Buitrago e il padrino Bernal: una storia nata da lontano

01.01.2024
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BOGOTA’ (Colombia) – La scena è da film d’azione, ma in realtà la trama di questo “film” parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale, desiderata. Una vita che da sogno impossibile trasmuta in realtà solida e libro aperto ancora appena alle prime pagine, insomma tutto da scrivere. Così quando nel bel mezzo della visita al Museo dell’Oro di Bogotà sullo schermo del telefonino di Santiago Buitrago appare la scritta “Padrino”, sai già che non c’è da preoccuparsi. Non lo si può definire in maniera migliore se non “padrino”: una persona che da piccolo ti supporta, abbraccia e aiuta a crescere sportivamente come fosse un secondo padre.

La figura del “asesor” in Colombia è normale, tipica, ricorrente in tutti gli sport. Un uomo, normalmente benestante, molto probabilmente ex ciclista lui stesso, di sicuro un benefattore, che individua la passione prima, poi il talento di un giovane sportivo con mezzi economici limitati. Da quel momento lo assiste in ogni esigenza, affiancando la famiglia, fin quando questi non diventa adulto e possibilmente campione.

Questa è la storia di Carlos Bernal, medico nefrologo sessantenne titolare di alcune cliniche private in Colombia, ed il piccolo, oramai diventato campione, Santiago Buitrago, corridore del Team Bahrain Victorious.

Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia
Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia

Un bambino di 11 anni

Quando Francisco Rodriguez, terzo nella Vuelta 1985 vinta da Pedro Delgado, avvicinò Carlos, suo vecchio compagno di allenamenti, per raccontargli che aveva visto un bambino speciale in una gara giovanile, a Carlos si drizzarono subito le orecchie. Carlos stesso era stato un ciclista dilettante nella Colombia degli anni ’80, arrivato alle soglie del professionismo, con un sogno mai realizzato in prima persona, ma col desiderio di realizzarlo nella sua seconda parte di vita. Era un medico laureato che poteva darsi da fare per aiutare qualcun altro lì dove lui non era riuscito ad arrivare. Quel bambino aveva appena 11-12 anni e in effetti, racconta oggi Carlos, a prima vista fu quasi un colpo di fulmine sportivo.

Santiago Buitrago in formato mini era sveglio, sapeva correre nelle posizioni avanzate del gruppo, sapeva scattare in salita, sapeva vincere in sprint ristretti. Ma soprattutto aveva occhi vispi che illuminavano un visino tondo color cioccolato contornato da  un caschetto di capelli scuri, come quelli dei cartoni animati. Gambette cicciotte ma potenti, una agilità innata, un colpo di pedale sicuramente speciale. Ma gli mancava tutto il resto: un paio di scarpe adeguate, una bici accettabile al posto del catorcio usato fino a quel momento, una divisa da ciclista vero. Tutto quello che Carlos stava aspettando da tempo di realizzare, al momento giusto, con il campioncino giusto, con la famiglia giusta disposta ad accettare la sua mano tesa.

Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni
Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni

L’asesor e il campione

E così nell’estate del 2011 inizia l’amicizia inseparabile tra Carlos e Santiago, l’asesor ed il campione, così come era stato qualche anno prima per Pablo Mazuera con Egan Bernal. Iniziava la storia dei lunghi viaggi in Suv per le montagne colombiane di Carlos Bernal (nessuna parentela con Egan) insieme a Santiago Buitrago. Loro due, una bici, l’acqua, qualche banana per il rifornimento e una borsa sportiva con scarpette, salopette, asciugamano, casco e occhiali e tanti sogni da realizzare.

Un sodalizio così forte da generare qualche gelosia e tensione anche nella famiglia Buitrago, specialmente quando Carlos nel 2019 aveva fatto di tutto per spedire in Europa, in Toscana, tra le braccia di Francesco Ghiarè ed il suo Team Cinelli un giovane ed inesperto under 23 al secondo anno di categoria. Dopo quattro gare aveva collezionato già una top 10, ma anche tre ricoveri in ospedale per tre cadute disastrose.

Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)
Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)

Emergenza in Italia

Don Gustavo Bernal aveva convocato a casa propria Carlos per inchiodarlo difronte alle sue responsabilità, ora che il figlio era in difficoltà. Un volo aereo Bogotà-Roma d’emergenza risultava troppo costoso per le tasche della famiglia di origine. Santiago aveva perduto conoscenza per una notte nel letto d’ospedale e i genitori erano troppo inquieti per lasciarlo solo in Italia in quelle condizioni.

Allora Carlos si era subito messo in moto per partire ed andare a riprenderlo per riportarlo in patria, quando Santiago dall’altra parte della cornetta, dall’altro capo dell’Oceano Atlantico lo aveva scongiurato di non farlo. Voleva provarci una volta ancora, tutto sarebbe andato per il verso giusto, lui le sue chance se le voleva giocare tutte, costasse quel che costasse, anche contro la volontà della famiglia. E Santiago aveva avuto ragione, così tanta ragione che a ricordarlo oggi Santi e Carlos ancora si guardano negli occhi e sorridono, felici di avercela fatta insieme, felici di ripercorrere quei giorni nel viaggio annuale che insieme da allora si regalano ogni dicembre.

Dopo la scalata all’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni
Dopo l’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni

Il viaggio a dicembre

Una tradizione, restando per giorni nelle montagne colombiane in Van e bicicletta, per parlare delle loro vite, per pianificare la stagione successiva, per mangiare, ridere e pedalare lontani dallo stress. Come fossero ancora un medico giovane ed un ragazzino alle prime armi, pieni di entusiasmo e passione condivisa per il ciclismo.

Perché il mondo intorno può cambiare, diventare veloce e stressante, ma il loro mondo sospeso tra Bogotà e l’Alto de Letras rimarrà sempre lo stesso, degno della trama di un film d’azione che si è saputo col tempo trasformare in pellicola. Vi si parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale: quella del ciclista professionista campione.

Colombia, due di noi alla conquista dell’Alto de Letras

24.12.2023
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ALTO DE LETRAS (Colombia) – Un mostro. Da qualsiasi punto la si voglia guardare, la strada che in 81 chilometri da quota 460 metri di Mariquita nel dipartimento del Tolima in Colombia porta ai 3.677 metri della cima Alto de Letras, sulle alture colombiane verso la provincia di Caldas, è un mostro. 

Un mostro di fatica. «El ciclismo es sufrimiento-alimento», sussurra tra le labbra mentre pedala don Hector Gustavo Buitrago, papà di Santiago, ciclista pro’ del team Bahrain-Victorious. Ansima ma gode con l’anima salendo verso la vetta, perché la fatica è alimento per l’anima.

