Premio Cesarini: buona la prima. Alberati ci spiega nel dettaglio

10.12.2024
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Dopo averne parlato qualche tempo fa in occasione del suo lancio, torniamo sul Premio Francesco Cesarini, la challenge che vedeva i migliori juniores e allievi di secondo regionali sfidarsi sulla piattaforma MyWhoosh, nel Teatro Stella di Spoleto. Il premio in palio era una settimana in Spagna con la  UAE Emirates di Pogacar.

Ebbene, ora che tutto si è concluso, vogliamo sapere come è andata, non solo chiaramente del vincitore, il laziale Pietro Scottoni, ma proprio cosa ci ha detto questo evento totalmente innovativo. E per questo abbiamo di nuovo chiesto a Paolo Alberati, direttore tecnico della “e-manifestazione” in onore all’ex pro’ umbro, Francesco Cesarini prematuramente scomparso. Un evento, lo ricordiamo, organizzato dalla figlia Francesca.

Francesca Cesarini con il vincitore, Pietro Scottoni: laziale classe 2007, la prossima settimana sarà ad Alicante con la UAE Emirates di Pogacar
Francesca Cesarini con il vincitore, Pietro Scottoni: laziale classe 2007, la prossima settimana sarà ad Alicante con la UAE Emirates di Pogacar
Paolo, dunque, come è andata questa prima edizione “tecnologica” del Premio Cesarini?

È andata molto bene. Domenica sera ho tirato un lungo sospiro di sollievo, soprattutto perché c’erano tante incognite. Era la prima volta che organizzavamo un evento così complesso dal punto di vista tecnico e logistico vero e proprio. L’idea è nata grazie a Francesca Cesarini…

Che da anni organizza il premio in memoria di suo padre, Francesco…

Tutto è nato molto all’improvviso. Francesca si è messa in contatto con la UAE Emirates. C’è stato subito l’interesse di sponsor come Elite, DMT, MyWhoosh e l’avallo appunto della UAE. Poco dopo mi ha chiamato e in quattro e quattro otto era tutto fatto. Mi sono trovato ad allestire la parte tecnica all’improvviso. Per questo dico che non è stato facile e che domenica sera ero piuttosto provato! Però abbiamo deciso di alzare l’asticella e ci siamo riusciti.

Quali sono state le principali difficoltà?

Le difficoltà sono state legate soprattutto agli aspetti tecnici. Abbiamo dovuto affittare due ripetitori per migliorare la connessione internet e dieci computer da gaming per supportare la piattaforma virtuale MyWhoosh. Ogni computer doveva essere sincronizzato con un rullo smart e solo sabato pomeriggio siamo riusciti a completare i test. Non sono mancate le problematiche dell’ultimo minuto, come un rullo che si è disconnesso poco prima della partenza. Un po’ come quando fori al momento del via! Però, quando tutto è partito regolarmente, è stata una grande soddisfazione.

Come si è svolta la competizione?

Gli atleti hanno gareggiato su un circuito virtuale di 15 chilometri ambientato a Oudenaarde, con il famoso muro di Grammont: in pratica un tratto del Giro delle Fiandre. Abbiamo diviso i 16 partecipanti in due manche eliminatorie. La finale ha visto i migliori dieci sfidarsi per la vittoria. Da dove arrivavano gli atleti?

I partecipanti sono stati selezionati dai ranking regionali. Abbiamo avuto ragazzi provenienti da tutta Italia: da Caltanissetta a Trento, passando per La Spezia, Bologna e altre città. La formula prevedeva che fossero tra i primi dieci di categoria nelle loro regioni. Tra loro c’erano sia allievi sia juniores.

Come mai si è voluto inserire anche gli allievi?

Alla fine gli juniores più affermati avevano già firmato con grandi squadre, quindi la UAE Emirates ha spinto per includere anche alcuni allievi per scoprire giovani talenti. Se ci pensiamo bene, molti di loro hanno firmato o stavano partendo per i ritiri con squadre rivali. Penso per esempio a Lorenzo Finn che è nel giro della Red Bull – Bora Hansgrohe, giusto per citare il caso più eclatante.

Qual è stato il momento più emozionante?

Il momento della partenza. Ogni atleta era rappresentato dal proprio avatar, e vedere tutti partire simultaneamente, con il sottofondo musicale thrilling come nelle partenze gare di ciclocross, è stato emozionante. Anche il teatro di Spoleto, ribattezzato per l’occasione “Tempio dei Watt”, ha contribuito a rendere l’evento unico, mescolando storia e tecnologia: e questo aspetto è piaciuto molto agli arabi di MyWhoosh. Anche loro hanno contribuito benissimo. Per esempio alcuni ragazzi non erano registrati alla piattaforma ed essendo da noi domenica ci siamo interfacciati direttamente con gli Emirati Arabi e da lì hanno risolto tutto sul momento. Davvero qualcosa d’incredibile.

I dati emersi sono quelli che ti aspettavi?

In parte sì. Devo dire che i ragazzi sono stati molto intelligenti. Se la sono giocata molto bene anche tatticamente. Io su una gara di 25′ circa ipotizzavo un risultato complessivo, una media, di 5 watt/chilo. Invece alla fine si sono attestati sui 4,2-4,3 watt/chilo, questo perché hanno capito che la vera differenza si faceva sul Grammont. Quindi dopo la “fiammata” iniziale si sono gestiti. Mentre nel finale hanno sviluppato wattaggi molto elevati. Parliamo 6,2-6,3 watt/chilo negli ultimi 7-8 chilometri.

I ragazzi durante la finale. Come nelle qualificazioni si correva sulle strade del Fiandre
I ragazzi durante la finale. Come nelle qualificazioni si correva sulle strade del Fiandre
Come è andata la gara?

Sul Grammont sono andati via in quattro. Scottoni, Laudi, Gaggioli e Cornacchini. Purtroppo, un problema tecnico ha fermato Cornacchini, che era tra i migliori sul Grammont, quindi sono rimasti in tre. Devo dire che Cornacchini è stato molto sportivo nell’accettare questo inconveniente. Ad 1,2 chilometri dall’arrivo, Gaggioli che sulla carta era il più veloce non ha retto all’ultima accelerata e alla fine è stata volata a due sul rettilineo di Oudenaarde. Il vincitore è stato Pietro Scottoni, che ha battuto Luca Laudi, un po’ come era successo nella realtà nel corso della stagione. Lo ha saltato proprio negli ultimi 50 metri.

Che tipo di atleta è questo Scottoni?

Un laziale verace, di Ciampino, nei pressi di Roma. E’ stato davvero furbo in qualificazione. Ha speso meno di tutti. Ha pensato solo a qualificarsi. In finale è stato scaltro e chiaramente forte. E’, o meglio, sembra essere un passista veloce. Tra l’altro è ancora un po’ “rotondetto” e questo è buono, significa che ha ampi margini. Mi ha detto come si è allenato, tre-quattro volte a settimana, e io ci credo. In stagione ha vinto due corse, una a maggio a Latina e una a ottobre, la gara cui aveva preceduto tra gli altri proprio Laudi. Anche lui è stato bravo e carino: alla fine i due scherzavano su quanto accaduto di nuovo.

Quali sono le prospettive per il futuro?

Questo format ha mostrato grande potenziale. E’ stato un successo sia dal punto di vista sportivo sia da quello organizzativo, nonostante le difficoltà tecniche inevitabili in una prima edizione. La collaborazione con Elite e UAE ha aperto nuove possibilità. C’è stata anche la presenza, in parte a sorpresa, del cittì della nazionale Dino Salvoldi che aveva letto dell’evento proprio su bici.PRO: era curioso per questa manifestazione davvero innovativa.

