L’iconico arrivo del Tour de France a Parigi strega gli appassionati di ciclismo di tutto il mondo, anno dopo anno. La ritualità con la quale si ripete è diventata ormai sacra e inviolabile. Santini, che nel 2022 ha vestito il vincitore della Grande Boucle, ha deciso di celebrare l’ultima tappa del Tour con un completo dedicato.
La fantasia principale richiama la geometria della place de l’EtoileLa sottomaglia dedicata alla tappa numero 21 della Grande BoucleNella collezione Trionfo è presente anche una nota di giallo, in onore del TourLa fantasia principale richiama la geometria della place de l’EtoileLa sottomaglia dedicata alla tappa numero 21 della Grande BoucleNella collezione Trionfo è presente anche una nota di giallo, in onore del Tour
Trionfo
Il nome di questa nuova creazione del maglificio bergamasco prende spunto dall’omonimo arco che con la sua maestosità guarda i ciclisti girargli intorno in una danza di bici e maglie colorate. I sarti di Santini hanno preso spunto dalla forma della place de l’Etolie, e dalle strade che si diramano dal suo centro, come raggi di una stella.
I colori usati richiamano la bandiera francese, a questi, com’è giusto che sia, si è deciso di unire un tocco di giallo, a richiamare la Grande Boucle. Il completo firmato da Santini comprende: maglia, sottomaglia, pantaloncini, guantini, cappello e calze.
Sono presenti anche i guanti con le stesse linee e fantasie La collezione si completa con il cappellinoSono presenti anche i guanti con le stesse linee e fantasie La collezione si completa con il cappellino
Maglia e pantaloncini
La maglia della collezione Trionfo ha una vestibilità classica con maniche tagliate al vivo, per non avere cuciture che a lungo andare possono risultare fastidiose e creare sfregamenti con la pelle. La combinazione dei tessuti, in microrete, rende il capo estremamente traspirante e leggero, in grado di asciugare rapidamente. Il sottomaglia abbinato è cucito senza maniche e con un taglio più allungato.
I pantaloncini sono realizzati in tessuto Thunderbike Power per migliorare la circolazione. A fondo gamba è presente un elastico con grip, un dettaglio importante che permette di mantenere la vestibilità perfetta anche dopo tante ore di allenamento. Il fondello usato da Santini è il GITevo, con parte centrale in gel che garantisce il massimo comfort.
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Approfittando della presentazione del Tour, L’Equipe ha accolto Pogacar nella sua redazione di Boulogne-Billancourt alle porte di Parigi e lo ha messo di fronte a dieci abbonati, che hanno avuto il privilegio di porre una serie di domande allo sloveno. Una sorta di plotone di esecuzione, cui Tadej si è sottoposto col sorriso, svelando sfumature che finora non erano mai emerse.
E’ così saltato fuori che il suo battito cardiaco è straordinariamente lento ed è stato recentemente misurato a 38 battiti al minuto. Quest’anno inoltre Pogacar ha battuto i suoi record di potenza, facendo registrare 500 watt medi, durante i 10 minuti di salita della Côte de la Croix Neuve.
Gli abbonati dopo l’incontro con Pogacar, nella redazione de L’Equipe (foto B. Papon/L’Equipe)Gli abbonati dopo l’incontro con Pogacar, nella redazione de L’Equipe (foto B. Papon/L’Equipe)
Pogacar ha anche parlato dei giorni più belli della carriera, ma anche delle sconfitte. E ha chiuso con due pensieri. Il primo è la consapevolezza di non poter durare troppo a lungo correndo sempre così tanto e a questi livelli. Il secondo è la speranza di non essere ricordato come un cannibale che ha voluto vincere tutto, ma come un ragazzo normale.
A seguire, ecco allora alcune delle sue risposte su alcuni dei temi sollevati dai lettori francesi.
Da bambino nessun eroe
«Ho iniziato a pedalare nel 2008 alla periferia di Lubiana, per fare come mio fratello (Tilen), che ha due anni più di me. Dato che gareggiavo contro lui e gli amici della sua età, mi ci è voluto un po’ per ottenere i miei primi risultati. Ho vinto la prima gara al secondo anno, un traguardo in salita. Affrontavamo gli ultimi sei chilometri della salita locale, mi sembrava enorme in quel momento.
«Non avevo davvero un idolo: ho visto Alberto Contador, Andy Schleck, il loro duello al Tour del 2010 è stato super divertente, ma non ho visto molte gare in TV. Da ragazzo, non avevo davvero nessun corridore come eroe».
Terzo agli europei 2016 juniores, dietro ai francesi Malle e Jeanniere: Pogacar ha iniziato senza troppi riferimentiTerzo agli europei 2016 juniores, dietro ai francesi Malle e Jeanniere: Pogacar ha iniziato senza troppi riferimenti
La personalità del padre
«Penso di aver preso la freddezza in parte da mio padre (Mirko), che può essere piuttosto duro ma è sempre molto rilassato. In verità credo di sentire la tensione come tutti gli altri. Sento una scarica di adrenalina prima di ogni salita e sono preso dallo stress all’avvicinarsi di ogni sprint. Inoltre, cerco di prendere tutto in modo rilassato.
«Non seguo nessuna preparazione mentale specifica, non vedo psicologi, è la mia natura e ne sono felice. Amo il mio sport e cerco di conservare il bello, anche nelle giornate brutte».
Pogacar ha raccontato di aver molto imparato dal secondo posto del Tour dietro VingegaardPogacar ha raccontato di aver molto imparato dal secondo posto del Tour dietro Vingegaard
Il secondo posto al Tour
«Non ho rivinto la maglia gialla, ma ho passato un anno fantastico. Ho vinto quasi tutto quello che volevo (UAE Tour, Strade Bianche, Tirreno-Adriatico, tre tappe del Tour, GP di Montreal, Giro di Lombardia) mentre per intensità è stata probabilmente la stagione più dura che ho dovuto fare. Dopo il Tour mi sono ripreso bene e mi sono proiettato verso il resto.
«In qualche modo, questo secondo posto è stato a suo modo una vittoria. Ho imparato molto e ne ho ricavato molte motivazioni. Ho sentito più amore dal pubblico che dopo le mie due vittorie al Tour».
