Modolo, ultimi 10 giorni al medio e poi lavori di soglia

22.12.2021
5 min
Salva

I corridori della Bardiani-Csf-Faizanè sono tornati in Italia. Il ritiro per il quale molti di loro si sono ritrovati a Benidorm (Visconti e Fiorelli sono invece rimasti a Palermo) ha dato ottimi frutti e così anche Modolo inizierà a breve ad alzare i giri della preparazione. Quando mancherà un mese al debutto di fine gennaio, quindi a ridosso di Capodanno, il trevigiano comincerà a puntare sulla qualità. E’ sempre affascinante seguire i progressi di un atleta di vertice, ascoltare il racconto delle sensazioni e della progressione della forma. E così con Sacha ci siamo avventurati nel racconto di questi giorni in cui si sta finendo di costruire la base, in vista del debutto.

«Le corse si vincono d’inverno – dice ripetendo l’adagio che appartiene alla storia del ciclismo – per cui al momento sto facendo soprattutto ore. Il numero è soggettivo. Quando arrivo a 4h30′ per me va bene, non mi serve di più e soprattutto nelle settimane dopo il ritiro arrivare a 4h va più che bene. Però ad esempio alla Vigilia e il 31 dicembre farò 5h30′ perché non sono mai uscito il giorno di Natale e nemmeno il primo dell’anno…».

Una risata e si parte, cercando di capire come sia strutturato questo periodo per il corridore tornato alla Bardiani dopo la parentesi di ombre e luci alla Alpecin-Fenix.

Per Modolo intervista con Andrea De Luca (Rai Sport) durante le visite di rito presso Fisiocortiana (foto Codeluppi)
Intervista con Andrea De Luca (Rai Sport) durante le visite di rito presso Fisiocortiana (foto Codeluppi)
Come sono organizzate le tue settimane?

Si fa doppietta e il terzo giorno si riposa oppure si mette la distanza o la palestra. Carico e scarico. Sino a fine dicembre si va avanti a questo modo. La palestra la tengo sino a fine inverno, poi con le corse la mollo. Si fanno le SFR e lavori al medio, poca soglia. Quella si comincia più avanti.

Lavorato tanto in Spagna?

Tanto e in modo diverso rispetto agli ultimi anni. Ho fatto molta più salita, ogni giorno la base erano almeno 2.500 metri di dislivello. Credo fossero due anni che non facevo SFR in modo serio. Alla Alpecin si lavora tanto sull’esplosività e alla Vuelta ero davvero brillante, anche se nella terza settimana mi è mancato il fondo. Io sono uno della vecchia scuola, le ripetute ci stanno sempre bene.

Come suddividi le doppiette?

Il primo giorno meno ore e più intensità e magari 20 minuti al medio. Il secondo giorno si allunga e di conseguenza calano i lavori specifici. Se poi capita di fare la distanza, in quelle 5 ore qualche lavoro lo metto sempre. Non mi piace portare a spasso la bici. Perciò metto sempre dentro la salitella da fare forte o la volata al cartello, se sono in compagnia.

Al ritiro di Faizanè anche la consegna delle Eevyebag per i cellulari degli atleti. C’è anche quella di Modolo (foto Codeluppi)
Al ritiro di Faizanè anche la consegna delle Eevyebag per i cellulari degli atleti (foto Codeluppi)
Si fanno spesso le distanze con altri corridori?

Sempre meno, in realtà. Ormai ognuno ha la sua tabella ed è sempre difficile per non dire impossibile far combaciare i programmi. Quando uscivo da dilettante, partivamo fino a venti corridori, ora si riesce a stare insieme alla Vigilia di Natale e l’ultimo dell’anno, perché si può improvvisare. E’ il brutto delle tabelle.

E’ necessario seguirle così alla lettera?

Ho cominciato a farlo anche io, così ci chiedono e così almeno siamo sicuri di fare tutto al meglio. Come alla Alpecin lavoravo con il preparatore della squadra, anche qua ho cominciato con Pino Toni che segue la preparazione della squadra e riceve i file di tutti i lavori. Ma se vedo che un mattino la bici non la muovo, giro, torno a casa e gli scrivo per cambiare programma. Al momento sto facendo più salita di prima, sento che ne ho bisogno.

Come è stato il passaggio dalla Canyon alla Cipollini?

Rapido e facile. Ormai le geometrie sono piuttosto simili e la MCipollini che mi hanno dato è adatta alle mie caratteristiche. Un altro mondo rispetto a quella del 2006 che aveva i cavi tutti esterni e il cambio meccanico. Ora uso la Ad.One, molto aerodinamica, adatta a un velocista.

Battaglin e Modolo hanno lasciato la Bardiani per il WorldTour, poi sono tornati… a casa. A destra, Tonelli
Battaglin e Modolo hanno lasciato la Bardiani per il WorldTour, poi sono tornati… a casa
Come ti alimenti durante gli allenamenti: segui la routine delle gare?

Cerco di starci attento, di fare le stesse cose. Ho avuto i miei problemi di infiammazioni, quindi non mi discosto dalle abitudini che funzionano. Poser ha risolto il problema e mi ha dato le linee guida, guai cambiare.

Nelle distanze si mangia di più, ovviamente?

Diciamo che mediamente ho innalzato l’apporto calorico in tutti gli allenamenti. Quando ero più giovane, mangiavo molto poco e non avevo problemi di tenuta. Adesso se non mangio dopo un paio d’ore, mi spengo. Mi portavo questa brutta abitudine, che ora ho eliminato. Perciò ho sempre le mie barrette e solo in ritiro si mangiano le rice-cake che fanno i massaggiatori. Io non saprei proprio come prepararle.

E’ il periodo di stare attenti al peso?

Lo è per molti, io per fortuna sono abbastanza tranquillo. Risolte le infiammazioni allo stomaco, mi sono accorto che non ho grosse variazioni di peso. Dopo la Vuelta ero 68,5, ora sono 69,5. Finché parliamo di un chilo, si può stare tranquilli. Chi ne prende di più invece ha qualche problema…

Ti fermi al bar durante la distanza?

Adesso no, perché fa troppo freddo e fermarsi e poi ripartire non fa bene alla salute…

Fra Zana e Battaglin, Modolo presso Fisiocortiana per le visite pre stagionali (foto Codeluppi)
Fra Zana e Battaglin, Modolo presso Fisiocortiana per le visite pre stagionali (foto Codeluppi)
Questa è anche la fase in cui si cura l’agilità, giusto?

Si dovrebbe fare anche dopo, ma adesso con più attenzione. Alla fine di un Giro, non riesci ad andare oltre le 85 pedalate e fai lavori per velocizzare. Adesso sulle salite cerco di stare sulle 90 e devo dire che si riesce bene.

Fra un po’ si alzeranno i giri?