Bellezza da vivere

Un mostro di bellezza, perché il paesaggio che scorgi quaggiù sotto i precipizi lussureggianti di verde è di una meravigliosa e selvatica bellezza. Sensazioni ancestrali amplificate dai rumori dei contadini che falciano, battono la zappa sulla terra, richiamano con fischi le greggi al pascolo. Tutto è speciale, con la sensazione di essere immerso in un mondo antico: un piccolo mondo antico come quello dell’opera di Antonio Fogazzaro, fatto di cose essenziali, semplici, naturali e vere.

Come l’immagine dei 12 ragazzini in sella alla propria bici rimediata – mtb, da passeggio, da strada – ma soprattutto di notte alle 22,30 che ti vengono incontro appena esci dall’aeroporto di Bogotà, in periferia, per una scorribanda di maschi e femmine che magari altrove, pensiamo a casa nostra, sarebbe stata virtuale. Ognuno a casa propria, davanti al cellulare, in poltrona, senza sudore, senza vigore, senza calorie, senza vita.

“Regolare…“

Alto de Letras, un mostro da 3.337 kcal bruciate, in 4 ore e 50 minuti di scalata a 16,8 km/h con una pendenza media del 4 per cento. Ogni tanto, mentre sali, a interrompere il ritmo ci pensano delle piccole discese spezza gambe a totalizzare 1.200metri di dislivello negativo che non aiuta, ma al contrario spezza il ritmo. Tre ore e tre minuti è il record di scalata, il KOM di Didier Chaparro che nel 2018 è salito a 26 di media in gara. Quattro ore 4 minuti il tempo di Santiago Buitrago in allenamento che su Strava intitola la sua attività come “Regolare” (alla faccia…). In realtà era partito insieme all’autore dell’articolo, fianco a fianco, anzi a ruota per i primi 20 chilometri a 270 watt medi, prima di esplodere dentro l’abitato di Fresno il primo paesino incontrato a quota 1.500 metri.

Poi altri 20 chilometri di fatica con Maurizio Fondriest, altro campione mai domo a 58 anni fino ai 2.100 metri di Padua (insomma la nostra Padova, che in Italia non è esattamente in salita). Infine ultimi 40 chilometri da solo, passando per Delgaditas a quota 2.600 metri, ultimo paesino fatto di 12 case e tre botteghe che vendono bevande e caramelle in alta quota ai meno 20 dalla vetta.

Per corpo e anima

Un mostro infine di mancanza di ossigeno, una saturazione da ricovero ospedaliero (81 contro 99 di Spo2), mentre in realtà non sei in corsia, ma su una strada ben asfaltata. Infinita, mentre guardi all’insù e sei solo sui pedali che spingi ma non vai, come un motore con il filtro bloccato ove passa la benzina ma non brucia. Due borracce con dentro carboidrati, quasi un litro di Coca Cola, tre barrette, tre gel, un pacchetto di vermicelli gommosi allo zucchero: acqua santa per arrivare in cima ancora abbastanza cosciente da essere felice.

Ed in cima il ristoro con Acqua Panela (acqua calda addolcita da succo di canna da zucchero) e “pane” di mais chiamato “Arepa”. Tutto molto semplice, tutto molto nutriente, per il corpo e per l’anima. Come essenziale e umana è la scorta degli “Sherpa Gregari de Letras”, un’agenzia di guide in moto che il ciclista Juan Camilo Sierra si è inventato per dare un servizio di conforto con abbigliamento pesante, acqua e cibo ai ciclisti che decidono di affrontare la sfida, ma vogliono un minimo di assistenza e più che altro sicurezza di non morire dal freddo in cima. Sì perché a Mariquita in partenza alle dieci del mattino l’aria è umida e calda, fino ai 38 gradi al sole, per poi farsi sempre più sottile e fredda in vetta, coperta da nubi e con 12 gradi.

La promessa

Aria fredda così rigida che l’abbraccio forte e complice con Santiago (il “colpevole” della sfida per la scalata) e Maurizio Fondriest risulta essere caldo e accogliente. E c’è già una nuova sfida pronta che passerà per le strade del Tour de France stavolta: se succede qualcosa di importante si tornerà tutti e tre insieme a festeggiare sull’Alto de Letras. Perché il ciclismo è sfida e condivisione, ma soprattutto come sentenzia don Gustavo: «Es sufrimiento – alimento».

Viaggio tra le alture italiane: Sestriere, Etna e San Pellegrino

16.05.2023
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Tre alture, tre luoghi magnifici. L’Italia tra i suoi innumerevoli patrimoni naturalistici vanta anche posti come Sestriere, Etna e Passo San Pellegrino. Mete preziose per i ciclisti che si arrampicano su queste pendici per dormirci su durante i periodi di stacco tra una corsa e l’altra. Lassù gli atleti ci vanno per curare animo e corpo, da soli o con la squadra. 

Ci siamo affidati a tre allenatori, preparatori, tecnici… chiamateli come volete, che su queste alture ogni anno portano corridori a ricaricare le pile o a preparare eventi importanti. Marino Amadori per il Sestriere, Paolo Alberati per l’Etna e infine Paolo Slongo per il Passo San Pellegrino. Iniziamo questo nostro Giro d’Italia tra le altura da nord a sud del nostro stivale. 

Sestriere: meta azzurra

Oltre ad aver riempito pagine di storia ciclistica con tappe e arrivi epici, Sestriere ogni anno nel periodo estivo è meta di pellegrinaggio da parte di ciclisti e amatori. Il motivo? I suoi 2035 metri e l’alto numero di salite e strade ideali per i corridori. Quassù ogni anno il cittì Marino Amadori porta la sua nazionale U23 ad allenarsi in preparazione agli appuntamenti più importanti.

«L’ho imparato a conoscere – racconta Amadori – perché vado su con i ragazzi da circa dieci anni. E’ una località che si trova più in alto rispetto ad un Livigno, nel senso proprio che siamo sui 2000 metri. Le zone d’allenamento sono ottime, con questa doppia scalata dalla parte di Cesana, una di 10 km, una di 6 km e poi arrivi giù ai 1.000/1.200 m dove puoi lavorare tranquillamente al 100 per cento anche in pianura. Come clima si trova sempre un po’ di fresco prezioso perché ovviamente ci si va nei mesi estivi essendo sulle Alpi. 

«Ritengo che sia una bellissima zona – dice il cittì – c’è anche poco traffico. Per il cicloturismo è una zona che si presta molto. Ci si può spostare anche nella zona di Pinerolo, sul Colle delle Finestre per trovare anche dello sterrato. In cima ci sono solo degli alberghi e servizi. E’ ben attrezzata. Una cosa preziosa quando andiamo su noi è che non c’è una vita sociale così attiva e distrattiva per i ciclisti. La scelta di questi luoghi viene fatta anche per questi motivi. 

«Nel 2019 e nel 2021 – ricorda Amadori – abbiamo preparato il mondiale che abbiamo vinto con Baroncini, ma anche il Tour de l’Avenir di Aleotti e Zana. Questo è sintomo che si lavora bene e il Sestriere è un’ottima palestra naturale».