Un conto sono le tappe sul pavé, altra cosa la Roubaix, che Pogacar lascia volentieri agli altriUn conto sono le tappe sul pavé, altra cosa la Roubaix, che Pogacar lascia volentieri agli altri
Roubaix: no, grazie
«Potevo aver vinto il Fiandre, invece sono finito quarto. Questo duello contro Mathieu Van der Poel rimarrà uno dei momenti salienti della mia stagione. Ero un debuttante in gara, non avevo idea di cosa aspettarmi, ma ho avuto un’ottima giornata. Ero molto arrabbiato per aver perso, ma me ne sono subito dimenticato. Non è un brutto ricordo e mi piacerebbe tornarci.
«La Parigi-Roubaix invece aspetterà. Non è una corsa per gente del mio profilo, dovrei mettere su qualche chilo. Per divertimento? Semmai alla fine della mia carriera. La Roubaix è più dura delle tappe del Tour sul pavé. Il fondo è peggiore e si va più veloci».
Il giorno dopo il Lombardia, Pogacar ai mondiali gravel con Van der Poel: due atleti sempre a tutta (foto Instagram)Il giorno dopo il Lombardia, Pogacar ai mondiali gravel con Van der Poel: due atleti sempre a tutta (foto Instagram)
Nessuno è per sempre
«Essere al vertice in due grandi Giri è molto difficile, tre è semplicemente impossibile. Sarebbe una perdita di tempo. Voglio fare il Giro d’Italia, ma per ora non ci penso troppo. Verrà dopo. Neanche fra troppo tempo, in realtà, perché le mie stagioni sono lunghe e non puoi durare tanto quando sei sempre al 100 per cento. Posso migliorare ancora, in particolare nella cronometro e sulle lunghe salite.
«Vorrei anche parlare meglio il francese, visto che mia madre (Marjeta) lo insegna a Lubiana, ma quando sei piccolo, non vuoi fare come i tuoi genitori. Per questo non l’ho imparato bene. So dire croissant, baguette… quel che serve per ordinare la colazione in panetteria».
Gli aggettivi sono finiti. Persino l’avversario Matxin ieri ha parlato di Wout Van Aert come del corridore più forte del Tour. Allo stesso modo in cui nei giorni scorsi riconoscimenti simili gli sono venuti da tutto il mondo del ciclismo e dal pubblico che è corso ad applaudirlo nel circuito di Herentals, la sua città. Si parla di quasi 50.000 spettatori.
Eppure ci sono casi in cui i numeri descrivono la realtà meglio delle sensazioni e del colpo d’occhio. Non parliamo di dati di allenamento e gara, che pure nel suo caso sarebbe interessante conoscere, ma della misura del suo Tour de France. Che una settimana dopo è stato possibile quantificare.
1) Tre vittorie come nel 2021
Una da solo, una volta in uno sprint di gruppo, una volta nella cronometro. Proprio come l’anno scorso, Van Aert è tornato in Belgio con tre vittorie di tappa. La tipologia delle sue vittorie mostra ancora una volta la sua estrema versatilità. Con le tre di quest’anno, il suo bottino francese sale ora a nove tappe. Wout non è mai tornato in Belgio a mani vuote: anche nel 2019 in cui si è ritirato, è riuscito prima a conquistare una vittoria di tappa. Quattro Tour di fila, nove tappe vinte.
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2) 480 punti: un record
Nessuno nella storia recente ha mai raccolto più punti nella classifica della maglia verde. Fino a sabato, Sagan era il detentore del record con i suoi 477 punti del 2018. Van Aert lo ha superato con la vittoria nella cronometro del sabato, salendo a 480 punti. In questa edizione del Tour, ha conquistato la classifica con 200 punti di vantaggio su Jasper Philipsen, anche lui belga e secondo a Parigi. Nel 2021, nonostante le quattro vittorie di tappa, Cavendish si fermò a 337 punti.
3) 20 giorni in verde
Solo dopo la cronometro di Copenhagen, Van Aert ha dovuto cedere la maglia verde al vincitore Lampaert. Il giorno dopo aveva già riparato l’errore. Van Aert ha indossato la maglia verde per venti giorni di seguito. Solo cinque prima di lui sono riusciti nell’impresa: Van Looy, Kelly, Vanderaerden, Abdoujaparov e Sagan. Solo due – Darrigade e Maertens – hanno fatto meglio e l’hanno indossata dall’inizio alla fine.
4) 8 volte tra i primi tre
Dove ha ottenuto tutti quei punti? Ovunque e praticamente ogni giorno. In ben otto tappe, più di un terzo dell’intero Tour, Van Aert è arrivato fra i prime tre di tappa. Oltre alle tre vittorie, è arrivato quattro volte secondo. Aggiungendo il settimo posto a Saint Etienne, si raggiungono nove piazzamenti nei dieci.
Tour de France 2022, Hautacam: vincendo la tappa, Van Aert avrebbe vinto la maglia a poisTour de France 2022, Hautacam: vincendo la tappa, Van Aert avrebbe vinto la maglia a pois
5) Un altro belga in verde
Quattordici belgi hanno preceduto Van Aert come il vincitore del verde a Parigi. Ma per l’ultimo, Tom Boonen nel 2007, dobbiamo tornare indietro di quindici anni.
6) Quinto per la maglia a pois
Sembra un dettaglio del Tour di Van Aert, ma davvero non lo è. Fino all’ultima vera salita, Van Aert ha lottato per la maglia a pois. Se a Hautacam non avesse vinto Vingegaard ma lui – sarebbe forse bastato non fermarsi per aiutarlo – il Belgio avrebbe trovato il successore di Lucien Van Impe, vincitore del Tour del 1976 e per ben sei volte della maglia a pois. Wout ha dovuto… accontentarsi del quinto posto nella classifica della montagna.
7) 42 secondi su Ganna
Questa ci fa male, perché riguarda noi. La differenza di Rocamadour è il più grande distacco fra i due a cronometro. Se Ganna è stato per anni la bestia nera di Van Aert nelle cronometro – si pensi ai mondiali in Belgio dello scorso anno – in questo Tour, Wout si è preso la rivincita. Van Aert è stato più forte dell’azzurro a Copenaghen e poi appunto a Rocamadour, dove Pippo ha dovuto concedergli 42 secondi su oltre 40 chilometri.