Esatto, di solito a un mese dal debutto. Quindi più o meno la settimana prossima si comincia con l’intensità. E poi ci sarà il ritiro di Benidorm a partire dall’11 gennaio in cui andremo in cerca della brillantezza. E finalmente sarà il momento di attaccare il numero sulla schiena…

Con i “vecchi” rapporti ci sarebbero più differenze in salita?

27.11.2021
6 min
Salva

Oggi le differenze fra scalatori e passisti tendono ad assottigliarsi sempre di più, almeno pensando alle classifiche dei grandi Giri. E forse uno dei motivi dipende anche dall’evoluzione tecnica dei mezzi, a cominciare dai rapporti. Basta pensare ai primi passaggi sul Mortirolo o sullo Zoncolan. Chi andava agile aveva un 39×25 (sviluppo di 3,29 metri) a metà degli anni ’90, e 39×29 (sviluppo 2,94 metri) una decina di anni dopo. E per tutti più o meno era così. Invece il 34×32 con i suoi 2,39 metri cambia un bel po’ le cose.

Ma questo implicava una bella differenza tra Pantani e Indurain. O tra Simoni e i suoi rivali. In qualche modo queste soluzioni tecniche esaltavano le caratteristiche dei corridori. In salita lo scalatore poteva fare… lo scalatore. E a crono il passista poteva dare sfogo ai suoi watt con i rapportoni.

La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?
La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?

Rapporti più corti

Con l’arrivo delle corone compatte e dei rapporti sempre più corti, anche i corridori più pesanti si sono potuti salvare sulle pendenze più arcigne. In qualche modo sono riusciti a “annullare” il gap dovuto dal peso maggiore e sono riusciti ad esprimere la loro forza. Oggi Pantani avrebbe staccato Ullrich e Tonkov se avessero avuto una compatta?

E allora ci si chiede: perché non porre un limite allo sviluppo minimo dei rapporti in gara? Avrebbe un senso? In fin dei conti esiste il limite al peso (i fatidici 6,8 chili), il limite all’aerodinamica (carenature bandite) e persino il limite sul alcune misure (i 5 centimetri di arretramento). Perché quindi non può esserci un limite ai rapporti, tanto più se questi possono agevolare lo spettacolo?

Di questo parliamo con tre esperti: un preparatore, Pino Toni, un corridore, Mattia Cattaneo, e un tecnico, Giampaolo Mondini.

E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna
E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna

Parola al preparatore

«Una limitazione la vedo un po’ come una forzatura – dice Pino Toni – l’evoluzione tecnica ha permesso di tornare a registrare dei tempi sulle salite che si realizzavano in periodi di grande sospetto. Anni fa c’era un solo grande produttore di rapporti, adesso ce ne sono tre. E questo ha portato ad un regime di concorrenza, di spinta verso la ricerca. Una volta c’era il 23… e con quello dovevi andare su! Però per me le differenze sempre minori dipendono da un discorso più in generale di preparazione. Adesso tutti sono ben allenati, tutti sanno cosa devono fare e come arrivare ai propri limiti».

«Semmai uno dei motivi per cui tra scalatori e passisti c’è meno differenza non è tanto da ricercare in salita quanto in pianura. Adesso sul piano si va fortissimo e lo scalatore arriva sotto la salita più stanco. E infatti quando ci sono le cronoscalate le differenze tornano ad esserci eccome. E lì lo scalatore resta scalatore e il passista resta passista».

«Un Tom Dumoulin col 39×27 sul Mortirolo? Perderebbe ugualmente terreno. E’ fisica. Pesa di più rispetto ai rivali scalatori. Una cadenza più elevata lo avvantaggerebbe? Sì, forse su un muro al 20% ma per il resto delle salite no. E poi ripeto, le preparazioni sono migliorate e anche la biomeccanica si è evoluta. Gli atleti spingono meglio. E’ un discorso molto ampio che non si può legare solo ai rapporti».

Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono
Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono

Parola al corridore

Mattia Cattaneo forse meglio di tutti può entrare nel merito. Primo perché è un corridore forte e in piena carriera, secondo perché è la tipologia di ciclista moderno: forte in salita, fortissimo a crono.

«Con i percorsi attuali – dice il corridore della Deceuninck-Quick Step – è molto difficile attuare questa ipotesi del limite dei rapporti. Si potrebbe forse fare nelle corse di un giorno, ma non nei grandi Giri dove vengono inseriti sempre più spesso passaggi particolari, salite super ripide… E con certi rapporti “vecchio stile” la vedo dura. Per me poi non ci sarebbero grandi differenze».

Poniamo un’ipotesi a Cattaneo. Se sullo Zoncolan lui e Bernal, scalatore puro (o quasi), si trovassero spalla a spalla entrambi col 39×29 avrebbe meno chances di resistergli se invece avesse a disposizione un 34×30?

«Magari con un 34×30 resisto a Bernal un po’ di più – replica Cattaneo – ma le differenze sarebbero minime. Anche perché sapendo che si ha disposizione un limite di rapporto cambierebbe anche la preparazione. Tutti si allenerebbero in base a quello sviluppo metrico minimo e il gap resterebbe tale.

«Io lo vedo: quando facciamo le salite abbiamo sempre tutti lo stesso rapporto più o meno. Può esserci un dente di differenza. Quello che forse potrebbe cambiare un po’ nell’economia della corsa, ma mi riferisco ad un grande Giro, è che un rapporto più lungo può incidere sul recupero e ad un passista-scalatore resterebbe meno nelle gambe».

Il discorso appassiona Cattaneo che rilancia: «E poi se dovesse esserci un limite di rapporto minimo, immagino dovrebbe essercene anche uno sui rapporti lunghi per compensare. A crono per esempio non si potrebbe andare oltre al 55 e per me che uso il 58 sarebbe un problema, mentre per Bernal che usa il 55 normalmente non cambierebbe nulla».

Dumoulin e Froome gli ultimi “giganti” a vincere un grande Giro
Dumoulin e Froome gli ultimi “passisti” a vincere un grande Giro

Parola al tecnico

Infine, ecco l’opinione del tecnico. Giampaolo Mondini cura i rapporti tra Specialized e le squadre che il marchio americano supporta. “Mondo” più di altri tasta il polso degli atleti e conosce l’evoluzione tecnica, tanto più se si considera il marchio per cui lavora che spesso traccia la via.

«Non credo si possano creare queste grosse differenze – dice Mondini – io non sono per le limitazioni, che tra l’altro, abbiamo visto, hanno sempre funzionato poco nel ciclismo. E’ invece un’occasione per lo sviluppo tecnico. Penso per esempio al monocorona che potrebbe aiutare a ridurre il gap di peso dovuto ai freni a disco. Poi, si sa, l’UCI può decidere quel che vuole.