Un bilancio buono alla fine insomma…

Positivo sotto ogni aspetto. Non solo abbiamo onorato la memoria di Francesco Cesarini, ma abbiamo anche offerto ai giovani atleti un’esperienza unica e coinvolgente. Scottoni era “stordito” dopo la gara. Era venuto per vincere, ma non credeva di riuscirci ci ha detto. Sono nuove opportunità per i ragazzi e nuove modalità di promozione per questo sport.

Il Premio Cesarini si rinnova: sfida indoor e chi vince va da Pogacar

07.11.2024
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Da sempre promotrice del ciclismo giovanile, la famiglia Cesarini si prepara a rinnovare il prestigioso Premio Francesco Cesarini, dedicato alla memoria di un atleta simbolo e alla passione per le due ruote. Questo premio, tradizionalmente conferito al miglior ciclista juniores dell’Umbria, quest’anno si evolve in una competizione di indoor-cycling. Francesca Cesarini, figlia dell’ex corridore degli anni ’80 nonché gregario di Saronni, ha ideato questa competizione aprendola a giovani atleti di tutta Italia.

L’obiettivo è selezionare i migliori talenti con un criterio meritocratico e misurabile, grazie a una gara live di ciclismo virtuale, prevista per l’8 dicembre a Spoleto. Un’esperienza unica, supportata anche dal team UAE Emirates che, udite udite, offrirà al vincitore la possibilità di partecipare a uno dei suoi stage invernali. Pensate che esperienza per il ragazzo vincitore: pedalare con Pogacar!

Paolo Alberati, ex ciclista e oggi preparatore e procuratore, segue sia la parte tecnica di questo progetto che quella organizzativa, al fianco di Francesca Cesarini.

I ragazzi pedaleranno sui rulli Elite (foto Elite)
I ragazzi pedaleranno sui rulli Elite (foto Elite)
Paolo, un progetto innovativo

È un po’ come tornare ai tempi del Covid, ma applicato ai giovani. Un’occasione del genere non si presenta tutti i giorni: è un’opportunità concreta che motiva questi giovani talenti e li incoraggia a dare il meglio. Il tutto in una location suggestiva. La gara, infatti, si svolgerà in una chiesa sconsacrata di Spoleto, allestita per ospitare un evento che coniuga il fascino del passato con la modernità della tecnologia attuale.

Come funziona questo Premio Francesco Cesarini?

I ragazzi correranno su rulli certificati Elite collegati alla piattaforma MyWoosh, partner ufficiale della manifestazione. L’evento si svolgerà su un circuito virtuale di circa 8-12 chilometri, da completare in un tempo stimato di 15-20 minuti. Le batterie eliminatorie del mattino coinvolgeranno 40 atleti suddivisi in gruppi da 10. I migliori due di ogni batteria accederanno alla finale pomeridiana. La sfida sarà visibile al pubblico su un maxi schermo. In ogni caso a breve uscirà il regolamento definitivo.

Chi può partecipare?

Abbiamo fatto una selezione tra i migliori juniores d’Italia. La partecipazione è riservata a juniores e allievi di secondo anno che si posizionano tra i primi 10 delle rispettive classifiche regionali nelle varie discipline ciclistiche: strada, ciclocross e mtb. I primi 40 atleti che si iscriveranno potranno prendere parte alla gara.

Una schermata della piattaforma MyWhoosh
Una schermata della piattaforma MyWhoosh
Cosa ci si aspetta in termini di dati?

Il periodo dell’anno favorisce probabilmente i ciclocrossisti, che sono in piena stagione, ma la selezione premierà chi sarà in grado di esprimere i migliori watt per chilo. Prima della gara, infatti, ogni atleta verrà pesato e potrà riscaldarsi per circa 20 minuti, per poi cimentarsi nella prova, che alla fine è una prova di pura potenza. Cosa aspettarsi: io dico che chi andrà forte farà circa 6,5 watt/chilo.

Numeri da capogiro…

Sì, sì. Qui, scherzando, più che di un cambiamento generazionale, bisognerebbe parlare di un mutamento genetico! Sono numeri incredibili. Certo, non saranno all’altezza dei pro’ in termini di quella che oggi è chiamata durability, cioè il ripetere certi valori dopo 4-5 ore, ma sono convinto che non ci andrebbero troppo lontani.

Chiaro…

Io credo che sia una cosa moderna. Ci stiamo lavorando. Io stesso da qualche giorno sto testando questa piattaforma. Giusto un paio di sere fa tutto si è collegato bene, ma per l’occasione ogni cosa dovrà funzionare al meglio. Per esempio, ci hanno detto che serve una linea wi-fi molto potente. Francesca ha chiamato Eolo che porterà due ripetitori. Noi, sin dal giorno prima, testeremo ogni rullo e ogni computer che farà da schermo ai ragazzi.

La scelta della data è stata fatta tenendo conto anche del calendario del cross. Così ogni specialità è messa alla pari in quanto a partecipazione (foto Lisa Paletti)
La scelta della data è stata fatta tenendo conto anche del calendario del cross. Così ogni specialità è messa alla pari in quanto a partecipazione (foto Lisa Paletti)
Come funziona in termini pratici?

Abbiamo dei rulli Elite sui quali ogni ragazzo monterà la sua bici. Al mattino ci sarà uno slot di un’ora per le cinque sessioni, durante il quale si dovrà posizionare il tutto, fare riscaldamento, la pesa e quindi la prova. Alla fine, abbiamo visto che un’ora dovrebbe bastare. È una prima edizione, magari ci sarà da mettere a punto qualcosa, ma allo stesso tempo potrebbe offrire nuovi spunti.

Chiaro…

Io, tra le altre cose, sono procuratore di Luca Vergallito. Sappiamo la sua storia. E come lui anche altri corridori, penso a Jay Vine per esempio, proprio della UAE Emirates. È il futuro, anzi il presente, e ci si adegua. Si scoprono nuovi orizzonti. Poi qui i ragazzi potrebbero venire anche da mtb e ciclocross, oltre ad aver fatto le corse su strada, quindi neanche ci potranno dire che non sanno guidare o che vanno forte solo sui rulli.

Certo che l’idea di poter pedalare con Pogacar è allettante…

Non è tanto una promessa di contratto, ma un’opportunità per i ragazzi di conoscere un mondo professionale. Lasciatemi aggiungere che questo evento davvero onora la memoria di Francesco Cesarini, un campione che ha rappresentato l’Umbria con fierezza e che oggi ispira le nuove generazioni e che anche per me da giovane ragazzino umbro che pedalava era un mito. Francesca Cesarini si è attivata moltissimo per realizzarlo.

Elia Andreaus, le tabelle di Alberati e il cambio di passo

29.05.2024
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Parlando qualche giorno fa con Mattia Stenico, è emerso il nome di Elia Andreaus, altro corridore allenato da Paolo Alberati che, seguendo il criterio di preparazione dell’ex pro’ umbro, ha mostrato decisi progressi tradotti in risultati (5 vittorie in stagione e ottime prove anche al Trophée du Morbihan). Anche lui portacolori del Team Giorgi, ha mostrato rispetto al 2023 un deciso passo in avanti.

Andreaus, fratello di Marco portacolori del Cycling Team Friuli, comincia a risplendere di luce propria: «Forse la prima vittoria, quella alla Piccola Liegi delle Bregonze perché mi ha sbloccato anche psicologicamente, dopo è venuto tutto un po’ più facile».

Il successo di Andreaus a Bregonze, precedendo il compagno di colori Mellano e Segatta (Photobicicailotto)
Il successo di Andreaus a Bregonze, precedendo il compagno di colori Mellano e Segatta (Photobicicailotto)
Hai iniziato a raccogliere i frutti del lavoro con Alberati?