La lunga fuga in maglia gialla nella prima settimana, che tanto fu criticataLa lunga fuga in maglia gialla nella prima settimana, che tanto fu criticata
8) Quinto belga nel Super Combat
Con 687 chilometri in testa al gruppo, Van Aert ha vinto due volte il premio di atleta più combattivo e poi si è portato a casa la classifica finale (per 549 chilometri è stato in fuga). Il totale delle preferenze è stato così travolgente che la formula scelta è stata quella di “unanimità di voti”, senza che ASO abbia divulgato il numero. Peccato, sarebbe stato interessante conoscerlo. Il premio ha reso alla squadra altri 20.000 euro, mentre Van Aert è stato il quinto belga a conquistare il premio. Prima di lui Pauwels, Van Looy, Merckx (quattro volte) e Wellens.
9) Quattro sprint intermedi
La maglia verde si conquista anche quando le telecamere non girano e i fotografi non scattano. Così alle tre vittorie di tappa, si sommano quattro volate negli sprint intermedi. Più tre secondi posti e un’altra serie di piazzamenti fra i primi 10. Ci fosse ancora una maglia per i traguardi volanti, Van Aert avrebbe conquistato anche quella.
10) 130.570 euro di premi
Le vittorie, i piazzamenti, gli sprint intermedi e altri premi hanno portato a Van Aert un totale di 130.570 euro di premi. La sola maglia verde a Parigi ne vale 25.000. Il quinto posto nella classifica delle montagne ne vale per 3.500. A confronto: il numero tre della classifica finale, Geraint Thomas, ha conquistato a Parigi… solo 100.000 euro.
Parla Tom Boonen ed esprime valutazioni sui campioni del gruppo e le loro abitudini. Van Aert gli piace, ma è troppo ragioniere. De Lie il suo preferito
L’unico che avrebbe potuto batterlo era Van Aert, lo aveva già fatto l’anno scorso. Non certo Jakobsen, sfinito e disperso nelle retrovie, senza Morkov a pilotarlo. Non sappiamo se Philipsen sapesse che la maglia verde avesse rinunciato alla volata, ma di certo quando si è voltato a sinistra sui Campi Elisi, ha capito che Groenewegen e Kristoff lo avrebbero affiancato solo dopo la riga. E si è reso anche conto di aver realizzato uno dei sogni di bambino.
Un anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vintoUn anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vinto
Il sogno di bambino
Il belga della Alpecin-Deceuninck lo ha raccontato ieri ad Aalst (in apertura, fra Thomas e Lampaert, foto @belga), a margine del criterium cui erano stati invitati anche Vingegaard, Van Aert e Pogacar, che però hanno declinato l’invito.
«Non voglio parlare di vendetta – ha raccontato – ma solo di contrasto totale rispetto al 2021. Un anno fa sui Campi Elisi ho pianto, invece domenica ero la persona più felice al mondo. Nell’ultimo anno, è successo tutto molto rapidamente. Vincere la tappa di Parigi significa aver realizzato un sogno d’infanzia e quello di qualsiasi corridore. Parigi rimarrà sempre una tappa speciale, soprattutto quando sei un velocista. E’ la vittoria più bella della mia carriera e finire il Tour così è straordinario».
L’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordiL’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordi
Vittoria scaccia stress
Per Philipsen, il Tour è stato un viaggio dentro se stesso. Non può essere altrimenti per un atleta che nelle tappe di montagna, soprattutto con il grande caldo e il ritmo indiavolato dei primi, è in lotta perenne con la tentazione di mollare tutto. Per questo la vittoria di Carcassonne era già stata la svolta mentale per arrivare a Parigi senza troppa tensione negativa.
«Per certe corse – ha spiegato dopo quel primo successo – c’è davvero bisogno di pace mentale. Nelle prime due settimane, non l’ho avuta. Nelle tappe sulle Alpi ho vagato senza una meta, solo per fare numero. Ma anche questo è stressante, perché sei sempre lì ad aspettare che arrivi un’altra possibilità. La vittoria mi ha dato la calma. L’obiettivo principale di vincere una tappa al Tour è stato spuntato. La pressione si è spenta. Anche se non ho lasciato andare del tutto le emozioni represse, ho percepito chiaro quel rilascio. Tutto quello che verrà d’ora in avanti sarà un bonus. Certo, se non vinco a Parigi, rimarrò deluso. Ma non come un anno fa, quando Parigi era anche l’ultima spiaggia».
La vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismoLa vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismo
Crono di recupero
Per questo in gruppo un po’ se lo aspettavano. La vittoria di Carcassonne aveva già dimostrato che Jasper avesse superato ottimamente la seconda settimana, con le Alpi e l’arrivo di Mende del giorno prima. C’era da capire come avrebbe digerito i Pirenei, tenendo conto che agli altri velocisti le cose non stessero andando probabilmente meglio. E che lui, per i 24 anni e i 75 chili (è alto 1,76), avesse doti di maggior recupero. Per questo la crono del giorno prima è stata un passaggio da affrontare con la giusta consapevolezza.
«Sulla bici da crono – ha detto la sera di Rocamadour – sei scomodo, quindi non sei molto rilassato. Per questo non si può dire che la crono sia un giorno di riposo. Dopo venti tappe, ogni sforzo sembra pesante. In più non volevo correre rischi. Non sono ancora caduto in questo Tour e volevo continuare così. Sono migliorato tappa dopo tappa e credo di avere ancora forza nelle gambe. Ho superato le tre settimane meglio degli ultimi anni e questo mi rassicura anche per il futuro».
Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)
«A Parigi – ha sorriso – conta solo la vittoria e non sarà certo facile. Ci sono molti corridori come Jakobsen, Ewan e Groenewegen che si sono trascinati attraverso le montagne e non vedono l’ora che arrivi domani. Anche se uno sprint dopo 21 giorni è ancora un’altra cosa. Nessuno sarà davvero molto fresco».
Il sogno è finito
E adesso che ha vinto a Parigi e il circuito di Alst su un fondo in ciottoli gli ha ricordato i Campi Elisi, Philipsen riparte ancor più convinto di poter salire al livello dei velocisti che ha sempre ammirato.
«Ho ricevuto tanti messaggi – dice – ma il più apprezzato è stato quello di Mark Cavendish, l’uomo che mi ha battuto a Carcassonne l’anno scorso. E’ bello sapere che qualcuno che ammiro può anche essere sinceramente felice per me. Mark è sempre stato un grande modello. Ed è ancora un grande gentiluomo. Vivo in un sogno da domenica. Tutto sembra magico. Peccato solo che il Tour de France sia finito».
