “in linea” se anziché girare l’11 o il 12 dietro, si gira il 13 o il 14 e quindi si utilizza una corona più grande. In pratica s’incrocia meno. Senza contare che oggi la rigidità delle corone è migliorata ed è importantissima. Una volta flettevano molto soprattutto se erano grandi e la catena usciva. Oggi ci sono meno limiti meccanici. La trasmissione è più filante. Inoltre girando ingranaggi più grandi c’è meno inerzia.

«Un altro dettaglio che mi fa pensare a questa tendenza è che per esempio sullo sconnesso non bisognerebbe mai usare dietro l’ingranaggio più piccolo, l’11, 10 o 12 che sia. Perché basta un momento in cui non si pedala, che la catena “allenta” un po’, salta e va ad incastrarsi tra il pignone stesso e il forcellino. Con una corona più grande si usa meno il 10 che è un pignone un po’ al limite e ha molta inerzia».

Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 39-52 della Trek-Segafredo
Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 39-52 della Trek-Segafredo

Tendenza in atto

Infine ecco l’atteso intervento del meccanico, nello specifico Mauro Adobati della Trek-Segafredo. Il meccanico è a stretto contato con i corridori e, se è vero quel che dice il preparatore e cioè che è qualcosa legato più alla tecnologia, il suo parere diventa ancora più importante.

«Effettivamente questa tendenza è in atto – spiega Adobati mentre è sul Teide con Nibali e gli altri – è qualcosa che riguarda soprattutto i corridori più veloci e più robusti e meno gli scalatori. Noi che usiamo Sram abbiamo corone da 52 o 54 denti e questo ci obbliga ad utilizzare la seconda corona rispettivamente da 39 o 41 denti. Mentre chi ha Shimano può usare il 39 sia con il 53 che con il 54. E infatti anche qualche scalatore sceglie il 54. I nostri pesi leggeri per esempio usano il 52×39. I passisti quasi tutti ormai scelgono il 54.

«Avendo il 10 al posteriore anche in discesa con il 52 non ci sono problemi, ma la corona maggiore (come diceva anche Toni, ndr) fa girare rapporti un po’ più grandi anche dietro e diminuisce così l’attrito tra maglie e pignoni. Non solo, ma consente anche incroci minori, quindi altra dispersione di energia risparmiata».

Nelle cronometro la tendenza ad utilizzare corone più grandi è accentuata
Nelle cronometro la tendenza ad utilizzare corone più grandi è accentuata

Trasmissione più fluida

Il discorso dell’incrocio della catena ormai non è più un dettaglio in questo ciclismo. Se si pensa che i pro’ montano il 30 per la Sanremo, rapporto che non useranno mai, ma solo per avere la catena più dritta, va da sé che il risparmio non è marginale.

«Ormai – riprende Adobati – si sta attenti a tutto, poi a parlare di watt oggi sono tutti pronti, ma di certo è meglio per la catena. E questo discorso degli incroci vale ancora di più a crono: è per questo che sempre più spesso si utilizza il 56 o il 58, la catena lavora ancora più dritta andando a cercare magari il 13 o il 14 (si presuppone in pianura, ndr) anziché l’11.

«Se vengono cambiate a seconda del percorso? Quasi sempre, anche se devo dire che con le 12 velocità al posteriore si ha una vasta scala di scelta. Noi abbiamo cassette: 10-28, 10-30 e 10-33. Certo, in quella da 33 c’è un bel salto (5 denti) tra penultimo e ultimo pignone, ma i corridori infatti ragionano come se avessero un cambio ad 11 velocità. Il 33 è lì se proprio dovesse servire, un’ancora di salvataggio. E infatti la scaletta più usata è il 10-30, quella preferita da Nibali, proprio perché ha un salto un po’ più piccolo. Pensate che Sram l’ha messa in produzione su richiesta dei corridori e credo che presto sarà anche in vendita».

Giro Italia

Coach Pino Toni, torna sui rapporti corti

30.12.2020
4 min
Salva

Il tema sui rapporti lanciato qualche settimana fa da Michele Scartezzini non convince del tutto Pino Toni, tecnico e preparatore toscano sempre all’avanguardia. Lo abbiamo chiamato in causa per approfondire la questione e lui non ci ha messo molto a dire la sua.