Possibile, visto che con Paolo abbiamo iniziato a metà 2023 e chiaramente non è che aveva una bacchetta magica. Inizialmente la mia preparazione è rimasta pressoché la stessa, con pochissime variazioni, da questo inverno invece le cose hanno preso una piega diversa e vado sicuramente meglio.

Alberati sottolineava l’importanza di dedicare due giorni al mese pieni all’allenamento saltando la scuola. Lo ha chiesto anche a te?

Sì, è stato inizialmente un colpo, più che altro per riuscire a trovare un giusto equilibrio. A scuola ho un tutor sportivo che mi segue, mi aiuta a recuperare dalle assenze, dopo le primissime volte è stato facile assorbirle e devo dire che la scuola mi è venuta incontro.

Il ritiro prestagionale del Team Giorgi ha dato a Elia la carica giusta per l’inizio stagione
Il ritiro prestagionale del Team Giorgi ha dato a Elia la carica giusta per l’inizio stagione
E dal punto di vista prettamente tecnico?

Ho trovato che quelle giornate sono di grande utilità, poter fare 4 ore, 4 ore e mezza è un ottimo lavoro che mi ha fatto acquisire più fondo e i risultati si sono visti.

Come funziona?

Dipende da quel che la tabella prevede. Si lavora prevalentemente in zona 2, ma in alcuni giorni si va fuori soglia. Non però in quelle sedute specifiche del giovedì, che servono più come detto per acquisire fondo e resistenza.

Per Andreaus una trasferta francese positiva, con un 6° posto nella classifica a punti (e.a.photographie)
Per Andreaus una trasferta francese positiva, con un 6° posto nella classifica a punti (e.a.photographie)
Quanto ti alleni?

Normalmente 6 giorni a settimana, ma molto dipende anche se ci sono gare nel weekend. Ad esempio nella settimana successiva a Morbihan, da lunedì a mercoledì niente bici, ho fatto solo core. In totale mi alleno 14-15 ore a settimana (e qui bisognerebbe ricordare la polemica innescata dalle parole di Pontoni quando indicò lo stesso numero di ore per i ragazzi da lui seguiti nel ciclocross, Proietti Gagliardoni e Serangeli, ndr). Come detto però cambia se ci sono gare nel fine settimana, ma anche se la scuola richiede qualcosa di specifico. Volete saperne una? Se sono previste gite scolastiche per me è meglio, ho più tempo per allenarmi…

Come fai ad allenarti in quelle ore d’inverno?

E’ complicato perché scurisce molto presto, quindi per avere un paio d’ore piene devo organizzarmi. Di solito mi porto il pranzo a scuola, sfrutto la pausa di metà mattinata così ho anche tempo per digerire. La scuola è molto vicina a casa così posso partire praticamente subito e riesco ad avere 2-3 ore a disposizione. Chiaramente con l’avanzare della primavera e il cambio di orario sono avvantaggiato e posso uscire più avanti, anche verso le 17.

Elia Andreaus insieme a suo fratello Marco: li ritroveremo insieme nel 2025? (foto Scanferla)
Elia Andreaus insieme a suo fratello Marco: li ritroveremo insieme nel 2025? (foto Scanferla)
Queste novità hanno sorpreso anche il team?

Diciamo che mi hanno appoggiato da subito. Siamo seguiti benissimo, c’è un ottimo clima e una grande professionalità, ci lasciano lavorare secondo i nostri schemi, ma l’organizzazione è di prim’ordine. Ora spero che la stagione continui su quest’ andazzo, soprattutto punto forte al Giro del Friuli, sono quattro tappe dal giovedì alla domenica.

Per puntare alla classifica?

No, non fa per me, non ho le caratteristiche giuste. Anche se poi un piazzamento nella generale può sempre saltar fuori com’è avvenuto al Giro d’Abruzzo. Anche in Francia poi il 13° posto finale non era da disprezzare vista la concorrenza di primo piano. Io però sono uomo da tappe, da traguardi parziali ed è su quelli che voglio puntare.

Il corridore trentino ha nel mirino nuovi successi puntando anche al tricolore (Photobicicailotto)
Il corridore trentino ha nel mirino nuovi successi puntando anche al tricolore (Photobicicailotto)
Che obiettivi ti poni a questo punto?

Continuare sulla stessa lunghezza d’onda, allungare la mia serie di vittorie e far bene in quelli che saranno i prossimi appuntamenti, non solo il Friuli, ma anche il campionato italiano, il Lunigiana, il Trofeo Buffoni. E’ importante che riesca a farmi vedere il più possibile, anche per agevolare il compito dello stesso Alberati e di Fondriest per trovare nuovi sbocchi per la mia carriera…

L’Italia scopre Stenico: che sia il nostro Pidcock?

16.05.2024
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In una settimana, Mattia Stenico ha cavalcato l’onda della popolarità colpendo la fantasia degli appassionati. Al sabato, vittoria a Nervesa della Battaglia (TV) nella tappa degli Internazionali d’Italia Series di mtb (foto di apertura Billiani). Domenica, clamoroso centro a Casale Litta (VA) nella Piccola Tre Valli Varesine su strada. Venerdì successivo, addirittura l’oro europeo nel Team Relay con gli azzurri in Romania, ancora con la mtb. Risultati da campione della polivalenza, risultati che fanno sognare.

La forza del ragazzo trentino, al secondo anno junior, è proprio questa capacità di passare indifferentemente da una disciplina all’altra.

«E fino allo scorso anno c’era anche il ciclocross – afferma Stenico – ma poi abbiamo deciso di comune accordo con il mio preparatore Paolo Alberati che era insostenibile. Ho affrontato solo qualche gara a inizio stagione per poi concentrarmi sulle altre due discipline».

La vittoria alla Piccola Tre Valli, beffando D’Alessandro e Travella (foto Bergamonews)
La vittoria alla Piccola Tre Valli, beffando D’Alessandro e Travella (foto Bergamonews)
La tua passione da dove nasce?

Dalla mia famiglia, sin da quand’ero piccolo si andava in montagna, con gli sci d’inverno e le bici d’estate. All’inizio mi piaceva, ma non per l’agonismo, per quello preferivo il calcio e avrei voluto dedicarmi alle moto, ma i costi erano troppo alti. Un giorno mio padre ha letto un annuncio della Polisportiva Oltrefersina per richiamare ragazzi, mi ha portato e mi sono trovato subito bene, ho fatto le prime gare in mtb e andavo forte, così ho continuato.

Dalle tue parti comanda la mountain bike?

Non tanto, anzi se devo dire la maggior parte dei ragazzi è legata alla strada anche per i trascorsi ciclistici della regione. Io abito a un chilometro da Francesco Moser, inoltre nella mia classe c’è il figlio di Gilberto Simoni. E’ più in Alto Adige che regnano le ruote grasse… Io comunque ho iniziato a gareggiare su strada solo da allievo 2° anno, sempre su invito di Alberati.

Con Martinoli, Teocchi, Corvi, Avondetto e Siffredi, il team oro europeo di mtb (foto Fci)
Con Avondetto e Siffredi, la parte maschile del team oro europeo di mtb (foto Fci)
In una settimana da buon prospetto sei diventato addirittura l’uomo dell’oro europeo, com’è stata questa scalata?

Sapevo di avere una buona gamba, ma il cittì Celestino mi ha dato la convocazione per la staffetta quand’eravamo già sull’aereo per la Romania. In gara speravo che si potesse arrivare alla medaglia, ma vedevo i compagni che stavano davvero facendo meraviglie e Valentina Corvi mi ha passato il testimone per primo con un leggero vantaggio. Quando il campione nazionale francese Carod mi ha raggiunto (un elite, ndr) tutti pensavano che dovessi cedere.