«Parliamo di scalatori e grandi Giri, ma chi sono i vincitori dei grandi Giri? Non sono forse scalatori? Piuttosto più che sui rapporti parlerei dei percorsi delle crono. Oggi vedi un prologo piatto magari di 10-12 chilometri in cui un Bernal può perdere 30” e poi delle crono più lunghe ma con 700-800 metri di dislivello che sono più per scalatori, o atleti completi. E spesso queste crono arrivano alla fine delle tre settimane e più che esaltare le qualità dei cronoman contano le energie. Va meglio chi ha maggior recupero. Ricordiamo Pantani: anche se c’erano crono piatte arrivava davanti. Le differenze minime dipendono anche dai percorsi quindi».

«Vero – riprende Mondini – secondo la fisica chi ha una leva più lunga ha bisogno di un rapporto più agile per spostare il peso (in questo caso i pedali, ndr). La pedivella più lunga spinge di più, ma ha anche un punto morto maggiore. E quando cala la velocità (e di conseguenza la cadenza) questo punto morto diventa così ampio che interrompe l’impulso, crea un problema e il passistone ha bisogno di un rapporto più agile. Solo che mi chiedo: oggi chi trae vantaggio da tutto ciò? Gli Ullrich e gli Indurain non ci sono più. Credo che gli ultimi vincitori di un grande Giro al di sopra dei 68 chili siano stati Dumoulin e Froome, ma l’ultimissima generazione ha alzato ancora l’asticella».

Resta quindi un po’ di scetticismo su un’eventuale limitazione dello sviluppo metrico minimo. Un po’ per il concetto di evoluzione e un po’ perché cambierebbero le preparazioni.

Tuttavia su pendenze estreme qualche differenza ulteriore potrebbe esserci. Meno marcata di quel che si può immaginare, ma con qualche pedalata in più il “bestione” sui muri può salvarsi.

Ancora su Training Peaks, stavolta però nei panni del coach

05.11.2021
4 min
Salva

Torniamo a parlare di Training Peaks. Ieri lo abbiamo fatto dal punto di vista degli atleti, adesso lo facciamo da quello del preparatore. Per l’occasione abbiamo pensato di chiamare in causa Pino Toni, il tecnico toscano che probabilmente è stato il primo in Italia a fare riferimento a questa piattaforma. Ammesso sia corretto chiamarla in questo modo.

Ci si possono caricare gli allenamenti che si registrano con i propri dispositivi e anche importarli da altre App come Strava, Garmin, Polar… In base agli strumenti che si utilizzano. Quindi massima disponibilità, per un sistema davvero “open source”.

Joe Friel, tra gli ideatori di Training Peaks e autore de La Bibbia dell’allenamento ciclistico
Joe Friel, tra gli ideatori di Training Peaks e autore de La Bibbia dell’allenamento ciclistico
Pino, quando hai iniziato a lavorare con Training Peaks?

I primi contatti credo risalgano già al 2005, io ero responsabile dell’SRM in Italia e Schoberer aveva conosciuto la piattaforma in Colorado dove da poco aveva aperto la sede americana di SRM. Organizzò l’incontro con il Team Telekom del quale eravamo consulenti come azienda. Dirk Friel e Gear Fisher i fondatori s’incontrarono con l’allenatore, Sebastian Weber, e partecipai alla presentazione. Ho iniziato ad utilizzarla nel 2009 quando lasciata SRM mi sono dedicato al Coaching (Giuseppe dirige Cycling Project, ndr).

Perché di fatto è un portale. Non un software…

Esatto è un sito, il software è WKO, oggi arrivato alla quinta versione. Dirk è figlio dell’autore de La Bibbia dell’Allenamento Ciclistico, Joe Friel, quindi non creato a caso. Anche lui è stato un corridore. Era un compagno di Bobby Julich, correvano insieme nelle categorie giovanili.

Cosa ti piace in quanto preparatore di questo sito?

Sul piano dell’analisi dei dati non dà molto di più di altri, ma puoi trasferirci tutti i dati e questo è ottimo per il lavoro del preparatore e per la programmazione. Ci si possono mettere anche impressioni, feedback, note, e chiaramente i dati degli allenamenti. Senza contare che è facile da utilizzare. Ed è internazionale, va bene per tutti. Oggi quando prendi un atleta la prima cosa che gli chiedi è l’accesso a Training Peaks.

Il fatto che sia internazionale e che “omogenizzi” un linguaggio, immaginiamo possa aiutare molto…

Sì. Da quest’anno, per esempio, ho iniziato a collaborare con la Bardiani Csf Faizanè e la prima cosa che ho fatto nella riunione che abbiamo avuto è stata quella di portare, di suggerire Training Peaks. Non tutti lo utilizzavano. Su 24 corridori ci sono 14 coach. Io seguo otto corridori. Va da sé che avere una “piazza” comune sia importante. Anche per la squadra stessa, per mettere a conoscenza tutto lo staff non solo su ciò che si è fatto in allenamento, ma anche quello che si andrà a fare. E magari correggere il tiro se non si è convinti di qualche allenamento. Si discute di questo o quel lavoro da fare.

Pino Toni, al Cicalino spiega ai ragazzi della Bardiani come dovranno lavorare con Training Peaks
Pino Toni, al Cicalino spiega ai ragazzi della Bardiani come dovranno lavorare con Training Peaks
Il cuore di TrainingPeaks quindi è WKO?

E’ utile per la programmazione e consente di fare analisi dei dati più precise.

In questo periodo in cui gli atleti si allenano in modo blando per esempio a cosa dai maggiore attenzione?

A tutto! Scherzi a parte, si dà maggiore importanza a valutare bene i valori che indicano il recupero uno di questi l’HRV per esempio. HRV sta per Heart Rate Variability ed è la variazione della frequenza cardiaca tra un battito ed un altro. Faccio un esempio. In un minuto, quindi 60 secondi, ho 60 battiti. Si può dire un battito al secondo. In realtà non è proprio così. Perché si ha un battito dopo 0,98” e un altro dopo 1,02” e maggiore è questa differenza e più il fisico di quell’atleta è riposato. E’ l’incidenza tra il sistema simpatico e parasimpatico, parte attiva e parte passiva. Esistono molti accessori che aiutano in questo, anelli, bracciali e orologi, non tutti li usano ma io da anni lo consiglio.

Tanti dati dicevamo, ma tutto ciò in qualche modo “alfabetizza” anche gli atleti? Li rende consapevoli di ciò che stanno facendo, caricando e parlando?

Sì – risponde secco Toni – e questo a mio avviso è molto importante quando poi si vanno a fissare gli obiettivi. E questo ottimizza ulteriormente il lavoro, sia mio che dell’atleta. Creare un grafico dell’allenamento in base a valori di soglia permette di avere un quadro completo di quello che andiamo a consigliare all’atleta e avere subito una previsione di TSS (training stress score), IF (intensity factor), NP (normalized power) tutti termini comuni anche nel dialogare con gli atleti.

