Per le ragazze di Salvoldi, gli europei di Plovdiv saranno l’ultimo sforzo della stagione. Non essendo previste le prove di Coppa del mondo, dopo le gare bulgare inizierà finalmente il meritato riposo. Per il tecnico lombardo l’ultima non è stata certo un’annata serena, per cui parlare di sport è il modo migliore per andare avanti, tenendone fuori altri discorsi più adatti semmai ad altre sedi.
Il gruppo appena arrivato in Bulgaria è forte delle sue migliori individualità, con l’eccezione di Letizia Paternoster, rientrata in gara ai campionati italiani del 31 ottobre e poi spedita in Spagna per la Vuelta assieme ad altre azzurre come Balsamo e Consonni.
Dino, con quali ambizioni siamo in Bulgaria?
La qualità del gruppo ci consente sempre di gareggiare per qualcosa di importante, nonostante il contesto non ci abbia consentito di lavorare e progredire come volevamo.
Che cosa intendi?
Siamo stati fermi per due mesi. A maggio siamo andati avanti con allenamenti individuali. I due mesi prima che riprendessero le corse su strada sono stati i più proficui sul piano tecnico. Abbiamo fatto lavori specifici, migliorato le posizioni, quello che altrimenti si ha poco tempo per fare.
Tutto senza Paternoster…
E’ stata la sola eccezione alla normalità. L’aspetto positivo è che finalmente non ha più male al ginocchio.
Obiettivo Tokyo?
Facendo però una considerazione. Non ho mai fatto segreto dicendo che le Olimpiadi per noi rappresentano un passaggio importante, ma intermedio. Per questo gruppo si tratta della prima volta, per cui non sarà facile garantire il risultato al cospetto di avversarie al top che magari proprio a Tokyo saranno al culmine della propria parabola atletica. Andiamo per fare il nostro meglio, per fare esperienza e con l’idea di dominare nel 2024. Cercando di fare del nostro meglio per primeggiare in questo nuovo ciclismo globale.
Chiarisci il concetto?
Se fossimo una squadra come accade nel calcio, potremmo allenarci sempre insieme e saremmo in grado di pianificare meglio il lavoro. Dipende dalla cultura sportiva del Paese in cui nasci. Il contesto italiano per certi versi è splendido, per altri ha dei limiti che con il passare del tempo si acuiscono. Il reclutamento da noi avviene tramite le società sportive, basate spesso sul volontariato ma senza una grande competenza tecnica. All’estero ci sono dei centri federali in ogni città, in cui si viene immessi da subito in un percorso più qualificato. Senza che la strada abbia il peso che ha da noi.
Anche fra le ragazze è così?
In questo momento per fortuna c’è grande collaborazione con i team. Più che fra gli uomini si riesce ad avere una buona alternanza, ma tanto è merito loro. Sono campionesse, hanno vinto i loro titoli, riescono a guadagnarci qualcosa e di conseguenza impongono la loro voce anche nei club.
Come fai a farle andare d’accordo, così tante e così forti?
Ne parliamo spesso insieme. Sono consapevoli loro per prime della qualità di ciascuna e sanno che il posto si guadagna con i tempi. Detto questo, sta a noi ricercare l’equilibrio affinché nessuna si senta esclusa. Devo dire che funziona. Quest’anno è entrata forte anche Silvia Zanardi, c’è da lavorare perché tutto giri nel modo giusto.