Invece?

Quando gareggio non sono abituato a pensare troppo, seguo l’istinto. Vedevo che in salita lo staccavo ma lui era più bravo in discesa, così sull’ultima rampa ho dato tutto e sono riuscito ad andar via. I compagni erano impazziti…

L’esordio del trentino è stato in maglia Oltrefersina, dove ha imparato tanto (foto team)
L’esordio del trentino è stato in maglia Oltrefersina, dove ha imparato tanto (foto team)
Come fai a conciliare le due discipline al punto di gareggiare in entrambe nello spazio di 24 ore?

Mi favorisce il fatto che la gara di mtb è al sabato. Io mi alleno quasi sempre su strada e vado sulla mountain bike solo il giorno di vigilia per provare il tracciato. Alla domenica le gare vedono quasi sempre una prima parte tranquilla, così ho tempo per riadattarmi, ci si gioca tutto nell’ultima ora. Inoltre mi favorisce il fatto che ho un recupero veloce, l’ho visto anche nelle corse a tappe.

Che tipo di stradista sei?

Un polivalente, magari non velocissimo in volata, ma che tiene il fuorigiri dai 5 ai 20 minuti, anche in salite regolari. Ad esempio mi piace molto la gara di San Vendemiano, con tanti strappi, riesco a ripetere lo sforzo con la stessa intensità. Comunque, ad essere sincero non ho capito ancora che corridore sono…

Stenico è il primo biker ad essere approdato nel Team Giorgi. Un acquisto molto apprezzato
Stenico è il primo biker ad essere approdato nel Team Giorgi. Un acquisto molto apprezzato
Com’è stata la vittoria alla Piccola Tre Valli?

Diciamo che un successo su strada era un po’ un pallino fisso per tutto lo staff. Fondriest mi aveva detto che era una gara buona, ma che dovevo rimanere tranquillo e nel caso lavorare per la squadra. Sono entrato nella fuga dove c’erano tutti team forti, all’ultimo giro è entrato Andreaus e sapevo che sull’ultima salita avrebbe provato il colpo. Gli sono rimasto attaccato e sull’ultimo strappo ho guadagnato la manciata di secondi utile per vincere.

Hai mantenuto i contatti con la Oltrefersina? Anche se non vesti più la maglia loro sappiamo che c’è tuo fratello Mattia e che ti seguono come se fossi ancora del gruppo…

Non è una squadra, ma una vera famiglia, il suo presidente Paolo Alverà mi segue costantemente, si è anche interessato per farmi avere la bici Olympia che uso abitualmente. Ho imparato quasi tutto lì, a cominciare dalla guida. Ricordo che in discesa ero negato e con pazienza si è messo lì a spiegarmi, a indirizzarmi. Io poi sono uno metodico, bastava una cosa fuori posto e andavo nel pallone, mi hanno insegnato a prendere tutto un po’ più alla leggera. Forse il vero segreto è questo…

Alberati segue la preparazione di Stenico per il 3° anno, con idee innovative
Alberati segue la preparazione di Stenico per il 3° anno, con idee innovative

Parola ad Alberati

Nelle sue risposte, Stenico chiama spesso in causa Alberati e il tecnico umbro effettivamente ha avuto un peso fondamentale nella sua evoluzione: «Io ho cominciato a seguirlo dal secondo anno fra gli allievi. Era già forte, aveva vinto il titolo italiano, ho visto che aveva valori straordinari, a quel punto bisognava fare una scelta importante, così gli ho detto di fare un passo indietro…».

In che senso?

I risultati da allievo non devono trarre in inganno, bisogna guardare più in là. Gli ho detto che per un po’ avrebbe dovuto allenarsi meno, ambientarsi, prendere confidenza senza chiedere troppo a se stesso. Poi ci si è messo anche il Covid che ha avuto lunghi strascichi, insomma al primo anno junior non spiccava. Ma io conoscevo il suo valore, così gli ho detto di mollare presto il ciclocross per preparare al meglio il 2024. Era una scelta, io sono un propugnatore della multidisciplina, ma dovevamo fare un investimento. Ora ne godiamo i frutti.

Su strada Mattia aveva già sfiorato il podio al GP Liberazione di Massa
Su strada Mattia aveva già sfiorato il podio al GP Liberazione di Massa
Come fa a emergere in entrambe le discipline a così breve distanza di tempo?

Ci sono più ragioni. Una è il talento innato che viene dal patrimonio genetico trasmesso dai genitori. Un altro è la sua capacità di lavorare su alcuni aspetti, come la flessibilità articolare o le catene cinetiche, considerando che le pedalate sono diverse per ampiezza e ritmo. Molto però influisce anche la preparazione che è stata mirata per questo, avvicinandolo agli standard europei e quindi staccandoci un po’ dalle modalità di qui.

Spiegaci come…

Ne parlavo anche con Salvoldi, noi in Italia abbiamo la scuola che fino a giugno occupa spazio e quindi i nostri ragazzi hanno meno tempo per allenarsi. Se d’inverno esci da scuola alle 14 e alle 16 comincia a far buio, quanto puoi allenarti? Io allora ho chiesto alla famiglia di Stenico, ma anche di altri ragazzi, un investimento: se i ragazzi hanno un buon rendimento scolastico, sono disposti a saltare due giovedì al mese e passare la mattinata ad allenarsi? Gli effetti si vedono, c’è maggiore uniformità con quanto fanno negli altri Paesi dove infatti si allenano ore in più. In questo modo, con ore a disposizione si può fare molto volume a bassa intensità sviluppando più mitocondri nella muscolatura e facendo poi un 20 per cento di lavoro in fuorigiri. Sono sessioni che stanno facendo la differenza.

Una stagione finora trionfale in mtb, con vittorie all’Italia Bike Cup e agli Internazionali
Una stagione finora trionfale in mtb, con vittorie all’Italia Bike Cup e agli Internazionali
Ora si staglia all’orizzonte il cambio di categoria…

Dopo la vittoria europea iniziano a farsi sentire anche i devo team, oltre alle squadre italiane. Nella scelta peserà la disponibilità a garantire a Mattia la possibilità di fare la doppia attività senza dover scegliere. Io dico che ha grandi possibilità, se lo lasciamo tranquillo…

Tiralongo e la squadra in Sicilia: il sogno è realtà

16.02.2024
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Tiralongo ce l’ha fatta e da stasera la sua nuova squadra, il Team Bike Sicilia, è realtà. La presentazione al Palazzo del Vermexio in Piazza Duomo a Ortigia (Siracusa) ha dato il via al nuovo progetto del corridore avolano.

I ragazzi si erano già radunati una decina di giorni fa nel resort Agua Beach, sul mare vicino Siracusa, fra Noto e Pachino. Le prime parole Paolo ce le aveva confidate un paio di anni fa, ma i siciliani sono bravissimi a dire e non dire. Ci eravamo perciò lasciati con la promessa che, non appena avesse avuto tutto pronto, saremmo stati i primi a saperlo. E così eccoci qua.

Paolo Tiralongo ha creduto fortemente nel progetto in cui ha coinvolto forze fresche siciliane
Paolo Tiralongo ha creduto fortemente nel progetto in cui ha coinvolto forze fresche siciliane

La Sicilia che pedala

Tiralongo ha sempre avuto a cuore le sorti dei ragazzini delle sue zone. Che nel siracusano ci fosse fermento lo aveva capito in occasione della partenza del Giro d’Italia 2022 da Avola verso l’Etna: la sua bravura è stata quella di intercettare le giuste frequenze, proponendo un progetto sportivo e sociale. Gli sponsor che hanno dato sostegno all’iniziativa sono fortemente radicati sul territorio e hanno tutto l’interesse a spingere affinché il ciclismo porti turismo e supporto per le giovani generazioni. E così la macchina si è messa in movimento.