Wout sfinito? Viaggio tra i preparatori per studiare il suo stacco

06.10.2021
6 min
Salva

«Ho bisogno di tre settimane di stacco». Wout Van Aert ha apertamente reclamato il suo riposo al termine della classica delle pietre. L’asso belga tra il mondiale e la Roubaix è sembrato stanco. O quantomeno non brillantissimo.

Anche un fenomeno quindi ha bisogno di riposo? E cosa succede a non fermarsi mai e a tirare costantemente la carretta? E con il ciclocross che lo aspetta come farà? Quanto è importante riposarsi? Tutte queste domande le abbiamo poste a quattro preparatori, anche di generazioni differenti, del panorama italiano ma dal richiamo internazionale: Paolo Slongo, Michele Bartoli, Pino Toni e Paolo Artuso.

Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata
Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata

Slongo: il picco contro Ganna

«E’ fondamentale staccare e recuperare – dice il preparatore della Trek Segafredo – Van Aert, per parlare del caso specifico, era uscito dal Tour, ha puntato poi alle Olimpiadi e al mondiale… quindi dopo questo lungo tour de force è giusto che stacchi tre settimane. Ma anche quattro direi. Ci stanno tutte.

«Se stacchi in stagione, può andare bene anche una settimana, ma d’inverno no. Poi lui ha il cross. Riprenderà soffrendo nelle prime corse e visto che il mondiale sarà a fine gennaio, sarà pronto per quel periodo, quindi se si ferma subito è in tabella per farsi trovare pronto. E poi bisogna vedere come stacchi. Stare fermo, fermo è una cosa, se invece si va a camminare, nuotare o in Mtb… è tutt’altra. 

«Van Aert non si ferma mai? Ma alla lunga tutto ciò logora. Logora chiunque, anche un campione come lui. Se tu programmi bene i tuoi impegni puoi fare tutto, ma se non stacchi mai e sei sempre sul pezzo alla fine salti. E soprattutto ti accorci la vita come atleta. Non credo che lui sia andato in overtraining, ma che sia in calando di forma sì. Per me il picco lo ha raggiunto nella crono iridata. Per stare a pochissimi secondi da Ganna ha sviluppato wattaggi enormi. Ha provato a dare il tutto e per tutto, ma da lì in poi il calo è stato evidente».

Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro
Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro

Toni: staccherà di meno

«Stacco tre settimane: queste parole dette dopo una Roubaix ci stanno – dice Toni – Una gara del genere ti resta addosso per giorni. Pensiamo solo alle mani. Per un po’ neanche riesci ad appoggiarti al manubrio. Io per esempio temevo per le donne, invece la Bastianelli ne è uscita alla grande.

«L’entità dello stacco dipende anche da che atleta si ha di fronte. C’è chi corre e chi rincorre (o deve lavorare per altri) e non tutti fanno la stessa fatica. Quindi si arriva in certi momenti della stagione con un livello di fatica differente. Poi un campione come lui in teoria ha un’altra capacità di recupero ed ha necessità di staccare meno».

«Lo stacco è importantissimo, ma sinceramente tre settimane mi sembrano tante. Con dieci giorni un atleta del genere torna come nuovo. Se pensiamo che dopo un Tour con 5-6 giorni di riposo vanno fortissimo e vincono le Olimpiadi… Bisognerebbe avere il calendario alla mano per sapere le sue gare. Ci sono due tipi di stop: quello nel bel mezzo della stagione e quello alla fine, in cui è importante staccare anche di testa. Anche perché, non dimentichiamolo, lui ogni volta ha corso per vincere e questo conta tanto». 

Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono
Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono

Artuso: tanti “sforzoni” al Tour

«Una gara come la Roubaix la senti anche per dieci giorni a livello muscolare – spiega Artuso – magari sul piano metabolico la smaltisci in un giorno o due come un tappone, ma su quello fisico i piccoli danni muscolari che vai a creare non sono pochi, quindi ci sta che fosse molto stanco in quel momento.

«Per dire se 3-4 settimane sia tanto o poco bisognerebbe conoscere i suoi impegni a venire. Di certo lui è a tutta da tanto tempo: la primavera, il Tour, le Olimpiadi, il mondiale… e non ha mai corso al risparmio. Anche al Tour, dopo il ritiro di Roglic soprattutto, la squadra ha corso in modo diverso ed è stato chiamato a dei super “sforzoni”. La fatica si è accumulata nei mesi e la Roubaix è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non so che carichi di lavoro abbia fatto: sarebbe interessante per capire.

«Ci sono due tipi di stacco: quello nella stagione, che serve per assimilare il lavoro fatto (over reaching). E poi c’è quello più profondo, in cui devi perdere la condizione per ritrovare poi altri picchi. E quest’ultimo è importante per ristabilirsi anche a livello ematico e mentale».

Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada
Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada

Bartoli: deve scegliere

E partendo da quest’ultima frase ci si può collegare a Michele Bartoli, per il quale ripristinare le scorte è fondamentale.

«Vero, Van Aert era stanco e secondo me anno dopo anno si troverà sempre più in difficoltà – dice secco l’ex grande corridore toscano – e come lui anche Van der Poel. Sono due campioni, ma sono due umani, non due macchine e le energie fisiche non sono infinite. Se pensate che io dico ai miei atleti, che non fanno il cross, di staccare 3-4 settimane, figuriamoci lui. Dico ai miei ragazzi di non pensare di essere ciclisti in quel periodo. Certo, un po’ di vita la devono fare, ma devono staccare soprattutto a livello mentale. Se ne dovrebbero andare ai tropici!

«Per Van Aert che ha il cross, staccare è più difficile. Io non credo che lui starà tre settimane senza bici, altrimenti comprometterebbe la sua stagione del ciclocross. Potrebbe aver detto quella frase sulla base di uno sconforto momentaneo».

«Avesse 34 anni okay: fai 2-3 anni a tutta, cross e strada, e via… ma è ancora giovane. Cosa succede a non staccare? Che non reintegri mai le riserve della stagione precedente. Chi non riposa bene recupera al 99%. Se ogni anno togli l’1% al tuo motore dopo dieci anni hai perso il 10%. E per ripristinare le scorte e azzerare le fatiche fisiche e mentali c’è solo una cosa: il riposo. Altro che corsa, Mtb, piscina… a cosa serve fare queste cose ai fini della prestazione di tanti mesi più in là per atleti di questo livello? Non si riposano bene e basta. Se Wout dovrà scegliere? Glielo auguro presto. Ho sempre detto che mi piace più di tutti e non vorrei perdesse la sua supremazia».