Etna: come non innamorarsi

Anno dopo anno abbiamo imparato a conoscere il Teide e i suoi innumerevoli pregi. Basta guardare i profili Instagram dei pro’ e si nota che questo luogo è una delle loro mete preferite. Non ultimo Evenepoel che è sceso da lassù per andare a vincere la Liegi-Bastogne-Liegi. Non tutti però sanno che un vulcano con quelle caratteristiche (e con qualcosa in più) ce lo abbiamo anche noi. Si chiama Etna. Mastodontico, affascinate e immerso nella magnifica Sicilia. Paolo Alberati ce lo ha raccontato…

«L’Etna è un luogo magico. Purtroppo – dice – non è mai stato preso in considerazione più di tanto dai ciclisti. Da corridore andavo anche io sulle alture classiche. Ma l’Etna è differente perché qui a marzo a differenza degli altri luoghi puoi venire a pedalare con temperature ideali. Si dorme a quota 2.000 metri e si può pedalare fino a 2.900 con una gravel o mtb. A queste altitudini, io da preparatore lo consiglio, si può andare su con una e-bike per ossigenarsi e non affaticare il fisico.

«Ad oggi abbiamo – spiega Alberati – attivi 7 versanti pedalabili, il più lungo è 21 chilometri mentre il più corto è di 14. Sul nostro sito è possibile vederli tutti e programmarsi un itinerario per farli anche tutti insieme. Per questo abbiamo anche istituito un brevetto che attesta quante di queste salite hai conquistato. La cosa che ci ha convinti a creare questo progetto è stata anche la sicurezza che queste strade offrono. L’asfalto è sempre rifatto e il traffico è ridotto.

«E’ un luogo ideale – conclude – oltre per il cicloturismo e per gli appassionati, anche per preparare grandi appuntamenti. Ha un vantaggio che, tanto per fare un paragone, il Teide non ha. É possibile infatti scendere al livello del mare e trovare la pianura per allenarsi al meglio. A Tenerife questo non è possibile farlo perché è un continuo sali e scendi. Tra i più recenti nomi che sono venuti quassù prima del Giro, posso dire Aurélien Paret-Peintre, oppure Oldani, Baroncini. Chi viene, torna sempre, come Cadel Evans che è un frequentatore. L’Etna è una montagna magnetica, in continuo mutamento la senti che borbotta e respira».

San Pellegrino: prima dei Giri

Un passo situato nel cuore delle Dolomiti immerso in un contesto naturale rigorosamente protetto dall’UNESCO. Il San Pellegrino lo abbiamo visto tutti almeno una volta in TV in una tappa del Giro d’Italia tra una salita e l’altra oppure con l’arrivo in grembo. Scopriamolo attraverso le parole di Paolo Slongo.

«Il Passo San Pellegrino – dice – lo conosco da sempre. Ho iniziato a frequentarlo con le squadre da quando ero in Liquigas perché era un nostro sponsor. Da aprile, maggio in poi si andava su, si faceva anche il ritiro di dicembre invernale con tutta la squadra. Come detto, non è distante da casa mia e per un allenatore è importante conoscere la “palestra” dove ci si allena. 

«Il San Pellegrino – spiega – ha tutto quello che serve. E’ in altura, ha molte strutture adibite ad accogliere i ciclisti e soprattutto è possibile scendere comodamente a valle per alternare i percorsi. E’ infatti un luogo ideale, per i velocisti o per preparare le cronometro. Allo stesso tempo si hanno le Dolomiti, ma anche i percorsi piatti e ondulati nelle valli che ti permettono di poter far tutto l’allenamento a 360 gradi. Mi ricordo che per questo motivo venivano spesso a prepararsi anche Sagan e Viviani. 

«Le strade – conclude Slongo – sono perfette. Oltre a esserci ciclabili, che magari noi professionisti non frequentiamo, ci si può muovere in tranquillità ovunque. C’è una cultura per la bicicletta totale e ti senti anche tutelato mentre pedali. A livello di salite c’è l’imbarazzo della scelta. Il San Pellegrino è nel cuore delle Dolomiti. Per esempio quando si scende a Canazei che sei a 30 chilometri dal Passo, ti trovi un bivio, dove puoi fare Marmolada, Pordoi o Sella e da lì poi si apre tutto uno scenario di itinerari infinito. Da Ivan Basso compreso in poi, tutte le vittorie dei grandi giri sono state preparate lassù. Con Vincenzo Nibali ci piaceva molto andare nel periodo estivo, come lui anche Aru, Landa e tanti altri. Diciamo che andare al San Pellegrino era una garanzia per preparare un appuntamento importante».

Dall’esperienza di Buitrago, l’analisi del fuorigiri

24.02.2023
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Nella prima tappa della Vuelta a Andalucia abbiamo assistito ad uno degli show di Tadej Pogacar. L’asso della UAE Emirates ha dominato alla sua maniera, staccando tutti. Alle sue spalle però al momento dello scatto c’è stato un corridore che lo ha tenuto più di altri, Santiago Buitrago, prima di fare un bel fuorigiri. La foto di apertura è il quadro perfetto: lo sloveno scappa e il colombiano dietro china la testa.

A nostro avviso il tentativo di Buitrago va elogiato, per istinto, coraggio e cuore oltre l’ostacolo. Poi però è anche vero che parliamo di wattaggi, di sforzi calibrati al millimetro, di alimentazione chirurgica e ci si chiede come si possa ancora cadere in questi tranelli.

Non siamo qui per fare un processo a Buitrago che, lo ribadiamo, merita solo un grande plauso, ma per analizzare quella sua sparata. Per capire da un punto di vista tattico e fisiologico la risposta all’attacco di Pogacar.

E per questa analisi ci siamo fatto aiutare da Paolo Alberati, il quale oltre ad essere il procuratore di Buitrago, è anche un preparatore ed è stato corridore, quindi conosce in prima persona certe dinamiche.

Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo, un bel fuorigiri per Buitrago, ma come è possibile che ciò accada ancora?

Ne parlo anche con dei ragazzi che seguo in allenamento e a loro dico: «La vittoria più bella non è quella quando sei il più forte, ma quando batti il più forte perché ci hai provato, ti sei inventato qualcosa». Nel caso di Buitrago sei a ruota del più forte corridore al mondo e che fai, non lo segui?

Nell’era del ciclismo tecnologico gli atleti hanno tutto sotto controllo. Santiago avrà visto che era al limite. I corridori non guardano il potenziometro?

Sì lo guardano, certo, ma non in quel momento. Non nell’istante in cui un avversario, per di più Pogacar, scatta. In quell’attimo c’è adrenalina. Lo vedi. Gli sei a ruota. Non lo lasci andare. E poi magari se ha risposto subito è perché si “sentiva comodo” fino a quel momento, cioè stava bene. Quindi il corridore segue anche le sue sensazioni e i calcoli sono pari a zero.

Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Buitrago risponde e per un bel tratto lo tiene. Poi dopo che arriva la “botta di acido lattico” cosa fa? 