«E’ un progetto che avevo in mente sin da quando correvo – racconta Tiralongo dopo il primo allenamento – perché volevo aiutare questi ragazzi. Per fortuna la tappa del Giro generò l’euforia che mancava. Andammo avanti a parlarne per tutta l’estate e a settembre 2022 decidemmo di partire. L’idea è sempre stata quella di fare la squadra. Però alla squadra sarà collegato tutto quel che riguarda il cicloturismo su queste strade. Vogliamo rilanciare la bicicletta in Sicilia, invogliare la gente a pedalare. Saranno realizzate delle piste ciclabili, alcune sono già in costruzione. Il nostro presidente ha un albergo ed è a capo degli albergatori. Hanno capito l’importanza di questo movimento».

Qual è il primo obiettivo?

L’obiettivo per il primo anno sarà crescere come team. Solo poi, si potrà creare un movimento che coinvolga le squadre juniores di qui, affinché continuino a fare ciclismo con il nostro appoggio. Non deve finire tutto al momento di passare U23. Chi se lo merita e ha voglia potrà venire nel nostro team e proseguire l’attività agonistica, restando in Sicilia nel periodo della scuola e venendo su durante l’estate.

La trafila per emergere è la stessa che toccò a te?

Fare il corridore è uguale a quando cominciai io. In Sicilia al momento ci sono poche corse. La più bella, che è anche nazionale, la organizza Salvatore D’Aquila a Monterosso Almo. Per il resto, c’è un panorama di corse piccole per cui a un certo punto si deve partire. Io farò la mia parte, però ci sono altre strutture che devono mettersi a disposizione per far crescere il movimento al Sud Italia. Da Roma in giù non c’è niente.

Chi sono i tuoi sponsor?

Aziende siciliane, importanti a livello nazionale. Penso a ICS Group che realizza pale eoliche, oppure a Dacia Italia che mi dà una grande mano tramite Multicar Amarù, di Riccardo Amarù che a sua volta è stato un corridore. Hotel Il Tiranno è del nostro presidente, mentre Ga.di opera nella produzione diyacht. E poi ho coinvolto vecchi amici con cui sono rimasto in contatto, che non si sono tirati indietro. Tutti imprenditori di qui, insomma, a parte Equistasi che si trova a Milano ed è un’azienda che mi sostiene da tanti anni.

Come li hai convinti?

Sono persone che hanno fatto sport. Chi viene dal canottaggio, chi dal tennis, chi dalla bicicletta. Tutta gente che ha passione e ha apprezzato il progetto. Ci tengo a dire infatti che ci sarà una ricaduta nel sociale, perché abbiamo intenzione di andare nelle scuole a promuovere la bicicletta e lo sport in genere. I ragazzi stanno sempre seduti con telefonini e videogiochi. Rispetto a noi sono più avanti mentalmente, però nel momento di concludere qualcosa, non hanno inventiva. Spento il telefonino, si spengono anche loro e non è bello

I ragazzi si sono radunati una settimana fa nel resort Agua Beach di Noto
I ragazzi si sono radunati una settimana fa nel resort Agua Beach di Noto
Sapendo che nasceva la squadra, hai ricevuto tante candidature?

Ci sono tantissimi juniores a cui ho dovuto dire di no, perché non posso prendere solo giovani. Ho optato per aiutare i ragazzi siciliani e per ora non è una squadra che avrà l’obbligo del risultato. Dobbiamo avere una bella immagine e farci vedere nelle corse cui parteciperemo. Ora l’importante è partire, restando umili e con i piedi per terra. Stiamo calmi, creiamo la struttura e prendiamoci il primo anno per capire se siamo pronti per fare altri passi.

Ci sarà un ritiro al Nord?

Terremo quello della Palazzago, ma sto vedendo per una base in Toscana e ci sarebbe anche un progetto interessante a Parma. Io farò il manager e il direttore sportivo, perché mi piace stare a contatto con i ragazzi, essere presente, seguirli, motivarli, spronarli e soprattutto farli diventare uomini prima che atleti. Tanti sono dei bambini, sono viziati. Ci sono ancora i genitori che ti chiamano quando i figli hanno problemi, una cosa che mio papà non ha mai fatto. Noi stavamo muti, non avevamo pretese: dovevamo solo menare.

Come immagini la struttura del team?

Avremo un preparatore, che è Paolo Alberati. Un meccanico fisso a Palazzago. E come direttore sportivo mi piacerebbe coinvolgere Leonardo Giordani, che ha il terzo livello, ha lavorato con gli juniores e secondo me se lo merita.

Team Bike Sicilia, 2024, squadra di Paolo Tiralongo
Sponsor tecnici?
Team Bike Sicilia, 2024, squadra di Paolo Tiralongo

Abbiamo comprato da Rosario Fina le biciclette Look montate con il 105 elettronico e ruote Corima. Ho provato a cercare uno sponsor, ma il momento non era agevole per una cosa del genere. Vediamo se cambierà l’anno prossimo, quando magari avremo una buona immagine. Dama ci dà l’abbigliamento. Salice i caschi e gli occhiali. Prologo ci dà le selle. Le ammiraglie sono Dacia. Piano piano abbiamo sistemato tutti i tasselli e non è stato facile. Di una cosa sono certo: ora che è venuta fuori la maglia, tanti vedendo quelle scritte si mangeranno le mani.

Come è andato il ritiro?

Bene, siamo riusciti a lavorare molto bene nel Resort Agua Beach, che è diventato anche nostro sponsor. Partiremo dalla Firenze-Empoli e una cosa che posso dire è che non faremo la doppia attività, perché ci sono tanti ragazzi che vanno a scuola e la priorità è che la finiscano. Perciò fino all’estate, i più vecchiotti tireranno la cinghia per dimostrare il loro valore. Sono ragazzi di terzo-quarto anno, sono loro quelli che devono mettersi in mostra. Mi aspetto che siamo protagonisti. Fra i giovani, segnatevi Militello che è andato a fare i test a Montichiari, è un ragazzo di secondo anno ed è molto interessante. Insomma, abbiamo tutto. Non resta che partire.

Buitrago e il padrino Bernal: una storia nata da lontano

01.01.2024
5 min
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BOGOTA’ (Colombia) – La scena è da film d’azione, ma in realtà la trama di questo “film” parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale, desiderata. Una vita che da sogno impossibile trasmuta in realtà solida e libro aperto ancora appena alle prime pagine, insomma tutto da scrivere. Così quando nel bel mezzo della visita al Museo dell’Oro di Bogotà sullo schermo del telefonino di Santiago Buitrago appare la scritta “Padrino”, sai già che non c’è da preoccuparsi. Non lo si può definire in maniera migliore se non “padrino”: una persona che da piccolo ti supporta, abbraccia e aiuta a crescere sportivamente come fosse un secondo padre.

La figura del “asesor” in Colombia è normale, tipica, ricorrente in tutti gli sport. Un uomo, normalmente benestante, molto probabilmente ex ciclista lui stesso, di sicuro un benefattore, che individua la passione prima, poi il talento di un giovane sportivo con mezzi economici limitati. Da quel momento lo assiste in ogni esigenza, affiancando la famiglia, fin quando questi non diventa adulto e possibilmente campione.

Questa è la storia di Carlos Bernal, medico nefrologo sessantenne titolare di alcune cliniche private in Colombia, ed il piccolo, oramai diventato campione, Santiago Buitrago, corridore del Team Bahrain Victorious.

Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia
Il viaggio nell’entroterra di Bogotà è un rituale fra Buitrago e Bernal: quest’anno con due testimoni dall’Italia

Un bambino di 11 anni

Quando Francisco Rodriguez, terzo nella Vuelta 1985 vinta da Pedro Delgado, avvicinò Carlos, suo vecchio compagno di allenamenti, per raccontargli che aveva visto un bambino speciale in una gara giovanile, a Carlos si drizzarono subito le orecchie. Carlos stesso era stato un ciclista dilettante nella Colombia degli anni ’80, arrivato alle soglie del professionismo, con un sogno mai realizzato in prima persona, ma col desiderio di realizzarlo nella sua seconda parte di vita. Era un medico laureato che poteva darsi da fare per aiutare qualcun altro lì dove lui non era riuscito ad arrivare. Quel bambino aveva appena 11-12 anni e in effetti, racconta oggi Carlos, a prima vista fu quasi un colpo di fulmine sportivo.

Santiago Buitrago in formato mini era sveglio, sapeva correre nelle posizioni avanzate del gruppo, sapeva scattare in salita, sapeva vincere in sprint ristretti. Ma soprattutto aveva occhi vispi che illuminavano un visino tondo color cioccolato contornato da  un caschetto di capelli scuri, come quelli dei cartoni animati. Gambette cicciotte ma potenti, una agilità innata, un colpo di pedale sicuramente speciale. Ma gli mancava tutto il resto: un paio di scarpe adeguate, una bici accettabile al posto del catorcio usato fino a quel momento, una divisa da ciclista vero. Tutto quello che Carlos stava aspettando da tempo di realizzare, al momento giusto, con il campioncino giusto, con la famiglia giusta disposta ad accettare la sua mano tesa.

Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni
Carlos Bernal ha tenuto a battesimo Buitrago sin da quando aveva 11 anni

L’asesor e il campione

E così nell’estate del 2011 inizia l’amicizia inseparabile tra Carlos e Santiago, l’asesor ed il campione, così come era stato qualche anno prima per Pablo Mazuera con Egan Bernal. Iniziava la storia dei lunghi viaggi in Suv per le montagne colombiane di Carlos Bernal (nessuna parentela con Egan) insieme a Santiago Buitrago. Loro due, una bici, l’acqua, qualche banana per il rifornimento e una borsa sportiva con scarpette, salopette, asciugamano, casco e occhiali e tanti sogni da realizzare.

Un sodalizio così forte da generare qualche gelosia e tensione anche nella famiglia Buitrago, specialmente quando Carlos nel 2019 aveva fatto di tutto per spedire in Europa, in Toscana, tra le braccia di Francesco Ghiarè ed il suo Team Cinelli un giovane ed inesperto under 23 al secondo anno di categoria. Dopo quattro gare aveva collezionato già una top 10, ma anche tre ricoveri in ospedale per tre cadute disastrose.

Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)
Al Giro del Friuli 2019 in maglia Cinelli, Buitrago con Quartucci, oggi pro’ alla Corratec (foto Instagram)

Emergenza in Italia

Don Gustavo Bernal aveva convocato a casa propria Carlos per inchiodarlo difronte alle sue responsabilità, ora che il figlio era in difficoltà. Un volo aereo Bogotà-Roma d’emergenza risultava troppo costoso per le tasche della famiglia di origine. Santiago aveva perduto conoscenza per una notte nel letto d’ospedale e i genitori erano troppo inquieti per lasciarlo solo in Italia in quelle condizioni.

Allora Carlos si era subito messo in moto per partire ed andare a riprenderlo per riportarlo in patria, quando Santiago dall’altra parte della cornetta, dall’altro capo dell’Oceano Atlantico lo aveva scongiurato di non farlo. Voleva provarci una volta ancora, tutto sarebbe andato per il verso giusto, lui le sue chance se le voleva giocare tutte, costasse quel che costasse, anche contro la volontà della famiglia. E Santiago aveva avuto ragione, così tanta ragione che a ricordarlo oggi Santi e Carlos ancora si guardano negli occhi e sorridono, felici di avercela fatta insieme, felici di ripercorrere quei giorni nel viaggio annuale che insieme da allora si regalano ogni dicembre.

Dopo la scalata all’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni
Dopo l’Alto de Letras, un po’ di ristoro in piscina. Carlos Bernal è il primo da sinistra. A destra Esteban Guerrero, corridore di 23 anni

Il viaggio a dicembre

Una tradizione, restando per giorni nelle montagne colombiane in Van e bicicletta, per parlare delle loro vite, per pianificare la stagione successiva, per mangiare, ridere e pedalare lontani dallo stress. Come fossero ancora un medico giovane ed un ragazzino alle prime armi, pieni di entusiasmo e passione condivisa per il ciclismo.

Perché il mondo intorno può cambiare, diventare veloce e stressante, ma il loro mondo sospeso tra Bogotà e l’Alto de Letras rimarrà sempre lo stesso, degno della trama di un film d’azione che si è saputo col tempo trasformare in pellicola. Vi si parla di buoni sentimenti e di una passione condivisa che si trasforma in una vita speciale: quella del ciclista professionista campione.

Colombia, due di noi alla conquista dell’Alto de Letras

24.12.2023
5 min
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ALTO DE LETRAS (Colombia) – Un mostro. Da qualsiasi punto la si voglia guardare, la strada che in 81 chilometri da quota 460 metri di Mariquita nel dipartimento del Tolima in Colombia porta ai 3.677 metri della cima Alto de Letras, sulle alture colombiane verso la provincia di Caldas, è un mostro. 

Un mostro di fatica. «El ciclismo es sufrimiento-alimento», sussurra tra le labbra mentre pedala don Hector Gustavo Buitrago, papà di Santiago, ciclista pro’ del team Bahrain-Victorious. Ansima ma gode con l’anima salendo verso la vetta, perché la fatica è alimento per l’anima.

Bellezza da vivere

Un mostro di bellezza, perché il paesaggio che scorgi quaggiù sotto i precipizi lussureggianti di verde è di una meravigliosa e selvatica bellezza. Sensazioni ancestrali amplificate dai rumori dei contadini che falciano, battono la zappa sulla terra, richiamano con fischi le greggi al pascolo. Tutto è speciale, con la sensazione di essere immerso in un mondo antico: un piccolo mondo antico come quello dell’opera di Antonio Fogazzaro, fatto di cose essenziali, semplici, naturali e vere.

Come l’immagine dei 12 ragazzini in sella alla propria bici rimediata – mtb, da passeggio, da strada – ma soprattutto di notte alle 22,30 che ti vengono incontro appena esci dall’aeroporto di Bogotà, in periferia, per una scorribanda di maschi e femmine che magari altrove, pensiamo a casa nostra, sarebbe stata virtuale. Ognuno a casa propria, davanti al cellulare, in poltrona, senza sudore, senza vigore, senza calorie, senza vita.

“Regolare…“

Alto de Letras, un mostro da 3.337 kcal bruciate, in 4 ore e 50 minuti di scalata a 16,8 km/h con una pendenza media del 4 per cento. Ogni tanto, mentre sali, a interrompere il ritmo ci pensano delle piccole discese spezza gambe a totalizzare 1.200metri di dislivello negativo che non aiuta, ma al contrario spezza il ritmo. Tre ore e tre minuti è il record di scalata, il KOM di Didier Chaparro che nel 2018 è salito a 26 di media in gara. Quattro ore 4 minuti il tempo di Santiago Buitrago in allenamento che su Strava intitola la sua attività come “Regolare” (alla faccia…). In realtà era partito insieme all’autore dell’articolo, fianco a fianco, anzi a ruota per i primi 20 chilometri a 270 watt medi, prima di esplodere dentro l’abitato di Fresno il primo paesino incontrato a quota 1.500 metri.