Mads Pedersen centra la prima vittoria di tappa al Tour. Decisiva la fuga inventata di forza da Ganna. Un Tour frenetico. E domani la grande sfida di Mende
Sui Campi Elisi c’è ancora l’eco del vociare sfinito e festante di domenica sera, anche se la carovana del Tour si è dispersa in mille scintille, schizzate dalla fiamma di Parigi verso casa, verso i circuiti o la prossima corsa. Vingegaard invece continua a vivere nella sua bolla e a giudicare dalla sua espressione, ci rimarrà ancora parecchio. Il ritorno a casa ha il sapore di una festa in Olanda, poi una in Danimarca. Poi finalmente per la maglia gialla verrà il momento di trascorrere qualche giorno a casa. Il racconto dei suoi giorni da re lo ha fatto come di rito nell’ultimo incontro con la stampa, il momento in cui finalmente si abbassano le armi e ci si lascia un po’ andare. Anche se del suo essere riservatissimo abbiamo già detto.
Sulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il gialloSulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il giallo
Cosa ricorderai di questo Tour?
Abbiamo trascorso tre settimane incredibili. Personalmente, ricorderò per sempre le due vittorie al Col du Granon e ad Hautacam. Non è tanto il fatto di aver vinto che le rende così speciali. E’ stato più il modo in cui abbiamo corso in quei due giorni, dando tutto, applicando una strategia offensiva che preparavamo da mesi. E poi ovviamente, il giorno del pavé. A un certo punto ero davvero nei guai e mi hanno salvato i miei compagni. Se non avessero fatto tutto quel lavoro per riportarmi in gruppo, non credo che avrei vinto il Tour de France.
Ci sono stati momenti di dubbio?
Ovviamente. Sul pavé ho perso solo 13 secondi, ma Primoz (Roglic, ndr) è caduto. Quel giorno sembrava che il piano ci stesse sfuggendo di mano. Avevamo pianificato tutto attorno a due leader. Molti giornalisti sembravano dubitare che io e Primoz potessimo davvero convivere. Quella sera ci siamo imposti di continuare a crederci e a combattere come avevamo programmato. Ci siamo aggrappati al nostro desiderio di mostrare di cosa fosse capace il nostro team.
Nonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati cosìNonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati così
Senza nessun condizionamento?
Il fatto che Primoz abbia perso più di due minuti da Pogacar ci ha davvero disturbato, perché la nostra idea era di attaccare in montagna avendo entrambi lo stesso distacco da Tadej, ma abbiamo giocato le nostre carte come se fosse così. Penso che fossimo tatticamente superiori e che per il pubblico sia stato un Tour emozionante da guardare.
Come è stato veder andar via Roglic?
Primoz ha lottato tanto, per dieci tappe. Ogni giorno lo vedevamo soffrire e ci rattristava. Poi una sera ci ha detto che le cose andavano davvero male. E’ stato commovente perché, pur salutandoci, ha detto anche che era fiero di noi e che dovevamo continuare a lottare, che era orgoglioso di quello che avevo fatto e che credeva in me.
I rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavéI rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavé
E’ stato un Tour di forti emozioni…
E’ raro vedere una tale emozione collettiva nel ciclismo. Le lacrime di Wout, le mie, sono come valvole che cedono dopo tre settimane di estrema tensione. Credo che questo parli della grandezza di ciò che abbiamo raggiunto collettivamente. Alla Jumbo Visma c’è un gruppo che va molto d’accordo, abbiamo costruito una solida amicizia tra di noi perché trascorriamo molto tempo insieme. Non è che ci vediamo tre o quattro volte l’anno. Da metà maggio viviamo in comunità, lavoriamo, ceniamo tutti insieme, ridiamo, ma ci prendiamo cura anche l’uno dell’altro. Ecco perché eravamo così commossi.
Immaginavi che la tua vittoria smuovesse anche certi sospetti?
I sospetti non mi danno fastidio, è giusto farci queste domande. Ma il nostro sport è cambiato. E se si tratta della mia squadra, metto la mano nel fuoco per ciascuno dei miei compagni di squadra. Siamo puliti al 100 per cento.
La squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vintoLa squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vinto
Credi fosse necessario avere due leader per battere Pogacar?
Non ne abbiamo la certezza, ma penso di sì. Senza il lavoro che ha fatto Primoz durante la tappa del Granon, tutti i suoi attacchi che hanno stancato Pogacar, non so se sarei riuscito a batterlo.
E’ stato facile accettare la coabitazione?
Tutti erano d’accordo su questa strategia. Successivamente, abbiamo concordato che se uno di noi avesse ottenuto un vantaggio, l’altro si sarebbe messo al suo servizio. Andiamo molto d’accordo, non è stato un problema accettarlo. Mi dispiace solo che Primoz sia stato eliminato nuovamente da un incidente, non lo meritava. Dopo il pavé, ci credeva ancora, ma era ferito in modo davvero serio.
Non solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagnaNon solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagna
La vittoria cambierà questi equilibri?
No, abbiamo messo in atto la soluzione giusta e non vedo perché dovremmo cambiare. In realtà non ne abbiamo ancora parlato e sta ai tecnici rispondere. Io continuo a pensare che essere in due resti un vantaggio.
Sogni di diventare un corridore completo come Pogacar?
No, rimarrò concentrato sulle gare a tappe. Quelle di un giorno mi vanno meno bene perché sono un corridore resistente, che aumenta lentamente di potenza. Ho sempre bisogno di due o tre giorni per raggiungere il mio livello.
Nel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzareNel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzare
SI è parlato dei tuoi pochi risultati nelle categorie giovanili…
Non è facile sfondare a 23 anni. Ci sono tanti fattori che determinano il successo di un corridore. Allenamento, vita, carattere. Prima dei vent’anni, io non avevo idea di poter essere un professionista, non brillavo su nessun terreno, l’unica cosa che parlava di buone potenzialità erano i miei test. Il mio allenatore alla Jumbo, Tim Heemskerk, mi disse subito che avevo progressi da fare in tutti i settori: recupero, alimentazione, allenamenti…
Cosa farai nei prossimi giorni?