Premettiamo che in quel momento erano a 3 chilometri dalla vetta – l’arrivo era più lontano – e quindi non puoi fare un fuorigiri totale. Devi in qualche modo regolarti, lasciarti qualcosa. Non è come se fossi a 300 metri dallo scollinamento. Buitrago quando lo molla, si rialza, respira un po’, parla anche alla radio per sapere cosa deve fare (c’era il compagno Landa in risalita, ndr), e poi cerca di recuperare il più possibile.

E come? Ha subito alleggerito il rapporto immaginiamo. L’istinto almeno direbbe quello…

Sì, ma non ha mollato del tutto. Ha amministrato la pedalata, quel tanto da “recuperare” e continuare a spingere. Anche perché l’acido lattico stesso, e questa è fisiologia, si trasforma in energia. Il 30% di acido lattico viene riconvertito in glicogeno e quindi in Atp per i muscoli. E in questo processo sono di grande aiuto i lavori 40”-20”, per esempio, che velocizzano la trasformazione di acido lattico. Poi è chiaro che l’atleta va anche a sensazioni in quei momenti.

Subentra l’istinto. Senza contare che così si fa anche esperienza. 

Certo. Pensate se non ci avesse provato… Alla fine Pogacar nel tratto in salita (in quei 3 chilometri, ndr) gli ha dato 25”. E cosa sono 25” in salita? Se ne avesse avuta così tanta di più, avrebbe preso più margine. E quando questa cosa l’ho fatta notare a Santiago ne è rimasto piacevolmente colpito, perché lui faceva riferimento al distacco dell’arrivo. Per lui sono iniezioni di fiducia.

E’ così che l’atleta impara a conoscere i suoi limiti. 

Sono piccoli step psicologici, che a quel livello contano. Penso per esempio agli stratagemmi che s’inventa Van der Poel per battere Van Aert, che più forte di lui. E poi quel giorno in Andalucia salivano forte.

In effetti abbiamo visto qualche dato sulle varie piattaforme . Sembra che Pogacar sia andato ben oltre i 7,3 watt/chilo di Geoghegan Hart (quel giorno quinto a 1’38”) alla Valenciana…

Prima dell’attacco hanno pedalato per 14′ ben oltre i 6 watt/chilo e sul momento dell’attacco per circa 2’30” hanno sviluppato 8,8 watt/chilo. Capite perché questo fuorigiri è servito comunque a Buitrago? Una volta Alfredo Martini mi raccontò un aneddoto su Coppi. A Fausto chiesero quale fosse il momento più bello per un ciclista e il Campionissimo rispose: «Il momento della decisione. Quando vedi gli avversari e decidi di partire». Ecco, a suo modo, credo che Buitrago abbia vissuto il momento della decisione rispondendo a Pogacar.

Con Quartucci anche l’Umbria ha il suo campione…

28.07.2022
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Non sono certamente tanti, anche nella storia, i ciclisti arrivati dall’Umbria. E’ come se il polmone verde d’Italia non spingesse i ragazzi a pedalare, a vivere pienamente nella natura attraverso il mezzo di spostamento più ecologico che c’è. Nella realtà non è così, anzi. Solo che l’attività non si traduce in atleti già pronti per il ciclismo su strada a differenza di quanto avviene nella mountain bike, dove complice anche un corposo calendario soprattutto nelle granfondo, il numero di praticanti è rilevante.

Lorenzo Quartucci è un po’ l’eccezione alla regola. E’ di Città di Castello (PG), ha 23 anni e si sta mettendo sempre più in evidenza alla Hopplà Petroli, fino al grande successo conseguito al Giro delle Valli Aretine, la gara alla quale teneva di più (il podio nella foto di apertura, foto FCI), ottenendo quel successo che cercava da inizio stagione.

«A dir la verità – dice – la prima parte dell’anno non è stata per nulla deficitaria, sono sempre stato nelle prime posizioni senza praticamente mai uscire dai primi 10. Ne ho accumulate 16, penso che se non è un record poco ci manca… Avevo colto anche un paio di vittorie e un secondo posto (oltretutto in una gara internazionale come il Trofeo Città di Brescia), quindi non posso davvero lamentarmi, certo che il risultato della Valli Aretine ha un sapore speciale».

Quartucci genitori
I genitori di Lorenzo, Clementina e Claudio, felici quanto lui per la vittoria al Giro delle Valli Aretine
Quartucci genitori
I genitori di Lorenzo, Clementina e Claudio, felici quanto lui per la vittoria al Giro delle Valli Aretine
Come mai ci tenevi così tanto?

Innanzitutto perché si svolgeva lungo le strade sulle quali mi alleno praticamente tutti i giorni, poi perché tanti erano venuti a vedermi. Si era creato una sorta di passaparola, c’erano tanti amici, i miei parenti, la mia ragazza, tutti a fare un tifo sfrenato a cominciare dai miei genitori. Non potevo tradire la loro fiducia, è stato come se le mie energie si fossero moltiplicate.

Raccontaci un po’ come nasce il Quartucci ciclista…

Ho iniziato a 10 anni, seguendo gli amici. Andavamo al ciclodromo per divertirci insieme, ma pian piano quel continuare a far fatica, cercando di emergere, di fare sempre un pochino meglio, di avvicinare se non superare il ragazzino che la settimana prima sembrava così lontano, mi hanno spinto a insistere e non mi sono più fermato.

Quartucci Marcialla
Volata vincente il 15 maggio a Marcialla (FI) per il Trofeo Matteotti (foto Rodella)
Volata vincente il 15 maggio a Marcialla (FI) per il Trofeo Matteotti (foto Rodella)
Quel ciclodromo di cui parli è ancora frequentato?

Quando ci andavo io era sempre pieno, a Città di Castello c’è una bella tradizione ciclistica. Ora però vedo che ci va meno gente e mi dispiace perché era un ottimo sistema per far pedalare i propri bambini in tutta sicurezza. E poi ci si divertiva tanto…

Perché secondo te c’è una così scarsa produzione di ciclisti professionisti in Umbria?

Me lo sono chiesto anch’io. Di ciclisti ce ne sono tanti, ma non molti vanno su strada, prediligono i sentieri offroad anche per quel discorso sulla sicurezza toccato prima. Una risposta non me la so dare: ad esempio ho tanti amici che sono curiosi della mia attività, che mi chiedono dopo ogni gara com’è andata , che mi sono sempre stati vicino, ma ne avessi mai sentito uno dire che voleva provarci…

Quartucci Marmantile
Successo in solitaria il 26 giugno a Malmantile (FI) con i primi inseguitori a 50″ (foto Rodella)
Quartucci Marmantile
Successo in solitaria il 26 giugno a Mamantile (FI) con i primi inseguitori a 50″ (foto Rodella)
Che tipo di corridore sei?

Penso di essere un ciclista completo. Tecnicamente prediligo le salite non troppo lunghe e mi trovo bene nelle volate ristrette. Dalla mia ho sicuramente la costanza di rendimento, che mi porta a garantire un risultato in qualsiasi periodo della stagione.