Dall’esempio di Verre, riflessioni sul passaggio tra i pro’

22.09.2021
5 min
Salva

Alessandro Verre, under 23 di secondo anno passato a fine 2020 dal Team Casillo alla Colpack-Ballan, diventerà professionista il prossimo anno alla Arkea-Samsic con contratto triennale. Il piccolo lucano, molto forte in salita, è stato in alcuni momenti una delle note liete della stagione. Ha vinto tre volte. A Corsanico, nella tappa di Pollein al Val d’Aosta e al Trofeo Città di Meldola, ottenendo inoltre alcuni piazzamenti interessanti. Secondo le logiche del ciclismo di un tempo, quello in cui si cresceva nella squadra dei dilettanti per essere pronti al grande salto, dopo un primo anno così convincente, prima del passaggio avrebbe avuto bisogno di un’altra stagione per consolidarsi. Secondo le logiche del ciclismo di oggi e vedendo lo sport come un lavoro, perché non dovrebbe passare?

Alessandro Verre vince il Trofeo Città di Meldola: è il 18 aprile, prima vittoria stagionale
Alessandro Verre vince il Trofeo Città di Meldola: è il 18 aprile, prima vittoria stagionale

Non ancora vent’anni

Verre compirà 20 anni il prossimo 17 novembre. E’ forte in salita, ma al confronto con compagni già maturi come Baroncini e Gazzoli avrebbe forse bisogno di formarsi ancora.

«A chi lo avrà il prossimo anno – dice il suo direttore sportivo Antonio Bevilacqua – suggerirei di seguirlo con più attenzione negli allenamenti, di parlarci più di quello che si fa abitualmente con un corridore esperto. Lui è forte e talentuoso e per la preparazione si fa seguire da Pino Toni. Magari continuerà a lavorarci ancora. E’ stato un po’ una sorpresa il fatto che abbia deciso di passare, avrebbe potuto fare qualche corsa tra i professionisti anche con noi, ma ha deciso così e per questo gli facciamo i migliori auguri».

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana. Le sue considerazioni sul passaggio sono molto interessanti
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia. Le sue considerazioni sul passaggio sono interessanti

Una corsa sfrenata

Verre per gli allenamenti lo segue Pino Toni, si diceva. E a lui ci rivolgiamo per capire se il ragazzo sia veramente pronto per il passaggio.

«Analizziamo i fatti – dice – i procuratori iniziano a collaborare con ragazzi sempre più giovani e chiaramente devono immetterli nel mercato del lavoro. Li propongono alle squadre a discapito di quelli che ci sono già. I posti nel mondo del professionismo sono quelli, per mettere dentro uno nuovo, tolgo spazio a uno che c’è già, che sia mio o di un altro. Il lenzuolo è corto. E magari ragazzi che hanno fatto solo due anni di professionismo e non hanno avuto i risultati che ci si aspettava, ragazzi su cui le squadre potrebbero investire ancora, si ritrovano senza lavoro. Io mi domando, l’atleta che smette è stato “bruciato” dalla precocità atletica o dalla ricerca sfrenata del fuoriclasse? Tutti vogliono proporre il giovane perché sperano di avere il Pogacar e il Bernal che a 20-22 anni vince il Tour. Quindi bruciano quelli passati prima».

Alessandro Verre è uno scalatore molto forte: classe 2001, compirà 20 anni a novembre
Alessandro Verre è uno scalatore molto forte: classe 2001, compirà 20 anni a novembre

Caccia al fenomeno

Il sistema è chiaro, il meccanismo sotto gli occhi di tutti. Se le continental protestano, si ritrovano contro i procuratori che ormai presidiano il fronte e hanno sui corridori maggior ascendente rispetto ai direttori sportivi. E così il meccanismo che si è messo in moto a fine 2018, quando Evenepoel ha sbalordito il mondo, va avanti a tutto vapore.

«Io spero che fra qualche anno cambierà – dice ancora Bevilacqua – perché non tutti sono fenomeni. E magari anche le squadre dei professionisti ci penseranno bene prima di prendere così tanti ragazzini. La sensazione però è che abbiano tutti paura di perdere il fenomeno, per cui continuano a farli firmare giovanissimi. Mi chiedo se chi investe nelle squadre continental o quelle dei dilettanti andrà avanti a oltranza, sapendo che basta un piazzamento per perdere il corridore su cui ha investito».

Lo staff tecnico della Colpack-Ballan al gran completo, con Valoti, Rossella Di Leo, Ayuso, Antonio Bevilacqua e Flavio Miozzo
Lo staff tecnico della Colpack-Ballan al gran completo, con Valoti, Rossella Di Leo, Ayuso, Antonio Bevilacqua e Flavio Miozzo

L’età giusta

A un certo punto, insomma, ti rendi conto che lo standardi per il passaggio al professionismo non dipende dal livello tecnico raggiunto e dalla maturazione dell’atleta, bensì dalla capacità del mercato di assorbire nuovi atleti a scapito degli altri.

«A che età si è pronti per andare a lavorare? E’ un dilemma – riprende Toni – è chiaro che se le squadre continental ti dessero la tranquillità di uno stipendio, anche Verre potrebbe restare ancora nella categoria con i giusti stimoli. Ma come fai a suggerirgli di fare un altro anno con un rimborso spese se di là ti propongono uno stipendio superiore a quello di un impiegato di banca? Se lo seguirò ancora? Non lo so, abbiamo lavorato benissimo e c’è stima di entrambi, ma quando sei professionista devi anche attenerti a quello che ti scrivono sul contratto, per cui vedremo. Difficile dire se sia troppo giovane per passare, ma di sicuro ormai è diventato tutta una corsa al ribasso. Magari c’è anche un aspetto economico, nel senso che un corridore giovane ti costa sicuramente meno e ha meno pretese. La storia dice che tanti si sono bruciati, ma tanti sono andati avanti. Magari arriveranno ai 32-33 anni e poi smetteranno, l’importante è che abbiano preso dal ciclismo quello che potevano, prima di entrare per tempo nel mondo del lavoro».

Chris Anker vive ancora nelle parole di chi gli ha voluto bene

22.09.2021
4 min
Salva

Le strade nella campagna fra Bruges e il mare sembrano dipinte. Casette senza recinzioni. Alberi e zone in ombra lungo i canali. Cavalli e mucche che trascorrono placidamente il tempo. Eppure, per un motivo che sarà difficile decifrare, sabato in questo quadro idilliaco di pace e verde, Chris Anker Sorensen ha perso la vita mentre era sulla bici che, pur avendo smesso di correre, portava sempre con sé.

«Amico dolce, premuroso e talentuoso – scrive Brian Nygaard su Twitter, addetto stampa alla Saxo Bank – è insopportabile pensare che non ci vedremo mai più. Eri sempre lì per tutti gli altri, anche quando stavi facendo le cose più belle per te stesso nella tua vita e nella tua carriera. Riposa in pace, Chris Anker Sorensen. Non c’è consolazione, solo amore».

Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)
Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)

Gregario col sorriso

Vinse la tappa del Terminillo al Giro d’Italia del 2010. Raramente gli riusciva di alzare le braccia, pur essendo uno di quelli sempre all’attacco, quando non aveva da aiutare il capitano. Quella volta staccò Simone Stortoni e Xabi Tondo, altro gregario dal sorriso che l’anno dopo avrebbe incontrato una fine anche peggiore. Nel 2008 invece era arrivato da solo a La Toussuire, nel Delfinato vinto da Valverde su Cadel Evans.

Però sapeva far vincere e nella Saxo Bank in cui corse gli anni migliori, non mancarono le occasioni di fatica per condurre il capitano al successo. Come alla Vuelta 2014 al fianco di Contador e il Tour del 2010, quello vinto da Contador sulla strada e poi passato a Schleck per la squalifica dello spagnolo.

E Chris Anker Sorensen era sempre pronto agli ordini di Riis, con il suo sorriso sempre in faccia. Danese che sapeva anche lasciarsi andare al confronto del ben più gelido team manager

Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador
Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador

La casa a Lucca

Il dolore ha viaggiato subito sui social e ha riportato alla memoria altre storie identiche. Un uomo giovane che stava vivendo la sua passione e lascia a casa una moglie e due bimbe.

«Penso proprio alle sue bimbe – racconta Pino Toni, che di Sorensen fu a lungo l’allenatore – perché mia figlia faceva loro da baby sitter. Aveva comprato casa fuori le mura di Lucca, una bifamiliare col suo giardino intorno. La moglie aveva preso l’aspettativa dal lavoro per seguirlo in Toscana, poi quando finì di correre decisero di tornare in Danimarca. Io l’ho conosciuto che era già in Toscana e so che mi riteneva un amico. Di noi toscani aveva preso il gusto di mangiare, ma essendo un corridore alle dipendenze di Bjarne Riis non era il tipo che esagerava. Non faceva chissà quale vita fuori dalla bici, stava tanto in famiglia. Avevamo legato molto, per come si può legare con un danese».

Bennati e l’altro Sorensen

Ricorda Daniele Bennati, che con Sorensen ha corso quattro anni, che si era così radicato in Toscana da aver preso anche delle sfumature dell’accento.

«Assieme a lui – ricorda Daniele – abbiamo vinto la Vuelta del 2014 con Contador. Era uno di quei corridori che un capitano vorrebbe averse sempre, Alberto compreso. Dio solo sa quante borracce e quanti chilometri in salita gli toccò tirare, mentre Tosatto e io facevamo il lavoro in pianura. Sabato ero nel Chianti alla partenza della Gran Fondo Gallo Nero e c’era anche Rolf Sorensen, il “biondo”. Era distrutto. Il fatto era appena successo. Doveva andare anche lui in Belgio per commentare i mondiali e raccontava che la tv danese avrebbe lasciato ai suoi uomini la possibilità di scegliere se andare o fermarsi qualche giorno per assorbire il dolore».

La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)
La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)

Guida per i giovani

L’altro giorno il vincitore danese della cronometro under 23, Johan Price-Pejtersen, ha parlato di Chris Anker come di un’ispirazione per i giovani ciclisti danesi.

«E lui proprio con i giovani dava il meglio – ricorda ancora Pino Toni – perché riusciva a spronarli in modo incredibile. Ricordo che mi trovai a fare il direttore sportivo da solo nel Giro di Polonia del 2013 che partiva dal Trentino. E ricordo che grazie a lui riuscimmo a prendere la maglia di leader con Majka in cima al Pordoi, dove finiva la prima tappa. Chiaro che dei morti si parla sempre bene, ma lui era bravo davvero. L’ultima volta che l’ho visto, eravamo alla Vuelta del 2019 e mi fece un’intervista sui sistemi di navigazione delle ammiraglie».

I corridori danesi che finora hanno brillato ai mondiali del Belgio hanno rivolto una parola al gioviale gregario di 37 anni che proprio per raccontare meglio i percorsi delle cronometro che sarebbe iniziate di lì a poche ore, nella mattinata di sabato 19 settembre aveva deciso di percorrerne in bici i chilometri. In un bel mattino fresco di sole, che annunciava ignaro un’altra giornata meravigliosa…

I tre strumenti fondamentali per il preparatore moderno

06.08.2021
5 min
Salva

Lo abbiamo (ri)visto anche in queste Olimpiadi: la preparazione è fondamentale. Il nostro quartetto, per esempio, è stato perfetto in tutto. Condizione, alimentazione, dettagli, materiali, idratazione, massaggi… Si parla di atleti fatti al computer: magari non è proprio così, ma essere aggiornati, anzi avanti, è sempre più importante. E allora ci si domanda il preparatore moderno a cosa faccia riferimento per la crescita dei suoi atleti. A Pino Toni, coach toscano sempre all’avanguardia, abbiamo chiesto i tre “strumenti” principali su cui basa il proprio lavoro. E come sempre la sua risposta è stata molto chiara.

«I tre strumenti, chiamiamoli così – dice Toni – sono il potenziometro, il misuratore del lattato e il misuratore della glicemia. Con essi si misura-monitoria rispettivamente: la parte del “motore, la parte da cui estrapolare i valori su cui lavorare e la parte dell’alimentazione».

Il computerino di un misuratore di potenza fornisce moltissimi dati, non solo i watt. E’ il primo fra gli strumenti…
Il computerino di un misuratore di potenza fornisce moltissimi dati, non solo i watt

Potenziometro e computerino

«Per misuratore di potenza – dice Toni – intendo anche il computerino nella sua “completezza”, per dire che non si fa riferimento solo ai watt, ma ci si leggono anche le capacità prestative dell’atleta: quanto riesce a spingere, come… Un dato importante che si ha per esempio è la cadenza. Questa ci dice come sviluppa la potenza quel ragazzo e analizzi il suo gesto atletico».

Questo è chiaramente lo strumento base. Quello che ci dice i dati più importanti, immediati e facilmente comprensibili, anche per svolgere dei lavori. Ma chiaramente nel ciclismo elitario di oggi non basta più.

Pino Toni esegue un test del lattato
Pino Toni esegue un test del lattato

Lattato e Inscyd

Il misuratore del lattato invece serve per individuare le zone di lavoro che serviranno per i successivi allenamenti. Da qui puoi tirare fuori moltissimi dati, come i vari metabolismi che stai stimolando. In pratica puoi capire quanti grassi o carboidrati stai consumando.

«Tra questi test il più conosciuto è quello di Sebastian Weber. E da qui, in modo più approfondito, ne deriva l’Inscyd».

E’ un po’ una libreria: che indirizza molto bene il preparatore e che aiuta il corridore a conoscersi. E’ utile sia nel breve periodo che nel lungo. Se per esempio sei in gara o magari a gennaio per non fare dei fuorigiri inutili. E’ qualcosa che va ad analizzare più il corpo, “la centralina” e non tanto i suoi effetti cioè i valori espressi (watt, battiti, velocità…).