Voglio solo andare a casa e riposarmi! Ma prima ci saranno due cerimonie, martedì (oggi, ndr) in Olanda e mercoledì in Danimarca. Tornerò a Tivoli, il luogo in cui si è svolta la presentazione delle squadre…
Vingegaard commosso alla presentazione delle squadre a CopenhagenVingegaard commosso alla presentazione delle squadre a Copenhagen
Bei ricordi?
Quando seppi che il Tour si sarebbe svolto in Danimarca, mi dissi subito che avrei voluto esserci. Ebbene, a causa del Covid, è stato posticipato di un anno, ma per ogni corridore danese è stato pazzesco.
Quel giorno hai pianto.
Sì, sono un tipo emotivo. Ero così sconvolto, da non essermi accorto che mentre il pubblico gridava il mio nome, Primoz avesse preso il microfono per gridarlo anche lui…
Dalla Coppi e Bartali del 2021 al podio del Tour nello stesso anno e da lì alla maglia gialla, il percorso di Jonas Vingegaard potrebbe essere raccontato come una favola, perché della favola ha la partenza e il lieto fine.
Nel mezzo invece, la vita del danese della Jumbo Visma è un concentrato di dedizione e senso del dovere, come quando cresci sapendo che il pane prima di mangiarlo, devi sostanzialmente guadagnarlo. E come quando l’arrivo di una figlia ti suggerisce che c’è un motivo in più per rimboccarsi le maniche.
L’uomo del pesce
Fino ai 22 anni, quindi fino al 2018, Vingegaard correva infatti per la continental danese ColoQuick. E siccome questo non gli sarebbe bastato per vivere, univa alla bici il lavoro nel mercato del pesce, dove rimuoveva le interiora dal pesce dalle 5 del mattino a mezzogiorno. Solo allora poteva iniziare ad allenarsi. Di fatto, Jonasha lasciato quel lavoro solo alla firma del contratto con la Jumbo Visma, ma nessuno in patria è più riuscito a togliergli di dosso il soprannome di “pescatore”.
Tutto di giallo per il gran finale, Vingegaard ha vissuto la celebrità con discrezioneTutto di giallo per il gran finale, Jonas ha vissuto la celebrità con discrezione
Una bici in vacanza
I suoi genitori ricordano di quando una volta, durante una vacanza di famiglia, Jonas fosse sparito su per una salita, tornandone a tarda ora e con un sorriso grande così. Che a pensarci bene è il racconto che accomuna alcuni fra i più grandi campioni di questo sport.
La passione per il ciclismo viene dopo quella per il calcio, abbandonato per lasciare posto alla bicicletta, e venne scatenata il giorno in cui il Giro di Danimarca attraversò Hillerslev, la loro città natale.
Sua madre Karina, che è forse la sua tifosa più grande, ha raccontato in alcune interviste che il metodo danese di avviare i ragazzi al lavoro già al termine del percorso scolastico sia il modo migliore per farli maturare. Anche grazie a questo suo figlio è approdato al professionismo già formato al lavoro, conoscendo regole e strutture, e pronto per le difficoltà che esso comporta.
Karina e Claus, i genitori di Vingegaard: una piccola porta sul suo mondo (foto Norway Posts)Karina e Claus, i suoi genitori: una piccola porta sul suo mondo (foto Norway Posts)
Da Strava al WorldTour
La storia racconta che Jonas fosse già tra gli osservati, ma la Jumbo Visma fosse in realtà più interessata a Mikkel Honoré(ora alla Quick-Step). Tuttavia i tecnici decisero alla fine di scommettere su Vingegaard, valutando che i suoi risultati fossero meno prestigiosi a causa del minor tempo per allenarsi, dovuto proprio al lavoro e a qualche infortunio.
Così, dopo aver riscontrato su Strava il celebre KOM sul Coll de Rates (salita usata dalle squadre per i test durante i ritiri nella zona di Alicante), lo convocarono in Olanda per una valutazione più approfondita. Da questa emerse una capacità cardiaca fuori dal comune, del 15 per cento superiore alla media dei corridori. E questo, visti i 58 chili di partenza, gli avrebbe consentito un rapporto potenza/peso piuttosto importante (anche se i numeri non sono mai stati diffusi).
In salita, già dal Granon, ha dimostrato di avere un passo vincenteIn salita, già dal Granon, ha dimostrato di avere un passo vincente
Lacrime a Copenhagen
La partenza del Tour dalla Danimarca è stata la chiusura del cerchio. Le immagini della sua commozione hanno fatto il giro del mondo, travolto dall’affetto ricevuto dal pubblico di casa. I danesi amano gli sfavoriti e Vingegaard, con il suo aspetto infantile, era l’eroe perfetto all’ombra dell’imbattibile Pogacar.
Durante i racconti messi insieme nei giorni del Tour, Vingegaard ha ripetuto che quella partenza gli ha dato una motivazione speciale. Che il Tour è stato una serie di avventure indimenticabili, ma i giorni in Danimarca li ricorderà per sempre.
Grande stima per Pogacar, ma caratteri diversiGrande stima per Pogacar, ma caratteri diversi
Vingegaard vs Pogacar
Il dualismo con Pogacar viene vissuto con garbo tutto nordico. Da quando ha capito di poterlo battere e dopo aver vissuto dall’interno il dramma del compagno Roglic al Tour del 2020, Vingegaard si è dedicato anima e corpo a migliorare nella cronometro. La chiave per aspirare alla maglia gialla e per scongiurare finali come quello di due anni fa.
I due sono profondamente diversi. La giovialità del primo si contrappone alla riservatezza del secondo. La loro capacità di relazione durante il Tour, la correttezza di Vingegaard nel non attaccare quando Pogacar è caduto e le congratulazioni dello sloveno dopo le tappe perse, hanno conquistato i tifosi, ma il rapporto fra i due resta strettamente professionale. Rispetto e stima reciproca, più che amicizia. Vingegaard ha raccontato di non avere il numero di telefono del rivale.