Dove pensi di arrivare?

E’ chiaro che il mio sogno è approdare in una squadra pro’ di grande qualità. Io ce la sto mettendo tutta con l’unica cosa che posso fare: ottenere risultati, poi ci penseranno i miei procuratori (Quartucci è seguito da Alberati e Fondriest, ndr) per trovare un contratto. Per ora non c’è niente di definito, io continuo a fare il mio meglio e vedremo se esce fuori qualcosa.

Quartucci azzurro
L’umbro ha vestito anche la maglia azzurra, lo scorso anno alla Corsa della Pace
Quartucci azzurro
L’umbro ha vestito anche la maglia azzurra, lo scorso anno alla Corsa della Pace
Secondo te per arrivare a una squadra professionistica, il procuratore è necessario?

Diciamo che è bene averlo, anche se sono convinto che alla lunga i risultati ti mettono in evidenza. Se un corridore vale, difficilmente non viene notato, ma l’esperienza del procuratore può essere importante per gestire meglio la crescita e fare le scelte giuste.

C’è una gara che sogni?

La mia preferita è la Liegi-Bastogne-Liegi, tutta strappi, mi piacerebbe tanto correrla un giorno. Dicono che se una cosa la desideri tanto poi si avvera, quindi…

Il motore di Fiorelli ai raggi x: velocista o cacciatore?

15.07.2022
7 min
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Partiamo da una frase di Giovanni Visconti: «Filippo Fiorelli non è un velocista puro, deve puntare a corse più mosse e ad andare in fuga». Qualche giorno dopo il bravo corridore della Bardiani Csf Faizanè ha vinto una corsa… in volata.

Vogliamo capire di più. Vogliamo capire quanto realmente Fiorelli sia uno sprinter, quanto sia grande il suo motore e come sta lavorando. E a dircelo è Paolo Alberati, il suo preparatore, non solo il suo manager.

Paolo Alberati con Filippo Fiorelli (classe 1994)
Paolo Alberati con Filippo Fiorelli (classe 1994)
Paolo, un tema che ti è caro: Filippo Fiorelli. Che corridore è?

Spesso mi prendono in giro perché l’ho sempre presentato come un corridore “alla Bettini” e non come un velocista. Ma come – mi dicevano – tu alleni uno scalatore e poi questo ragazzo vince le volate? E così, piano piano ho dovuto cambiare il tiro.

Quanto è grande il suo “motore”?

Il motore di Filippo è un bel motore, soprattutto è molto resistente. Lui dopo tante ore non cala. A volte ci siamo chiesti con Marcello Massini, che è il suo (e il mio) mentore, se il misuratore non fosse starato! Perché escono valori molto alti. 

Beh, che sia forte si vede…

Se si va ad osservare gli istogrammi che emergono da Trainingpeaks ci sono valori molto buoni, sia personali che rapportati ad altri corridori del WorldTour. Valori ottimi nei 5′, nei 6′, nei 10′ massimali… E diresti che come caratteristiche è appunto un Bettini. In più è molto forte sul picco dei 5”. Filippo tocca i 20-21 watt/chilo. I velocisti del Giro e del Tour, tanto per dare un parametro di riferimento, vincono gli sprint con 22-23 watt/chilo. Filippo ha un picco intorno ai 1.400 watt.

Fiorelli è un ottimo sprinter perché ha uno spunto veloce ed è abile nella guida, ma le sue caratteristiche naturali non sono da velocista
Fiorelli è un ottimo sprinter perché ha uno spunto veloce ed è abile nella guida, ma le sue caratteristiche naturali non sono da velocista
Una potenza massima molto buona, ma forse insufficiente per vincere una volata di gruppo?

Le volate di gruppo che ha vinto non sono state contro un Groenewegen, ma a capo di corse piuttosto lunghe. Filippo che siano tre, cinque o sette ore le ha vinte perché non serviva un super spunto di velocità. Perché, come detto, cala di meno. Bisogna capire come arriva alle volate.

Cioè?

Io osservo i suoi grafici. In un arrivo di gruppo di solito fa tre volate. Una ai -4 per portarsi nelle prime 20 posizioni. Una agli 800 metri per trovare la ruota giusta. E una, la volata finale, che il più delle volte fa a ruota. Perché sin qui di volate di “faccia” ancora non ne ha fatte, almeno a certi livelli. E quindi qual è il mio parere? 

Vai, spara!

Se Filippo pesasse come pesava da dilettante, vale a dire 66 chili, sarebbe un atleta che sugli strappi somiglierebbe davvero ad un Bettini e in volate da venti corridori vincerebbe facile. Chi lo batte con quello spunto? I venti atleti che restano davanti su uno strappo di 1,5 chilometri al 15% non sono i velocisti puri. Potresti avere forse un Sagan in condizione.

Filippo Fiorelli fa il ritiro sull’Etna, ma si allena il più delle volte in basso
Filippo Fiorelli fa il ritiro sull’Etna, ma si allena il più delle volte in basso
E allora perché non ci si è concentrati su questo aspetto? Perché è sembrato più uno sprinter che uno scattista da classiche?

Il problema è che da quando è passato professionista non ha mai avuto quel peso. E’ sempre stato sui 68,5-69 chili. Anzi, in un Giro è partito a 67,5 e lo ha finito ad oltre 70.

Un peso maggiore, non tanto nel caso del Giro che hai riportato, ma in generale è dovuto ad una questione di alimentazione o anche di preparazione? Per esempio più palestra, più muscoli…

E’ questione di alimentazione. E’ ragionevole pensare che da pro’ non possa correre e vincere corse dure come quando era dilettante.

Perché no?

Perché il suo peso forma è di 66,5 chili. Non renderebbe al di sotto… tra i pro’. Il problema, come detto, è che non ci ha mai corso con quel peso. Se ne rende conto. Lo sa. Quest’anno ha iniziato a lavorare con Iader Fabbri, il nutrizionista, ed in effetti si è visto più pimpante, anche in tappe più dure. Io credo che il vero motore di Filippo si possa vedere quando è a 66 chili.

E’ un peccato che non ci sia arrivato…

E’ un peccato. Non voglio neanche passare per il preparatore fissato col peso, ma ormai si lavora sui “millimetri” e tutto ciò conta. Faccio un esempio: avere nei 6′ di sforzo 6,7 watt/chilo o averne 6,95 (che sarebbe la differenza fra il suo peso attuale e il suo peso forma) cambia molto. Significa non arrivare in volata con 20 corridori, ma arrivarci con 60. E in quei 60 ci sono due velocisti che ti battono. 

I margini ci sono?