Il rilevatore Supersapiens, che controlla la glicemia in tempo reale
Il rilevatore Supersapiens, che controlla la glicemia in tempo reale

Glicemia sotto controllo

E la glicemia la puoi vedere anche in tempo reale. Si può anche condividere su un altro dispositivo, semmai c’è qualcuno che ti segue in allenamento o in gara. Quello che è importante è che puoi vederci i picchi glicemici o quando sei troppo vuoto. E’ un po’ come la lancetta del serbatoio della benzina».

Che poi è il famoso dispositivo (Supersapiens, ndr) che è stato utilizzato e contestato alla Jumbo-Visma.

«Beh, loro – commenta Toni – per me sono stati dei furbacchioni. Sono stati loro stessi a chiedere all’Uci se lo potevano usare in gara. E chiaramente l’Uci ha detto di no. Ma perché lo hanno fatto? Perché ormai lo utilizzavano anche gli altri, solo che loro avevano già tutti i dati. Gliel’ho visto (di persona) utilizzare per la prima volta all’inizio del 2019».

Mai restare a secco: l’obiettivo del corridore moderno. Per farlo possono andare bene gel, malto, barrette e cibi tradizionali
Mai restare a secco: l’obiettivo del corridore moderno. Per farlo possono andare bene gel, malto, barrette e cibi tradizionali

L’importanza dell’alimentazione

E su questo ultimo “strumento”, ammesso si possa chiamare così, Toni si sofferma. In base alla sua esperienza e alla sua capacità di essere un innovatore il preparatore toscano fa molto riferimento alle curve glicemiche.

«In questo momento – spiega Toni – con un atleta di vertice si ricorre a delle analisi che indicano la sua capacità di mantenere la potenza dopo determinati step di consumo energetico, per esempio dopo 1000 kj (chilojoule, cioè l’unità di misura adottata per indicare l’energia spesa. Ogni chilocaloria (kcal) equivale a 4,186 chilojoule, ndr), dopo 1.500 kj o 2.000 kj. Studi le curve di potenza espresse col passare delle spesa energetica. Faccio un esempio, dopo 1.500 kj, generalmente circa 2 ore di gara (me è un dato variabile), sui 20′ la tua curva di potenza è scesa del 10%. Questo ti dice i tuoi valori di resistenza. 

«Se dopo 2000 kj ha perso solo l’1-2% di potenza sai che quell’atleta è in condizione e ha anche ottimizzato l’alimentazione. Ma la cosa molto interessante riguarda proprio l’alimentazione. Se sai che quell’atleta è in condizione ma perde molta potenza, evidentemente è perché non si è alimentato bene. A quel punto si raccolgono i dati e si analizzano anche con il nutrizionista.

«Oggi, ragazzi, tutti si allenano bene, la differenza la fai nelle piccole cose, che poi non sono piccole, come quelle che riguardano l’alimentazione – conclude Toni – Chi sta avanti è perché è avanti con l’alimentazione. E ne sa interpretare i dati. Noi siamo quello che mangiamo… soprattutto in corsa. Il corridore che va forte è quello che non è mai vuoto».

Ecco perché Marta tornerà quella del 2019. Parla l’allenatore

08.06.2021
4 min
Salva

Il ragionamento di Pino Toni, allenatore di Marta Bastianelli, non fa una grinza. «Nel 2019 – dice – Marta era l’unica che poteva competere e che batteva le olandesi. Ha cominciato con la Vos e poi le ha messe in fila tutte. Se arriva in fondo alle Olimpiadi, per le altre è buio profondo, perché lei pesca energie dove in apparenza non ce ne sono. Ci sono dei motivi se finora non è andata forte come allora e ce ne sono altri per dire che tornerà a quel livello».

Dritto all’osso, senza voler per forza lanciare messaggi. Con chi andare a Tokyo, oltre che con Elisa Longo Borghini? Quale delle nostre ragazze ha già vinto grandi corse? Pino ragiona e anche se la sua è ovviamente una posizione di parte, proviamo a capire se ci siano effettivamente i margini per dire che Bastianelli (in apertura nella foto di Francesco Lasca) tornerà quella del 2019, quando vinse il Giro delle Fiandre.

Nel 2019 vince il Giro delle Fiandre, obiettivo sin da inizio stagione
Nel 2019 vince il Giro delle Fiandre, obiettivo sin da inizio stagione
Perché dopo quella stagione c’è stato il blackout?

Marta ha fatto un grande anno con la Virtu di Bjarne Riis, uno che sa motivarti. Ci ho lavorato per 10 anni, prima come uomo di Srm e poi in squadra. Alla fine di quella stagione, anzi durante, venne però fuori che la squadra si fermava e alla ripartenza con la Alé, è arrivato il lockdown che l’ha costretta a fermarsi. Zoppicava. Non si riusciva a fare due allenamenti di fila fatti bene. E a quel punto è saltato fuori il virus nella maniera più subdola.

Perché subdola?

Perché è difficile accorgersi che qualcosa non va, se l’unica attività puoi farla sui rulli. Si poteva pensare a stanchezza, la scarsa motivazione vista la situazione e il rinvio delle Olimpiadi… di fatto i sintomi non sono stati riconosciuti subito.

Le Olimpiadi sono una grande spinta come dice?

Le ha nella testa. Con il suo palmares, che comprende un mondiale, un europeo e decine di grandi corse, è incredibile che non vi abbia mai partecipato. Inoltre chiunque faccia parte di corpi militari, sa che le Olimpiadi sono il vero motivo di esistenza di quei gruppi sportivi. Te le inculcano. E per il bene ricevuto dalle Fiamme Azzurre e per sdebitarsi con chi l’ha sempre supportata, Marta vede nelle Olimpiadi un passaggio chiave per andare avanti.

Mononucleosi e citomegalovirus insieme sono stati un bel colpo.

A primavera era sotto schiaffo, una concomitanza come quella debilita.

Marta secondo il suo allenatore è fra le poche che può battere le olandesi. Agli europei del 2018, si è lasciata dietro Vos e Brennauer
Agli europei del 2018, Marta si è lasciata dietro Vos e Brennauer
Perché, da allenatore, pensi che possa tornare al livello del 2019?

Perché vedo i suoi numeri e credo che a 33 anni, ne abbia ancora 3 davanti in cui essere a livelli altissimi. Ma dipende da lei e da chi con lei lavora.

Che cosa significa?

Il ciclismo femminile sta andando nella direzione degli uomini. Si corre sempre di più all’estero e si sta tanti giorni via da casa. Per una mamma non è facile, servono motivazioni molto superiori. Non ci sei a un’età in cui tua figlia cresce un po’ ogni giorno. Va bene che hai accanto un marito come Roberto e le rispettive famiglie che ti aiutano, ma tu sei la mamma. E sai che se vuoi rimanere ad alto livello, devi adattarti, perché vanno tutte più forte. Il WorldTour sta cambiando le cose.