La coppia delle meraviglie: Vingegaard e Van Aert, il Tour sulle loro spalleLa coppia delle meraviglie: Vingegaard e Van Aert, il Tour sulle loro spalle
Affari di famiglia
Del resto, che ci sia un muro fra il danese e il mondo è abbastanza evidente. Jonas Vingegaard è una persona tranquilla, poco disposta a condividere la sua vita fuori dalla bicicon degli estranei. Provate durante la prossima conferenza stampa a fargli dire qualcosa di diverso dalla gara: cambierà discorso. Ecco perché per conoscere i dettagli della sua vita è stato necessario rivolgersi a compagni di squadra, tifosi e anche ai suoi familiari. I suoi stessi profili social sono funzionali alla carriera di ciclista, altro non contengono.
L’unica eccezione alla privacy lo abbiamo visto nell’abbraccio con la sua compagna e la figlia quando l’hanno raggiunto al traguardo della crono. In quel nucleo così stretto c’era tutto il suo mondo. E gli altri, pur potendo osservare, hanno avuto la chiara sensazione di non essere invitati.
La famiglia è il centro di Vingegaard: dopo la crono, i tre sono stati un lampo di bellezzaLa famiglia è il centro di Vingegaard: dopo la crono, i tre sono stati un lampo di bellezza
Doping, no grazie
Sempre garbato e mai oltre il limite, anche quando nella conferenza stampa di fine Tour gli è stato chiesto se sia giusto fidarsi di lui, con evidente riferimento al doping.
Intendiamoci, abbiamo sentito varie invettive di stampa nei confronti di chi ha posto la domanda e non le condividiamo. I giornalisti devono fare domande: per troppi anni in passato questa indignazione di maniera ha permesso di coprire scempi di cui paghiamo ancora il conto. E soprattutto la domanda ha permesso a Vingegaard di rispondere da campione.
«Non è più lo stesso ciclismo – ha detto – sono nato nel 1996, anno della vittoria al Tour di Bjarne Riis (che nel 2007 ammise di essersi dopato, ndr). So che la Danimarca ha una storia con il doping, come tanti altri Paesi del resto. Ma non è la mia storia. So come lavoro, come lavora la mia squadra ed è per questo che mi fido completamente dei miei compagni. Non ho assolutamente dubbi sul fatto che non stiano barando. Quando ho iniziato a considerare di diventare professionista, era a condizione che non facessi nulla di illegale. Non voglio usare il doping, non voglio essere così, è una convinzione profonda. Se per essere un corridore professionista e avere questo livello, la condizione fosse quella di dover prendere dei prodotti, sceglierei di non esserlo e di non prendere niente. Preferirei fare qualcos’altro, non so, un altro lavoro».
Il Tour torna sul pavé: Mercoledì 6 luglio, nella quinta tappa. Accadde già nel 2014, quando la pioggia stravolse la Grande Boucle. E Nibali prese il volo
Arc de Triomphe, Place de la Concorde, Campi Elisi… sembra una filastrocca. E’ il mitico circuito di Parigi, quello che decreta la fine del Tour de France. Un momento che tutti aspettano: corridori, pubblico, direttori sportivi.
La maglia gialla è entrata a Parigi dunque. E per questa volta, come succede spesso, prima delle spallate finali la stessa maglia e la sua squadra si sfilano. Ma di solito non hanno un potenziale vincitore di tappa. Alla faccia di chi crede che il ciclismo non sia uno sport di squadra, i corridori giallone-neri si radunano. In questo caso Jonas Vingegaard chiama a raccolta i suoi. Van Aert e compagni tagliano il traguardo abbracciati in parata… staccati.
Si passa anche davanti al Louvre, piano piano il gruppo inizia a fare sul serio. Ma Vingegaard è sempre guardingoSi passa anche davanti al Louvre, Vingegaard è sempre guardingo
Scherzi e scatti
Ancora una volta quest’ultima frazione della Grande Boucle ha regalato emozioni. L’avvio tranquillo, le foto di rito, gli scherzi… Ad un certo punto, tanto per cambiare, sono scattati Van Aert, Pogacar… e Vingegaard, con quest’ultimo che non lo sapeva! Il danese è stato un gatto a rientrare. Quando è arrivato sulle ruote di quei due si è accorto che ridevano. Clima da ultimo giorno di scuola insomma.
Poi quando si è entrati nella parte finale e s’iniziava a sentire l’odore del traguardo di questa tappa, che è praticamente un classica, ecco che il ritmo è salito.
E tra i vari attacchi chi c’è stato? Lui: Tadej Pogacar... ragazzi non fermatelo, non domate questo corridore, questo purosangue. Ha messo alla frusta in pianura nientemeno che Filippo Ganna. Un fuoco di paglia sì, ma che fiammata.
Il podio finale dei Campi Elisi: Vingegaard precede Pogacar e ThomasIl podio finale dei Campi Elisi: Vingegaard precede Pogacar e Thomas
Parata sì, volata no
Chi invece non c’era era il super favorito: Wout Van Aert. Ad un certo la maglia è verde è sparita, come detto. Quasi per incanto non si vedeva nessun Jumbo-Visma davanti. Dopo il ponte dell’Almat che introduceva nel chilometro finale non si vedevano i due mattatori del Tour.
Hanno fatto credere a tutti che volevano questa tappa, anche con le dichiarazioni del giorno precedente, e invece erano in coda a “godersi lo champagne”. Nessun rischio e un chilometro che valeva le fatiche fatte nei precedenti 3.349. Un chilometro da ricordare e per ricordare.
Giusto così. Hanno dominato. Hanno vinto. In qualche occasione hanno anche sbagliato e sprecato, ma nella seconda parte del Tour sono stati uniti più che mai.
Ed è più o meno ciò che ha sintetizzato Laporte: «Abbiamo vinto il Tour, la maglia verde, la maglia a pois, sei tappe, il premio del più combattivo (Van Aert, ndr)… oggi era giusto così. Questo arrivo vale molto di più».
Van Aert oggi ha deciso che bastava così. Tre tappe potevano andare bene. La soddisfazione dei Campi Elisi se l’era già presa lo scorso anno, stavolta preferiva l’arrivo in parata. Preferiva vivere una nuova emozione.
E come biasimarlo? Voleva scortare Jonas fino in fondo per il vecchio adagio che “non si sa mai”. «Per senso di responsabilità e di amicizia», come ha detto più volte.
L’urlo di Philipsen a Parigi, per il classe 1998 è la seconda vittoria in questo TourL’urlo di Philipsen a Parigi, per il classe 1998 è la seconda vittoria in questo Tour
Philipsen: le roi
Ma c’era pur sempre una corsa da portare a termine. E il fatto che non ci fossero davanti le maglie della Jumbo-Visma a dettare legge e a sistemare le gerarchie ha colto di sorpresa i team dei velocisti.