Sì, Fiorelli a 67,5 chili è all’8,5% di massa grassa e quindi può limare tranquillamente. Può arrivare al 7% e ci sta che poi non fai più le volate di gruppo. Ma quando in una stagione ha vinto tre corse, o tre sprint ristretti credo che abbia fatto il suo. Meglio che aver fatto dieci volte settimo in volate di gruppo. In più se si resta in venti e vince quelle corse si presuppone che batta corridori forti. Sia chiaro non lo sto rimproverando. Con Filippo viaggiamo sulla stessa linea d’onda. Stiamo capendo insieme come riuscire a risolvere questo problema.

Dalla Valle Sibiu 2022
Al Sibiu Cycling Tour Fiorelli ha vinto. La volata di gruppo, aprendo di nuovo i “dubbi” sulle sue caratteristiche (foto Max Schuz)
Dalla Valle Sibiu 2022
Al Sibiu Cycling Tour Fiorelli ha vinto. La volata di gruppo, aprendo di nuovo i “dubbi” sulle sue caratteristiche (foto Max Schuz)
Hai detto che è consapevole: questo è importante…

Lui ci ha anche provato prima del Giro del 2020 a perdere peso. In 14 giorni ha buttato giù cinque chili. Il problema è che poi aveva i crampi. Un calo di peso così rapido non va bene. Significa non mangiare e se non mangi non ti puoi allenare bene. Stavolta l’abbiamo presa più alla lunga.

E adesso?

Dopo il Sibiu ha staccato. Una settimana di fermo totale e una tranquilla. Poi andrà sull’Etna. Però ci arriva con un paio di chili in meno dello scorso rispetto allo stesso periodo. Partiamo meglio. Riprenderà a correre al Tour du Limousin a metà agosto. 

Hai parlato dell’Etna, Paolo: ma l’altura serve ad un velocista? O meglio, a questo tipo di corridore? Tanto più che lui risale in quota in bici…

Prima del Giro abbiamo cambiato la sua altura. Di questo ne ho ragionato anche con il cittì Bennati, che conosco benissimo visto che per dieci anni ci siamo allenati insieme. E tra le cose che abbiamo cambiato c’è stata proprio quella di non scendere e risalire in bici. Non gli serve. Filippo lo fa in macchina. Lavoriamo nella piana di Catania, anche dietro moto, facendo delle volate fuori scia o semplicemente tenendo la ruota quando la strada sale, volate che terminano su uno strappo. Simuliamo le condizioni che trova un velocista quando esce di ruota e incontra il muro d’aria. Usiamo la salita per rientrare solo quando deve fare delle sedute di forza, le SFR. E anche queste sono cambiate. Non sono più da 4′, ma molto più lunghe. Quindi non è più un’altura da scalatore.

Fiorelli sulla strada dell’Etna che porta ai 3.000 metri che fa con la mtb elettrica (immagine da video)
Fiorelli sulla strada dell’Etna che porta ai 3.000 metri che fa con la mtb elettrica (immagine da video)
Insomma bisogna tirare fuori lo scattista veloce?

Esatto, non voglio trasformarlo in scalatore! Fiorelli fa l’altura perché dormire a 2.000 metri ha i suoi vantaggi, tanto più sull’Etna che senza vegetazione è come stare a 2.400-2.500 metri sulle Dolomiti. La saturazione è leggermente più bassa. In più c’è il vantaggio che con una bici elettrica può salire fino a quota 3.000 metri. E quello è il vero beneficio. 

Perché con una bici elettrica?

Perché lo puoi fare senza eccessiva fatica. E poi serve la mtb perché è sterrato. Riesci a fare il giusto lavoro di ossigenazione. Serve infatti un’intensità bassa (sui 130-140 battiti), altrimenti a quelle quote intossichi solo il muscolo. Non a caso Filippo esegue queste sedute nei giorni di scarico oppure dopo le sedute di forza in pianura. Risale in macchina e completa l’allenamento con questa pedalata al altissima quota. E poi c’è un altro vantaggio dell’Etna, ma anche del Teide.

Quale?

Che puoi beneficiare della quota, ma ti puoi allenare in basso, a 300 metri di altezza. Quindi non hai problemi di adattamento prima e dopo: nei primi giorni di corsa sei subito competitivo. Senza contare che non passi da 15° a 35°.

Ecco un altro superstite Gazprom: Rivera pronto a ripartire

14.07.2022
5 min
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Abbiamo raccontato spesso dei corridori della Gazprom-RusVelo, di quelli che hanno trovato squadra e di quelli che non ci sono riusciti. A questa seconda schiera appartiene anche Kevin Rivera (in apertura foto @yasdvni). Appena arrivato era già uno dei pupilli dei tecnici, che su di lui puntavano molto.

Forse qualcosa potrebbe cambiare a breve per il talentuoso scalatore costaricano, che proprio in questi giorni si trova nella sua bellissima terra in Centro America.

Rivera (classe 1998) era approdato quest’anno alla Gazprom-RusVelo
Rivera (classe 1998) era approdato quest’anno alla Gazprom-RusVelo

WorldTour in vista

«La situazione – racconta uno dei suoi manager, Paolo Alberati – non è delle migliori, visto il caso Gazprom. Tuttavia proprio un paio di giorni fa, tramite Maurizio Fondriest (l’altro procuratore di Rivera, ndr) che è al Tour ci è arrivata una proposta di una squadra WorldTour che è in cerca di uno scalatore. Un posto ce lo hanno».

Qualcosa si muove dunque. Rivera non ha contratto e quindi può essere preso. «In questo momento Kevin ha una tessera da dilettante rilasciatagli dalla sua Federazione, pertanto può essere tesserato. Se tutto va bene già dal 1° agosto, sfruttando la possibilità di fare lo stagista. Non abbiamo mollato! E per noi non sarebbe male dopo Conci sistemare l’altro dei nostri che era in Gazprom».

Nei primi test di Rivera in Costarica nel 2017, Alberati credeva che il macchinario fosse sballato tanto erano elevati i valori
Nei primi test di Rivera in Costarica nel 2017, Alberati credeva che il macchinario fosse sballato tanto erano elevati i valori

Sempre sul pezzo

Neanche Rivera però ha mollato. In Costa Rica, si è allenato, ha preso parte a delle gare e persino ai due campionati nazionali, quello a crono e quello su strada.

«Aveva vinto una corsa qualche giorno prima del campionato nazionale – riprende Alberati – una corsa che arrivava in salita a 3.200 metri su uno dei vulcani centrali. Mentre la gara per il titolo che si svolgeva verso Nord, verso il Nicaragua era ben più piatta e veloce. E’ arrivato con il drappello dei migliori, ma nulla di più».

Non sono certo le volate il pane di Rivera. Lui è uno scalatore puro. E tra l’altro uno dei più forti a sentire Alberati e anche altri che lo hanno avuto sottomano.

«Sapete – riprende Alberati che è anche un coach – un Vo2Mx di 95 e passa non capita sempre. Ma quando ci dicevano questi dati dal Costa Rica li prendevamo con le molle. Se poi glielo misuro io ed è 95. Glielo misura Bartoli ed è 95 allora vuol dire che è quello per davvero. E’ fuori dal normale.

