Search
Matteo Fabbro

Adesso Fabbro sa che può sognare

18.12.2020
4 min
Salva

Chi mangia pane e ciclismo Matteo Fabbro lo conosceva già da un po’. Friulano Doc, occhi furbissimi, scalatore “quanto basta”.

La maggior parte invece lo ha conosciuto il 5 ottobre 2020, più o meno verso le 16! Quando il Giro d’Italia si stava arrampicando sull’Etna. Il corridore della Bora-Hansgrohe ha dato appuntamento lì ai tifosi e forse, anche al destino. Scrivere che sulle rampe del vulcano Matteo “menava come un fabbro” è un po’ scontato e allora scriviamo che menava e basta. Gli scappava la bici da sotto il sedere e quando spingeva, il gruppo si assottigliava. E questo ha inciso anche sulle sue convinzioni, come vedremo.

Lo raggiungiamo in ritiro in Liguria. E’ in Riviera per allenarsi “al caldo” con gli ex compagni del Cycling Team Friuli, al quale è rimasto molto legato, come del resto quasi tutti i suoi colleghi passati per le mani di Roberto Bressan.

Matteo, ma che 2020 hai fatto! Quanto sei cresciuto?

E’ stata una buona stagione. Sono soddisfatto. Non sapevo neanche io cosa aspettarmi. Sì, non ho vinto però ho fatto delle belle prestazioni. Un Matteo diverso rispetto a quello di due anni fa.

Matteo Fabbro
Matteo Fabbro in salita verso l’Etna al Giro
Matteo Fabbro
Matteo Fabbro in salita verso l’Etna al Giro
Bressan ci ha raccontato che hai avuto diverse proposte per passare professionista, ma lui ti diceva di aspettare perché eri da WorldTour. E’ andata così?

Con Roberto c’è stata subito una bella amicizia. E’ stato uno dei pochi a credere in me. E’ vero, ho avuto diverse proposte da squadre Professional e lui mi diceva di non firmare e di aspettare una WT, che prima o poi sarebbe arrivata. Ci ha visto lungo. Anche più di me…

Ma tu sei sempre stato sereno di questa scelta? Oppure hai pensato che sarebbe stato meglio fare di testa tua?

Fino a quando non ho avuto gli infortuni (negli ultimi anni da dilettante ho rotto due volte la clavicola in un mese) ero tranquillo, aveva ragione lui, Roberto. Ma dopo… Ho pensato che forse sarei dovuto salire su uno di quei treni. Ho atteso ancora. Sono andato al Val d’Aosta, ho vinto e subito mi è venuta a cercare la Katusha Alpecin e a quel punto ho firmato. Ero un quarto anno U23. Un bel lieto fine.

Qual è un tuo pregio e un tuo difetto?

Il difetto è che tante volte non ascolto, faccio di testa mia, ma questo è al tempo stesso un pregio. Quando le cose non andavano bene, non ho dato retta a tutte le voci che avevo vicino.

Hai vinto da dilettante gare anche non durissime. Ti senti uno scalatore puro?

Diciamo di sì, se non altro per la mia statura e il mio peso, però in passato ho visto che me la cavo anche in alcuni sprint, quelli ristretti. E mi difendo a crono. Credo che queste due attitudini siano merito della pista.

Potrai fare mai classifica in un grande Giro?

Fino a questa stagione non ci pensavo, forse ci speravo. Posso provarci in futuro, non so se vincerò ma è possibile far bene visto come è andato il Giro quest’anno e visto che in pratica ho sempre lavorato per i miei capitani.

Hai già il calendario 2021?

Non è definito, ma so che partirò dall’Argentina e che poi punterò sul Giro.

Wilco Keldermann, il nuovo acquisto, lo conosci? Sarà lui il capitano del Giro?

Wilco l’ho conosciuto nel primo ritiro fatto in Germania la settimana scorsa: un bravo ragazzo, un grande atleta. Non so il suo programma, ma al Giro che ci sarà lui o un altro sono pronto a tirare per il capitano.

Matteo Fabbro
Matteo Fabbro e Giovanni Aleotti
Matteo Fabbro
Matteo Fabbro e Giovanni Aleotti
E se ti dicessero che sei tu il leader? Sarebbe uno stimolo o una pressione?

Se fosse così cercherei di farmi trovare pronto e sarebbe di certo uno stimolo, non sento la pressione.

Cosa hai provato a stare davanti in salita al Giro?

Eh, stare con i primi mi ha fatto un certo effetto, per me era tutto nuovo. Incredibile. La tappa che ha vinto Peter (Sagan, ndr) è stato il giorno in cui siamo andati più forte, in cui si sono registrati i wattaggi più alti di tutto il Giro. Su quei muri ha fatto una qualcosa d’incredibile. E’ andato in fuga da lontano e ha resistito al ritorno del gruppo.

Con te in Liguria c’è anche Giovanni Aleotti. Anche lui viene dal CTF e anche lui è arrivato alla Bora, se dovessi dargli tre consigli secchi, cosa gli diresti?

Giovannino! Prima dei consigli dico che lui se la saprà cavare al meglio, ne sono certo. Non è uno sprovveduto. Cosa gli direi e cosa gli ho già detto in parte: di ascoltare quelli più vecchi. Di avere pazienza, anche se è in un mondo che non aspetta. E di godersi questo momento, perché il primo anno tra i pro’ non torna più. Io non avevo un corridore di riferimento quando sono passato. La squadra non mi ha messo pressione, forse ero io che la vivevo male.

Rispetto a quando sei passato tu, Aleotti è più avanti o più indietro di te?

Posto che siamo diversi come corridori, dico che lui è più avanti sia a livello fisico che di risultati. Un secondo posto al Tour de l’Avenir significa che hai un qualcosa in più.