E’ così palpabile?

Stanno arrivando i riscontri pubblicitari, ci sono le dirette. Aumenta tutto. E vedrete che i team WorldTour che finora hanno gestito tutto appoggiando le donne allo staff degli uomini, fra poco saranno costretti a diversificare ulteriormente i gruppi, proprio per stare dietro alle ragazze. In questo contesto, Marta è ancora competitiva. Lo deve volere lei, deve essere super convinta che tanti sacrifici portino da qualche parte. Chi è intorno a lei deve darle stimoli alti.

Per chi corre nei corpi militari (da sinistra Paternoster, Cecchini, Frapporti, Bastianelli, Lamon e Guderzo) le Olimpiadi sono il vero focus
Per chi corre nei corpi militari le Olimpiadi sono il vero focus
Lo hai già detto: che cosa significa?

Ricordo che al primo raduno con la Virtu, senza che Bjarne neppure la conoscesse, ci ritrovammo a parlare di programmi. E lui cominciò a dirle che doveva puntare sul Fiandre. Andò avanti a dirglielo finché il Fiandre lo vinse davvero. Nell’Italia ci sono ragazze che possono lottare per un piazzamento e lo hanno dimostrato. Il percorso di Tokyo è meno duro di quello degli uomini, la salita si farà di rapporto. Marta se arriva in fondo lotta per vincere, non mi pare un aspetto trascurabile. Ma deve sentire che le persone che ha attorno credono in lei.

In forma troppo presto? Le considerazioni di Pino Toni

08.05.2021
4 min
Salva

Ricordate quando qualche settimana fa Mattia Cattaneo ci aveva detto di aver raggiunto il suo picco di forma nella prima gara all’Uae Tour? E sempre lui aveva aggiunto che dovendo correre al posto di alcuni compagni, causa Covid, la sua preparazione aveva un po’ sbarellato? Ebbene con coach Pino Toni vogliamo commentare questa situazione che tra l’altro non è stata l’unica.

Cattaneo sulle strade del Tour de Romandie, dove ha chiuso 12° nella generale
Cattaneo al Tour de Romandie ha chiuso 12° nella generale
Pino, ma davvero si può entrare in forma subito?

Partiamo dal presupposto che bisognerebbe conoscere i veri programmi della squadra, soprattutto in questo caso. In Deceuninck-Quick Step ci sono ragazzi di un certo valore e la squadra ci tiene a fare bene in tutte le corse a cui prende parte. Una volta loro puntavano quasi solo sulle classiche, adesso guardate che squadra hanno portato al Giro! Programmi che vengono fatti quindi secondo le necessità del team. Magari volevano fare bene subito all’Uae Tour e hanno individuato in Mattia l’uomo più adatto. Il Giro d’Italia per lui non era in programma mi è sembrato di capire. Quindi ci stava che partisse forte.

E hanno sfruttato il fatto che la Vuelta fosse finita tardi?

Esatto. Chiedi meno all’atleta durante l’inverno per entrare in condizione. Io poi penso che in quel team difficilmente i preparatori sbaglino se il corridore effettivamente fa quello che gli dice la squadra. Cattaneo non è un ragazzino: oltre ai dati dei file avrà comunicato loro anche i suoi feedback. 

Nelle Ardenne diceva di essere stanco, però poi al Romandia è andato forte…

Magari ha influito mentalmente il fatto che abbia corso quando invece doveva staccare. Ci sono tanti aspetti da valutare. Per esempio: qual era veramente il suo obiettivo? Cattaneo ha 30 anni, percepisce uno stipendio buono, è un ottimo gregario. Se ci sono delle gare in cui può puntare e poi non può prepararle come deve perché deve correre al posto di altri, ci sta che perda un po’ di motivazione. Ma queste sono supposizioni.

A crono una posizione pressoché perfetta per Cattaneo
A crono una posizione pressoché perfetta per Cattaneo
Chiaro, non siamo qui per fare il processo a Cattaneo ci mancherebbe. Vogliamo analizzare un aspetto tecnico che tra l’altro ha riguardato anche altri corridori. Un aspetto che ci dice quanto sia complicato progettare al giorno d’oggi una stagione agonistica.

Pertanto, tornando al nostro caso, è importante anche l’aspetto psicologico. Cattaneo ha fatto secondo a un Tour de l’Avenir che io ho seguito da vicino. E’ un corridore vero. Alla Deceuninck è migliorato ancora.

Vero, anche a crono come ha detto lui stesso…

Ecco su questo vorrei fare un appunto. Chi è che migliora a crono? Chi utilizza certe bici e fa certi investimenti sui materiali e di conseguenza sulle posizioni. E questo ha un costo. Un costo elevato. Penso al trattamento della catena, alle ruote, ai cuscinetti, alla riduzione del peso… una bici da crono di un campione professionista è totalmente diversa da quella che esce dalla casa. Ciò non toglie che Mattia sia andato forte.

Pino, torniamo al discorso del picco di forma trovato già all’Uae Tour. Comunque tra la Vuelta e la corsa asiatica ci sono tre mesi, non è poco.

Considerate che l’atleta esce da tre settimane di sforzo pieno e poi si deve riposare perché è a fine stagione. In questo modo fa una vera supercompensazione, tanto più l’anno scorso che la Vuelta è finita tardissimo. Quando riprende, il livello è molto più alto che se avesse fatto il Tour e poi si fosse trascinato fino a fine anno con gare di un giorno. Nel primo caso finisce la corsa a 140, dico un valore a caso, e riparte da 100. Nel secondo finisce il Tour a 140 ma poi scende man mano a 100 e riparte da 60. E’ un bel gap. Per questo da sempre sostengo che per far crescere un giovane la Vuelta è la miglior corsa.

Per Toni la Vuelta è il miglior modo per far crescere un giovane, Gaudu ne è l’esempio lampante
Secondo Toni con la Vuelta un giovane può crescere, Gaudu ne è l’esempio lampante
Per questo ha toccato il picco di forma a febbraio?

Anche in questo caso bisognerebbe conoscere i suoi dati reali: è stato davvero un picco di forma o era lui che “andava facile”? Mi spiego. Un conto è se in gruppo ci sono 100 corridori che sono al top e un conto se ce ne sono 20: le velocità cambiano. Per me non era al top lui.

Perché?

Perché altrimenti non avrebbe fatto il Romandia che ha fatto e non avrebbe tirato fuori quella prestazione a crono. E’ arrivato settimo in una frazione piena di campioni e specialisti. Per di più una crono molto esplosiva, 16 chilometri da fare a tutta, fuori soglia, in acido lattico. Per me al Romandia Cattaneo è andato più forte che all’Uae Tour, poi magari aveva sensazioni peggiori perché c’era tanta gente che andava più forte.