«Poi si sa, non contano solo i test. Il corridore è un’altra cosa. Rivera si allena bene. E lo fa volentieri. Seguiva le tabelle alla lettera sia quando lo seguivo io, sia quando lo seguivano i tecnici del team russo.

«Uno scalatore di 55 chili alla fine di una tappa dura di 5-6 ore ci deve arrivare. E prendere le salite più fresco. Ma sta migliorando».

Il costaricano si è sposato qualche mese fa con Cecilia (foto Instagram- @fabiancastellon777)
Il costaricano si è sposato qualche mese fa con Cecilia (foto Instagram- @fabiancastellon777)

Più maturo

Così come sta migliorando dal punto di vista umano. Rivera era passato giovanissimo, 18 anni. Veniva da una famiglia estremamente povera, a casa sua non c’era l’elettricità, e il suo titolo di studio corrispondeva alla nostra terza elementare.

Va da sé che per stare al mondo di oggi, per viaggiare, per frequentare ambienti competitivi e internazionali serviva un salto di qualità. E per Kevin è stato doppiamente duro adattarsi.

Al terzo anno ha vissuto anche un momento di crisi. Perché va bene i primi soldi, che seppur pochi erano comunque tanti vista la sua situazione di provenienza, ma un po’ di nostalgia della famiglia e qualche acciacco fisico lo aveva buttato un po’ giù.

«In questi cinque anni da pro’ però Kevin ha colmato questo gap culturale – dice Alberati – adesso ci fai i discorsi da adulto. Prima ci facevi discorsi da bambino. Ora parla inglese. Si è sposato. Maurizio ed io ci abbiamo lavorato tanto e questa sua crescita si riscontra in tutto».

Dopo quattro stagioni all’Androni è passato alla Bardiani e alla Gazprom. Dovrebbe finire in un team francese (o in alternativa spagnolo)
Androni, poi Bardiani e Gazprom. Ora dovrebbe finire in un team francese (o in alternativa spagnolo)

Pronto il piano B

Rivera aveva preso la residenza a San Marino. Nonostante il fattaccio Gazprom-RusVelo, pensando (e sperando) in un ritorno a breve, non l’ha mollata. E a livello fiscale non ci ha guadagnato nulla, essendo rimasto senza squadra in questi mesi. Anzi… 

Il suo ottimismo sembra aver avuto ragione. Se infatti non dovesse concretizzarsi l’ipotesi WorldTour c’è pronta una seconda possibilità.

«Abbiamo instaurato anche dei rapporti con una professional spagnola – ci confida Alberati – ma chiaramente se si fa avanti una WorldTour, questa passa in primo piano. Alla fine la Spagna con il suo ambiente latino è sempre una buona sistemazione per i sudamericani. Senza contare che ci sono voli diretti e anche sotto il periodo del Covid tutto era più facile e lo stesso vale per i documenti». 

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Da Contador a oggi, viaggio nella magia del vulcano

10.05.2022
6 min
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La prima volta fu nel 2006 alla stazione di Siracusa. Paolo Alberati e Giampaolo Caruso: procuratore e atleta. Il primo che ancora viveva in Umbria, il secondo ad Avola. Stavano progettando di andare sul Teide e intanto in lontananza l’Etna imbiancato riempiva l’orizzonte.

Alberati ricorda di averlo chiesto per pura curiosità. Quanto è alto? Tremila, rispose Caruso. Ci sarà un albergo in cima? Questo Caruso non lo sapeva. Per cui qualche giorno dopo andò in cima con la compagna di allora e scoprì che c’erano due alberghi. Fu così che prima a marzo e poi a giugno, l’allora corridore della Liberty Seguros salì sul vulcano siciliano per la preparazione in altura.

Tornanti nella lava, questo è l’Etna già dai primi chilometri…
Tornanti nella lava, questo è l’Etna già dai primi chilometri…

Il Parco Ciclistico dell’Etna

Alberati è stato corridore. E se anche non lo fa più di mestiere, non ha mai spesso di esserlo. In uno di quei viaggi in avanscoperta, lasciò il biglietto da visita a una ragazza che lavorava nel Rifugio Sapienza e di lì a due anni la sposò. Poi nel 2011 comprò casa a Pedara e oggi vive fra Catania e il continente, con il suo lavoro di allenatore e procuratore accanto a Maurizio Fondriest.

Non potevamo che partire da lui per raccontare la fortuna dell’Etna, che negli ultimi anni è diventato il riferimento di corridori e cicloturisti e proprio oggi è il teatro della quarta tappa del Giro d’Italia. Prima l’amatore medio catanese puntava verso il mare, arrivare in cima era un’impresa per pochi. E’ una salita dove fa freddo. Finché un giorno a Nicolosi nacque l’Associazione Pedale nel Cuore, che regalava una borraccia a chiunque fosse arrivato in bici al Rifugio Sapienza e qualcuno cominciò a salire. Poi nacque il Brevetto “Parco ciclistico dell’Etna”. E soprattutto è nato il Parco Ciclistico dell’Etna, che nel rifugio in cima ha fissato la sede.

Alberati assieme a Simone Ravanelli, scalando il vulcano
Alberati assieme a Simone Ravanelli, scalando il vulcano

«Sembra brutto dirlo – racconta Alberati – ma la pandemia sotto questo punto di vista è stata una manna. Approfittando del tesserino da giornalista, mappai i sei versanti dell’Etna e rendemmo possibile la scalata su piattaforma virtuale. Finché nell’estate del 2020 arrivammo al picco di 68 persone arrivate in cima in un solo giorno. E nel frattempo è saltato fuori il settimo versante, dedicato a Marco Pantani con il consenso di mamma Tonina…».

La svolta ci fu col Giro nel 2011?

Bisogna dire grazie a Paolo Tiralongo. Fu lui ad andare dal sindaco di Nicolosi, convincendolo perché si rivolgesse a Mauro Vegni. Paolo non correva ancora con Contador, ma quella prima volta fu Alberto a vincere. Da allora si accesero i riflettori. E gli stessi versanti dedicati ai singoli campioni si devono al Giro. Contador. Dumoulin. Coppi e Bartali. Michele Scarponi e #salvaciclisti. Vincenzo Nibali. Marco Pantani…

Ogni versante ha la sua stele.

E vicino alla stele c’è la fontana per prendere acqua. Abbiamo potuto mettere i cartelli per sensibilizzare sulla presenza dei ciclisti. Abbiamo avuto tutte le autorizzazioni ma non i soldi, così abbiamo fatto ricorso a sponsor privati. Il Rifugio Sapienza è diventato la sede del Parco Ciclistico e il proprietario mi dice che nelle stagioni buone, ci sono 100 ciclisti al giorno che arrivano lassù. Ma c’è anche l’Hotel Corsaro, che però non è aperto tutto l’anno, in cui va Pozzovivo e in cui andavano Michele Scarponi e la Lampre, perché li portava su Orlando Maini.

La presenza dei pro’ fa da richiamo?