Un po’ perché le gambe e le energie erano quelle che erano, un po’ perché con gli uomini ridotti all’osso era impossibile mettere su un treno, i tre chilometri finali sono stati di anarchia pura.
Davanti c’erano persino gli Arkea-Samsic. Gli Alpecin-Deceuninck, proprio di Philipsen, erano in netto (troppo) anticipo, gli BikeExchange-Jayco forse erano messi meglio di tutti, ma hanno pasticciato nel rettilineo finale. E persino i Quick Step-Alpha Vinyl erano ai quattro cantoni. Jakobsen la sua volata l’aveva fatta a Peyragudes per restare nel tempo massimo.
E così in questo sprint “anni 70”, il più furbo e quello con più gamba è Jasper Philipsen. Il belga capisce che i due BikeExchange stanno pasticciando, li guarda e scatta sul lato opposto. Bravo. Va a riscattare il secondo posto dell’anno scorso. «Questa – ha detto Philipsen – è stata la ciliegina della torta. Sognavo da sempre questo arrivo e questa vittoria».
Adesso è festa. Adesso questa serata è tutta loro. Di Vingegaard, di Van Aert, ma anche di Pogacar e di tanti altri corridori. La “Ville Lumiere” è il posto ideale per festeggiare. Andranno in qualche lussuoso ristorante, prenotato per l’occasione. Qualcuno si sarà fatto raggiungere dalla compagna e insieme passeranno una bella serata.
Ma già pensando alla prossima sfida. Come ha detto Pogacar…
Sembrava che dopo il quartetto, i Giochi delle azzurre fossero finiti e invece arriva la madison d'oro di Guazzini e Consonni. Sera di festa a Casa Italia
Caldo, il cielo terso e le strade di Parigi. Non poteva esserci scenario migliore per rilanciare la storia della sfida gialla al femminile. Ha debuttato il Tour Femmes, che riallaccia il filo con l’edizione del 2009. Allora si chiamava Grande Boucle Feminine e l’ultima a vincerla fu Emma Pooley, ma dal 1995 al 1997 fu terreno di caccia per Fabiana Luperini.
L’edizione scattata oggi dalla Tour Eiffel è la prima targata ASO con il patrocinio di Zwift e la tappa d’esordio è stata vinta in volata, neanche a dirlo, da Lorena Wiebes (sul podio con la figlia della sua migliore amica). Donna dalle 16 vittorie stagionali, bestia nera delle sprinter, che ha conti aperti con tutte le ruote veloci del gruppo. Le unghie già tinte di giallo, le lacrime tagliando il traguardo e l’abbraccio con i suoi genitori. Pur essendo la prima di otto tappe, il senso del grande evento ha riempito gli obiettivi dei fotografi che seguiranno il Tour Femmes.
Balsamo fra le più attese del Tour Femmes: qui al via dalla Tour Eiffel
Però Elisa si è persa nella mischia della volata, chiudendo al 7° posto
Il circuito dei Campi Elisi è una grande novità per le donne del Tour
Balsamo fra le più attese del Tour Femmes: qui al via dalla Tour Eiffel
Però Elisa si è persa nella mischia della volata, chiudendo al 7° posto
Il circuito dei Campi Elisi è una grande novità per le donne del Tour
«Questo è davvero incredibile – ha detto subito dopo aver sollevato le braccia al cielo – la squadra oggi ha fatto un ottimo lavoro. Abbiamo lavorato continuamente per questo momento, quindi è fantastico che io oggi l’abbia concretizzato. E’ stato uno sprint lungo e caotico ed è davvero bello vincere qui.
«Ero stressata? In realtà ero abbastanza rilassata prima della partenza, abbiamo cercato di considerarla come una tappa normale. In finale però ammetto che c’era un po’ di nervosismo. Sono felice di essere riuscita a finirla. Domani comincerò questo Tour in maglia gialla. Il giusto premio per tutta la squadra dopo una stagione già fantastica. La bambina? Non è mia, altrimenti dubito che avrei potuto essere qui a correre. E’ la bimba della mia migliore amica e prima della corsa, abbiamo fatto una scommessa: se avessi vinto, l’avrei portata sul podio. Pare che abbia funzionato…».
Meno di due ore
Sarà che abbiamo tutti negli occhi e nelle gambe il Tour degli uomini, che si concluderà a breve sullo stesso arrivo, ma di fatto gli 82 chilometri della frazione di apertura dalla Tour Eiffel ai Campi Elisi di Parigi sono parsi una kermesse. E come una kermesse, sono stati caratterizzati da brusche manovre, attacchi e cadute, di cui alla fine hanno fatto le spese i vari treni, che si sono disuniti. Gli unici a restare compatti sono stati quello del Team DSM e della Jumbo Visma di Marianne Vos, che infatti si sono giocati il successo.
La volata di Parigi è stata un affare a due fra Wiebes e Vos
Per Rachele Barbieri, sulla sinistra, un quarto posto che fa sperare per le prossime tappe
La volata di Parigi è stata un affare a due fra Wiebes e Vos
«Il team – ha detto Marianne Vos – ha fatto un lavoro fantastico nel tenermi in vantaggio e fuori dai guai. Ho scelto la ruota giusta e sono uscita dall’ultima curva accanto a Lorena (Wiebes, ndr) e poi sapevo che sarebbe stato un bel duello. Ho provato a fare una volata lunga, ma non sono riuscita a prendere la sua velocità.
«E’ stata per tutto il giorno una guerra per tenere le posizioni – ha spiegato – non si è trattato solo degli ultimi 150 metri, ma di tutto ciò che li ha preceduti. C’è stato un po’ di nervosismo, perché tutte volevano stare davanti. E’ incredibile quanti tifosi ci fossero. Sicuramente è stato anche divertente».
Rachele Barbieri ha ultimato a Livigno la preparazione per il Tour Femmes (foto Instagram)Rachele Barbieri ha ultimato a Livigno la preparazione per il Tour Femmes (foto Instagram)
Barbieri, appuntamento a domani
Rachele Barbieri si mangia un po’ le mani, per non aver creduto nella ruota della Wiebes. Ma in quei momenti il tempo per pensare è così poco, che il più delle volte si fa prima a scegliere da che parte stare che a pensarci.