Prima però riportiamo il passaggio chiave di Scartezzini, così da tenerlo a mente: «Se osserviamo lo sviluppo degli stradisti – diceva Scartezzini – ci si accorge che gli scalatori da 58 chili stanno scomparendo e quelli che fanno classifica sono tutti intorno ai 70 chili. Perché con l’avvento delle compact, più del peso conta la potenza. Se sul Mortirolo riesci a demoltiplicare i rapporti fino a trovare la cadenza che ti fa esprimere al meglio i tuoi watt, non serve essere leggerissimi come quando avevi soltanto il 25».

Matteo Fabbro
Fabbro in salita sfrutta il suo buon rapporto peso/potenza
Matteo Fabbro
Fabbro in salita sfrutta il suo buon rapporto peso/potenza

Intensity factor

Pino Toni analizza da un altro punto di vista la premessa di Scartezzini e riformula il tutto. Nella sua analisi il bilancio energetico ha la priorità rispetto alla scelta dei rapporti.

«Questa teoria non conta nelle corse a tappe e non ha a che fare solo con il rapporto watt/chilo – commenta Toni – Questo rapporto conta nel finale per andare forte in salita, ma il vero problema è che ci devi arrivare alla scalata e questo riguarda soprattutto chi vuol far classifica in un grande Giro. E’ prima di tutto una questione di energia, di quante se ne spendendo nel complesso della tappa: si chiama intensity factor. A quanta “intensità” sei dovuto andare. Faccio un esempio con numeri improvvisati. Un corridore di 51 chili per andare a 45 all’ora sfrutta l’85% del suo potenziale, uno di 65 chili spende il 70% questa differenza moltiplicata chilometro per chilometro, giorno per giorno alla fine è un bel gap. E’ una questione di capacità energetica. Io risparmio tutto il giorno e tu arrivi stanco all’imbocco della salita. Per questo vanno meglio i corridori di un certo peso.

«Vi dico questa. Io seguivo Matteo Fabbro. Nella prima tappa di un Romandia di qualche anno fa c’era da fare una cronoscalata e lui partì con 37,5 di febbre. Ciò nonostante Matteo, leggerissimo, si piazzò nei primi 15. In quel caso contava solo il rapporto potenza/peso».

rapporti
Il pacco pignoni Sram 10-33 che ha fatto discutere tra i pro’, ma desideratissimo dagli amatori
Rapporti
Il pacco pignoni Sram 10-33

Lo sviluppo metrico

Il discorso sulla leva, sui rapporti più corti, magari torna utile in altre situazioni, quando per esempio un velocista o un gregario quel giorno si deve salvare.

«Ecco, in quel caso è chiaro che montare il 34 è meglio – dice Toni – Se devo fare l’Alpe d’Huez per arrivare nel tempo massimo, monto la compatta e faccio più pedalate, risparmio un po’ il muscolo per il giorno dopo. Ma è chiaro che non parliamo più di prestazione.

«Voi di bici.PRO avete tirato fuori qualche giorno fa il discorso delle prime compatte di Fsa usate da Hamilton. Io dico che i rapporti piccoli non vanno incontro agli scalatori. Hamilton vinse perché aveva una clavicola rotta e non poteva fare forza sul “core”, sul sistema incrociato di braccia, busto e gambe. E quindi ha lasciato tutto il lavoro sulle gambe.

«Perché si usano quelle tipologie di rapporti? Perché sono cambiati i percorsi. Si cercano sempre più spesso pendenze estreme che 15-20 anni fa non c’erano. Ai tempi in cui ero in Srm ho fatto molti test e alla fine mi sono accorto che quel che conta è lo sviluppo metrico. Se tu ad un corridore potessi oscurare il rapporto che sta usando, a parità di sviluppo metrico non si accorgerebbe se sta spingendo un 34 o un 39».

rapporti
L’incrocio della catena da evitare: in questo caso 53×28
L’incrocio da evitare: in questo caso 53×28

Incroci e rapporti corti

E pure i corridori della Vini Zabù (e non solo loro) al Giro non avevano gradito molto il 10 al posteriore, pur avendo uno sviluppo metrico quasi identico al 53×11. Quindi un po’ lo sentono eccome.