Il Parco Ciclistico dell’Etna parte dai paesini etnei. Le strade sono state riasfaltate, sembra un’enclave a parte. E lentamente questo sistema è diventato un segmento importante per l’economia turistica. I corridori portano visibilità sui social e il cicloturista chiede di andare ad allenarsi dove fino a pochi giorni prima pedalava Damiano Caruso.

Perché è bello allenarsi lassù?

Il vantaggio del vulcano è che non serve adattamento prima e neanche dopo. Me lo dice ogni volta proprio Damiano. A Livigno fai tutto in altura, perciò ti serve stare su qualche giorno prima per abituarti alla quota e poi serve del tempo quando scendi, anche perché in pianura trovi anche temperature più elevate. Sull’Etna e sui vulcani in genere, dormi in alto, ma ti alleni in basso. Alcuni per ottenere gli stessi vantaggi vanno in Spagna e dormono nella camera iperbarica. Di recente è venuto Demare. I velocisti non vanno quasi mai in altura, perché i lavori di forza non vengono bene se c’è carenza di ossigeno. Qui ha potuto lavorare bene. E poi c’è un’altra cosa…

Nel 2011, Scarponi andò sull’Etna per allenarsi assieme a Petacchi
Nel 2011, Scarponi andò sull’Etna per allenarsi assieme a Petacchi
Quale?

Sul Teide sei fuori dal mondo, qui sei a Catania, hai una città facile da raggiungere. Quindi chi viene torna sempre. I pro’ si vedono soprattutto a febbraio e marzo, quando non puoi andare sulle Alpi. E anche ad agosto, perché se anche sotto è molto caldo, sopra ci sono 25 gradi.

Nel frattempo il Rifugio Sapienza è stato ristrutturato…

Nel 2013 morì il vecchio proprietario e la famiglia ha ceduto l’attività a Salvatore Caruso e Domenico Moschetto, due ragazzi in gamba e perbene.

I cartelli che invitano a rispettare i ciclisti sono stati pagati con contributi privati
I cartelli che invitano a rispettare i ciclisti sono stati pagati con contributi privati
C’è attesa per l’arrivo del Giro?

Tanta. Non come in Toscana, ma tanta. Si dice che il ciclismo muoia sotto Napoli, ma in Sicilia rifiorisce. Una volta Alfredo Martini, durante una delle nostre chiacchierate, mi disse che avrei potuto fare tanto per i ragazzi siciliani. Mi raccontava anche di una tappa che dall’Etna arrivava a Caltagirone. Partenza in discesa e lui andò in fuga. Quelle sue parole mi suonano nelle orecchie e forse anche per questo mi sono buttato tanto nel Parco Ciclistico. Su quattro steli alla partenza dei versanti c’è il nome della mia società. In un modo o nell’altro, anche questo è un modo per essere utile, come disse Martini.

Visconti, il gravel e la collaborazione con il Gruppo Zecchetto

20.04.2022
4 min
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Dopo la recente esperienza vissuta in occasione della Sicily Divide, “pedalata” assieme all’amico Paolo Alberati, Giovanni Visconti ha sempre più presente il mondo gravel: anche e soprattutto per il prossimo futuro. L’ex corridore siciliano ha difatti raggiunto un’intesa con i brand del Gruppo Zecchetto – Dmt, MCipollini e Alè – per rivestire il ruolo di “ambassador”, ma soprattutto per pianificare assieme a loro nuove iniziative e nuove imprese da realizzare in questa specifica disciplina.

Abbiamo allora approfittato di questa notizia per capire qualcosa in più relativamente questa nuova passione di Visconti. Una passione quella per il gravel che sta “contagiando” moltissime persone in Italia, tra cui molti neofiti che al ciclismo si avvicinano per la prima volta perché incuriositi da questo diverso approccio.

Giovanni Visconti ha iniziato fin da subito il suo percorso di avvicinamento al mondo gravel
Giovanni Visconti ha iniziato fin da subito il suo percorso di avvicinamento al mondo gravel
Giovanni, questo per il gravel è un amore a prima vista…

Onestamente sì. Paolo Alberati mi ha spinto a percorrere assieme a lui la Sicily Divide. Per pedalare liberamente, per pensare al mio futuro. E devo dirvi che l’esperienza è stata a dir poco entusiasmante! Ero convinto che una volta appesa la bicicletta al chiodo non ne avrei più voluto sentirne parlare…

E invece?

E invece tornato a casa ne ho sentito subito la mancanza. La bici da gravel che ho pedalato in Sicilia, una MCipollini MCM ALLroad, mi ha divertito e mi ha trasferito un senso di libertà assoluto. Senza poi tralasciare il fatto che abbiamo pedalato su sterrati fantastici, immersi nella natura e soprattutto in assoluta sicurezza.

Un maggior contatto con la natura gli ha permesso di scoprire un nuovo modo di vivere la bici
Un maggior contatto con la natura gli ha permesso di scoprire un nuovo modo di vivere la bici
Che emozioni ti trasmette questo nuovo approccio al ciclismo?

Pedalare su una gravel è un esperienza che cambia il tuo modo di guardare al ciclismo e al territorio che attraversi. Io stesso, per molti anni, allenandomi nei dintorni di casa o correndo in giro per il mondo non mi sono mai reso conto di cosa avessi attorno. Probabilmente avrò attraversato posti magnifici, ma in tutta onestà non mi è rimasto addosso un granché. Il traffico e le automobili adesso sono un ricordo già lontano: finisce la strada asfaltata ed entri nel bosco, tutto diventa mano a mano meno frequentato, e poi finalmente arriva il silenzio.

Sei più in contatto con il mondo che ti circonda?

In bici, sullo sterrato, riesci a sentire i profumi della natura e soprattutto torni a sentire te stesso. Un intreccio di situazioni che sfociano in un’emozione unica. In sella alla mia gravel riscopro la voglia di uno scatto su una salita, la voglia di sentire il rumore della mia fatica, assaporo le discese che magari mi portano in riva ad un lago che non sapevo esistesse. In sella alla mia gravel riesco finalmente a fermarmi e ad immortalare la bellezza del ciclismo.

Questo percorso di riscoperta non poteva iniziare che dalla sua Sicilia
Questo percorso di riscoperta non poteva iniziare che dalla sua Sicilia
Perchè hai scelto di affiancarti ai brand del Gruppo Zecchetto? 

In realtà non ho scelto: è stata una conseguenza naturale… Con Federico Zecchetto mi lega un’amicizia di lunga data. Gli ultimi anni ho corso con le scarpe Dmt ai piedi e ho sempre pedalato MCipollini. E con loro mi trovo davvero molto bene. E poi la linea gravel di Alè è davvero fantastica. Presto faremo dei programmi assieme e non vedo l’ora di potermi cimentare in qualche bella iniziativa in giro per l’Italia, oppure all’estero, per proseguire a praticare la mia passione… Ma questa volta su una bici da gravel!

Cipollini

Dmt

Alé Cycling