«Era pieno di gente – racconta – una grandissima emozione. Un po’ di dispiacere in effetti c’è, ero a ruota della Wiebes, mi è sembrato che fosse chiusa e mi sono spostata. Sono attimi, ma lo stesso sono contenta. Più che una tappa, è venuta fuori una kermesse, piena di rilanci e traguardi intermedi. Il programma originariamente era di fare solo il Giro, poi la squadra mi ha chiesto di venire anche qui e ho accettato volentieri. Solo che in Italia faceva così caldo, che sono scappata a Livigno. Era caldo anche lassù, ma sono riuscita a recuperare bene.
«Avevo già corso su questo rettilineo – conferma – e il pavé lo rende particolare. Non riesci ad avere continuità nella pedalata, quindi anche rimontare è molto più difficile. Quando ci riprovo? Domani, facile. Sono venuta qui per le tappe piatte, per cui vediamo quali occasioni ci saranno. Andrò a casa tre giorni prima, però, anche se un po’ mi dispiace. Ma tengo troppo agli europei in pista, quindi c’erano scelte da fare. Sono contenta della condizione raggiunta al Giro e che ho ancora qui. E’ il primo anno a questo livello e sono contenta che in squadra abbiamo quasi tutte il contratto per il 2023, così potremo lavorare bene quest’inverno, anche sui meccanismi della volata».
1ª tappa, Parigi Tour Eiffel-Champs Elysées, 82 chilometri
2ª tappa, Meaux-Provins: 136,5 chilometri
3ª tappa, Reims-Epernay: 134 chilometri
4ª tappa, Triyes-Bar sur Aube, 127 chilometri
5ª tappa, Bar le Duc-Saint Die Les Vosges, 176 chilometri
6ª tappa, Saint Die des Vosges-Rosheim: 129 chilometri
8ª tappa, Lure-La Super Planche des Belles Filles, 123,5 chilometri
Otto tappe, 1.029 chilometri
Del pubblico, già assiepato sul circuito di Parigi in attesa dei professionisti, si è accorta anche Lotte Kopecky, di solito molto controllata e soddisfatta a metà per il terzo posto.
«Alla fine sono abbastanza soddisfatta – ha detto – ero nervosa, ma alla fine è andato tutto bene. Non è che ci fossero molte curve, quindi questo ha reso le cose un po’ più facili. E’ stata una bella esperienza e c’erano molti spettatori lungo il lato. Ho decisamente sentito l’atmosfera».
Da domani, lasciata Parigi alle spalle, il Tour Femmes porterà avanti per sette giorni il testimone del Tour de France. E se l’avvio promette di essere veloce e al più animato da qualche fuga, saranno gli ultimi due giorni a proporre il terreno per smuovere eventualmente la classifica. Gli arrivi di Le Markstein e la Super Planche des Belles Filles offriranno il terreno alle donne di classifica. In una cornice di pubblico che promette di essere comunque calda.
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Non conosciamo ancora il nome di colui che domenica sera indosserà a Parigi il simbolo del Tour de France, la maglia gialla, il trofeo destinato al vincitore della corsa a tappa più famosa al mondo. Quello che però sappiamo con assoluta certezza è che indosserà una maglia gialla firmata Santini.
L’azienda bergamasca sta vivendo in questi giorni un Tour de France da grande protagonista. In un nostro recente articolo, pubblicato proprio alla vigilia della Grand Boucle, vi abbiamo raccontato degli sforzi fatti da Santini per essere pronta per il debutto sulle strade di Francia. Numeri da capogiro a livello di capi realizzati e la presenza di un proprio team per tutte e tre le settimane di gara.
Il temporary store di Santini a Parigi è una grande vetrina per far scoprire il brand agli appassionati francesi (foto Charlotte Lindet)
Si trova nella zona Madeleine, a due passi dagli Champs Elysées (foto Charlotte Lindet)
Il temporary store di Santini a Parigi fa scoprire il brand agli appassionati francesi (foto Charlotte Lindet)
Si trova nella zona Madeleine, a due passi dagli Champs Elysées (foto Charlotte Lindet)
Ecco il temporary store
Per celebrare l’arrivo del Tour a Parigi, Santini ha deciso di inaugurare un proprio temporary store nel cuore della capitale francese, esattamente nella prestigiosa zona Madeleine (foto di apertura di Charlotte Lindet). Siamo a due passi dagli Champs Elysées dove la corsa avrà il suo epilogo dopo tre settimane davvero entusiasmanti. Il vincitore del Tour avrà l’onore di indossare la maglia gialla avendo come sfondo alle sue spalle l’Arc de Triomphe in uno scenario davvero unico.
L’apertura dello store è solo l’ultimo prestigioso capitolo della collaborazione che si è venuta a creare tra Santini e il Tour de France. Grazie a questa particolare iniziativa un po’ di Italia brilla in questi giorni all’interno del cuore pulsante di Parigi. Lo store si trova infatti nelle vie della moda della capitale francese.
La maglia gialla, cucita nei laboratori di Santini, verrà indossata dal vincitore sugli Champs Elysées a Parigi domenica 24 luglio La maglia gialla, cucita nei laboratori di Santini, verrà indossata dal vincitore sugli Champs Elysées a Parigi domenica 24 luglio
Non solo la gialla
In questi giorni e fino a domenica 24 luglio per tutti gli appassionati di ciclismo sarà possibile ammirare le collezioni dedicate al Tour de France, a partire dalla prestigiosa collezione Maillot Jaune. Si tratta di una collezione realizzata da Santini in collaborazione con A.S.O per celebrare l’unicità del Tour de France e l’amore per il ciclismo.
Sono comunque tantissime le collezioni esposte: dai kit dedicati ad alcune tappe del Tour de France, alle repliche dell’iconica maglia gialla e delle altre leader jersey della Grand Boucle. Spazio anche per le collezioni estive e invernali, la linea Gravel, le repliche dei completi in dotazione alla Trek-Segafredo, la linea UCI e i capi dedicati alle atmosfere epiche dell’Eroica.
Il temporary store Santini di Parigi è stato inaugurato lo scorso 14 luglio in occasione della festa nazionale francese e resterà aperto fino al 24 luglio, giorno di conclusione del Tour.