Poi altri 20 chilometri di fatica con Maurizio Fondriest, altro campione mai domo a 58 anni fino ai 2.100 metri di Padua (insomma la nostra Padova, che in Italia non è esattamente in salita). Infine ultimi 40 chilometri da solo, passando per Delgaditas a quota 2.600 metri, ultimo paesino fatto di 12 case e tre botteghe che vendono bevande e caramelle in alta quota ai meno 20 dalla vetta.

Per corpo e anima

Un mostro infine di mancanza di ossigeno, una saturazione da ricovero ospedaliero (81 contro 99 di Spo2), mentre in realtà non sei in corsia, ma su una strada ben asfaltata. Infinita, mentre guardi all’insù e sei solo sui pedali che spingi ma non vai, come un motore con il filtro bloccato ove passa la benzina ma non brucia. Due borracce con dentro carboidrati, quasi un litro di Coca Cola, tre barrette, tre gel, un pacchetto di vermicelli gommosi allo zucchero: acqua santa per arrivare in cima ancora abbastanza cosciente da essere felice.

Ed in cima il ristoro con Acqua Panela (acqua calda addolcita da succo di canna da zucchero) e “pane” di mais chiamato “Arepa”. Tutto molto semplice, tutto molto nutriente, per il corpo e per l’anima. Come essenziale e umana è la scorta degli “Sherpa Gregari de Letras”, un’agenzia di guide in moto che il ciclista Juan Camilo Sierra si è inventato per dare un servizio di conforto con abbigliamento pesante, acqua e cibo ai ciclisti che decidono di affrontare la sfida, ma vogliono un minimo di assistenza e più che altro sicurezza di non morire dal freddo in cima. Sì perché a Mariquita in partenza alle dieci del mattino l’aria è umida e calda, fino ai 38 gradi al sole, per poi farsi sempre più sottile e fredda in vetta, coperta da nubi e con 12 gradi.

La promessa

Aria fredda così rigida che l’abbraccio forte e complice con Santiago (il “colpevole” della sfida per la scalata) e Maurizio Fondriest risulta essere caldo e accogliente. E c’è già una nuova sfida pronta che passerà per le strade del Tour de France stavolta: se succede qualcosa di importante si tornerà tutti e tre insieme a festeggiare sull’Alto de Letras. Perché il ciclismo è sfida e condivisione, ma soprattutto come sentenzia don Gustavo: «Es sufrimiento – alimento».

Viaggio tra le alture italiane: Sestriere, Etna e San Pellegrino

16.05.2023
6 min
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Tre alture, tre luoghi magnifici. L’Italia tra i suoi innumerevoli patrimoni naturalistici vanta anche posti come Sestriere, Etna e Passo San Pellegrino. Mete preziose per i ciclisti che si arrampicano su queste pendici per dormirci su durante i periodi di stacco tra una corsa e l’altra. Lassù gli atleti ci vanno per curare animo e corpo, da soli o con la squadra. 

Ci siamo affidati a tre allenatori, preparatori, tecnici… chiamateli come volete, che su queste alture ogni anno portano corridori a ricaricare le pile o a preparare eventi importanti. Marino Amadori per il Sestriere, Paolo Alberati per l’Etna e infine Paolo Slongo per il Passo San Pellegrino. Iniziamo questo nostro Giro d’Italia tra le altura da nord a sud del nostro stivale. 

Sestriere: meta azzurra

Oltre ad aver riempito pagine di storia ciclistica con tappe e arrivi epici, Sestriere ogni anno nel periodo estivo è meta di pellegrinaggio da parte di ciclisti e amatori. Il motivo? I suoi 2035 metri e l’alto numero di salite e strade ideali per i corridori. Quassù ogni anno il cittì Marino Amadori porta la sua nazionale U23 ad allenarsi in preparazione agli appuntamenti più importanti.

«L’ho imparato a conoscere – racconta Amadori – perché vado su con i ragazzi da circa dieci anni. E’ una località che si trova più in alto rispetto ad un Livigno, nel senso proprio che siamo sui 2000 metri. Le zone d’allenamento sono ottime, con questa doppia scalata dalla parte di Cesana, una di 10 km, una di 6 km e poi arrivi giù ai 1.000/1.200 m dove puoi lavorare tranquillamente al 100 per cento anche in pianura. Come clima si trova sempre un po’ di fresco prezioso perché ovviamente ci si va nei mesi estivi essendo sulle Alpi. 

«Ritengo che sia una bellissima zona – dice il cittì – c’è anche poco traffico. Per il cicloturismo è una zona che si presta molto. Ci si può spostare anche nella zona di Pinerolo, sul Colle delle Finestre per trovare anche dello sterrato. In cima ci sono solo degli alberghi e servizi. E’ ben attrezzata. Una cosa preziosa quando andiamo su noi è che non c’è una vita sociale così attiva e distrattiva per i ciclisti. La scelta di questi luoghi viene fatta anche per questi motivi. 

«Nel 2019 e nel 2021 – ricorda Amadori – abbiamo preparato il mondiale che abbiamo vinto con Baroncini, ma anche il Tour de l’Avenir di Aleotti e Zana. Questo è sintomo che si lavora bene e il Sestriere è un’ottima palestra naturale».

Etna: come non innamorarsi

Anno dopo anno abbiamo imparato a conoscere il Teide e i suoi innumerevoli pregi. Basta guardare i profili Instagram dei pro’ e si nota che questo luogo è una delle loro mete preferite. Non ultimo Evenepoel che è sceso da lassù per andare a vincere la Liegi-Bastogne-Liegi. Non tutti però sanno che un vulcano con quelle caratteristiche (e con qualcosa in più) ce lo abbiamo anche noi. Si chiama Etna. Mastodontico, affascinate e immerso nella magnifica Sicilia. Paolo Alberati ce lo ha raccontato…

«L’Etna è un luogo magico. Purtroppo – dice – non è mai stato preso in considerazione più di tanto dai ciclisti. Da corridore andavo anche io sulle alture classiche. Ma l’Etna è differente perché qui a marzo a differenza degli altri luoghi puoi venire a pedalare con temperature ideali. Si dorme a quota 2.000 metri e si può pedalare fino a 2.900 con una gravel o mtb. A queste altitudini, io da preparatore lo consiglio, si può andare su con una e-bike per ossigenarsi e non affaticare il fisico.

«Ad oggi abbiamo – spiega Alberati – attivi 7 versanti pedalabili, il più lungo è 21 chilometri mentre il più corto è di 14. Sul nostro sito è possibile vederli tutti e programmarsi un itinerario per farli anche tutti insieme. Per questo abbiamo anche istituito un brevetto che attesta quante di queste salite hai conquistato. La cosa che ci ha convinti a creare questo progetto è stata anche la sicurezza che queste strade offrono. L’asfalto è sempre rifatto e il traffico è ridotto.

«E’ un luogo ideale – conclude – oltre per il cicloturismo e per gli appassionati, anche per preparare grandi appuntamenti. Ha un vantaggio che, tanto per fare un paragone, il Teide non ha. É possibile infatti scendere al livello del mare e trovare la pianura per allenarsi al meglio. A Tenerife questo non è possibile farlo perché è un continuo sali e scendi. Tra i più recenti nomi che sono venuti quassù prima del Giro, posso dire Aurélien Paret-Peintre, oppure Oldani, Baroncini. Chi viene, torna sempre, come Cadel Evans che è un frequentatore. L’Etna è una montagna magnetica, in continuo mutamento la senti che borbotta e respira».