«Vero, ma in questo caso parliamo in un pignone estremo, talmente piccolo che fa molto attrito. Perché in molti montano il bilanciere Ceramic Speed con le rotelle maggiorate? Perché la catena scorre di più. Si guadagnano 5 watt, con catena nuova. Con il pignone da 10 denti alcuni miei ragazzi hanno perso delle crono, lo dico dati alla mano.

«Un’altro aspetto da valutare è l’incrocio della catena. E’ importante che sia dritta il più possibile. Gli incroci vanno sempre evitati. Anche in questo caso c’è più attrito e più dispersione. Provate a fare le pedalate all’indietro con 53×25 o con il 53×15. Con il 25 la catena prima o poi salta, con il 15 gira “liscia”.

«Non è tanto una questione di demoltiplicazione – conclude Toni – E’il Vo2 Max che libera la potenza. Io dico che alla fine è importante scegliere il rapporto che ti serve e quello lo trovi dall’insieme tra la pendenza, il tuo peso, la tua forza e la tua condizione. E’ quello che ti deve far spingere al meglio».

Rapporti: scelta complicata a Valdobbiadene

18.10.2020
3 min
Salva

I mille volti di una cronometro, non solo gambe ma anche rapporti. Per la stragrande maggioranza dei “girini”, la tappa contro il tempo rappresenta quasi un giorno di “riposo” (le virgolette sono d’obbligo). Per specialisti e uomini di classifica è un giorno cruciale, tra i più faticosi e stressanti. 

Per questo si notano differenze enormi anche nelle scelte tecniche. Ieri Filippo Ganna (e non solo lui) ha vinto spingendo una corona da 58 denti. Mentre gli uomini della Vinzi Zabù-Ktm avevano una corona da 50 denti. 

Alla Vini Zabù- Brado Ktm hanno utilizzato guarniture Sram 50-37
Guarniture (Sram) 50-37 per la Vini Zabù-Ktm

Corone da 50 a 60 denti

I ragazzi di Luca Scinto non erano interessati alla tappa. O almeno sapevano di non poter competere per la vittoria e non avevano grosse necessità di modificare i loro assetti tradizionali. Dovevano portare la bici all’arrivo e risparmiare energie preziose magari per la tappa di oggi, adattissima alle fughe.

E lo stesso hanno fatto molti loro colleghi, che non hanno toccato l’usuale 52 o 53 che forniscono loro i costruttori. Sram infatti mette a disposizione il 50 o il 52. Volendo anche il 54, ma sono in pochi ad utilizzarlo nella tappe normali, tra questi c’è Jacopo Mosca della Trek-Segafredo.

Più ampia invece è stata la scelta per coloro che si appoggiavano al colosso giapponese, Shimano. Per questi atleti si poteva optare per una gamma di corone che andava dalla 50 alla 60. Come Campagnolo più o meno. Il brand italiano forniva dentature fino alla 58. E anche gli EF Procycling potevano far leva con FSA su corone dalle dentature più importanti.

In casa EF Procyling si è optato per corone FSA
Corone FSA per la EF Procycling

Ricognizione delicata

Il percorso di ieri però, con il muro di Ca’ del Poggio, i tratti vallonati ed altri molto molto scorrevoli non era facile da interpretare. Tanto che persino uno specialista come Alex Dowsett è rimasto “spiazzato”. L’inglese della Israel StartUp Nation infatti ha scelto una corna da 56, ma per sua stessa ammissione ha detto che gli avrebbe fatto parecchio comodo un 58 se non addirittura un 60. Avrebbe spinto in modo più composto e magari avrebbe guadagnato qualcosa in velocità. In poche parole non sarebbe andato oltre cadenza (110 rpm e più).

Poi molto dipende anche dalla scala posteriore. Chi ha Sram dispone anche dal 10. E il 56×10 sviluppa qualche centimetro in più del 58×11, pertanto alla fine la scelta spetta alla sensibilità dell’atleta. E in tal senso la ricognizione del mattino è cruciale. Lì il corridore avverte, intuisce, le sensazioni delle sue gambe. Sensazioni a poche ore dal via. Ma proprio per stress e percorso complicato anche in quel frangente non è facile azzeccare tutto al millimetro.