San Pellegrino: prima dei Giri

Un passo situato nel cuore delle Dolomiti immerso in un contesto naturale rigorosamente protetto dall’UNESCO. Il San Pellegrino lo abbiamo visto tutti almeno una volta in TV in una tappa del Giro d’Italia tra una salita e l’altra oppure con l’arrivo in grembo. Scopriamolo attraverso le parole di Paolo Slongo.

«Il Passo San Pellegrino – dice – lo conosco da sempre. Ho iniziato a frequentarlo con le squadre da quando ero in Liquigas perché era un nostro sponsor. Da aprile, maggio in poi si andava su, si faceva anche il ritiro di dicembre invernale con tutta la squadra. Come detto, non è distante da casa mia e per un allenatore è importante conoscere la “palestra” dove ci si allena. 

«Il San Pellegrino – spiega – ha tutto quello che serve. E’ in altura, ha molte strutture adibite ad accogliere i ciclisti e soprattutto è possibile scendere comodamente a valle per alternare i percorsi. E’ infatti un luogo ideale, per i velocisti o per preparare le cronometro. Allo stesso tempo si hanno le Dolomiti, ma anche i percorsi piatti e ondulati nelle valli che ti permettono di poter far tutto l’allenamento a 360 gradi. Mi ricordo che per questo motivo venivano spesso a prepararsi anche Sagan e Viviani. 

«Le strade – conclude Slongo – sono perfette. Oltre a esserci ciclabili, che magari noi professionisti non frequentiamo, ci si può muovere in tranquillità ovunque. C’è una cultura per la bicicletta totale e ti senti anche tutelato mentre pedali. A livello di salite c’è l’imbarazzo della scelta. Il San Pellegrino è nel cuore delle Dolomiti. Per esempio quando si scende a Canazei che sei a 30 chilometri dal Passo, ti trovi un bivio, dove puoi fare Marmolada, Pordoi o Sella e da lì poi si apre tutto uno scenario di itinerari infinito. Da Ivan Basso compreso in poi, tutte le vittorie dei grandi giri sono state preparate lassù. Con Vincenzo Nibali ci piaceva molto andare nel periodo estivo, come lui anche Aru, Landa e tanti altri. Diciamo che andare al San Pellegrino era una garanzia per preparare un appuntamento importante».

Dall’esperienza di Buitrago, l’analisi del fuorigiri

24.02.2023
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Nella prima tappa della Vuelta a Andalucia abbiamo assistito ad uno degli show di Tadej Pogacar. L’asso della UAE Emirates ha dominato alla sua maniera, staccando tutti. Alle sue spalle però al momento dello scatto c’è stato un corridore che lo ha tenuto più di altri, Santiago Buitrago, prima di fare un bel fuorigiri. La foto di apertura è il quadro perfetto: lo sloveno scappa e il colombiano dietro china la testa.

A nostro avviso il tentativo di Buitrago va elogiato, per istinto, coraggio e cuore oltre l’ostacolo. Poi però è anche vero che parliamo di wattaggi, di sforzi calibrati al millimetro, di alimentazione chirurgica e ci si chiede come si possa ancora cadere in questi tranelli.

Non siamo qui per fare un processo a Buitrago che, lo ribadiamo, merita solo un grande plauso, ma per analizzare quella sua sparata. Per capire da un punto di vista tattico e fisiologico la risposta all’attacco di Pogacar.

E per questa analisi ci siamo fatto aiutare da Paolo Alberati, il quale oltre ad essere il procuratore di Buitrago, è anche un preparatore ed è stato corridore, quindi conosce in prima persona certe dinamiche.

Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo Alberati (classe 1973) è un procuratore e al tempo stesso un preparatore (foto Instagram)
Paolo, un bel fuorigiri per Buitrago, ma come è possibile che ciò accada ancora?

Ne parlo anche con dei ragazzi che seguo in allenamento e a loro dico: «La vittoria più bella non è quella quando sei il più forte, ma quando batti il più forte perché ci hai provato, ti sei inventato qualcosa». Nel caso di Buitrago sei a ruota del più forte corridore al mondo e che fai, non lo segui?

Nell’era del ciclismo tecnologico gli atleti hanno tutto sotto controllo. Santiago avrà visto che era al limite. I corridori non guardano il potenziometro?

Sì lo guardano, certo, ma non in quel momento. Non nell’istante in cui un avversario, per di più Pogacar, scatta. In quell’attimo c’è adrenalina. Lo vedi. Gli sei a ruota. Non lo lasci andare. E poi magari se ha risposto subito è perché si “sentiva comodo” fino a quel momento, cioè stava bene. Quindi il corridore segue anche le sue sensazioni e i calcoli sono pari a zero.

Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Pogacar se n’è andato. Buitrago deve recuperare, ma senza calare troppo. Intanto parla alla radio e dietro spunta il compagno Landa
Buitrago risponde e per un bel tratto lo tiene. Poi dopo che arriva la “botta di acido lattico” cosa fa? 

Premettiamo che in quel momento erano a 3 chilometri dalla vetta – l’arrivo era più lontano – e quindi non puoi fare un fuorigiri totale. Devi in qualche modo regolarti, lasciarti qualcosa. Non è come se fossi a 300 metri dallo scollinamento. Buitrago quando lo molla, si rialza, respira un po’, parla anche alla radio per sapere cosa deve fare (c’era il compagno Landa in risalita, ndr), e poi cerca di recuperare il più possibile.

E come? Ha subito alleggerito il rapporto immaginiamo. L’istinto almeno direbbe quello…

Sì, ma non ha mollato del tutto. Ha amministrato la pedalata, quel tanto da “recuperare” e continuare a spingere. Anche perché l’acido lattico stesso, e questa è fisiologia, si trasforma in energia. Il 30% di acido lattico viene riconvertito in glicogeno e quindi in Atp per i muscoli. E in questo processo sono di grande aiuto i lavori 40”-20”, per esempio, che velocizzano la trasformazione di acido lattico. Poi è chiaro che l’atleta va anche a sensazioni in quei momenti.

Subentra l’istinto. Senza contare che così si fa anche esperienza. 

Certo. Pensate se non ci avesse provato… Alla fine Pogacar nel tratto in salita (in quei 3 chilometri, ndr) gli ha dato 25”. E cosa sono 25” in salita? Se ne avesse avuta così tanta di più, avrebbe preso più margine. E quando questa cosa l’ho fatta notare a Santiago ne è rimasto piacevolmente colpito, perché lui faceva riferimento al distacco dell’arrivo. Per lui sono iniezioni di fiducia.

E’ così che l’atleta impara a conoscere i suoi limiti. 

Sono piccoli step psicologici, che a quel livello contano. Penso per esempio agli stratagemmi che s’inventa Van der Poel per battere Van Aert, che più forte di lui. E poi quel giorno in Andalucia salivano forte.

In effetti abbiamo visto qualche dato sulle varie piattaforme . Sembra che Pogacar sia andato ben oltre i 7,3 watt/chilo di Geoghegan Hart (quel giorno quinto a 1’38”) alla Valenciana…

Prima dell’attacco hanno pedalato per 14′ ben oltre i 6 watt/chilo e sul momento dell’attacco per circa 2’30” hanno sviluppato 8,8 watt/chilo. Capite perché questo fuorigiri è servito comunque a Buitrago? Una volta Alfredo Martini mi raccontò un aneddoto su Coppi. A Fausto chiesero quale fosse il momento più bello per un ciclista e il Campionissimo rispose: «Il momento della decisione. Quando vedi gli avversari e decidi di partire». Ecco, a suo modo, credo che Buitrago abbia vissuto il momento della decisione rispondendo a Pogacar.